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La nonviolenza e' in cammino. 940
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 940
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 25 May 2005 00:26:49 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 940 del 25 maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. Giuliana Sgrena: Per Clementina 2. Ricoeur 3. La scomparsa di Paul Keene 4. Oggi a Roma una proposta di legge per i Corpi civili di pace 5. Enzo Sanfilippo: Nonviolenza e mafia: alcune indicazioni di percorso 6. Benito D'Ippolito: Dopo Capaci 7. Enrico Peyretti: Dei diritti della scienza 8. Con "Qualevita", all'ascolto di Etty Hillesum 9. Letture: AA. VV., Le nostre storie per i tuoi si' 10. Riletture: Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. APPELLI. GIULIANA SGRENA: PER CLEMENTINA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 maggio 2005. Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e' stata rapita alcuni giorni fa. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004] Florence, Hussein, i giornalisti rumeni, ora Clementina. Dall'Iraq a un Afghanistan tutt'altro che pacificato. Il popolo della pace deve tornare a far sentire la sua voce. Subito. La straordinaria mobilitazione che ha contribuito alla mia liberazione non puo' interrompersi: chi mi ha sostenuta deve ora con altrettanta caparbieta' e passione sostenere la liberazione di Clementina. Avevamo ragione quando, isolati, sostenevamo che in Afghanistan ben poco era cambiato, che fare elezioni non vuol dire democrazia, che l'ossimoro vivente di una donna col burqa che depone una scheda in un'urna elettorale avrebbe dovuto scandalizzare il mondo che invece guardava compiaciuto a questo esempio di "democrazia dal basso costruita grazie all'uso legittimo della forza" (Gianfranco Fini, intervistato da Gad Lerner). La scuola dei taleban ha funzionato bene, tanto che gli americani sono riusciti a reinserirli nel processo elettorale come forza di "stabilizzazione" e se questo ancora una volta va a discapito del diritto alla vita di molte donne, poco importa. In Iraq la spirale guerra/terrorismo sembra non aver fine e ogni istanza politica e' annichilita dal fragore delle bombe. Noi che ci eravamo battuti contro la follia della guerra, giustificata da ragioni dimostratesi false, chiediamo oggi con forza il ritiro delle truppe come condizione necessaria, anche se sappiamo benissimo non sufficiente, per spezzare la spirale della violenza. E' questa la condizione anche per permettere a chi fa cooperazione vera e aiuta realmente la popolazione civile in Afghanistan come in Iraq di tornare a lavorare per difendere i piu' deboli e coloro che piu' hanno sofferto le conseguenze di bombardamenti e distruzioni, innanzitutto donne e bambini. Clementina e tante altre donne e uomini devono poter tornare al loro lavoro che molto piu' della presenza militare fa onore al nostro paese e questo dovrebbe essere ben chiaro anche a tutti coloro che accusano oggi i pacifisti di non muoversi e li accusavano ieri di collusione con il terrorismo. Nei prossimi giorni varie manifestazioni chiederanno la liberta' di Clementina e di tutti gli altri ostaggi, per la pace e la liberta' del popolo iracheno e afghano, per la fine di tutte le guerre: torniamo in piazza per far sentire la nostra voce e per non rassegnarci di fronte alla violenza e alla guerra. 2. LUTTI. RICOEUR [E' deceduto Paul Ricoeur, uno dei maestri del Novecento. Paul Ricoeur, filosofo francese nato nel 1913. Amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filsofiche rirpendiamo questa breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913. Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956 Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente e' direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo i suoi libri Karl Jaspers et la philosophie de l'existence (con Mikel Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Le temps present; Filosofia della volonta' I. Il volontario e l'involontario, Marietti; Storia e verita', Marco; Finitudine e colpa I. L'uomo fallibile, Il Mulino; Finitudine e colpa II. La simbolica del male, Il Mulino; Della interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il Melangolo; Entretiens Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e racconto I, Jaca Book; Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Jaca Book; Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca Book; Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana; A l'ecole de la fenomenologie, Vrin; Se' come un altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du politique, Seuil; Lectures 2. La contree des philosophes, Seuil; Lectures 3. Aux frontieres de la philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite. Autobiographie intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui con Francois Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre: Kierkegaard. La filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o alternativa, Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni, Edizioni cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo particolarmente la recente monografia di Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999] Quante cose abbiamo imparato leggendo Ricoeur. E soprattutto questa: che occorre saper ascoltare, e saper interpretare occorre, difficile esercizio che reca doni preziosi, e da molti errori ed orrori preserva. E soprattutto questa: che cedere alla menzogna, alla presunzione, al pregiudizio, alla prepotenza, alla violenza, che cedere al male non devi. Quante cose abbiamo imparato leggendo Ricoeur. 