La nonviolenza e' in cammino. 944



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 944 del 29 maggio 2005

Sommario di questo numero:
1. Per Clementina, ogni giorno
2. Nanni Salio: Il futuro della nonviolenza
3. Antonino Drago: Riflessioni sulla scienza e la morale
4. Ida Dominijanni presenta "Liberta' procreativa" di Chiara Lalli
5. Stefania Giorgi presenta "La bioetica in laboratorio" di Demetrio Neri
6. Con "Qualevita", all'ascolto di Giuliana Martirani
7. Letture: Vincenzo Buccheri, Takeshi Kitano
8. Letture: Alberto Cavaglion, La Resistenza spiegata a mia figlia
9. Letture: Jacopo Fo, Olio di colza
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PER CLEMENTINA, OGNI GIORNO
[Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care
international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e'
stata rapita alcuni giorni fa]

Ogni giorno volerla libera.
Ogni giorno volerlo di piu'.

2. RIFLESSIONE. NANNI SALIO: IL FUTURO DELLA  NONVIOLENZA
[Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: regis at arpnet.it) per averci messo a
disposizione questo suo saggio apparso - con qualche variante nelle note -
nel Grande dizionario del XXI secolo, Utet, Torino 2005. Giovanni (Nanni)
Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore nella facolta' di Fisica
dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research
Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca, educazione e azione per
la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della cultura nonviolenta in
Italia; e' il fondatore e l'attuale presidente del Centro studi "Domenico
Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed emeroteca specializzate su
pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel.
011532824 - 011549005, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito:
www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare
nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione riveduta, Perugia 1983;
Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago, Scienza e guerra: i fisici
contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Le centrali
nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Progetto di
educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Ipri
(introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la pace, vol. I. Le
ragioni e il futuro,  vol. II. Gli attori principali, vol. III. Una
prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le guerre del
Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991;
con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il potere della
nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta,
Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G. Martignetti, S.
Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001]

