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La nonviolenza e' in cammino. 941
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 941
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 26 May 2005 00:17:40 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 941 del 26 maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. Per Clementina 2. Maria G. Di Rienzo: Signori governanti 3. Ida Dominijanni: Il primato della madre 4. Enrico Peyretti: Alcune perplessita' 5. Antonio Riboldi: Ai partecipanti al convegno di Palermo del 21-22 maggio 6. Rosa Siciliano: Il saluto di "Mosaico di pace" ai partecipanti al convegno di Palermo del 21-22 maggio 7. Augusto Cavadi: Liberta' vigilata 8. Pina La Villa: Il dibattito teorico sulla liberta' femminile dal movimento suffragista a noi 9. Con "Qualevita", all'ascolto di Lanza del Vasto 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PER CLEMENTINA [Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e' stata rapita alcuni giorni fa] A Kabul, ma anche a Roma, a Milano, persone che vogliono Clementina libera sono gia' scese in strada, per gratitudine ed in trepidazione, sapendo che la pace non viene da se', va costruita con le nostre mani, come appunto faceva Clementina prima che la rapissero. A Kabul, ma anche a Roma, a Milano, e forse gia' anche sotto casa tua: in ogni citta', in ogni paese si levi una voce di pace, una richiesta di liberazione. 2. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: SIGNORI GOVERNANTI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Governanti, politici, decisori italiani, buongiorno. Riuscite a leggermi? So gia' che siete sordi, ma ancora mi ostino a credere che sappiate leggere e scrivere. Da anni le Ong presenti in Afghanistan mandano rapporti e lanciano allarmi sullo stato del paese, con tanta pignola frequenza che persino io, una cittadina italiana qualsiasi, ne vengo a conoscenza. A voi non arrivano? Ve li nascondono biechi funzionari e perverse segretarie? I vostri uomini sul campo non si accorgono di nulla? Ma si', per voi la guerra e' vittoriosamente conclusa e l'Afghanistan e' finito nel cassetto dei ricordi. Si era persino millantato di aver "liberato" le donne afgane, che hanno infatti manifestato per il rilascio di Clementina Cantoni rigorosamente soffocate nei loro bei burka. * Vogliamo parlare di rapimenti, allora? Una buona parte dei rapiti, una storia all'ordine del giorno in Afghanistan, finiscono nelle camere di tortura costruite dagli Usa e gestite dai mercenari pakistani. La gente viene rapita per strada e torturata per estorcere loro informazioni. I torturatori pensano che se torturano abbastanza persone, finiranno per aver la fortuna di ricavare da qualcuna di esse informazioni che poi gli statunitensi pagheranno in denaro. Anche i bambini vengono rapiti: dalle strade e persino dalle loro stesse case. Secondo il "Pakistan News Service", l'anno scorso un padre afgano e' stato costretto a pagare un riscatto di 4.500 dollari per riavere il figlioletto. Come primo avviso, i rapitori hanno spedito al padre un dito del bambino, con la nota allegata: "La prossima volta ti manderemo la testa". Il padre riusci' a raccogliere il denaro e pago': il bimbo gli venne restituito nudo e drogato. * Vogliamo parlare delle afgane "liberate"? Il 3 maggio 2005 leggo sulla stampa internazionale di tre donne afgane stuprate e strangolate nella provincia di Baghlan. Una veniva dal Bangladesh, aveva 25 anni, e faceva il lavoro della nostra Clementina, era una cooperante internazionale. Sulle vittime e' stato lasciato un biglietto, a firma del gruppo "Convenzione della gioventu' afgana". Il testo recitava: "Questa e' la ricompensa per le donne che lavorano nelle Ong e per quelle che si danno al meretricio". Il che, evidentemente, suggerisce un'identita' simbolica fra aiuto umanitario e prostituzione. E il monito, con altrettanta chiara evidenza, non e' per i cooperanti stranieri in toto: e' per le donne. Qualche giorno dopo leggo dell'ennesima Amina uccisa, in una provincia del nordest afgano. Il mullah ha autorizzato il padre, il padre ha ucciso la figlia con la complicita' del fidanzato di lei e di altri tre uomini. Le ragazzine, invece, vengono vendute ai mercenari e agli americani perche' le usino sessualmente. Persino gli ospedali non sono sicuri. Le ragazze e le donne ci vanno, vengono anestetizzate per una ragione o l'altra, e al risveglio dall'anestesia scoprono di essere state stuprate. * Vogliamo parlare del commercio di organi umani? Quando i rapiti, soprattutto giovani e bambini, non vengono restituiti, e' comune ritrovare i loro corpi senza cuore, reni, o fegato. Persino i loro occhi vengono espiantati con cura. * Vogliamo parlare del fatto che il 40% dell'economia afgana ruota attorno al commercio del papavero da oppio? Si e' passati dai 2.000 ettari del 2001 (prima dell'intervento statunitense) ai 61.000 del 2005. Si tratta, signori, del 20% della terra coltivabile, in un paese in cui si fa la fame. I contadini afgani coltivano il papavero da oppio perche' non hanno alternative: sono miserabili e indebitati con i signori della guerra; il loro profitto consiste in una quantita' di raccolto che viene determinata prima del raccolto stesso, cosicche', se la resa e' inferiore alle aspettative, i debiti aumentano e i contadini non riescono a sottrarvisi, perche' devono produrre ancora piu' oppio per estinguerli. Forse a questo proposito vorrete mandare degli esperti, per esaminare il problema. Gli Usa lo hanno diligentemente gia' fatto, ne hanno spediti in loco ben 50. E costoro hanno redatto un rapporto che comincia cosi': "Gli Usa intervennero in Afghanistan nel 2001 per rimuovere il regime talebano che permetteva ai