3. LUTTI. LA SCOMPARSA DI PAUL KEENE [Da "Bollettino bio. Informazioni per le aziende biologiche" (per contatti: e-mail: bollettino_bio at greenplanet.net, sito: www.greenplanet.net), n. 198, maggio 2005, riprendiamo il seguente articolo, che rinvia come fonti e per approfondimenti alla rivista "Vita" (www.vita.it) e all'Associated Press] Aveva 94 anni. Ha aperto la sua fattoria a meta' degli anni '40, quando imperava l'uso di fertilizzanti artificiali e antiparassitari. Per questo, fu persino sospettato di anti-americanismo. Paul Keene, il pioniere dell'agricoltura biologica in America e i cui prodotti organic sono stati primi a raggiungere gli scaffali dei supermercati, e' morto a 94 anni in una casa di risposo di Mechanisburg in Pennsylvania. Keene e sua moglie Betty avevano preso in prestito 5.000 dollari per acquistare i loro primi 108 acri a meta' degli anni '40. Nella sua Walnut Acres Farm, nella Pennsylvania centrale, per oltre mezzo secolo Paul ha prodotto una vasta gamma di alimenti biologici. L'azienda era salita alla ribalta pubblica dopo che il "New York Herald Tribune" aveva recensito i suoi prodotti come tra i migliori presenti sul mercato statunitense. Alla fine degli anni '80, Walnut Acres si era sviluppata al punto di raggiungere un fatturato di cinque milioni di dollari, allargarsi a 500 acri e dare occupazione a 95 addetti a tempo pieno, distribuendo circa 300 prodotti biologici qua e la' per il mondo, oltre a contribuire allo sviluppo della comunita' con la costruzione di un centro sociale e ricreativo per giovani e adulti. L'azienda ha sempre contribuito generosamente alle cause filantropiche. Nel 2000, per l'avanzata eta' di Paul, rimasto vedovo nel 1987, l'azienda agricola e' stata affittata a un altro produttore biologico, mentre il marchio Walnut Acres Organic e' stato ceduto nel 2003 a The Hain Celestial Group, Inc, il colosso della produzione e commercializzazione organic statunitense che tuttora lo distribuisce. Quando Keene aveva aperto la sua fattoria nel 1946 il vangelo per gli agricoltori richiedeva l'uso massiccio di fertilizzanti artificiali e antiparassitari che promettevano di rendere piu' efficiente il lavoro dei campi. L'agricoltura biologica era considerata un'eccentricita', se non addirittura una manifestazione di anti-americanismo. ''E' incredibile, ma all'epoca ci consideravano dei comunisti'', aveva detto Keene in una intervista di dieci anni fa raccontando di quando una volta ''qualcuno tiro' una bomba contro l'azienda'' e quando ''qualcun altro diede alle fiamme le croci''. Figlio di un ministro protestante, Keene non era di formazione agricola, ma professore di matematica, laueato a Yale. La sua vita cambio' durante un periodo trascorso come missionario e insegnante in India verso la fine degli anni '30. La', Keene fu coinvolto nel movimento nazionalista indiano e venne in contatto con Mohandas Gandhi, che gli raccomando' di "liberarsi di tutto cio' che hai" come riferi' in un'intervista all'Associated Press nel 1988. Sempre in India incontro' sua moglie - figlia di un missionario britannico - assieme alla quale trascorse parecchi anni formandosi in agricoltura biologica prima di avviare Walnut Acres. Il suo ritorno alla terra seguiva gli insegnamenti gandhiani per una vita piu' semplice. Keene aveva dichiarato all'agenzia di stampa: "Il cibo dovrebbe essere - e' - la cosa piu' importante nella vita: la gente dovrebbe essere interessata a quel che si mangia piu' che a qualsiasi altra cosa" e "tutte le gioie e i risultati possono essere apprezzati soltanto se siete in buona salute e in armonia con voi stessi e con il vostro ambiente". 4. INCONTRI. OGGI A ROMA UNA PROPOSTA DI LEGGE PER I CORPI CIVILI DI PACE [Nuovamente diffondiamo il seguente invito all'importante incontro di presentazione di una proposta di legge di grande importanza. Per contatti con la segreteria organizzativa dell'incontro: tel. 0667608381, fax: 0667608909, e-mail: pres_valpiana at camera.it] Per iniziativa della Rete per i Corpi civili di pace, oggi - mercoledi' 25 maggio - dalle ore 10 alle ore 12 a Roma presso gli uffici del Parlamento (nella sala della sacrestia, vicolo Valdina 3/A) si svolgera' un incontro di presentazione della proposta di legge promossa da Tiziana Valpiana, Giovanni Bianchi, Piero Ruzante, Marco Boato, Maura Cossutta e altri su "Disposizioni per il riconoscimento dei congedi per la partecipazione a missioni organizzate nell'ambito dei corpi civili di pace". Introducono l'incontro il professor Alberto l'Abate, dell'Universita' di Firenze, presidente dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), ed il professor Nanni Salio, dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri. Intervengono anche l'on. Carlo Giovanardi, ministro per i rapporti con il Parlamento con delega per il servizio civile; l'on. Massimo Palombi, direttore dell'Ufficio nazionale per il servizio civile. Sono stati invitati parlamentari, rappresentanti sindacali, delle associazioni democratiche, delle organizzazioni non governative di cooperazione e solidarieta' internazionale. 