Il futuro ha radici antiche
E' celebre l'affermazione di Gandhi, secondo cui i principi della
nonviolenza sono "antichi come le colline": un'affermazione che trova
testimonianza nel fatto che tutte le religioni sono portatrici di un
messaggio di nonviolenza. In alcuni testi esso e' formulato in maniera
esplicita, come nel Saman Suttam, il canone jainista che, nel capitolo sui
"precetti della nonviolenza" recita: "Caratteristica essenziale di ogni
saggio e' non uccidere nessun essere vivente. Senza dubbio, si devono
comprendere i due principi della nonviolenza e dell'eguaglianza di tutti gli
esseri viventi" (Saman Suttam, Mondatori, Milano 2001, p.67). E' vero
d'altro canto che questi precetti debbono essere letti alla luce dell'ultima
parte del canone, che tratta della "teoria jainista della relativita'
conoscitiva" ( un tema di grande attualita' e rilevanza epistemologica, che
probabilmente ebbe una grande influenza sulla formazione del giovane Gandhi)
e che, piu' in generale, in molti altri testi religiosi il messaggio appare
ambiguo, commisto con affermazioni che giustificano la guerra e
l'intolleranza.
Resta indubitabile, in ogni caso, che e' solo nel Novecento che, a
cominciare dal messaggio e dall'azione gandhiana, la nonviolenza "non
rifiutando ogni forma di forza e di pressione", ma diventando essa stessa
una concreta ed efficace forma di lotta e di pressione, acquista dimensione
e valenza politica.
*
Che cos'e' la nonviolenza
Si possono distinguere due principali concezioni della nonviolenza. La
prima, l'ahimsa, indica letteralmente il non nuocere, il non uccidere,
l'innnocentia. Essa induce un significato prevalentemente di astensione, di
passivita', che riguarda la sfera personale, soggettiva. Dal punto di vista
morale si richiama al principio del "non commettere" violenza. Ma la
nonviolenza gandhiana introduce esplicitamente una seconda concezione, il
satyagraha, intesa come "forza della verita'", nonviolenza attiva,
intervento e lotta contro ogni ingiustizia. Essa si richiama al principio
morale del "non omettere", non permettere che altri commettano violenza e
ingiustizia.
Come ci ricorda Aldo Capitini, la nonviolenza "e' fondamentalmente un
principio etico, l'essenza del quale e' una tecnica sociale di azione...
L'introduzione del metodo gandhiano in qualsiasi sistema sociale politico
effettuerebbe necessariamente modificazioni di quel sistema. Altererebbe
l'abituale esercizio del potere e produrrebbe una ridistribuzione e una
nuova strutturazione dell'autorita'. Esso garantirebbe l'adattamento di un
sistema sociale politico alle richieste dei cittadini e servirebbe come
strumento di cambiamento sociale" (Aldo Capitini, Le tecniche della
nonviolenza, Feltrinelli, Milano, p. 35).
Ma l'intervento, l'interposizione e la lotta nonviolenta in situazioni
conflittuali acute debbono essere attuati rispettando il principio generale
dell'unita' tra mezzi e fini. Contro il realismo machiavellico del "fine che
giustifica i mezzi", vale il principio, in ampia misura verificato
pragmaticamente nel corso della storia, che i fini sono gia' contenuti nei
mezzi. L'azione politica deve tener conto della fallibilita', delle
conseguenze perverse dell'agire umano, della imprevedibilita' del corso
dell'azione, che provocano quella eterogenesi dei fini, e dei mezzi, che si
e' verificata piu' volte nel corso del Novecento (Marco Revelli, Novecento,
Einaudi, Torino 1999).
Tra i lavori teorici sui fondamenti etici della nonviolenza spiccano i
contributi del filosofo della morale Giuliano Pontara, uno dei piu'
autorevoli studiosi della nonviolenza gandhiana (si vedano: Teoria e pratica
della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973 e 1996, voci gandhismo, nonviolenza,
in Dizionario di politica, Utet, Torino 2003). Egli distingue tra
nonviolenza pragmatica e negativa, e nonviolenza dottrinale e positiva.
Nella prima, l'azione e' caratterizzata dalla semplice assenza di violenza
diretta (il mezzo) ma e' compatibile con qualsiasi fine. Nella seconda ci si
propone di "dare una risposta adeguata e comprensiva ai nuovi e gravi
problemi posti dall'enorme sviluppo degli armamenti, dall'escalation della
violenza politica, sia nelle forme del terrorismo internazionale sia in
quelle della 'nuova guerra', dalla crisi dello Stato nazionale, dai
drammatici cambiamenti verificatisi nel sistema internazionale in seguito
alla fine della guerra fredda, dallo sviluppo incontrollato
dell'industrialismo (non solo capitalistico) e dalle conseguenze che esso
puo' avere su interessi vitali di molte generazioni future, nonche'
dall'ognor crescente divario fra popolazioni povere e popolazioni ricche"
(p. 630).
Nella concezione gandhiana, egli individua inoltre tre tipi di nonviolenza:
"la nonviolenza del forte, la nonviolenza del debole e la nonviolenza del
codardo. Con quest'ultima espressione (Gandhi) intende denunciare
l'atteggiamento di coloro che si rifiutano di lottare per i propri legittimi
interessi, o per proteggere i legittimi interessi di altri, per pura
vigliaccheria o per altri motivi prettamente egoistici... Per nonviolenza
del debole, Gandhi intende, invece, la posizione di coloro che in una
situazione conflittuale acuta non ricorrono all'uso della violenza per la
semplice ragione che non dispongono dei mezzi necessari per condurre la
lotta violenta... Da ultimo, la nonviolenza del forte e' la posizione di
coloro i quali, pur avendo i requisiti necessari... all'uso della
violenza... tuttavia si rifiutano di ricorrere a tale metodo di lotta per
determinate ragioni di ordine morale e in quanto ritengono di poter condurre
la lotta in modo efficace con metodi diversi" (Pontara, p. 383).
*
L'eredita' di Gandhi e la diffusione globale della nonviolenza
Come gia' si e' osservato e' solo con Gandhi che la nonviolenza assume
esplicitamente anche una dimensione politica e comincia ad essere
sperimentata su larga scala: dapprima in India, poi nelle lotte per i
diritti civili negli Usa con Martin Luther King, in Sudafrica con Nelson
Mandela e Desmond Tutu, nelle Filippine (1986) per cacciare Marcos, nei
paesi dell'Est europeo per liberarsi dal giogo dell'impero sovietico,
imploso nel 1989, nella lotta secolare del movimento delle donne, nelle
lotte in difesa dell'ambiente, nella difesa dei diritti umani violati, e
cosi' via in un crescendo che attraversa tutto il Novecento e continua ai
giorni nostri.
Sull'onda di questi sviluppi, verso la fine degli anni '50 del secolo scorso
nascono le prime scuole di peace research, ispirate al paradigma della pace
positiva e della nonviolenza, con il contributo determinante del ricercatore
norvegese Johan Galtung. Una decina d'anni dopo, Gene Sharp pubblica il suo
famoso lavoro sulla Politica dell'azione nonviolenta (Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1986-1995) che verra' tradotto in decine di lingue e ispirera' gli
attivisti dei movimenti per la pace e per la nonviolenza in ogni angolo del
mondo. La comunita' di ricercatori, attivisti ed educatori che si richiamano
esplicitamente alla nonviolenza si e' man mano estesa sino a costituire
importanti reti internazionali che operano sia in campo accademico,
dall'alto, sia a livello non istituzionale, dal basso (www.transcend.org,
www.transnational.org).
In sintesi, la storia del XX secolo puo' essere interpretata sia come
l'esempio della massima violenza, sia come l'inizio di una nuova era, quella
delle lotte nonviolente di massa. La documentazione su queste forme di lotta