campi di Al Qaida di prosperare nel suo territorio. L'esercito Usa e' ancora in Afghanistan sia per catturare i restanti leader di Al Qaida, sia per creare le condizioni che prevengano un ritorno del terrorismo". Dopo 4 anni di rapimenti, stupri, sangue ed oppio possiamo dichiarare la missione fallita? Il rapporto non ne fa cenno. Pure, con fraseggio pudico, sorpreso e scandalizzato nota che i trafficanti di oppio sono gli alleati degli Usa, i signori della guerra dell'Alleanza del Nord, e che questi stessi trafficanti occupano posizioni di rilievo nel governo di Harmid Karzai. Come mai, quando si e' accettata la collaborazione contro Al Qaida con i signori della guerra, non e' stato messo in chiaro che il traffico d'oppio non va bene? Se lo chiedono, costernati, i 50 esperti. Di settori del traffico di droga profittano pure, aggiunge il rapporto, "oppositori della democrazia" come "Talebani ostinati e Al Qaida". Non ci sono "risposte facili", ci ammoniscono i 50 saggi, che ritengono ci vogliano almeno i prossimi dieci anni per sradicare il commercio e la coltivazione del papavero da oppio. Hanno suggerito la creazione di "nuove unita' specializzate", nonche' di una base di spionaggio (veramente loro dicono "intelligence", ma associare l'intelligenza a questa cosa e' un salto semantico troppo grande perche' io mi rompa una gamba assecondandoli) situata alla periferia di Kabul, con annesso aeroporto; sapete, non stavano scherzando: sotto la benevola egida del Dipartimento della difesa statunitense questa base e' gia' in costruzione. Di denunciare i trafficanti che stanno al governo, di offrire alternative ai coltivatori, di smobilitare l'esercito, di utilizzare quei soldi per portare sollievo all'indigenza non si parla. * Governanti, politici e decisori italiani: vi viene mai qualche dubbio sulla partecipazione del nostro paese a simili auree imprese? Naturalmente dite di essere preoccupati per la sorte di Clementina Cantoni, come eravate preoccupati per Simona Torretta e Simona Pari, come sarete preoccupati per la prossima volontaria rapita. Quanto ad ascoltarle prima, non sia mai. Quanto ad ascoltare, so gia' che siete sordi. 3. INCONTRI. IDA DOMINIJANNI: IL PRIMATO DELLA MADRE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 maggio 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista] "Le femministe erano scomparse. Sepolte sotto ripensamenti frettolosi, appelli vaghi contro la legge 40 e indignazioni tout court che non hanno fatto onore a un pensiero complesso". Cosi' "Il foglio" di giovedi' scorso, che sotto il titolo "Femministe sull'orlo di una riconquista: il pensiero sulla provetta" imbastisce un contorto ragionamento secondo il quale le femministe, un tempo dotate di pensiero critico sulle tecnologie riproduttive e l'onnipotenza della ricerca scientifica, si sarebbero poi piegate alla logica di schieramento contro la legge 40 per risvegliarsi solo ora a complessificare il discorso del fronte del si'. Analogo contorto ragionamento era gia' stato fatto sul magazine del "Corriere della sera" il 3 febbraio scorso: quando gli argomenti scarseggiano tutto fa brodo. Un conto e' dire che sulla procreazione assistita non c'e' lo stesso coro femminista che ci fu sull'aborto: ne' potrebbe, avendo il femminismo, nel frattempo, cambiato pratiche politiche, circuiti, linguaggi. Un altro conto e' dire che il discorso femminista sulle tecnologie riproduttive s'e' inabissato o s'e' conformato a quello del fronte del si'. Non e' cosi' e lo conferma l'incontro che si e' svolto sabato mattina alla Casa internazionale delle donne, convocato da Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, esperte della materia e autrici di un cruciale libro, L'eclissi della madre Pratiche), che gia' nel 1998 intercettava e indagava tutti i punti piu' caldi del dibattito in corso oggi, ma a partire da un punto fermo, quello del primato femminile nella procreazione, che il dibattito di oggi insabbia. Il fatto e' che, contrariamente a quanto pensa "Il foglio", un atteggiamento critico e ponderato nei confronti delle tecnologie riproduttive non porta affatto a difendere la legge 40, anzi: porta dritto a stracciarla. Precisamente perche', come dicono Boccia e Zuffa introducendo l'incontro, siamo di fronte al paradosso di "una legge ostile alle tecnologie che tuttavia ne assume l'impianto scientifico e ideologico, amplificandolo e legittimandolo". Due guai in un colpo solo insomma: divieti da una parte, avallo al riduzionismo biologico dall'altra. Per riduzionismo biologico intendendosi quella tendenza alla riduzione del corpo vivente a materiale biologico - "uova, spermatozoi, zigoti, embrioni, corredi cromosomici e genetici" - che impazza a destra e a sinistra, fra i tecnofobici e fra i tecnofilici. L'autonomizzazione dell'embrione dal corpo della madre, che la legge 40 traduce in attribuzione di diritti al concepito, e' il primo risultato di questa tendenza. Ma nel dibattito femminista non si ritrova il match in voga sul ring referendario, dove uomini di scienza e di politica questionano se l'embrione sia persona o ammasso di cellule, sostanza o accidente. Che l'embrione esista solo nella relazione con la madre, in stretta e imprescindibile dipendenza dal corpo e dal desiderio materno, e' acquisizione ferma fin dai tempi del dibattito sull'aborto. Acquisizione e misura: per decidere la liceita' delle tecniche di riproduzione assistita, che spostano fuori dal grembo materno il concepimento ma non la gestazione, e per dire si' al quesito referendario che abroga i "pari diritti" dell'embrione. E non e' l'unico punto di un "sapere accumulato" in trent'anni e piu' (Letizia Paolozzi) che soccorre oggi nel dibattito referendario. C'e' per