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La nonviolenza e' in cammino. 939
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 939
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 24 May 2005 00:17:04 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 939 del 24 maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. Clementina, della misericordia 2. Pierluigi Consorti: Una lettera al professor Rodolfo Venditti sul servizio civile e la difesa civile non armata e nonviolenta 3. Enrico Peyretti: La nonviolenza: scienza, arte, etica del conflitto vitale 4. Sofia Vanni Rovighi: Scomoda liberta' 5. Pina La Villa: Una minima bibliografia per un corso sulle pari opportunita' 6. Con "Qualevita", ricordando don Milani 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA MISERICORDIA [Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e' stata rapita alcuni giorni fa] Per aiutare vedove ed orfani era in Afghanistan Clementina. Per dare aiuto a tutte le vittime, tutte le vittime di tutte le guerre di cui quel paese tutti i segni reca, ed e' per questo che oggi (come molti altri di dolore luoghi, certo) e' il cuore del mondo. Il suo rapimento - questo crimine che tutti ci offende - ci dice anche che e' l'ora, ed invero e' l'ora da un pezzo, di metterci alla sua sequela. Di strapparla, sana e salva, dagli artigli dei rapitori; di recare anche noi tutti un aiuto alle oppresse e agli oppressi cola'. Ciascuno puo' fare qualcosa: fosse anche solo sostenere di qui chi la' e' operatrice ed operatore di pace; fosse anche solo dirlo forte ogni giorno senza stancarsene che vogliamo che sia liberata al piu' presto, che in quel paese cessino uccisioni ed altri delitti e feroci discriminazioni: dirlo a chiunque ci puo' ascoltare, sperando che questa voce giunga ove occorre che giunga, richiami umanita' all'umanita', all'umanita' l'umanita' richiami. 2. RIFLESSIONE. PIERLUIGI CONSORTI: UNA LETTERA AL PROFESSOR RODOLFO VENDITTI SUL SERVIZIO CIVILE E LA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA [Attraverso Carlo Schenone (per contatti: schenone at email.it), che ringraziamo di cuore, riceviamo questa lettera aperta del professor Pierluigi Consorti (per contatti: pconsorti at libero.it) che sviluppa alcune riflessioni contenute in un intervento del professor Rodolfo Venditti che abbiamo gia' pubblicato nel n. 919 di questo foglio. Segnaliamo en passant che, come certamente alcuni nostri lettori gia' sapranno, e' in corso da tempo un vivace dibattito nell'ambito e sul Comitato consultivo per la difesa civile non armata e nonviolenta, di cui attualmente Pierluigi Consorti e' presidente dopo le dimissioni del precedente presidente Tonino Drago (una delle figure piu' prestigiose ed autorevoli della nonviolenza nel nostro paese). Questo dibattito ha gia' dato luogo a molteplici interventi dei quali su questo foglio non abbiano dato notizia poiche' in essi sovente si usavano toni e modalita' espressive in cui la qualita' dei contenuti veniva per cosi' dire sminuita e in una certa misura quasi contraddetta e offuscata da forme comunicative ed interferenze relazionali a nostro modesto avviso non adeguate. Secondo il nostro modesto parere sarebbe bene che nel dialogo tra persone tutte comunque impegnate per la nonviolenza - dialogo che deve certo essere sempre franco ed esplicito, e finanche energicamente critico nel merito quando si sostengono punti di vista diversi e si ha la sensazione che le posizioni o le azioni altrui siano inadeguate o erronee -, i toni e le forme fossero sempre coerenti col fine comune, e comunque con quel dovere che tutti hanno di esser garbati anche nel rilevare diversita', nel porgere obiezioni, nell'esprimere un'opposizione (anche la piu' forta, nitida ed intransigente), usando se non di quei buoni principi che fanno la gloria della nonviolenza, almeno di quel galateo che e' vanto comune dell'umana civilta' ed a cui tutti senza eccezione siamo tenuti, caro maestro mio Cellini, caro mio buon Caravaggio. Pierluigi Consorti, gia' obieettore di coscienza, docente universitario, insegna presso il dipartimento di Diritto pubblico ed e' docente "garante" del corso di laurea in Scienze per la pace dell'Universita' di Pisa, dove inoltre dirige lo sportello per i diritti umani. La sua attivita' di ricerca e' principalmente orientata allo studio dei rapporti tra diritto e religione, fra legge e norme di coscienza. E' presidente del Comitato consultivo nazionale per la Difesa civile non armata