e sulla loro efficacia e' impressionante, tanto da indurre un numero
crescente di studiosi e di istituti di ricerca a sottolinearne la rilevanza
strategica (United States Institute of Peace, Strategic Nonviolent Conflict
Lessons from the Past. Ideas for the Future, special report 87,
www.usip.org/pubs/specialreports/sr87.pdf) nel condurre lotte di
liberazione, abbattere tiranni, ripristinare e difendere la democrazia,
creare condizioni di vita piu' giuste e ridurre la violenza strutturale.
Richard Falk (2003) non ha dubbi nel sostenere che "studiosi e accademici
stanno sempre piu' considerando gli obiettivi dell'abolizione della guerra e
della geopolitica della nonviolenza come gli unici fondamenti sostenibili
dell'ordine mondiale... Se il momento gandhiano si realizzera', esso dovra'
preoccuparsi sia della violenza delle armi sia di quella delle strutture
ingiuste di dominazione e sfruttamento".
La letteratura su Gandhi e sulla sua eredita' e' sterminata e crescente:
l'umanita' e' alla disperata ricerca di una via d'uscita dal vicolo cieco e
dalla follia  della guerra preventiva e permanente (N. Radhakrishnan, Gandhi
in the Globalised Context,
www.transnational.org/forum/meet/2003/Radhakrishnan_Gandhi.htm,
www.sarvodayatrust.org)
E tuttavia quella di Gandhi e' un'eredita' controversa. I movimenti
integralisti che in India stanno conoscendo un momento di pericolosa
affermazione, anche politica, non si riconoscono nel suo insegnamento, e lo
accusano di aver travisato l'autentico messaggio dell'induismo. Anche alcuni
esponenti del movimento dalit (i senza casta, gli harijan, figli di Dio,
come li chiamava Gandhi) sono critici nei suoi confronti, poiche' ritengono
che egli non abbia affrontato con sufficiente radicalita' la questione delle
caste (Roy, 2004).
D'altro canto, osserviamo come l'eredita' di Gandhi appartiene sempre piu' a
tutta quanta l'umanita' e oggi viene raccolta da quel movimento dei
movimenti che sta rinnovando le societa' civili nazionali trasformandole in
una vera e propria societa' civile globale transnazionale (Kaldor, 2004).
Questa terza onda di cui parla Michael Nagler (2003) e' caratterizzata non
solo dall'ampiezza dei nuovi movimenti che, dopo il 15 febbraio 2003,
qualcuno ha definito la seconda superpotenza mondiale, ma dal concretizzarsi
della capacita' di intervento e interposizione nonviolenta in situazioni di
conflitto acuto da parte di gruppi, organizzazioni, movimenti di base. E' il
sogno delle "Shanti Shena", i corpi civili di pace che Gandhi immagino' di
poter realizzare sin dagli anni trenta. Ora questo sogno si sta
concretizzando con le Pbi (Peace Brigades International), con associazioni
quali Global Exchange, The Ruckus Society, International Solidarity
Movement, che hanno la loro base negli Stati Uniti, la rete internazionale
delle Donne in nero e centinaia di altri organismi di base, capaci di
intervenire attivamente nelle dinamiche conflittuali per prevenire la
violenza, riconciliare dopo la violenza, interporsi durante la violenza
(Mathews, 2001). Sino a giungere all'ambizioso progetto internazionale delle
Nonviolence Peace Force che si propone di realizzare un contingente
permanente di duemila attivisti pronti a intervenire nelle varie aree del
mondo, come gia' stanno facendo in Sri Lanka, Colombia, Palestina.
*
Quale futuro
Riflettendo sul futuro della democrazia, qualche anno fa Norberto Bobbio
scriveva (1991): "sia ben chiaro, non faccio alcuna scommessa sul futuro: la
storia e' imprevedibile. Se la filosofia della storia e' in discredito,
dipende dal fatto che non c'e' previsione, annunciata dalle diverse
filosofie della storia succedutesi nel secolo scorso e all'inizio di questo,
che non sia stata smentita dalla storia realmente accaduta".
Parole simili si possono ripetere per "il futuro della nonviolenza": non
siamo in grado di fare delle previsioni e in questo campo "tutte le forme
ideali [appartengono] non alla sfera dell'essere ma a quella del dover
essere". Bobbio osserva inoltre che nel corso del Novecento e' avvenuto un
significativo aumento del numero di stati democratici, con una
corrispondente democratizzazione del sistema internazionale delle Nazioni
Unite, secondo una progressione ideale che avrebbe portato il sistema
internazionale da uno stato di anarchia a una condizione di equilibrio delle
grandi potenze, al predominio di una potenza egemone e infine a un sistema
internazionale democratico condiviso. Se questa successione si rivelasse
valida sul piano storico, il passo successivo dovrebbe essere quello verso
la nascita di societa' nonviolente e di un sistema internazionale
nonviolento.
Se il sistema internazionale si e' democratizzato, cosa e' avvenuto delle
guerre? Sono diminuite o aumentate? Che significato dobbiamo attribuire
all'attacco terrorista dell'11 settembre 2001 e alle successive reazioni
degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq? Dall'esame dei dati relativi
agli ultimi quindici anni, dopo la fine della guerra fredda, scaturisce un
paradosso: stando alla percezione diffusa, le guerre sono aumentate, mentre
i dati elaborati dagli analisti affermano un sostanziale congelamento, o
addirittura una diminuzione (Labanca, 2003).
Piu' in generale, afferma Richard Falk, "in questo momento della storia
umana, sembra che il bicchiere non sia ne' tutto pieno ne' tutto vuoto", ma
forse stiamo vivendo un "nuovo momento gandhiano", pur di fronte alla
scalata innescata dagli eventi dell'11 settembre 2001. Questo parere e'
condiviso da altri autori che interpretano questo evento come una
biforcazione. Possiamo procedere verso l'abisso, seguendo il realismo di
ieri della violenza che diventera' la ricetta per la catastrofe di domani,
oppure considerare il trauma come possibilita' che apre nuove forme di
azione: l'utopia di ieri della nonviolenza diventa il realismo di oggi.
Interrogarsi sul futuro della nonviolenza significa anche chiedersi
esplicitamente se la guerra ha un futuro. Dato che il XX secolo e' stato il
piu' sanguinoso nella storia umana, e che guerre di varia intensita'
continuano a uccidere e ferire centinaia di migliaia di persone,
prevalentemente civili, chiedersi se la guerra ha un futuro puo' sembrare
ridicolo. Ma questo interrogativo e' stato sollevato da troppe persone
autorevoli, in tempi diversi e con argomentazioni differenti, per apparire
peregrino. Se lo pose Albert Einstein, all'inizio dell'era nucleare. Se lo
posero in molti dopo la seconda guerra mondiale (Bauer, 1994), e dopo il 9
novembre 1989, folle festanti gridarono "mai piu' muri, mai piu' guerre".
Saggiamente, Gandhi sosteneva che "o il mondo progredisce con la
nonviolenza, oppure perira' con la violenza".
Gli scettici ribaltano l'interrogativo e preconizzano un nuovo secolo di
guerre, a meno che non avvengano profondi cambiamenti nella politica
internazionale delle grandi potenze, in particolar modo degli Stati Uniti i
quali detengono "un potere senza saggezza, e non sono capaci di riconoscere
i limiti delle armi nonostante ripetute esperienze. Il risultato e' stato la
follia, e l'odio, che sono le ricette per il disastro. E l'11 settembre ne
e' la conferma. La guerra e' arrivata in casa" (Kolko, 2002).
Come uscire da questo dilemma?
Nel chiedersi anche lui se la guerra ha un futuro, Sohail Inayatullah,
curatore con Johan Galtung di un provocatorio testo di macrostoria (1997)
sostiene che "dobbiamo sfidare l'idea che la guerra e' qui per rimanerci