esempio una concezione del diritto ostile all'invasivita' di leggi come questa che vogliono normare troppo, e di altre pratiche e altri saperi normativi e normalizzanti che si impongono facendo anche a meno delle leggi (Angela Putino). C'e' una diffusa "coscienza del limite", che induce a vigilare sui rischi dell'onnipotenza scientifica e della manipolazione genetica, senza gli sconti che alla modernizzazione vengono ancora fatti da larghi settori della cultura progressista e laica. C'e' soprattutto un sapere del corpo e della sessualita' che acuisce lo sguardo su molti punti della legge 40 spesso tralasciati o semplificati nel dibattito referendario. L'intreccio di naturale e artificiale, ad esempio, che gia' oggi e non da oggi innerva i nostri corpi, se e' vero come e' vero che l'uso di protesi, i trapianti, l'accanimento terapeutico fanno gia' parte della nostra realta' quotidiana (Annamaria Crispino, Caterina Botti). E la capacita' di vedere le asimmetrie della posizione maschile e femminile nella procreazione, che getta luce su molti vuoti di parola soprattutto maschili nella discussione pubblica. Gli uomini parlano della legge, ma non di se' (Bia Sarasini). Forse perche' piu' gli uomini che le donne rischiano con le tecniche di riproduzione assistita una penalizzazione simbolica: sessualita' fuori campo, riduzione di se' a erogatori di sperma (Paolozzi). Nasce da qui la fobia maschile diffusa per il "rivale genetico" che entra in campo con la fecondazione eterologa? Forse, se si considera che il nuovo scenario tecnologico interviene su una crisi dell'identita' maschile post-patriarcale e post-femminista (Rosetta Stella). C'e' anche chi non e' convinta e non e' disposta a farsi carico nel voto di un altrui desiderio di maternita' a tutti i costi (Paola Tavella). Ma il messaggio politico della legge 40, normalizzazione della famiglia e alimentazione di paure che si aggiungono a tutte quelle di cui vive il cittadino globale (Tamar Pitch, Bianca Pomeranzi) e' chiara a tutte. Merita quattro si'. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ALCUNE PERPLESSITA' [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione questa meditazione nata come lettera personale a specifici interlocutori. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Ho firmato a suo tempo l'appello di "Adista" [riprodotto anche nel n. 935 di questo foglio] per la liberta' di coscienza nel referendum sulla procreazione assistita del 12-13 giugno. La mia firma e' stata per la decisione personale, che puo' essere partecipazione o astensione, voto si', o no, o scheda bianca. Io rifletto, a monte del referendum e della legge, con molta preoccupazione, nel testo che segue, che non e' da leggere come una dichiarazione di carattere conclusivo, ma come espressione di una preoccupatissima meditazione e attenzione, che purtroppo non mi pare considerata da chi ragiona solo di leggi e schieramenti. * Ripresento alcune domande morali, non religiose, sulla sostanza che conta, piu' che sulla legge: 1. Posso fidarmi, in generale, delle tecnoscienze oggi spesso tracotanti, condizionate e dirette piu' dal profitto del capitale che dall'interesse umanitario, che spesso guastano la natura invece di perfezionarla (producono armi distruttive di massa anzitutto a favore del privilegio dei ricchi, seminano pericolose scorie millenarie nella vita dei posteri, sequestrano il cibo dei poveri imponendo sementi sterili da comperare ogni anno, compromettono l'equilibrio dell'ambiente vitale), piu' di quanto mi possa fidare della natura stessa, la quale, nonostante tutto, al contrario di ieri, oggi pare meno pericolosa dell'intervento dell'uomo? Sono perplesso e inclino a pensare di non potere fidarmi, in generale, delle tecnoscienze. 2. Posso fidarmi di una scienza oggi tanto celebrata, quasi fosse il massimo dei saperi, ma fortemente inquinata dai poteri economici, i quali, col dare-negare finanziamenti e istituzioni, indirizzano a forza sia la ricerca sia l'applicazione, nelle direzioni in cui pensano di trarre profitto, anche a scapito di inviolabili diritti umani di persone e popoli, e a danno della natura, mentre negano l'appoggio a direzioni di ricerca e applicazione medica, sanitaria, ecologica, cooperativa, alimentare, pacifica, solo perche' possono trarne minore profitto? Posso fidarmi abbastanza di una ricerca scientifica che non ha tutto il diritto, l'importanza e l'utilita' che le spetterebbe e avrebbe se il capitale fosse al suo servizio, invece di servirsene? Posso fidarmi di una scienza che, di fatto, non e' puramente scientifica, ma, nelle condizioni attuali di abbondante ignoranza e imprevedibilita' degli effetti, puo' anche essere criminale, perche' manca spesso di quella cautela scientifica che impone di evitare effetti forse irreversibili? Posso fidarmi molto poco, e piuttosto diffidare e stare in guardia. 3. Posso fidarmi di una scienza e tecnica medica e farmaceutica che ha mille meriti, ma e' orientata in generale a stra-curare i ricchi e i loro desideri (fino a raddrizzare i nasi, gonfiare i seni, e far crescere i capelli ai calvi) tras-curando i poveri nei loro bisogni vitali primari e nella difesa dalle piu' semplici malattie, lasciati soffrire e morire perche' non pagano? Sono perplesso e inclino a dire che non stimo giusto l'orientamento complessivo di questa medicina e dell'industria farmaceutica. 