5. RIFLESSIONE. ENZO SANFILIPPO: NONVIOLENZA E MAFIA: ALCUNE INDICAZIONI DI PERCORSO [Ringraziamo di cuore Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci messo a disposizione la sua relazione al convegno "Superare il sistema mafioso. Il contributo della nonviolenza" svoltosi a Palermo il 21-22 maggio. Enzo Sanfilippo e' uno degli animatori del gruppo-laboratorio "Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso", promotore del convegno che si e' svolto a Palermo il 21-22 maggio 2005. Riportiamo di seguito una breve notizia biografica di Enzo Sanfilippo scritta gentilmente per noi nel 2003 da lui stesso: "Sono nato a Palermo 45 anni fa. Sono sposato e padre di due figli, Manfredi di 18 anni e Riccardo di 15. Sono stato scout e capo scout fino all'eta' di 30 anni. Ho svolto il servizio civile in un Centro di quartiere della mia citta'. Ho frequentato l'Universita' di Trento dove mi sono laureato in sociologia. Ho perfezionato i miei studi a Bologna in sociologia sanitaria. Dal 1989 lavoro nella sanita' pubblica, nei servizi di salute mentale dove mi sono occupato finora di sistemi informativi e inclusione sociale di soggetti con disagio psichico. Chiusa l'attivita' con gli scout, con mia moglie Maria abbiamo cercato di impegnarci nell'area della nonviolenza. Abbiamo fatto parte per diversi anni del Movimento Internazionale della Riconciliazione (Mir) per poi approdare al movimento dell'Arca di Lanza del Vasto al quale aderiamo come alleati dal 1996. Dallo stesso anno facciamo parte di un gruppo di famiglie palermitane ("Famiglie in cammino") con il quale facciamo esperienze di condivisione spirituale e sociale. Frequentiamo il Centro di cultura Rishi di Palermo dove pratichiamo lo yoga. Con gli altri tre alleati dell'Arca siciliani (Tito e Nella Cacciola e Liliana Tedesco) abbiamo organizzato diversi campi su vari aspetti dell'insegnamento dell'Arca (canto, danza, yoga, lavoro manuale, ecumenismo) presso un monastero a Brucoli (Sr) dove Tito e Nella hanno abitato per cinque anni. Quest'anno abbiamo acquistato una casa in campagna presso Belpasso (Ct) dove Tito e Nella andranno ad abitare e a lavorare: la' assieme a loro e a vari amici speriamo di riprendere le attivita' di approfondimento e di lavoro sulla pace, la nonviolenza, l'insegnamento dell'Arca"] Cerchero' di condurre questa prima riflessione, tenendo conto non solo del mio personale cammino di ricerca, ma anche di una serie di contributi elaborati nel corso di circa due anni dal gruppo-laboratorio che ha organizzato questo convegno e di alcune sollecitazioni che ci sono arrivate dall'esterno. Il gruppo-laboratorio si e' costituito a Palermo con la partecipazione di vari esponenti del cosiddetto "movimento antimafia", operatori sociali, sacerdoti, docenti universitari, insegnanti, sociologi. Quanto cerchero' di esporre segue quindi e ripropone in sintesi l'elaborazione teorica di alcuni testi ai quale rimando per una piu' esaustiva presentazione del dibattito. Vorrei precisare che il gruppo-laboratorio si e' costituito con la partecipazione di persone di orientamenti culturali diversi in cui la stessa direzione nonviolenta e' assunta con vari gradi di adesione o criticita'. Cio' non ha impedito di procedere in questa ricerca con uno spirito di ascolto e di collaborazione nella direzione di una proposizione problematica e dialogica del pensiero, dell'esposizione dei punti in comune, dei punti su cui emergono soluzioni diverse e dei punti su cui non abbiamo trovato risposte ne' alternative ne' comuni. Cio' apre quindi ad ulteriori contributi, in linea, pensiamo, con un idea nonviolenta di verita' e di conoscenza. Secondo il pensiero nonviolento infatti la verita' appare a noi come emergenza sempre relativa, sempre rinnovabile, aperta, nell'incontro tra i partecipanti ad un sistema di scambio. Un primo punto in comune e' l'avere individuato nella nonviolenza una possibile strada che puo' apportare degli elementi di novita', sia nelle modalita' con cui affrontare e conoscere il fenomeno mafioso, sia nelle prassi che essa puo' suggerire per la trasformazione delle strutture sociali in cui siamo inseriti. Ma, nello stesso tempo, un secondo elemento e' quello di un atteggiamento di continuita' con un movimento civile che possiamo dire e' iniziato con il fenomeno mafioso stesso, che ne ha sempre evidenziato i pericoli, contrapponendosi in forme diverse anche se con una partecipazione e una visibilita' intermittente e con metodi non sempre nonviolenti e cio' non tanto perche' storicamente si sono dati - lo ricordera' Umberto Santino - episodi di contrasto alla mafia condotti da soggetti civili con l'uso delle armi, quanto perche' come tutti sappiamo - ma cerchero' di ritornare su questo punto - non tutta l'azione sociale per il cambiamento che non fa ricorso alla violenza puo' essere definita tout court nonviolenta. La nonviolenza non e' certamente neutra rispetto ad un conflitto squilibrato in cui una parte opprime e sopprime l'altra, ha il possesso delle armi, usa una cultura di dominio verso cui alcune persone e gruppi sociali restano impotenti, incapaci di elaborare risposte. La nonviolenza non puo' che essere dentro il processo storico di liberazione dal dominio mafioso e pertanto non si tratta di stravolgere forme storiche di impegno antimafia che vedono impegnate tantissime associazioni e tanti uomini delle istituzioni sul versante della prevenzione e della repressione. Ma nello stesso tempo la nonviolenza non si sottrae al compito di aggiungere, come diceva Capitini, una visione particolare dell'uomo e del mondo. Un'aggiunta alla quale attribuiamo una dimensione qualitativa alta, capace di anticipare sin d'ora una societa' liberata. Quali sono allora questi elementi che apportano tratti di novita' nel solco di un movimento che durante un lungo periodo storico si e' contrapposto e si contrappone ancor oggi alla mafia? Ho provato ad enuclearli sinteticamente. Essi sono elementi che caratterizzano o potranno caratterizzare le azioni di superamento, di conoscenza e di gestione dei conflitti. Lo dico poiche' e' facile operare delle semplificazioni grossolane. Quella per esempio di considerare naturalmente e inevitabilmente violenta l'azione istituzionale e di contro inscrivere tutta l'azione