come se fosse un fatto evolutivo naturale. Non dobbiamo solo trovare nuovi
metodi per risolvere i conflitti internazionali, ma e' necessario sfidare
tutta quanta la concezione di conflitto armato, simmetrico e asimmetrico".
Dobbiamo inoltre superare la "litania" della semplice contrapposizione tra p
ace interiore, dell'individuo, e pace collettiva, internazionale. Ovvero
dobbiamo affrontare esplicitamente in chiave sistemica il paradosso "dello
yogi e del commissario" sollevato sin dal 1947 da Arthur Koestler (2002),
agendo contemporaneamente su tre aspetti principali: trasformare la natura
del complesso militare-industriale, dell'industria bellica e del commercio
delle armi; trasformare il sistema educativo in un processo di formazione
alla pace e alla nonviolenza (come recita il documento Onu sul decennio
della nonviolenza) centrato sull'acquisizione di capacita' di trasformazione
nonviolenta dei conflitti e su una diversa lettura della storia umana, non
piu' vista soltanto come una successione di guerre; creare nuove visioni del
mondo. Queste nuove visioni comportano il passaggio da una societa' dominata
da strutture gerarchiche patriarcali a una concezione di partenariato
(Eisler, 2002); da un'idea di evoluzione intesa come risultato casuale della
sopravvivenza del piu' adatto, che giustifica la guerra, a una in cui essa
e' frutto della ragione e dell'azione umana; e infine da un'idea di
identita' definita solo in termini di razza, lingua, religione esclusiva a
una consapevolezza planetaria, "gaiana".
A partire da queste premesse, si possono prefigurare quattro scenari
principali: permanenza della guerra, con pericoli crescenti che deriveranno
non tanto dalla presenza di leader autoritari, quanto dalla facilita' con
cui ognuno di noi potra' accedere a nuove armi di distruzioni di massa e
tenere in ostaggio, da solo, un'intera nazione; scomparsa della guerra,
mediante un cambiamento del sistema di potere e della cultura che ora la
sorreggono; ritualizzazione e contenimento, con un prevalere della cultura
di pace e un permanere della guerra per brevi periodi e come opzione meno
desiderabile: genetizzazione della guerra, con procedure  invasive di
ingegneria genetica alla ricerca del "gene dell'aggressione", nella speranza
di eliminare i comportamenti che porterebbero alla guerra.
Oltre a immaginare i possibili scenari futuri, Inayatullah vede cinque
principali processi di cambiamento in atto: governo globale, multinazionali
dell'economia, ritorno al passato, cyberspazio,  people'power.
Le prime due trasformazioni sono frutto di poteri dall'alto, in mano a
piccole elite. Il terzo cambiamento, antitetico e opposto ai primi due e'
caratterizzato da forme di localismo e nazionalismo esasperati che si
oppongono alle forze dirompenti dei processi di globalizzazione per
mantenere barriere e privilegi anacronistici. Il quarto processo, basato
sulle tecnologie dell'informazione, ha un carattere orizzontale e
potenzialmente puo' coinvolgere chiunque in una grande rete comunicativa con
un forte potenziale di democrazia partecipativa. Il quinto processo, infine,
e' una trasformazione dal basso, attivata da una miriade di soggetti che
Immanuel Wallerstein considera nel loro insieme come la nuova ondata dei
movimenti antisistemici che stanno costruendo un nuovo ordine mondiale sulle
rovine del cadente disordine creato dal capitalismo selvaggio.
*
I prossimi cento anni di peacemaking
Con questo titolo al tempo stesso ambizioso e impegnativo, Johan Galtung si
cimenta nel proporre una terapia per curare la malattia della guerra
mediante un insieme di politiche di pace che richiamandosi all'insegnamento
buddhista, definisce l'"ottuplice sentiero" e riassume nella seguente
tabella [Per esigenze grafiche abbiamo rinunciato a riprodurre la tabella,
dandone di seguito una sommaria descrizione in forma discorsiva -ndr-].
Politiche di pace per il XXI secolo
1. Militari
1. a. Pace negativa: difesa difensiva, delegittimazione delle armi, difesa
non militare;
1. b. Pace positiva: forze di peacekeeping, competenze non militari, brigate
internazionali per la pace.
2. Economiche
2. a. Pace negativa: self-reliance I, internalizzare le esternalita', usare
i propri fattori di produzione anche su scala locale;
2. b. Pace positiva: self-reliance II, condividere le esternalita', scambio
orizzontale, cooperazione Sud-Sud.
3. Politiche
3. a. Pace negativa: democratizzare gli stati, diritti umani ovunque,
deoccidentalizzazione, iniziative referendarie, democrazia diretta,
decentralizzazione;
3. b. Pace positiva: democratizzare l'Onu, un paese un voto, abolizione del
veto, seconda assemblea Onu, elezioni dirette, confederazione.
4. Culturali
4. a. Pace negativa: sfida: singolarismo, universalismo, idea di popolo
scelto, violenza e guerra; dialogo: tra opposti;
4. b. Pace positiva: civilizzazione globale, un centro in ogni luogo, tempo
piu' rilassato, approccio olistico globale, alleanza con la natura,
eguaglianza e giustizia, miglioramento della vita.
(Johan Galtung, The Coming One Hundred Years of Peacemaking,
www.transcend.org).
Gli attori sociali di questo insieme di politiche possono essere, in linea
di principio, tutti quanti, ma in pratica vi sono delle difficolta' con
coloro che detengono posizioni di potere. Galtung tuttavia sottolinea che i
due principali errori che si possono commettere consistono nel credere che
tali processi possano essere attivati solo dalle elite oppure da chi non
appartiene ad esse: dall'alto o dal basso. Passi importanti sono stati
realizzati in passato congiuntamente e/o separatamente, come nell'insieme di
eventi che hanno portato alla fine della guerra fredda, con l'azione
congiunta del potere dall'alto e di quello dal basso. Se cio' si e'
verificato una volta, potra' verificarsi ancora.
*
Caratteri di una societa' nonviolenta
La visione di societa' nonviolenta di Gandhi e' espressa in modo sintetico
nel seguente passo: "Lo stato - nel passaggio alla societa' senza stato -
sara' una federazione di comunita' democratiche rurali nonviolente
decentralizzate. Queste comunita' si baseranno sulla 'semplicita', poverta'
e lentezza volontarie', cioe' su un tempo di vita coscientemente rallentato,
nel quale l'accento sara' sulla autoespressione attraverso un piu' ampio
ritmo di vita piuttosto che attraverso piu' veloci pulsazioni nelle avidita'
di potere e di lucro" (Gandhi, citato da  Capitini, 1967).
Pontara ne sintetizza l'immagine "nei tre momenti del sarvodaya, dello
swaraj e dello swadeshi". Sarvodaya e' l'equivalente di benessere di tutti,
ripreso anche da Capitini. Swadeshi si puo' tradurre con self-reliance,
ovvero autosufficienza, sviluppo autocentrato, che utilizzi innanzitutto le
risorse locali. Infine swaraj significa indipendenza intesa nel senso di
autonomia, capacita' di autogoverno, autocontrollo, disciplina. Possiamo
riassumere questo insieme di termini nel paradigma della "semplicita'
volontaria", uno stile di vita piu' povero esteriormente, materialmente, ma
piu' ricco interiormente, spiritualmente.
Una societa' nonviolenta e' dunque caratterizzata dai seguenti elementi:
riduzione di ogni livello di violenza (diretta, strutturale, culturale);
elevata qualita' della vita e delle relazioni interpersonali; decentramento
amministrativo e decisionale, capacita' di autogoverno, elevato grado di
partecipazione ai processi decisionali collettivi; sostenibilita' e basso