e nonviolenta. Tra le opere recenti di Pierluigi Consorti: L'avventura senza ritorno. Intervento e ingerenza umanitaria nell'ordinamento giuridico e nel magistero pontificio, Edizioni Plus, Pisa 2002; Senza armi per la pace, Edizioni Plus, Pisa 2003. Rodolfo Venditti, nato a Ivrea nel 1925, docente universitario e magistrato, ha pubblicato vari libri in cui ha analizzato in chiave critica la legislazione penale militare alla luce dei principi costituzionali e in cui ha dedicato ampio spazio allo studio dell'obiezione di coscienza al servizio militare. Opere di Rodolfo Venditti: L'obiezione di coscienza al servizio militare, Giuffre', Milano 1981 (nuova ed. 1994; terza edizione 1998, dopo la nuova legge di quell'anno); Le ragioni dell'obiezione di coscienza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Giustizia come servizio all'uomo. Riflessioni di un magistrato sul lavoro del giudice, Elle Di Ci, Leumann-Torino 1995; La difesa popolare nonviolenta: storia, teoria, esempi concreti. Aperture dell'ordinamento giuridico italiano, Eirene, Studi per la pace, Bergamo 1996; Legge e liberta'. I giovani, la legalita', la giustizia, Fondazione Italiana per il Volontariato, 1998; segnaliamo anche la sua aggraziata e felice Piccola guida alla grande musica, Sonda, Torino 1990, in piu' volumetti] Carissimo Professore, ho avuto occasione di leggere una Sua nota su "Servizio civile e 'difesa civile non armata e nonviolenta'", diffusa via internet. Posso serenamente confermarLe che la pensiamo proprio allo stesso modo. Le conclusioni cui giunge sono del tutto condivisibili. Resto pero' sorpreso dal fatto che vi giunge sottoponendo a critica due specifiche affermazioni che sarebbero tratte da due miei distinti lavori. * Immagino che non abbia avuto occasione di conoscere direttamente i testi cui fa riferimento. Non ho infatti mai scritto, ne' pensato, che "l'attuale servizio civile volontario non puo' essere considerato un modo di adempiere il dovere di difesa della Patria". Penso, infatti, esattamente l'opposto. Non nutro alcun dubbio sul fatto che il servizio civile rappresenti una modalita' di difesa e di costruzione della pace; non avrei altrimenti intitolato "Senza armi per la pace" (Edizioni Plus, Universita' di Pisa, 2003) la raccolta di scritti che ho curato sui profili e le prospettive della transizione dal "vecchio" servizio civile (quello degli obiettori) al "nuovo" servizio civile (quello volontario). In quel testo ho anche pubblicato uno dei due lavori ai quali fa espresso riferimento. Analizzando alcuni profili storici e giuridici, concludo argomentando che il servizio civile e' una forma di difesa solo se si interpreta il "sacro dovere di difesa della Patri"ª sancito nell'art. 52 della Costituzione in senso evolutivo rispetto all'impostazione tradizionale, che attribuisce tale funzione (difesa della Patria) esclusivamente alle Forze armate. E' ovvio che se, al contrario, si sottolinea l'evoluzione subita dal principio - ed in modo particolare il ruolo che assume nella sua interpretazione combinata con l'art. 11 della Costituzione - si puo' giungere ad ammettere che non solo il servizio civile alternativo a quello militare, ma anche quello volontario, costituiscono forme di difesa dello Stato. Sotto il profilo normativo si tratta peraltro di un dato assodato, in quanto tale funzionalizzazione, gia' espressa nella legge 230 del 1998, e' ribadita nel primo articolo della legge 64 del 2001. Non mi dilungo su un tema di cui Ella e' un Maestro, e che a mia volta ho sviluppato in alcuni saggi di qualche anno fa (ad esempio: Il diritto alla pace nella Costituzione italiana, in "Archivio giuridico F. Serafini", 1997, pp. 109 ss.; Il nuovo servizio civile nella prospettiva della pace e della nonviolenza, in "Vita sociale", 1997, pp. 234 ss.; Dal 'ripudio della guerra' al diritto alla pace'. Per una lettura attuale dell'art. 11 della Costituzione italiana, in "Rivista di teologia morale", 1998, pp. 393 ss.; Servizio civile, obiezione di coscienza, pace e nonviolenza, in "Rivista di teologia morale", 1999, pp. 215 ss.). Sono peraltro convinto che questa funzione non si concretizza unicamente nelle forme di servizio civile all'estero, ma anche in quelle presenti nel nostro Paese. Su entrambi i versanti (estero ed interno) c'e' infatti spazio per sperimentare e concretizzare forme di difesa non armata e nonviolenta. Penso poi che il servizio civile non assorba tutte le possibili forme di difesa civile, ma certamente