della societa' civile nel campo della nonviolenza dal momento che ad essa non e' consentito l'uso legittimo della forza e delle armi. Violenza e nonviolenza attraversano istituzioni e movimenti, coscienza personale e cultura. * 1. La nonviolenza e' lavoro sulla coscienza Un primo punto di forza della nonviolenza e' quello che la porta ad agire sulla coscienza dell'avversario, nella consapevolezza dell'umanita' di cui ciascuno e' portatore. Cosa distingue infatti la societa' umana se non la coscienza? E che cos'e' la coscienza se non la capacita', almeno potenziale, di pensiero riflesso dell'uomo sul suo agire? In che rapprorto sta la nonviolenza con questa capacita'? Chi e' il nonviolento, si chiedeva Lanza del Vasto, e rispondeva senza troppe esitazioni: "e' colui che mira alla coscienza". Non esiste azione nonviolenta che possa prescindere da questo obiettivo. Questo approccio implica allora una pratica di ascolto del vissuto e del punto di vista dell'altro, di qualunque "altro" con il quale confliggiamo, ovviamente non per accettarli passivamente e legittimarli, ma per attivare un contatto vero e profondo. * 2. Le cause della violenza non risiedono solo in una parte ma sempre in relazioni di sistema, e cio' vale anche per la violenza mafiosa Questa acquisizione puo' assumere varie formulazioni, ma tutti siamo convinti che ferma restando la responsabilita' individuale dei fatti di mafia essa ha sullo sfondo, e a volte in forme marcate, una causalita' di tipo sistemico-strutturale. Siamo dentro un sistema sociale mafioso o - come afferma Umberto Santino - mafiogeno, che crea la mafia? Penso che non sia il caso in questa sede di addentrarci in sottili questioni teoriche. Cio' che condividiamo - e che ha rilevanza per la prassi - e' che esiste una causalita' diffusa del fenomeno mafioso, un'interdipendenza a volte circolare tra fatti economici, psicologici, culturali, politici. Certo siamo di fronte ad un tipo di sistema e di conflittualita' nuovi rispetto ad altri con cui il metodo nonviolento si e' sperimentato: l'avversario non ha un volto (su questo tornera' certamente Nanni Salio), non tanto perche' la mafia come organizzazione criminale e' un'organizzazione segreta, ma per il fatto che essa si e'' fatta sistema sociale, conformando molti aspetti della cultura, dell'agire politico, dei processi di socializzazione, dei meccanismi dell'economia. Le strategie di contrasto devono assumere fino in fondo questo dato. C'e' forse un aspetto "positivo" in questa lettura del fenomeno mafioso: ogni attore sociale (ogni cittadino) ha certamente uno spazio di azione, un compito trasformativo da eseguire responsabilmente, senza deleghe a soggetti terzi. Penso che la nonviolenza abbia molte risorse per agire in tale direzione: essa coglie sempre questo nesso di causalita' diffusa riportandolo ancora una volta alla coscienza di tutti: non solo di chi commette la violenza, non solo di chi e' responsabile di reati, ma anche talora in qualche modo e misura delle stesse vittime, e delle terze parti apparentemente meno coinvolte. Se un mio privilegio, anche minimo, e' collegato alla mafia, allora ho il dovere etico di non collaborare piu', di rinunciare a quel privilegio. Un'intuizione che alcuni studenti di Palermo, conosciuti come gruppo degli adesivi, hanno fatto propria in questi giorni chiedendosi in che modo il cittadino che acquista presso un esercizio che paga il "pizzo" e' coinvolto in una relazione di ingiustizia e che cosa puo' fare attivamente per contribuire al suo superamento. La nonviolenza non e' allora una tecnica chirurgica e non puo' porsi in modo banale e semplificato, neanche quando il conflitto e le controparti sono ben distinte. Qualora lo fossero, talvolta il suo primo compito sara' quello di "complicare il conflitto", smussando i confini tra "ragioni" e "torti". Il conflitto non coinvolge solo estorsore e commerciante, ma estorsore, commerciante e consumatore. * 3. Il consenso sociale alla criminalita' e' un sintomo di malattia Ora tutto cio' non e' soltanto un punto di partenza teorico o spirituale. Se interi quartieri, come mostrano le cronache napoletane di qualche mese fa (e non e' peraltro una novita'), fanno quadrato contro le forze dello stato che cercano di "mettere ordine" e' segno che proprio i rapporti di forza impongono nuove strategie e nuove intelligenze. Ed e' anche segno che i valori che istituzionalmente difendiamo non sono assolutamente riconosciuti da alcune (non piccole) parti della popolazione italiana. E' questo uno dei campi in cui a mio avviso l'imperativo etico nonviolento del lavoro sulle coscienze trova una ragion d'essere anche a partire da un evidenza empirica: il sistema repressivo ' costretto dai fatti a fare i conti con la necessita' di una comunicazione col mondo mafioso perche' la mafia non e' un'associazione criminale di qualche migliaio di persone, essa - riprendo un'espressione di Giovanni Falcone - "vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della societa'". E in maniera piu' esplicita essa gode - come dice Santino - di consenso sociale. * 4. I mafiosi come "avversari" e le "ragioni" della mafia Ecco perche' ho detto che dobbiamo ancora comprendere nel profondo le ragioni della mafia e non possiamo farlo senza comprendere nel profondo le ragioni dei mafiosi. Su questo stiamo dialogando io e Umberto Santino, che avra' modo di ritornare sul tema. In un suo contributo egli dice: "Le ragioni della mafia e dei mafiosi sono: la violenza per arricchirsi, per comandare, per avere un ruolo sociale". E ancora: "dobbiamo dare la parola ai mafiosi, ascoltarli, per una sorta di par condicio? La parola i mafiosi l'hanno