4. Posso fidarmi di politiche e legislazioni che, mentre omettono largamente la costruzione della giustizia e della pace e restano disponibili alla guerra e all'ingiustizia mondiale, pur di acquistare il favore popolare amano andare incontro ad ogni desiderio, quelli legittimi (come avere un figlio), ma anche i piu' futili, come se fossero dei diritti, con conseguente crescente giuridicizzazione dei rapporti umani? E distribuiscono circenses ai frivoli piu' che panem ai deboli? E favoriscono i beni privati e individuali piu' dei beni comuni, necessari ai poveri? E privilegiano le possibilita' dei ricchi piu' dei bisogni dei poveri? Sono molto perplesso e mi fido molto poco. 5. Posso fidarmi dell'ethos dominante nella societa', specialmente nelle espressioni piu' influenti (spettacoli, persone in vista, modelli compiacenti), che orienta la ricerca e la politica, ethos caratterizzato dal liberismo etico individualista, insofferente del limite dettato dal diritto di chi ha meno e puo' meno, insensibile al principio che non e' giusto per me quel che non e' giusto per tutti (o che almeno non cerchiamo di ottenere per tutti), e sordo, se non contrario, al principio per cui la giustizia e' misura della liberta', e non viceversa? No, non mi fido di questo ethos, causa profonda di ingiustizie. 6. Posso fidarmi di una probabilita' morale, in campi delicati come il rispetto della vita umana, per cui pensiamo di non colpirne il diritto intervenendo su di essa dopo averne stabilito con sicurezza forse eccessiva il momento iniziale e finale? Posso pensare che quella probabilita' sia una certezza morale? Posso fidarmi di scelte, in questo campo inviolabile, dettate dall'audacia operativa, dalla passione del successo, e anche da interessi demagogici ed economici, piu' che da cura umana e da cautela scientifica? Sono molto, molto perplesso. 7. Non mi piace la pratica in questione, ne' come la regola questa legge, non mi piace allargare la legge, ne' confermarla, ne' l'astensione. Forse, forse, forse, lo diro' votando quattro schede bianche. 5. RIFLESSIONE. ANTONIO RIBOLDI: AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DI PALERMO DEL 21-22 MAGGIO [Ringraziamo Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci inviato il messaggio di saluto di Antonio Riboldi al convegno di Palermo del 21-22 maggio sul contriibuto della nonviolenza alla lotta alla mafia. Antonio Riboldi (e-mail: riboldi at tin.it), vescovo emerito di Acerra, gia' prete nel Belice, voce della lotta e della speranza della sua gente, e di tutti gli affamati di giustizia. Tra le opere di Antonio Riboldi: (con Oscar Battaglia e Giuseppe Florio), Le beatitudini , Cittadella, Assisi 1979; Essere vescovo e uomo tra gli uomini, Cittadella, Assisi 1983] Carissimo Enzo, trovo molto bello il programma che vi siete proposti di tenere a Palermo su "superare il sistema mafioso con il contributo della nonviolenza". Ci sono due metodi per superare mafia e mentalita' mafiosa: quello della repressione che sembra il piu' battuto, ma che va al grave problema della mafia. E' un poco come il carcere per i tossicodipendenti: reprime, ma non guarisce. E vi e' il metodo della prevenzione che e' proprio in una educazione alla legalita', al rispetto della dignita' di ogni persona, il rispetto alla giustizia che e' un bene comune e deve essere progetto di tutti. Ci sono nella societa' troppe devianze tollerate o scorciatoie malavitose per arrivare al successo politico, personale, economico che alla fine diventano sistema mafioso tollerato: quel sistema che poi prende corpo nella mafia o altro. Occorre entrare nelle coscienze e impostare una azione di educazione alla legalita' perseguita da tutti. C'e' troppa corruzione attorno a noi: troppa voglia di potere che uccide la persona nei suoi diritti; troppa voglia di essere "primi" generando tanti ultimi. La mia esperienza di 50 anni, mi ha insegnato a non avere paura di mettere a nudo queste mentalita'... certamente creandomi tanti nemici. Ma e' la strada della giustizia, direbbe il caro Giovanni Paolo II quando parlava di terrorismo, che passa dal perdono alla pace. Auguro a voi che siate veramente "sentinelle" di quella coscienza retta che e' il fondamento di una societa' che costruisce civilta' dell'amore. Non posso che incoraggiarvi, e non potendo essere con voi, lo sono con tutto il cuore e con la preghiera. E saluto tutti di cuore. Abbiamo veramente bisogno tutti di respirare aria di onesta' mettendoci quel "supplemento d'anima" che ottiene frutti insperati. Vi benedico di cuore salutando la mia sempre cara Sicilia. Antonio, vescovo 6. RIFLESSIONE. ROSA SICILIANO: IL SALUTO DI "MOSAICO DI PACE" AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DI PALERMO DEL 21-22 MAGGIO [Ringraziamo Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci inviato il messaggio di saluto di Rosa Siciliano a nome di "Mosaico di pace" al convegno del 21-22 maggio a Palermo sul contriibuto della nonviolenza alla lotta alla mafia. Rosa Siciliano e' la direttrice di "Mosaico di pace", il mensile promosso da Pax Christi che e' una delle voci piu' note della nonviolenza in Italia] Cari amici, con il rammarico di non poter partecipare personalmente ai lavori di questo interessante e attuale convegno, vi inviamo un fraterno saluto. A voi l'augurio perche' i temi che affrontate e il lavoro comune che in questi giorni potra' emergere portino a individuare e definire nuovi percorsi umani, sociali e politici nonviolenti che consentano di superare il sistema mafioso di cui la nostra terra e' ancora troppo intrisa. Certo non e' facile sconfiggere la mafia come mentalita' corrente pero' grandi passi si possono fare se abbiamo gli obiettivi chiari e gli strumenti giusti con un cuore risoluto. Una societa' basata sulla giustizia, sulla legalita' e sulla solidarieta' non puo' prescindere da un grosso senso di responsabilita' di ciascuno che esclude a priori ogni forma di connivenza. "La complessità del fenomeno mafioso, i suoi numerosi e inestricabili riflessi sul piano sociale, impongono una seria analisi