concretizza un aspetto particolarmente significativo di quelle nonviolente. * Venendo al secondo dei punti criticati, mi sembra innegabile che il "nuovo" servizio civile (quello volontario) abbia operato uno spostamento dell'asse di centralita' rispetto al "vecchio". Non solo e non tanto perche' caduto (rectius: sospeso) l'obbligo della leva cessa l'ipotesi della convertibilita', ma anche perche' esso prevede l'assegnazione dei giovani servitori a progetti di servizio civile anziche' ad enti di servizio civile - come avveniva nel passato. Per intenderci, se prima poteva capitare che un obiettore svolgesse di fatto qualsiasi tipo di attivita' purche' presso un ente convenzionato, oggi un servitore civile deve essere impegnato in un progetto specifico che potrebbe anche essere presentato da piu' enti in rete fra loro. A differenza del passato, il progetto e' sottoposto ad una preventiva approvazione dell'Ufficio nazionale per il servizio civile ed e' poi soggetto a diversi indici di monitoraggio e di valutazione ex post centrati sulla capacita' del progetto stesso di formare i servitori e rispondere agli obiettivi pubblicamente prefissati. Questo costringe anche gli enti accreditati a mettersi al servizio dei giovani e dei bisogni pubblici, predisponendo progetti congrui e formativi. Insomma, se in precedenza poteva capitare che un obiettore finisse a "fare le fotocopie", ora sarebbe impossibile immaginare un servizio civile strumentale all'ente e non alla collettivita'. Mi sembra innegabile che questa circostanza abbia modificato la qualita' del servizio. Tale cambiamento di qualita' e' fortemente connesso con la progressiva consapevolezza che si va consolidando dei caratteri nuovi che il servizio civile presenta. Una forma di impegno civile, nonviolento, di condivisione dei problemi sociali; pertanto un servizio eticamente significativo. Ne deriva (e questo e' l'argomento che tratto nel libro Legislazione del Terzo settore che Ella ha citato in nota, sebbene segnalando un luogo di riferimento in cui non tratto questi aspetti; del resto non si tratta di un libro sul servizio civile, che e' toccato in modo assai limitato ed in via incidentale) una rinnovata centralita' del progetto formativo rivolto ai giovani, espressivo, tra l'altro, del principio di solidarieta' (insieme ovviamente ad altri principi di cui mi occupo nella parte introduttiva del libro, ma non intendo qui annoiarla). Anch'Ella del resto conviene che proprio il principio di solidarieta' e' alla base di tutti i doveri costituzionali, fra i quali deve essere annoverato anche quello di difesa, espresso singulatim e - sotto questo profilo, per consequentiam - nell'art. 52. Il riferimento al principio di solidarieta' e' del resto richiamato espressamente dalla Corte costituzionale (da ultimo nella sent. 228 del 2004), che per la verita' si mette semplicemente sulla scia di una dottrina consolidata ed autorevolissima - che annovera fra gli altri Maestri come Temistocle Martines e Alessandro Pizzorusso - e a mia conoscenza senza essere mai stata revocata in dubbio. Una novita' della giurisprudenza costituzionale si ravvisa semmai nella presa in carico, oltre che del principio di solidarieta', anche di quello laburistico espresso nell'art. 4 della Costituzione. Ne consegue, a mio modesto avviso, una rinnovata carica etica del servizio civile: modalita' di difesa della Patria, strumento di costruzione della pace, concretizzazione dei doveri di solidarieta' e di impegno nel "fare qualcosa per gli altri". Complessivamente, una nuova istituzione repubblicana. Questo e' almeno il mio convincimento; ed e' in questa direzione che cerco di muovermi insieme al Comitato che ho l'onore di presiedere. * Da questo punto di vista istituzionale ho piacere di informarLa che l'Ufficio nazionale per il servizio civile ha da poco approvato la proposta del Comitato di sostenere ed incentivare alcuni progetti di difesa civile non armata e nonviolenta all'estero. Si tratta proprio delle forme che Ella auspica nel Suo articolo, e che presto potranno essere proposte - per la prima volta - in modo istituzionale in un campo finora riservato alle sole Forze armate. Mi auguro che questa opportunita' possa consentire di superare alcune difficolta' finora connesse al valore altamente testimoniale, ma di cui talvolta si conosce poco l'efficacia, delle tradizionali forme di difesa popolare nonviolenta. Il Comitato ha poi ottenuto che nella formazione generale al servizio civile (i contenuti e