gia' ed e' fatta di sangue e di disonore (tutti i delitti, anche quando si tratta di uccidere un bambino, sono in agguato e mai a viso aperto). Tocca a loro dimostrare che vogliono prendere la parola, deponendo le armi". Ancora vorrei dire che quando parlo di "ragioni dei mafiosi" non ne parlo certamente nell'accezione di una "ragione" come cio' che e' conforme od orientato al giusto o al vero ma come semplice fondamento soggettivo, intelligibile anche nei sui aspetti di costrizione interiore da un attore esterno in quello sforzo di "comprensione" indicato da Weber. E riprendendo proprio l'obiettivo citato da Santino, "avere un ruolo sociale", c'e' da dire che esso e' un bisogno che non giustifica in assoluto la violenza, ma che gia' possiamo riconoscere come un bisogno vitale, la cui negazione e' definibile a sua volta come violenza. Appare emblematica, ad esempio, nell'ottica di una lettura "comprendente" la dichiarazione di un collaborante il quale afferma che, prima di entrare in Cosa Nostra lui era "nenti ammiscatu cu nenti" (niente mischiato con niente). Comunicare, comprendere non significa allora condividere valori e scelte etiche, significa non escludere dal nostro orizzonte la conversione (mutamento del punto di vista) dei mafiosi, non escludendo al contempo la nostra conversione, non escludendo a priori la riconciliazione. * 5. La nonviolenza, lo Stato, la legalita' Non e' disgiunta da tutto cio' un'esigenza che alcuni di noi evidenziano da diverso tempo, che e' quella di superare alcune parole d'ordine, alcuni concetti e alcuni termini dal lessico del movimento antimafia. Mi riferisco soprattutto al tema dell'educazione alla legalita'. Un tema molto caro per esempio all'associazione "Libera". Ora a scanso di ogni equivoco io vorrei qui ringraziare pubblicamente don Ciotti, che avremmo voluto qui tra noi questa mattina, per un impegno che e' risultato prezioso nella nostra terra, un impegno che lo espone personalmente, che ha dato opportunita' di riscatto a tante persone, che richiama costantemente il nostro torpore rispetto al problema mafia. Voglio tuttavia avanzare l'idea che oggi ci e' forse richiesto un ulteriore passo in avanti. Troppo forte sentiamo in alcune aree del sud il retaggio di una diffidenza forse ancora legittima nei confronti dello Stato. E' una diffidenza che purtroppo non e' dei mafiosi, ma della gente del sud. Ed e' una diffidenza dalla quale tuttavia possiamo ancora partire per costruire una comunita' civile. Possiamo costruire comunita', ovvero aggregazioni in cui ognuno si riconosca profondamente. Possiamo costruire giustizia, come sistema di garanzie dei piu' deboli e non mero formale rispetto delle leggi, come ci ha insegnato don Milani. Possiamo costruire societa', intesa come sistema di organizzazioni che migliorino le relazioni e non le appesantiscano. Possiamo costruire responsabilita', ossia senso di appartenenza personale alla comunita' e ai problemi. Ci vogliono parole nuove che significhino immediatamente tutto questo. La legalita' richiama purtroppo soltanto al rispetto delle leggi vigenti in uno Stato. Uno Stato che troppe scuole ha intitolato a don Milani senza elaborare un progetto educativo globale per l'educazione nel meridione che potenzi i presidi scolastici dal punto di vista quantitativo e qualitativo, anzi che proprio a spese di questo settore vuol fare quadrare i suoi bilanci. Oggi, alla luce di quanto fin qui sottolineato e in un quadro di generale "legalizzazione dell'illegalita'" appare piu' opportuno coniare dei termini che ci conducano alla costruzione di leggi che ancora non esistono o all'obiezione a quelle che non rispecchino chiaramente la giustizia, la pace; ma - come dicevo prima - che ancor prima del rispetto delle regole formali facciano riferimento a valori che ogni cittadino del sud sente ancora dentro il proprio cuore. Tutto cio' non e' disgiunto neanche dalla necessita' di un'applicazione ripensata della legge sulla confisca dei beni mafiosi. Ripensata non solo dallo Stato ma anche dai soggetti del terzo settore coinvolti. Mi ha molto colpito positivamente, qualche mese fa, la testimonianza del presidente di una cooperativa di Partinico che ha riferito commosso che la processione della Madonna del Borgo, dove la cooperativa ha ottenuto l'uso di un terreno confiscato e dove impegna dei soggetti svantaggiati del paese, si ferma proprio in quel terreno a significare una saldatura tra aspetti religiosi della comunita' e un progetto di riscatto sociale, con la partecipazione quindi di una parte significativa degli abitanti. Penso che questi aspetti simbolici di riappropriazione e di "restituzione" siano importanti tanto quanto la pur necessaria efficienza burocratica. Anzi laddove essi non siano possibili puo' essere in qualche caso utile desistere dall'assumere un carico di impegno economico e imprenditoriale che non lasci contemporaneamente il segno nel cuore della comunita'. E perche' non puntare a una restituzione spontanea di beni e terreni? Da parte di chi? Di ex mafiosi, di vedove della mafia, ma anche di persone normali, e - consentitemi - della Chiesa e degli ordini religiosi a volte proprietari di conventi in disuso, di terreni e fabbricati che al posto di essere "messi a reddito" con affitti insignificanti potrebbero essere messi a disposizione per progetti di sviluppo di comunita'. La nonviolenza si costruisce anche con la testimonianza che puo' rendere piu' credibile ogni appello alla restituzione. Mi viene in mente il lavoro di Vinoba (collaboratore di Gandhi) e dei suoi seguaci in India che proseguono ancora oggi il suo impegno contro le multinazionali, alcuni dei quali abbiamo