delle scelte di campo, in termini di obiettivi e di strategie. Ci sono almeno due nonviolenze possibili: una volontaria, l'altra strutturale": cosi' si introduceva il paragrafo "Quale nonviolenza?" nel documento "Per una strategia nonviolenta di lotta alla criminalita' mafiosa" a cura del gruppo di lavoro informale su mafie e nonviolenza nato, nel 1992, in seno all'Osservatorio meridionale di Reggio Calabria. Documento ripreso integralemte nell'ambito di un dossier sullo stesso argomento, a cura di Piero Cipriani e Guglielmo Minervini e pubblicato su "Mosaico di pace" nel mese di dicembre 1992. Sempre in merito alla nonviolenza volontaria, il documento specifica che "l'ipotesi fondamentale di una strategia volontaria della nonviolenza nella lotta alla criminalita' mafiosa e' che il potere - tanto piu' quello mafioso - si regge sul consenso... In definitiva le basi del potere mafioso sono l'obbedienza e la cooperazione sociale, in generale l'obbedienza e' il cuore del potere politico... Il modello di azione nonviolenta volontaria si fonda sulla sottrazione del consenso, ossia sull'obiezione come strumento per minare e limitare il potenziale di potere mafioso...". Pur se datata, una simile riflessione sulla sottrazione di consenso al sistema mafioso si rende necessaria oggi piu' che mai, con tutte le dovute analisi sul tempo che viviamo, propedeutiche per l'individuazione di nuovi percorsi di liberazione da un sistema oppressivo che impedisce e offusca l'emergere di tutte le ricchezze, inesauribili, di una cultura meridionale. Grazie al lavoro che voi, in modo nuovo, avete intrapreso con il gruppo-laboratorio "Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso", ci consentite di rispolverare e di riprendere in mano un tema a noi caro e che ha costituito una specificita' storica della riflessione sia di Pax Christi che di "Mosaico di pace". Un tema che non e' solo riflessione sul piano teorico ma soprattutto individuazione di proposte operative per una azione civile di base. Un ringraziamento particolare rivolgiamo a Enzo Sanfilippo per averci coinvolto in questa ricerca. Rinnoviamo oggi la nostra piena e totale disponibilita' a proseguire una riflessione comune, a elaborare nuove iniziative con voi tutti, a mettere a disposizione del lavoro comunitario e delle singole organizzazioni qui presenti le pagine della nostra rivista. Buon lavoro a tutti. Rosa Siciliano e la redazione di "Mosaico di pace" 7. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LIBERTA' VIGILATA [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso nell'edizione di Palermo del quotidiano "La Repubblica" del 23 maggio 2005. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa). Giovanni Falcone, nato a Palermo nel 1939, magistrato, tra i massimi protagonisti della lotta contro la mafia; muore assassinato dalla mafia nel 1992. Opere di Giovanni Falcone: Interventi e proposte (1982-1992), Sansoni, Firenze 1994; Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1991. Falcone e' stato tra gli autori dell'atto d'accusa alla base del grande processo noto come "maxiprocesso" alla mafia, una sintesi di quella decisiva sentenza-ordinanza del pool antimafia di Palermo e' stata pubblicata a cura di Corrado Stajano con il titolo Mafia: l'atto d'accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma 1986; cfr. anche la raccolta di interventi pubblici di Falcone e Borsellino, Magistrati in Sicilia, Ila Palma, Palermo. Opere su Giovanni Falcone: tra le opere principali si veda il volume di Lucio Galluzzo, Franco Nicastro, Vincenzo Vasile, Obiettivo Falcone, Pironti, Napoli; a cura di AA. VV., Falcone vive, Flaccovio, Palermo; Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone, Rizzoli, Milano 1993; Giommaria Monti, Falcone e Borsellino, Editori Riuniti, Roma 1996. Ovviamente utili anche i libri di Pino Arlacchi, Giuseppe Ayala, Antonino Caponnetto, Giuseppe Di Lello, Alfredo Galasso, Luca Rossi, e quello di Umberto Lucentini su Paolo Borsellino. E naturalmente anche i lavori - fondamentali - di Umberto Santino, il noto volume di Saverio Lodato, e numerosi altri testi] La maggior parte dei ragazzi in corteo per Falcone nel 1992 o avevano qualche anno o non erano ancora nati. Questo dato anagrafico non e' senza significati. Quello che per molti di noi era un volto preciso, un sorriso ironico, un sigaro, diventa un'icona senza tempo. Assistiamo in diretta ad una metamorfosi culturale: un fatto di cronaca diventa mito. Di miti fondatori ogni civilta' ha bisogno per non diluirsi, per non annacquare e disperdere l'identita'. Percio' non c'e' da scandalizzarsi davanti a manifestazioni in cui la scenografia sembra prevalere sul raccoglimento, l'apparato liturgico sulla convinzione intima, lo slogan gridato sulla memoria accorata. Quando Salvatore lo Bue e i suoi giovani rileggono la vicenda di Giovanni e di Paolo con le categorie della tragedia greca tentano - al di la' dei risultati propriamente estetici - un'operazione preziosa: dare un'anima spirituale alla lotta diuturna, e molto prosaica, contro il reticolo degli interessi mafiosi. Ogni mito, pero', presenta i suoi rischi. Proprio perche' segna una trascendenza rispetto alla cronaca, puo' illuminarla e fecondarla ma anche eluderla, edulcorarla, mistificarla. Allora i compagni di Carlo Magno o i protagonisti del Risorgimento diventano figure a tutto tondo, senza difetti, senza contrasti interni, soprattutto utili ad appianare le differenze ideologiche e ad omologare le specificita' politiche. Personaggi che in vita sono stati segni di contraddizione, costringendo l'opinione pubblica a schierarsi a favore o contro i principi guida del loro agire, diventano in morte degli stendardi inoffensivi da omaggiare