impatto ambientale, rispetto della vita di ogni essere vivente; modello di
sviluppo e di economia nonviolenti, autocentrati, autosufficienti su scala
locale, regionale, nazionale, a bassa potenza energetica e a bassa densita'
urbana; modello di difesa popolare nonviolento, con forze civili di pace che
agiscano su scala locale e internazionale.
Sorge spontanea la domanda se esistano o siano esistite societa' di questo
tipo, alle quali ispirarsi per apprendere, migliorarne le esperienze e
ampliarne la diffusione su scala internazionale. Gli studi antropologici e
sociologici hanno portato a classificare un certo numero di societa' che si
avvicinano all'ideale descritto piu' sopra. Nei suoi lavori Bruce Bonta ne
ha classificate varie decine, che presenta evidenziandone soprattutto i
tratti di cooperazione e armonia: "La maggior parte delle societa'
nonviolente nel mondo basa le loro visioni di pace sulla cooperazione e si
oppone alla competizione. Sebbene siano societa' amorevoli e dedite alla
cura, molti allevano i bambini ad essere cauti e ad aver paura delle
intenzioni degli altri, in modo tale da interiorizzare i valori nonviolenti
e non dare per scontati gli atteggiamenti pacifici propri e degli altri. In
queste societa', non vengono dati ai bambini giochi competitivi; sebbene i
piccoli siano molto amati, sin da quando hanno due o tre anni si fa in modo
che non si considerino piu' importanti degli altri. Queste societa' non
attribuiscono alcun valore all'acquisizione perche' essa porta alla
competizione e all'aggressivita', che a sua volta scatena la violenza che
essi aborriscono. I loro rituali rinforzano la fiducia e i comportamenti
ispirati alla cooperazione e all'armonia. Esse hanno talmente interiorizzato
i valori di pace e cooperazione che le loro strutture psicologiche sono in
sintonia con la loro fede nella nonviolenza".
Queste societa' possono essere classificate in due grandi categorie: quelle
che appartengono a popolazioni "altre", che vivono in culture tradizionali,
e quelle che invece sono inserite nel contesto della modernita' e stanno
sperimentando nuove forme di vita comunitaria.
Le prime comprendono vari gruppi etnici, tra i quali ricordiamo: Balinesi
(Bali), Batek (Malesia), Inuit (Alaska, Canada), Jain (India), Kadar
(India), King (Boscimani del Botswana e della Namibia), Ladakhi (India),
Zapotechi (Messico). Complessivamente, ne sono state individuate una
sessantina.
Nella seconda categoria rientrano esperienze e gruppi diversi, molti dei
quali di ispirazione religiosa: Mennoniti, Quaccheri (Societa' degli Amici),
Amish, villaggi dell'Arca di Lanza del Vasto, villaggi gandhiani dell'Assefa
in India, kibbutz in Israele. In questa stessa categoria rientra una
molteplicita' di piccole comunita' che stanno sperimentando i principi di
uno stile di vita che si richiama alla nonviolenza. Le esperienze sono
numerosissime, spesso notevoli, anche se poco conosciute. Una delle piu'
affascinanti si volge nientemeno che nella martoriata Colombia, in una zona
inizialmente inospitale: Gaviotas e' il nome di questo villaggio dove e' in
corso una delle piu' significative esperienze di sviluppo sostenibile,
ideata da Paolo Lunari.
*
Fondamenti epistemologici della nonviolenza
Caratteristica saliente della nonviolenza e' il suo carattere omeostatico,
che consente di ricercare la verita' senza distruggere quella
dell'avversario, imparando dagli errori, con comportamenti altamente
reversibili. Non siamo sicuri di essere nel vero, non sappiamo se il corso
d'azione intrapreso, anche con le migliori intenzioni, produrra' i risultati
desiderati, ma utilizziamo una metodologia che consente alla ricerca della
verita' di dispiegarsi.
Questo e' l'atteggiamento filosofico ed epistemologico che sta alla base
delle procedure della ricerca scientifica per prova ed errore, nella
consapevolezza che in campo sociale le sfide sono di vita e di morte,
altamente non reversibili.
Nella tradizione gandhiana si invita ad agire senza rivendicare il merito
dell'azione e senza aspettarne l'esito, che verra' quando meno ci si
aspetta. C'e' una fiducia nel processo di ricerca della verita', che prima o
poi si imporra', anche nelle situazioni apparentemente piu' difficili e
disperate. Satyagraha vuol dire forza della verita', ma anche "dire la
verita'", dirla di fronte ai potenti e all'ingiustizia, tanto quanto basta
perche' si imponga. Cosi' come nella propaganda si sostiene che una bugia
ripetuta mille volte diventa una verita', si puo' aver fiducia che una
verita' ripetuta mille volte finira' per imporsi.
*
Bibliografia
- Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000.
- Mark Juergensmeyer, Come Gandhi. Un metodo per risolvere i conflitti,
Laterza, Roma-Bari 2004.
- Jacques Semelin, Senz'armi di fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993.
- Giuliano Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Roma-Bari 1995
- Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1996.
*
Sitografia
- www.nonviolenti.org e' il sito del Movimento Nonviolento italiano, fondato
da Aldo Capitini nel 1962, che pubblica la rivista "Azione Nonviolenta" ed
e' il riferimento storico piu' significativo della nonviolenza politica
organizzata.
- www.peacelink.it: questo sito svolge un'efficace azione informativa di
rete tra i principali gruppi, movimenti e iniziative di pace italiani e
contiene molte informazioni anche su quanto avviene su scala internazionale.
- www.arpnet.it/regis e' il sito del Centro "Sereno Regis" di Torino, con il
catalogo consultabile in rete della biblioteca italiana piu' specializzata
sui temi della nonviolenza.
- www.transcend.org e' la rete di ricercatori ed educatori fondata da Johan
Galtung. Vi si trovano centinaia di articoli nelle lingue piu' diverse, e le
informazioni sulle principali attivita' promosse da Transcend.
- www.transnational.org e' il sito di una delle piu' significative
organizzazioni, svedese, di ricerca, azione e documentazione sui problemi
della pace e della nonviolenza. Offre un importantissimo servizio di
selezione di materiali dalla stampa e dalle pubblicazioni internazionali sui
temi piu' rilevanti della ricerca per la pace.
*
Parole chiave
- Nonviolenza: e' il termine convenzionale nelle lingue occidentali con il
quale si intende la capacita' di trasformazione costruttiva e creativa dei
conflitti dal micro al macro, attuata mediante le tecniche e i metodi
dell'azione nonviolenta individuale, diretta, collettiva, organizzata.
- Satyagraha: sta a indicare la "forza della verita'", ovvero la forza
interiore che deve animare chi sceglie di lottare mediante le tecniche della
nonviolenza, che scaturisce dalla costante e attenta ricerca personale della
verita', senza distruggere quella portata dall'avversario in una situazione
di conflitto.
- Ahimsa: e' la concezione di rifiuto dell'uccidere, dell'esercitare
violenza diretta, che e' ispirata da un rapporto di amore e di
compassionevolezza nei confronti di ogni essere vivente.
- Difesa popolare nonviolenta: cosi' come esistono dottrine militari per la
difesa di uno stato, anche nel pensiero e nella politica della nonviolenza
e' stata elaborata una dottrina che prevede la possibilita' di affrontare
conflitti su larga scala addestrando la popolazione in generale e alcune
forze specializzate (caschi bianchi, corpi civili di pace) a intervenire in
situazioni di potenziale pericolo per prevenire, dissuadere, riconciliare,
interporsi mediante tecniche di azione nonviolente.