le forme della quale sono attualmente allo studio dell'Ufficio nazionale), sia adeguatamente considerata la funzione di difesa civile non armata e nonviolenta che senza dubbio concerne il servizio civile stesso; il Comitato partecipa con una sua rappresentanza al lavoro del gruppo che sta in questi mesi definendo criteri e modalita' formative, che saranno presto oggetto di un "patto" che tutti i soggetti coinvolti nel sistema del servizio civile (privati e pubblici) dovranno sottoscrivere per partecipare al sistema stesso. In questa fase il Comitato e' inoltre impegnato ad approfondire il tema anche sotto il profilo culturale ed educativo. Auspico che questa rinnovata riflessione sulle esperienze di servizio civile/difesa civile non armata e nonviolenta possa aiutare a chiarire in che modo si possa arrivare a strutturare forme di difesa civile disarmata e nonviolenta di fronte ad un attacco armato e violento, soprattutto di fronte ad un'aggressione condotta con le tecniche e le modalita' attuali, che sembrano talvolta lasciare poco spazio di azione alle risposte che le teorie classiche della difesa popolare nonviolenta hanno fino ad oggi elaborato. Si tratta indubbiamente di affrontare una sfida culturale ed operativa al tempo stesso, che personalmente accolgo volentieri - insieme al Comitato - e per rispondere alla quale spero di poter contare sul sostegno di quanti finora hanno avuto a cuore questa tensione e questa tematica. * Spero cosi' di aver chiarito la differenza che c'e' tra quanto penso, scrivo e faccio, e quanto talvolta mi si attribuisce di pensare, scrivere e fare. In questo senso immagino di farLe cosa gradita allegandoLe un mio piu' recente scritto in corso di pubblicazione sulla rivista "Le Regioni" (Il Mulino, 2005, n. 4) in cui affronto ex professo lo stesso tema, e che credo possa contribuire a chiarire ancor meglio l'articolazione delle mie (vere) opinioni, e attendo con piacere di conoscere il Suo parere in proposito. La ringrazio quindi per l'attenzione riservatami e confido che non fara' mancare ne' a me ne' al Comitato, il conforto della Sua critica. Sono convinto infine che non avra' nulla in contrario se mi permetto di non mantenere riservata questa lettera a Lei indirizzata, autorizzandone la diffusione fra gli interessati a seguire il dibattito in corso. Con sensi di sincera stima 3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA NONVIOLENZA: SCIENZA, ARTE, ETICA DEL CONFLITTO VITALE [Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione la sua relazione al convegno internazionale "Per un'idea di pace", Universita' di Udine, 13-16 aprile 2005. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] La nonviolenza e' il buon uso del conflitto. Non e' l'astensione, la neutralita' assente. Non e' assolutamente l'indifferenza tra l'aggressore e l'aggredito; ne' il semplice non-fare-violenza (la gandhiana "a-himsa"). La nonviolenza sta nel conflitto, non lo elude, non lo nasconde, anzi lo mette in luce quando e' pericolosamente occultato. Di piu', solleva e apre il conflitto, quando c'e' un'ingiustizia, una violenza tacita e statica, incarnata nelle strutture sociali. Se l'ingiustizia non e' resa visibile, non puo' essere combattuta e tolta. La scelta e l'azione nonviolenta sono soprattutto il gandhiano "satyagraha": un'azione e una lotta condotte con la "forza-che-viene-dallo-stare-attaccati-alla-verita'", cioe' a quel tanto di verita' che abbiamo potuto ricevere e conoscere, senza presumere di possederla e tanto meno di imporla. Per Gandhi la verita' e' l'unita' profonda di tutti gli esseri, dunque e' falsita' e male ogni offesa al piu' piccolo degli esseri; la verita' e' dunque cio' che ci unisce, ci trascende e ci anima intimamente; la verita' e' la forza buona e viva della vita, piu' forte di ogni violenza e di ogni male. La verita' per Gandhi non e' questa o quella concezione di Dio, questa o quella religione, o filosofia, o sapienza. Ogni conoscenza di verita' e' valida, ed e' anche fallibile e correggibile. La verita' stessa e' cio' che chiamiamo Dio: in quanto immanente e trascendente ogni nostra conoscenza, intima in noi e superiore a noi, sempre cercata, sentita, e mai posseduta, essa e' Dio. * La nonviolenza sta dentro il conflitto e lo gestisce con la forza della sincerita', in modo tale da condurlo ad essere un atto di vita e di verita'. Sta nel conflitto per trasformarlo da mortale in vitale, da eliminatorio in costruttivo. Il conflitto, in se stesso, non significa