a poco prezzo. Percio' vanno rispettati, almeno in ugual misura, quanti non se la sentono di partecipare alle manifestazioni ufficiali a fianco di politici, amministratori, magistrati o intellettuali con cui Falcone o Borsellino avrebbero evitato di prendere anche solo un caffe' insieme. Che si partecipi o meno al corteo antimafia, l'essenziale resta comunque altrove. Lo spartiacque attraversa altri terreni e, se lo si potesse seguire con attenzione, riserverebbe non piccole sorprese. Esso divide infatti i (pochi) cultori dell'antimafia faticosa, "difficile" (come titola uno dei quaderni del Centro "Impastato") dai (molti) devoti dell'antimafia scontata, nel doppio senso di ovvia e di poco costosa. Parafrasando il vangelo, si potrebbe dire che il patrimonio civile ed etico della lotta alla mafia non appartiene a chi ripete "Falcone, Falcone", ma a chi, nel proprio ambito, lavora quotidianamente per la sua stessa causa, con l'autenticita' delle sue intenzioni e con la professionalita' dei suoi metodi. Appartiene a quei magistrati che sfidano l'impopolarita' non con le interviste piu' o meno eclatanti, ma con il rigore argomentativo delle sentenze. Appartiene a quegli insegnanti che educano alla democrazia non moltiplicando le conferenze d'occasione ma accompagnando i ragazzi nei loro tentativi - talora goffi, sempre sinceri - di partecipare alla gestione della scuola. Appartiene a quei presbiteri che organizzano la solidarieta' sociale con progetti di promozione umana ben al di la' della raccolta episodica di denaro in chiesa. Appartiene a quei dirigenti partitici che hanno la lucidita' lungimirante di rinunziare ad appoggi equivoci, anche se provenienti da candidati o da galoppini in grado di catalizzare migliaia di voti clientelari. Appartiene a quei commercianti che si impegnano pubblicamente a non pagare il pizzo e a denunziare - con la protezione che puo' essere assicurata soprattutto dalla coalizione fra colleghi - gli estortori parassiti. Appartiene - come ci invitano in questi giorni alcuni dei nostri giovani concittadini piu' degni - a quei consumatori che dedicano qualche minuto del loro tempo a scegliere con oculatezza il negozio dove fare la spesa senza finanziare, oggettivamente, le casse della mafia. Ecco: su queste - e su simili opzioni - si gioca davvero la differenza fra mafia e antimafia. Tutte le altre sono parole sprecate in polemiche che fanno perdere tempo prezioso e indeboliscono il fronte, non certo maggioritario, dei siciliani che non ne possono piu' di vivere in liberta' vigilata. 8. RIFLESSIONE. PINA LA VILLA: IL DIBATTITO TEORICO SULLA LIBERTA' FEMMINILE DAL MOVIMENTO SUFFRAGISTA A NOI [Dal sito di "Giro di vite" (www.girodivite.it) riprendiamo il seguente testo. Pina La Villa, acuta saggista, e' redattrice di "Giro di vite", dove in particolare cura la rubrica "Segnali di fumo" ed ha pubblicato rilevanti materiali sul pensiero delle donne. Anna Rossi-Doria insegna Storia delle donne in eta' contemporanea alla Seconda Universita' di Roma; ha lavorato presso l'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza dal 1974 al 1980, ha insegnato Storia delle donne nelle Universita' di Bologna, Modena e della Calabria; fa parte della direzione della rivista "Passato e presente", del Comitato direttivo della Societa' italiana delle storiche, e di quello dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza. Ha condotto in generale ricerche di storia politica e, piu' di recente, di storia delle idee, occupandosi in una prima fase dei gruppi conservatori italiani in eta' liberale, in particolare della figura di Antonio di Rudini' e della crisi di fine secolo; poi del rapporto tra partiti politici e movimenti sociali nel periodo delle origini della Repubblica, analizzando in particolare la politica agraria e le lotte contadine meridionali; da circa vent'anni si occupa prevalentemente di storia delle donne e di genere, sia dal punto di vista storiografico e metodologico che con ricerche di storia dei movimenti femminili e femministi e di storia dei diritti delle donne. In quest'ultimo campo, ha condotto ricerche prima sulla legislazione protettiva del lavoro femminile e sul suffragismo nel secolo XIX in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi sulla conquista del diritto di voto e sul rapporto tra diritti civili e diritti politici nel secolo XX in Italia (con alcuni casi di comparazione con la Francia). In queste ricerche gli interrogativi centrali riguardavano il rapporto teorico e politico tra rivendicazione dell'uguaglianza e difesa della differenza, con le contraddizioni, i paradossi ma anche le potenzialita' di ridefinizione del liberalismo e della democrazia che esso comportava; negli ultimi anni, ha cominciato a occuparsi di storia ebraica a partire dal nodo dell'emancipazione - in cui l'alternativa obbligata tra uguaglianza e differenza si presenta, in modo analogo ma capovolto rispetto a quel che avveniva per le donne, nella forma della equazione tra diritti di cittadinanza e assimilazione, avviando ricerche su alcune forme specifiche di antisemitismo europeo alla fine del XIX secolo, legate non al razzismo - anche se da esso gia' segnate - ma al rifiuto del "particolarismo" ebraico, e sul ricorrente loro abbinamento a forme di antifemminismo; ha anche lavorato su temi di storia della memoria della shoah e della memoria della deportazione nei Lager nazisti, avviando di recente una ricerca sulle memorie scritte e le testimonianze orali di donne ebree e di deportate politiche italiane e francesi. Opere di Anna Rossi-Doria: Per una storia del "decentramento conservatore", in "Quaderni storici", n. 18, 1971; Il ministro e i contadini. Decreti Gullo e lotte nel Mezzogiorno (1944-1949), Bulzoni, Roma 1983; Uguali o diverse? La legislazione vittoriana sul lavoro delle donne, in "Rivista di storia contemporanea", n. 1, 1985; La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg e Sellier, Torino 1990; Il difficile uso della memoria ebraica: la shoah, in Nicola Gallerano (a cura di), L'uso pubblico della storia, Angeli, Milano 1995; Le donne sulla scena politica in Storia dell'Italia repubblicana, I, La costruzione della democrazia, Einaudi, Torino 1994; Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Giunti, Firenze 1996; Memoria e storia: il caso della deportazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998; Antifemminismo e antisemitismo nella cultura positivistica, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999; (a cura di), Annarita Buttafuoco. Ritratto di una storica, Jouvence, 2002; (a cura di), A che punto e' la storia delle donne in Italia, Viella, 2003; La stampa politica delle donne nell'Italia da ricostruire, in S. Franchini e S. Soldani (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, Angeli, Milano 2004] Il dibattito teorico sulla liberta' femminile: le origini Utilizziamo qui una lettura del libro La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, a cura di Anna Rossi-Doria, Rosenberg & Sellier, Torino 1990. Il libro consente di conoscere le teorie delle "antenate" del femminismo, che furono alla base delle battaglie del Nocevento per la conquista della cittadinanza femminile. Permette quindi di affrontare alla loro origine temi come uguaglianza e differenza, diritti e opportunita'. Raccoglie scritti di donne divisi per epoca e problemi (alla fine del testo le loro biografie). Nella prima parte del libro le antenate: la fondazione dell'autonomia individuale (siamo nel settecento e queste donne, soprattutto inglesi e americane, basandosi sull'universalita' dei diritti di stampo illuminista, rivendicano anche per le donne l'accesso all'istruzione e al potere, ma soprattutto l'autonomia e il riconoscimento del loro valore). Nella seconda parte conosciamo le suffragiste, il tema e' "l'uguaglianza per entrare in politica". Nella terza parte ancora le suffragiste, ma il tema e': la differenza per ridefinire la politica. Nella quarta parte invece le antisuffragiste, ancora la differenza ma per rifiutare la politica. Parte quinta: le suffragette: siamo nel pieno della battaglia, il titolo e' "La scoperta della forza collettiva". Conclude il libro un saggio di Anna Rossi-Doria, che riassume le linee del dibattito e che ha scelto i testi, dal titolo "Le idee del suffragismo". Come ci mostra questa breve descrizione, tutto nasce dall'universalita' dei diritti, affermatasi con l'illuminismo e le rivoluzioni e dichiarata solennemente. Ma questa dichiarazione solenne si rivelo' davvero impegnativa. Interessante a questo proposito l'osservazione delle prime femministe che se per uomo si intende maschio e femmina allora anche le donne devono avere pari diritti e dignita', quindi anche il diritto al voto. Altrimenti e' come se si affermasse che le donne non hanno diritto alla vita, alla proprieta' e alla ricerca della felicita' (come recita la dichiarazione dei diritti americana). La lotta per il voto ha anche un valore simbolico, perche' comporta il superamento della divisione dei ruoli fra il privato (le donne) e il pubblico (gli uomini). Investe cioe' tutti gli altri aspetti della condizione femminile e tutte le questioni relative alla parita' di diritti che poi sono state affrontate dal movimento delle donne. La cosa interessante che emerge dalla lettura di questi saggi e' che nel dibattito, praticamente durato un secolo e piu', per il diritto al voto, emergono anche delle voci femminili, peraltro molto interessanti, contrarie al voto alle donne. Lo erano in nome della differenza femminile. Nel senso che rivendicavano dignita', autorevolezza, rispetto per le donne e un ruolo fondamentale per la societa', ma non attraverso il voto, non attraverso il potere. La critica al potere maschile in realta' viene anche dalle suffragiste, che pero' il potere richiedono per se' in nome, anche loro, della differenza femminile, sicure che il loro rapporto col potere sarebbe molto diverso da quello degli uomini. In quello che viene chiamato da Carol Pateman "Il dilemma di Wollstonecraft", ci sono gia' tutte le ambiguita' dei discorsi su uguaglianza, differenza e pari opportunita', in cui ancora oggi ci dibattiamo (basti citare la produzione interessantissima della filosofa americana Martha Nussbaum). Da un lato le donne chiedevano (chiedono) che l'ideale della cittadinanza fosse esteso anche a loro, dall'altro hanno anche insistito (spesso contemporaneamente, come fa appunto Mary Wollstonecraft), sul fatto che in quanto donne hanno particolari capacita', talenti, bisogni e interessi, motivo per cui l'espressione della loro cittadinanza dovra' essere diversa da quella degli uomini. L'origine di questa impostazione del problema sta nella tradizione di riferimento del primo femminismo: Anna Rossi-Doria parla di diverse, ma convergenti, matrici del suffragismo: la matrice laica - illuminista prima, liberale poi - dei diritti universali serve soprattutto a fondare la liberta' della singola donna, mentre la matrice religiosa - in particolare evangelica - che si richiama alla tradizionale "woman's sphere" e' leva di affermazione della differenza femminile come valore positivo anziche' come inferiorita'. (Il voto sara' pero' poi concesso sulla base di un'altra matrice, quella del darwinismo sociale). Nel saggio conclusivo Anna Rossi-Doria, che ha scelto le autrici e i testi, illustra alcuni dei nodi fondamentali di quella riflessione ancora viva e attuale nel dibattito femminista