3. RIFLESSIONE. ANTONINO DRAGO: RIFLESSIONI SULLA SCIENZA E LA MORALE
[Ringraziamo di cuore Antonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per
questo intervento. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente
universitario di storia della fisica, da sempre impegnato nei movimenti
nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei
piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino
Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza
e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983;
L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la
costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997]

Condivido le riflessioni di Enrico Peyretti [nei nn. 940 e 941 di questo
foglio] sul problema della scienza che sta dietro il referendum sulla legge.
I fisici sono arrivati a dire che la fisica e' stata buttata al diavolo
(Rasetti) o che aveva conosciuto il Peccato (Oppenheimer). Ma l'hanno detto
quando si stava facendo la bomba nucleare, o dopo che e' stata
criminosamente lanciata su Hiroshima e Nagasaki, contro il parere anche di
molti scienziati. Forse i biotecnologi debbono trovarsi di fronte ad un
disastro per riflettere su quello che hanno fatto. Basti pensare che la
ricerca militare gli sta gia' alle spalle, con conseguenze terrificanti e
poco visibili.
Eppure gia' negli anni '70 i maggiori ricercatori di questo campo avevano
stretto un patto di non proseguire le ricerche in direzioni che ritenevano
moralmente inaccettabili. Qualche arrivista ha creato una concorrenza che ha
vinto il patto nel giro di poco piu' di un anno e tutto e' tornato come
prima, con la coscienza dei biotecnologi indurita da questa sconfitta
dell'etica.
Con il nucleare abbiamo vinto un referendum nazionale e lo abbiamo
allontanato al di la' dei confini; e come noi molti altri popoli, cosicche'
esso e' confinato in pochi Paesi. Ma le biotecnologie sono attivita' non ad
enormi dimensioni (e percio' solo statali), ma a dimensioni di una grossa
industria farmaceutica; quindi sono disperse in tutto il mondo, con una
concorrenza che precede ogni legge o sfugge ad ogni legge.
Oggi solo l'Onu ha una autorita' per fare una legge sulla scienza che si
potrebbe imporre alla coscienza civile. O meglio, neanche l'Onu, perche'
oggi essa e' un accordo da gentiluomini tra Stati; invece solo un
superorganismo dell'Onu, un Senato mondiale, potrebbe arrivare a giudizi
negativi sulla corsa agli armamenti, sulla criminosita' delle armi di
distruzioni di massa, sulle biotecnologie, ecc. sui quali chiamare
l'umanita' a fare uno sforzo comune per evitare le aberrazioni.
Nel frattempo che fare? Qui c'e' un vuoto, di cui noi nonviolenti siamo in
parte responsabili. La nonviolenza e' basata sull'etica, o meglio sul
rinnovamento che Gandhi ha apportato all'etica indu'. In italia i vari
maestri della nonviolenza (Capitini, Lanza del Vasto, don Milani, don Tonino
Bello) hanno dato indicazioni per un rinnovamento dell'etica cattolica e di
quella comune; a cominciare dall'aver accolto l'obiezione di coscienza e la
importanza centrale della coscienza nelle questioni etiche. Ma poi questo
lavoro non e' stato ne' raccolto ne' sistemato, ne' continuato dai loro
seguaci. Eppure, nel secolo della biotecnologia la rilevanza della
nonviolenza sara' data sicuramente dalla sua capacita' di rispondere alle
domande della bioetica.
Tanto per cominciare cosa diciamo sul'aborto dal punto di vista della
nonviolenza? E che cosa sulla contraccezione? E che cosa sulla bilancia
rischi-benefici, con la quale si giudica se un medicinale e' pericoloso o no
(anche se qualche danno a qualcuno lo fa, ma i benefici sono molto maggiori
e per molte piu' persone)? O sulle formule dei comitati etici di un
ospedale, per le quali, dati cento euro da spendere, e' meglio impegnarli
per un giovane che ha piu' speranza di vita, piuttosto che per un anziano
che tanto tra poco morira'? O con la strage annuale sulle strade, compiuta
un po' da tutti in nome della velocita' e del progresso? O, giusto per
finire, con lo slogan di certi biotecnologi: "L'uomo non e' il suo corpo, e'
liberta'" di decidere di avere il corpo che uno vuole, foss'anche un ibrido
con un animale?
Vada come vada questo referendum, non possiamo pensare che la nonviolenza si
fara' togliere le castagne dal fuoco dalla Chiesa o da qualche laico
illuminato; io temo che solo i nonviolenti hanno la base, storica e teorica,
per arrivare a delle decisioni gravi sulle quale la stessa Chiesa cattolica
spera di salvarsi con una astensione, come in questo referendum.