conosciuto, che chiedeva porta a porta ai grossi proprietari terrieri un acro di terra per i paria. Il dono della terra da parte di alcuni potenti raja indiani (potenti soprattutto dal punto di vista religioso) diede vita ad un movimento di redistribuzione della terra e alla costruzione di centinaia, forse migliaia di villaggi. * 6. Mafia, nonviolenza e modello di sviluppo L'apporto originale che l'approccio nonviolento puo' fornire ad un'azione di superamento del sistema mafioso non risiede tanto nell'individuazione delle interconnessioni tra mafia e modello di sviluppo, ma nel raccordare questo piano (macro) della dimensione sistemica con quello (micro) dell'azione interindividuale. La leva della risoluzione nonviolenta dei conflitti chiama tutti coloro che scorgono una co-responsabilita' in un male del mondo ad agire con creativita' per far giungere gli altri attori alla medesima consapevolezza. Questo lavoro e' si' un lavoro sulle coscienze individuali, ma puo' avere immediate conseguenze sul piano dell'economia e dei rapporti sociali. Torniamo infatti al modello di sviluppo: acquisire consapevolezza del possibile scenario planetario in cui il crimine diventa apocalitticamente "struttura" del mondo, potrebbe lasciarci sgomenti in quanto non riusciamo a scorgere vie di uscita. Ma di fronte alle piu' grandi ingiustizie e alle piu' grandi violenze non abbiamo, diceva Lanza del Vasto, che da vivere le nostre relazioni in un modo che, adottato da tutti, non consentirebbe il sopravvenire di ingiustizie, miserie, guerre. Abbiamo scoperto che c'e' un nesso tra mafia ed economia? Tra mafia e smaltimento dei rifiuti? Tra mafia e consumismo? Tra mafia e modelli autoritari di educazione? qual e' il nostro personale coinvolgimento in questi fenomeni e qual e' il modo alternativo di agire e ancor prima vivere? Certamente una risposta possiamo trovarla in quello che oggi viene definito il mondo dei "nuovi stili di vita", improntati alla sobrieta', al mutuo-aiuto, alla solidarieta' verso i piu' deboli, ma e' ugualmente quello in cui si possono sperimentare relazioni interpersonali improntate al perdono e alla conversione, a un lavoro su se stessi teso a scoprire e curare le proprie ferite interiori e nelle relazioni con gli altri. Tutte queste scelte rimandano si' alla spiritualita', ma hanno il loro risvolto sociale nella misura in cui possono diventare nuovi modi di lavorare, di produrre energia, di abitare, di gestire i conflitti in luoghi comunitari ancor prima che giudiziari: pensiamo a cosa potrebbe fare una comunita' religiosa in tal senso, ai risvolti pedagogici che potrebbe avere per esempio una piu' creativa celebrazione del sacramento della riconciliazione in ambito cattolico. Ma tornando al modello di sviluppo, io penso che vada introdotta una nuova consapevolezza anche nel mondo del volontariato, che ha costituito uno dei fenomeni piu' interessanti degli ultimi anni, ma che rischia di restare centrato sulla dimensione del "dare" prima ancora che dell'"essere". C'e' un modo di aiutare i poveri che non si sostanzia, secondo la consueta metafora, nel dar loro pesci e nemmeno "canne da pesca" (tecnologie e culture inventate spesso a nostra misura). Tale modo consiste, semplicemente, nel non pesare, con i nostri bisogni e con l'organizzazione necessaria al loro soddisfacimento, sulla vita di chi possiede meno di noi. E' questo un punto essenziale dell'insegnamento di Lanza del Vasto che ha portato la nonviolenza di Gandhi a noi occidentali che occupiamo una diversa posizione dei rapporti planetari [Cfr. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Prefazione all'edizione francese di "Hind Swaraj" (1957), in: Mohandas K. Gandhi, Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia, 1984, p. 8]. * 7. Una nuova giustizia ispirata alla nonviolenza Infine solo un richiamo ad un tema che sara' ripreso da due autorevoli presenze in questo convegno la professoressa Scardaccione e la dottoressa Cannito che ci ha raggiunto da Washington, che e' quello dell'emergere di nuove pratiche di giustizia, anche istituzionalmente riconosciute. Mi riferisco alla giustizia rigenerativa o riparativa come pratica d'elezione dal punto di vista nonviolento. La giustizia rigenerativa infatti: - si fonda e richiama costantemente i valori che, nella cultura della societa' di riferimento, si richiamano all'unita' del genere umano (si tratterebbe allora di ritrovare tracce di tale fondamento nella cultura meridionale); - intende ogni danno inferto a un singolo individuo come un danno inferto alla collettivita' affermando cosi' il principio che un uomo che colpisce un altro uomo fa male anche a se stesso; e il corollario di tale principio mi ricordava ieri Marinetta Cannito e' che un uomo che perdona fa bene a chi e' perdonato ma anche e forse soprattutto a se medesimo per la liberazione interiore che ne puo' derivare; - mira alla riparazione (materiale e/o simbolica) del danno con il coinvolgimento attivo sia degli autori, sia delle vittime della violenza, riparazione che puo' quindi sfociare, anche con l'aiuto di terze parti (civili, religiose e istituzionali) in una riconciliazione. L'obiezione che e' stata fatta all'applicabilita' di questo tipo di pratica giudiziaria ai reati di tipo mafioso e' che la giustizia rigenerativa e' riferibile a situazione di danno rimediabile e di reati individuali e non associativi. Non e' quindi proponibile per i reati mafiosi. Questa osservazione e' legata, oltre che alla nostra tradizione giudiziaria, ad una rappresentazione sociale della giustizia molto radicata nella nostra cultura. Tale rappresentazione travalica lo stesso ruolo attribuito dal nostro