contemporaneo. I diritti civili e politici rappresentano per le suffragiste soprattutto uno strumento per la conquista da parte delle donne del rispetto di se' e della fiducia nel proprio valore. E poiche' la lotta per i diritti produce quel rispetto e quella fiducia, malgrado la sua apparente inefficacia e il disprezzo da cui la loro lotta e' circondata per decenni, le suffragiste non si sentono mai sconfitte. Sara' semmai il periodo successivo alla vittoria, in cui tante attese sulle conseguenze del voto alle donne furono deluse, a far nascere i primi dubbi sulla conquista di una cittadella vuota. * Cenni sulla prosecuzione del dibattito Abbiamo visto che non tutto e' nato nel Novecento. In realta' la riflessione sulle donne da parte delle donne e' iniziata prima, ed accompagna, come tutto il pensiero politico attuale, l'affermarsi del moderno stato costituzionale e rappresentativo. Non e' un caso che i primi testi si facciano risalire all'Inghilterra e agli Stati Uniti. Le radici per tutti affondano nell'universalismo del pensiero illuminista e nel dibattito attorno alla rappresentanza (Olympe De Gouges, Mary Wollstonecraft). Nell'Ottocento, in Inghilterra, in relazione alla prima grande riforma elettorale del 1932 e poi a quelle del 1867 e del 1884, il dibattito sul voto alle donne si intensifica, e attorno alla rivendicazione ruotano altri argomenti. L'Ottocento delle nazioni e dell'emergere della questione sociale portera' altri protagonisti e altre questioni nel dibattito sulla condizione femminile. Oltre alla tradizione laica e liberal-democratica, troviamo nel corso dell'Ottocento la riflessione marxista, che ruota sempre attorno al diritto al voto, ma sussume la questione alla critica generale della societa' capitalistica. Una riflessione impostata da Engels ne L'origine della famiglia, della proprieta' privata e dello Stato, e arricchita poi da alcune pensatrici come Clara Zetkin e Alessandra Kollontai (in Italia al femminismo "borghese" di Anna Maria Mozzoni, risponde la posizione marxista di Anna Kuliscioff). L'idea di fondo era che la questione femminile faceva tutt'uno con quella della rivoluzione socialista, o almeno era risolvibile solo in quella prospettiva. La rivoluzione russa e i suoi esiti e il blocco dell'esperienza pratica dell'associazionismo e del femminismo a partire dalla prima guerra mondiale porteranno a una battuta d'arresto di queste tradizioni, e porranno in serie difficolta' soprattutto quella marxista. Come vediamo il problema non e' piu' - non e' mai stato - solo il voto. La cittadinanza femminile, conquista delle donne e non evolversi "naturale" del sistema rappresentativo, come sostiene Anna Rossi-Doria, pone problemi molto piu' complessi, mette in discussione i concetti di uguaglianza e differenza. Il tema della differenza viene in pratica abbandonato nella seconda meta' dell'Ottocento. Formulo un'ipotesi da verificare, ma credo che il diffondersi di un pensiero razzista (siamo nell'epoca dell'imperialismo, del darwinismo e del positivismo) porto' alla necessita' di difendere la donna dai continui attacchi che basandosi sulle differenze fisiologiche sconfinavano "naturalmente" nell'asserzione della inferiorita' psicologica e quindi sociale etc. Negli anni venti-trenta del Novecento in Inghilterra pero' riemerge, con una intellettuale della statura di Virginia Woolf, il tema della differenza: nel 1938, infuriano venti di guerra, e la Woolf scrive Le tre ghinee. Per quanto riguarda la tradizione di pensiero marxista, essa si arricchisce, come del resto il marxismo stesso, degli apporti della psicoanalisi e dello strutturalismo, nonche' delle nuove correnti di pensiero filosofico del Novecento che hanno a che vedere con la crisi del soggetto, la fenomenologia e l'esistenzialismo. In questo ambito emerge la prima sistematica e organica riflessione filosofica sulla condizione femminile, Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. In essa confluisce in qualche modo anche l'altra tradizione , quella della psicoanalisi, che ha dato origine a una serrata critica nei confronti di Freud, soprattutto a partire dagli anni settanta. Un'lteriore tradizione nasce nell'ambito della filosofia del linguaggio, sempre in area francese e con vistosi debiti nei confronti de Il secondo sesso di simone de Beauvoir, e fa capo a Luce Irigaray, Helene Cixous e Julia Kristeva. In Italia quest'ultima impostazione ha avuto molto seguito, almeno fino alla fine degli anni ottanta. Mentre coi primi anni novanta si afferma il pensiero della differenza sessuale della Libreria delle donne di Milano, che, sul piano filosofico, si rifa' all'esperienza delle donne di Diotima dell'universita' di Verona e ai testi di Luisa Muraro e di Adriana Cavarero. 9. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI LANZA DEL VASTO Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto di Lanza del Vasto. * "Anche se siamo sicuri di difendere la giustizia e la verita', dobbiamo sapere che la giustizia e la verita' non sono la proprieta' esclusiva di nessuno. Stanno anche nel nostro nemico, anche se la passione o il calcolo l'accecano, gli fanno commettere l'ingiustizia. Il nonviolento si fa un alleato sul posto: fa appello costantemente allo spirito di giustizia che sta nell'avversario. Quando lo spirito di giustizia comincia a rispondere la partita e' vinta" (Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, L'arca aveva una vigna per vela, Jaca Book, Milano 1980, 1995, p. 167). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati pe r la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 941 del 26 maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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