4. LIBRI. IDA DOMINIJANNI PRESENTA "LIBERTA' PROCREATIVA" DI CHIARA LALLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 maggio 2005.
Ida Dominijanni, giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale
femminista.
Chiara Lalli, laureata in filosofia morale, collabora presso il dipartimento
di filosofia, scienze umane e scienze dell'educazione dell'Universita'
"Gabriele D'Annunzio" di Chieti. Ha pubblicato vari saggi di bioetica,
filosofia pratica e filosofia della medicina. Opere di Chiara Lalli: con
Fabio Bacchini (a cura di), Che cos'e' l'amor, Baldini Castoldi Dalai,
Milano 2003; Liberta' procreativa, Liguori, Napoli 2005]

Il trucco principale del fronte teo-con che il 12 giugno si astiene o vota
no consiste nell'aggiungere di tutto e di piu' alla gia' intricata materia
referendaria. A sentire i suoi esponenti stiamo per votare non su una legge,
la sua forma e la sua efficacia, ma: sullo statuto ontologico dell'embrione,
sull'invasione delle pecore Dolly, sull'eugenetica, sull'intero catalogo
della ricerca scientifica da qui al Tremila e chi piu' ne ha piu' ne metta.
Va reso merito a Chiara Lalli di aver seguito, nel suo Liberta' procreativa
(Liguori, prefazione di John Harris, pp. 210, 14 euro), il metodo
precisamente inverso: non aggiunge, toglie; non sporca il tema, lo pulisce.
Sulla base di un impianto liberale che aiuta a riportare la posta in gioco
referendaria ai suoi termini essenziali, anche se qualche volta semplifica
troppo i dilemmi, tralasciando le dimensioni dell'immaginario e del
simbolico inevitabilmente evocate dallo scenario biotecnologico, ed evitando
di misurarsi con l'asimmetria della differenza sessuale che nella
procreazione (e non solo nella procreazione) complica i giochi
dell'individuo liberale.
Due presupposti sostengono tutto il ragionamento. Primo, la liberta'
procreativa (ovvero la possibilita' di scegliere se, quando e quanti figli
mettere al mondo) e' un bene inviolabile in quanto e' espressione della
liberta' individuale; ed e' una liberta' negativa, cioe' non tollera
ingerenze ne' da parte di terzi ne' da parte dello Stato. Secondo, essendo
la liberta' procreativa ampiamente ammessa nella procreazione naturale, per
limitarla nella procreazione artificiale sarebbero necessari argomenti
validi, che la legge 40 non offre.
Non c'e' nessun argomento valido a sostegno della patente discriminazione
che esclude le single dall'accesso alle tecniche di riproduzione assistita;
ne' a sostegno del divieto per tutti, single e coppie, di accedere alla
fecondazione eterologa. La controprova e' semplice. In natura, si concepisce
sotto le piu' disparate forme di relazione interpersonale e sociale: fra
marito e moglie, fra amanti, fra un uomo sposato e un'amante e fra una donna
sposata e un amante, fra una lesbica e un eterosessuale e un gay, fra una
single e un partner occasionale; si danno casi di coppie sterili i cui
singoli componenti si rivelano fecondi quando si accoppiano con un altro o
un'altra partner, e in tal modo procreano; si danno casi di donne che non
possono sostenere una gravidanza e mettono al mondo un figlio "prendendo a
prestito" l'utero di un'altra in un patto d'amicizia. Nello scenario
tecnologico cosi' com'e' normato dalla legge 40, per uomini, donne e coppie
sterili queste possibilita' si restringono enormemente: per usufruire delle
tecniche di riproduzione assistita bisogna essere un uomo e una donna
eterosessuali, sposati o conviventi e fedelissimi; omosessuali, single,
amanti, donatori e donatrici escono di scena. La legge 40, insomma, vieta di
fare in laboratorio cio' che in natura e' consentito.
Com'e' possibile che si sia arrivati a questo? E com'e' possibile che
tutt'ora, nel dibattito referendario, si alluda invece continuamente al
"disordine" che le tecnologie introdurrebbero in un "ordinato" mondo della
natura? E' possibile, perche' la legge varata dal parlamento italiano e' una
legge paternalista e moralista, argomenta Chiara Lalli, che non rispetta i
limiti della coercizione legale della liberta' individuale. E' possibile,
perche' sulle tecnologie riproduttive viene scaricata la paura per le
trasformazioni della famiglia che nelle societa' occidentali sono in corso
non da oggi. E' possibile, perche' i media hanno alimentato per dieci anni
le preoccupazioni per la presunta infelicita' dei figli "artificiali", come
se al mondo non esistessero milioni di bambini nati in natura da un padre
biologico diverso da quello legale.
Un capitolo cruciale e' dedicato infine alla questione dei diritti del
concepito, e oltre a dimostrare l'assurdita' di una grammatica che
contrappone l'embrione alla madre ripercorre le tappe attraverso le quali
questa grammatica si e' fatta strada non solo in Italia ma anche negli Stati
Uniti. Sull'embrione si gioca una partita piu' ampia di quella ingaggiata in
Italia dall'astensionismo di Ruini. Ne va della civilta' giuridica, di qua e
di la' dall'Atlantico.