ordinamento al sistema giudiziario, ed e' ancora molto legata ad un idea di pena intesa come punizione. La sottrazione coattiva di spazio vitale all'autore del reato, che rimanda al monopolio legittimo della violenza da parte dello Stato, ha tre giustificazioni: - la tutela della sicurezza dei cittadini (vengono rinchiuse in carcere persone potenzialmente pericolose); - l'effetto deterrente attribuito al complesso penale per i potenziali futuri criminali; - la gia' richiamata funzione rieducativa che la pena detentiva dovrebbe assumere nei confronti di chi ha commesso il crimine. Accanto a queste motivazioni, che in varia misura sono riconosciute istituzionalmente, ve ne e' una quarta che invece e' presente al solo livello della rappresentazione sociale della giustizia: essa e' costituita dal convincimento che la pena, nel suo carattere punitivo (sottrazione violenta di spazio vitale al condannato), determini un appagamento della vittima della violenza e costituisca, pertanto, una forma di riparazione del danno. In particolare si e' convinti che, quando la vittima e' stata uccisa, la certezza di una condanna di carcerazione, da espiarsi senza sconti di durata, possa costituire conforto per i familiari dell'ucciso. E' singolare come il parere delle vittime dei reati, il loro eventuale perdono, le loro eventuali richieste di veracita' del pentimento, che fino alla condanna non sono stati tenuti in alcuna considerazione (eccezion fatta per gli aspetti di testimonianza e di accertamento del danno), ricevano successivamente una grande attenzione a livello di opinione pubblica e in contesti impropri (per loro natura approssimativi) quali quelli mediatici.(tutti ricorderanno a questo proposito la celebre invocazione di Rosaria Schifani agli autori e ai mandanti della strage di Capaci: "Sappiate che anche per voi c'e' possibilita' di perdono, io vi perdono, ma vi dovete mettere in ginocchio..."). E tuttavia cio' e' il segnale di un limite della giustizia retributiva, in quanto essa non da' rilievo alla relazione tra vittima e autore del reato, fino a non tenere in alcuna considerazione l'eventuale riconciliazione tra le parti, per la commutazione della pena. Sono convinto che queste nuove pratiche sociali centrate sulla riparazione del danno costituiscano una vera linea di frontiera per l'evoluzione dei sistemi giudiziari. Riguardo alla riparabilita' del danno, c'e' da dire che essa non e' ovviamente ottenibile sempre in termini materiali. Non c'e' nessuno che puo' restituire una vita tolta. Al contempo, va pero' ricordato che la giustizia rigenerativa ha avuto la sua massima concretizzazione storica nella Commissione per la verita' e la riconciliazione, in un contesto - come quello sudafricano - in cui i reati in questione erano omicidi, torture e altre violazioni dei diritti umani i cui segni non potranno mai essere cancellati. In quel caso la richiesta che fu fatta agli autori di tali violenze (e che sarebbe stata condizione per l'amnistia) e' stata quella di collaborare pienamente al ripristino della verita' (quando e come erano state commesse le torture e le uccisioni, dove erano state sepolte le vittime, ecc.). Si e' trattato in questo caso di una riparazione simbolica che ha avuto pero' effetti significativi e profondi sulle esperienze esistenziali sia di singole persone, sia di un'intera comunita' nazionale, e cio' proprio perche' le gravi violazioni dei diritti umani, compiute in nome dell'apartheid, si fondavano su un convincimento radicato culturalmente, riconosciuto dalla legislazione e dalle strutture dello stato. Cosi', anche le gravi violazioni dei diritti umani, come la tortura e l'assassinio, non certamente ammesse dalla legislazione, si compivano all'ombra di strutture statali compiacenti. Il ripristino della verita' ha potuto allora costituire la riparazione alle violenze subite in quanto e' stato ufficialmente riconosciuto che la vite spente e la sofferenza di chi le avute sottratte hanno avuto un senso, non sono piu' anonime, sono riconosciute come sacrificio per l'evoluzione civile e democratica di un'intera comunita': si puo' dire che esse hanno in qualche modo fondato la nuova repubblica del Sudafrica. E' impossibile immaginare qualcosa di analogo per le tante violenze commesse dalla mafia e dalla camorra? Forse si puo' pensare - ha suggerito Andrea Cozzo all'interno del nostro laboratorio - ad uno spazio di confessione pubblico, diffuso e aperto (come avveniva nelle sedute della Commissione per la Verita' e la Riconciliazione in Sudafrica), per il processo di dissociazione. In questo modo sarebbe direttamente la societa' nella sua interezza ad essere informata. Oggi che tutti i cosiddetti "pentiti" sono, per ragioni di sicurezza e di protezione, sradicati dai loro luoghi di origine e' possibile un coinvolgimento attivo di alcuni di essi, a partire da una loro eventuale disponibilita' ad incontrare alcune vittime e i familiari degli uccisi (disponibili ovviamente a tale incontro)? Una tale esperienza potrebbe generare nuovi campi di relazione, di intervento? Alcune delle vittime, persuase di un tale approccio, potrebbero impegnarsi in appelli volti a raggiungere i mafiosi non ancora pentiti, i familiari, i politici, gli imprenditori che con loro ancora collaborano? Perche' non pensare ad esempio a degli spot radio o televisivi in cui le vittime della mafia, del racket, dell'usura (ancora una volta quelle disposte a farlo) si rivolgano a chi e' ancora dentro l'organizzazione mafiosa, ai loro familiari che spesso "sanno" di questa appartenenza senza condividerla (non dimentichiamo Rita Atria) implorandone una fuoriuscita? * 8. Nuove forme di presenza dello