5. LIBRI. STEFANIA GIORGI PRESENTA "LA BIOETICA IN LABORATORIO" DI DEMETRIO
NERI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 maggio 2005.
Stefania Giorgi e' giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine
culturali del quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e
illuminanti, su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di
difesa intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del
pensiero delle donne.
Demetrio Neri (Reggio Calabria 1947), docente di bioetica all'universita' di
Messina, membro del Comitato nazionale per la bioetica, condirettore della
rivista "Bioetica", ha fatto parte della "commissione Dulbecco" sulle
cellule staminali. Tra le opere di Demetrio Neri: La liberta' dell'uomo,
Roma 1980; Teoria della scienza e forma della politica in Thomas Hobbes,
Napoli 1984; Eutanasia, Laterza, Roma-Bari 1995; La bioetica in laboratorio,
Laterza, Roma-Bari 2005]

Torna in libreria, in una nuova edizione ampliata e aggiornata, La bioetica
in laboratorio di Demetrio Neri (Laterza, pp. 220, euro 10). Bioeticista con
al suo attivo numerosi libri e incarichi - membro del Comitato nazionale per
la bioetica, direttore, con Maurizio Mori, della rivista "Bioetica", ha
fatto parte della "commissione Dulbecco" sulle cellule staminali, e'
ordinario di bioetica all'universita' di Messina, la prima cattedra statale,
dopo quella di Sgreccia alla Cattolica - e soprattutto sensibile e attento
interprete di una bioetica intesa come luogo aperto di interrogazione,
ascolto e scambio sulla biogenetica e sulle scelte che ci pone ogni giorno
davanti. Oggi tra gli scienziati e gli accademici in sciopero della fame
contro l'oscuramento sul referendum sulla legge sulla procreazione
assistita.
"La bioetica in laboratorio" si configura cosi' come una guida chiara e
rigorosa che riavvicina quel che avviene nei laboratori alla vita
quotidiana, le ricerche sulle cellule staminali e la clonazione terapeutica
alle paure e alle aspettative (entrambe spesso eccessive) di malati e
opinione pubblica. Un libro che testimonia l'impegno di Neri, e non da oggi,
di far uscire la ricerca scientifica e il dibattito bioetico dal circolo
chiuso degli scienziati e dei bioeticisti per restituirli al vaglio ampio e
condiviso di un dibattito pubblico. Un confronto che va costruito in primo
luogo informando correttamente sulle questioni in campo e superando quelle
posizioni dogmatiche - sul terreno morale, religioso -, incapaci di aprirsi
al mondo e alle differenze che rendono impossibile qualunque dialogo.
La prima parte del libro e' dedicata agli aspetti scientifici e alle
prospettive di applicazione: le cellule staminali e la ricerca sulle
staminali, la clonazione, le applicazioni della ricerca biomedica, la
medicina rigenerativa.
La seconda parte e' dedicata alle "questioni bioetiche", dando contro del
dibattito internazionale, delle diverse legislazioni e dei diversi
orientamenti religiosi: negli Stati Uniti, in Europa, in Italia. Esemplare
il capitolo incentrato sulla sperimentazione sugli embrioni che ricostruisce
gli orientamenti morali in campo: le posizioni della religione ebraica,
islamica e cristiana ortodossa, dell'area protestante e dell'area cattolica.

6. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI GIULIANA MARTIRANI
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto
di Giuliana Martirani.
*
"E' necessario che politica e spiritualita' siano strettamente congiunte"
(Giuliana Martirani, Facciamo politica!, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi
(Aq) 1995, p. 136).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

7. LETTURE. VINCENZO BUCCHERI: TAKESHI KITANO
Vincenzo Buccheri, Takeshi Kitano, Il castoro cinema, Milano 2001, 2004, pp.
168, euro 11,90. Una bella monografia nella benemerita storica collana
fondata dall'indimenticabile Fernaldo Di Giammatteo. Takeshi Kitano e', tra
mille altre caotiche e contraddittorie cose, uno dei poeti visivi piu'
commoventi del cinema d'oggi.

8. LETTURE. ALBERTO CAVAGLION: LA RESISTENZA SPIEGATA A MIA FIGLIA
Alberto Cavaglion, La Resistenza spiegata a mia figlia, L'ancora del
Mediterraneo, Napoli 2005, pp. 120, euro 9. Un saggio tenero ed
appassionato, nitido e acuto, di uno dei piu' autorevoli studiosi della
Resistenza.

9. LETTURE. JACOPO FO: OLIO DI COLZA
Jacopo Fo, Olio di colza e altri trenta modi per risparmiare, proteggere
l'ambiente e salvare l'economia italiana, suppl. a "L'Unita'", Roma 2005,
pp. 160, euro 5,90. Con lo stile brillante e fin sbarazzino che gli e'
proprio, l'autore formula (con qualche - diciamo cosi' - eccesso di
semplificazione ed alcune cadute di stile che nei testi pubblicistici e
ortativi sono ormai purtroppo abituali) una serie di proposte degne di
essere conosciute e ragionate. Con contributi di Dario Fo, Franca Rame,
Simone Canova, Maurizio Fauri, Maurizio Pallante, Maria Cristina Dalbosco.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 944 del 29 maggio 2005

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