Stato L'esempio della giustizia rigenerativa non esaurisce il campo di forme innovative di presenza dello stato nel territorio: Andrea Cozzo e' da alcuni anni impegnato nella formazione alla nonviolenza per agenti dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Egli ricorda che la figura attuale piu' vicina a quanto pensiamo e' quella del cosiddetto poliziotto di quartiere; lavorando sulla quale, attraverso una specifica preparazione, si potrebbe giungere ad avere un operatore in grado di accrescere la buona comunicazione tra gli abitanti di un quartiere e, di conseguenza, la loro capacita' di opporsi ai soprusi mafiosi. Ma altrettanto pertinente a me pare la prospettiva istituzionale aperta dalle leggi che riconoscono in Italia la legittimita' della Difesa Popolare Nonviolenta (in sigla: Dpn) su cui un gruppo di lavoro del pomeriggio si trovera' a confrontarsi. A tal proposito sempre Andrea Cozzo ha recentemente individuato alcuni capisaldi della Dpn e di una sua possibile attuazione in azioni di contrasto alla mafia. Sono tre - egli afferma - i messaggi che da parte di chi adotta la Dpn dovrebbero giungere con chiarezza a chi opera mafiosamente: - l'ingiustizia e, piu' specificamente, la sofferenza che si sta patendo ("dire all'altro il male che fa"); - la propria volonta' di rispettare l'avversario; - la ferma intenzione di resistere senza minacciare a propria volta (il rifiuto nonviolento di accettare intimidazioni). Capacita' di comunicazione e di perdono, accompagnate dalla ferma dimostrazione di coraggio, sono i due elementi che Hildegard Goss-Mayr in un incontro svoltosi recentemente a Palermo ci ha ricordato essere i due requisiti essenziali della nonviolenza, che lei e il marito Jean Goss hanno cercato di sperimentare in tantissime situazioni di conflitto in tutto il mondo. E oggi che l'Italia e' l'unico Paese al mondo che dispone di una normativa che prevede l'organizzazione della difesa civile non armata e nonviolenta non abbiamo che da rimboccarci le maniche per dare il nostro contributo e per coniugare la nostra personale persuasione con un impegno civile nonviolento organizzato di difesa dalla mafia. 6. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: DOPO CAPACI "En mayo llegan las primeras lluvias La hierba tierna renace de las cenizas" (Ernesto Cardenal, Hora 0) Che nessuno si arrenda, che nessuno dei carnefici sieda alla mensa, che nessuno s'impiastricci le mani le mani stringendo lorde ancora di sangue, che nessuno versi l'obolo al tiranno. Che nessuno dimentichi, nessuno permetta che quei morti siano morti invano, per sempre. 7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: DEI DIRITTI DELLA SCIENZA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] A me da' molta piu' preoccupazione e paura la hybris scientifica - armi distruttive, manipolazione della vita vegetale, animale, umana, squilibrio dell'ambiente - che non i ritardi nel progresso, anche medico (morire naturalmente non e' il massimo dei mali), dovuti a saggia autolimitazione scientifica per rispetto del principio di cautela, dove siamo in condizioni di abbondante ignoranza e imprevedibilita' degli effetti. E cio' tanto piu' se considero che la tanto celebrata scienza, quasi fosse il massimo dei saperi, e' enormemente inquinata dai poteri economici, che indirizzano a forza, col dare-negare finanziamenti e istituzioni, sia la ricerca sia l'applicazione, la' dove pensano di trarre profitto, anche a scapito di inviolabili diritti umani di persone e popoli, e a danno della natura, mentre ostruiscono il cammino verso direzioni di ricerca e applicazione medica, sanitaria, ecologica, cooperativa, alimentare, pacifica, solo perche' possono trarne minore profitto. La scienza, di fatto, non e' pura. Nelle condizioni attuali, puo' anche essere criminale, molto piu' facilmente della prudenza. La ricerca scientifica avrebbe maggiore diritto e importanza e utilita', se il capitale fosse al suo servizio, invece di servirsene. 8. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI ETTY HILLESUM Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto di Etty Hillesum. * "Mi piace aver contatto con le persone. Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte migliore e piu' profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna e' come una storia, raccontatami dalla vita stessa. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere" (Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, p. 232). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 9. LETTURE. AA. VV.: LE NOSTRE STORIE PER I TUOI SI' AA. VV., Le nostre storie per i tuoi si', Mammeonline, Padova 2005, pp. 32, euro 2 (prezzo consigliato). Un utile essenziale opuscolo che soprattutto attraverso il racconto in prima persona di alcune storie di vita spiega le ragioni del si' ai quattro quesiti del referendum del 12-13 giugno sulla procreazione medicalmente assistita, a cura di Amica Cicogna (www.amicacicogna.it), Cittadinanzattiva toscana (www.cittadinanzattiva.toscana.it), Hera (www.hera.it), L'altra cicogna (e-mail: laurapisano at hotmail.com), Lega italiana fibrosi cistica (www.fibrosicistica.it), Madre Provetta (www.madreprovetta.org), Mammeonline (www.mammeonline.net) 10. RILETTURE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: L'ECLISSI DELLA MADRE Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie e norme, Pratiche, Milano 1998, pp. 260, lire 28.000. Scritto da due illustri studiose, un libro la cui lettura e' necessaria. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 940 del 25 maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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