scontro violento. Nonostante la confusione del linguaggio corrente, non e' sinonimo di guerra. Il conflitto nasce da una differenza. L'incapacita' di accettarla porta alla violenza, che vuole sradicare la differenza. L'intelligenza della vita, invece, riconosce la differenza e il conflitto come "un'occasione di verita'" (Gandhi). Il conflitto puo' essere gestito in modo distruttivo (al limite, eliminare il nemico o l'avversario per eliminare il conflitto stesso, perche' non si ha la forza di reggerlo); oppure puo' essere gestito in modo costruttivo: cioe' lavorando per trasformarlo e condurlo verso un risultato il piu' possibile positivo per entrambi i contendenti. Questo lavoro e' una forza creativa. La violenza distrugge pezzi di realta', perche' e' debolezza di fronte alle sfide della realta' ricca, varia, e alle sue differenze e tensioni. La nonviolenza custodisce ogni realta', perche' poggia sulla vera forza. Essa confida che anche il malvagio, trattato con franchezza e coraggio anziche' con la violenza legittimata, possa ritrovare la propria verita' umana, nella giustizia e nel rispetto universali. In ogni caso, la nonviolenza risparmia dolori e vergogne all'umanita', perche' non oppone alla violenza nuova violenza, ma la piu' profonda e positiva resistenza. Ogni popolo consapevole di cio' puo' rendersi capace di difendersi senza i mezzi militari, con la difesa popolare nonviolenta, la quale non e' solo un auspicio, ma anche una esperienza storica (1). * Nei limiti di questa comunicazione, vorrei accennare a qualche argomento che puo' sostenere la seguente tesi: la nonviolenza e' l'umanesimo adeguato all'era storica attuale, che e' l'era del rischio nucleare ed ecologico. In questo senso "la nonviolenza e' il varco attuale della storia" (Aldo Capitini), cioe' l'unico passaggio verso un futuro possibile. Quel rischio totale rivela l'impossibilita' morale e la totale non-convenienza di ogni gestione violenta dei conflitti, specialmente se e' gestione organizzata, istituzionale, metodica, come sono le strutture della guerra, dell'economia di sfruttamento e di enorme diseguaglianza, le operazioni culturali e mediatiche di inganno e manipolazione delle menti allo scopo di dominarle. * L'opzione nonviolenta ha una dimensione filosofica, culturale, religiosa, politica. Propone immagini interpretative della realta', e programmi di comportamenti e di azione. In un certo senso, la nonviolenza c'e' sempre stata (e' "antica come le montagne", dice Gandhi), ma, nel nostro tempo, dopo il Novecento, ha avuto una evoluzione di grande importanza. La scelta di pace nonviolenta, per secoli, e' stata una scelta individuale nei rapporti interpersonali diretti, e' stata una responsabilita' del principe nei rapporti politici, e' stata una speranza di chi rivolgeva esortazioni morali agli individui, ma non e' stata un programma organico storico e politico. Il Novecento, il secolo piu' violento e minaccioso della storia, ha visto anche una grande maturazione della nonviolenza attiva e politica. Da Buddha a Gesu' a Erasmo a Gandhi c'e' un cammino, nella riscoperta e sviluppo di tesori antichi. Da impegno morale individuale (spesso senza speranza di togliere o ridurre la violenza dei poteri pubblici), la nonviolenza e' diventata teoria e prassi, studio scientifico del conflitto umano, nei suoi vari tipi e livelli; prassi sociale che, mentre e' guidata dalla teoria, offre a sua volta alla teoria un materiale sperimentale continuamente arricchito; teoria che si articola sul piano etico-filosofico, sul piano sociologico-storico, sul piano psicologico-pedagogico, sul piano delle dinamiche e degli strumenti dell'azione. E' vero che, come dice Gandhi, "La nonviolenza non va predicata, ma praticata" (2) ma e' vero pure che, come scrive nel 1928 Simone Weil, "La pace non verra' fondata dall'amore, ma dal pensiero", perche' "l'amore fa la guerra altrettanto bene che la pace" (3). * Gandhi e' stato detto "il Galileo del conflitto", il fondatore di una nuova scienza conoscitiva e pratica, personale e politica, diretta a trasformare il conflitto umano da mortale a vitale, da nemico della vita e produttore di morte, a compositore di ricchezza di vita e di maggiore verita' esistenziale, nell'armonia superiore delle differenze. Gandhi ha messo a frutto una "rivoluzione copernicana". Nella precedente (ma tuttora persistente) visione "tolemaica", al centro del sistema c'e' la necessita' di respingere e controllare la violenza altrui, usando altra violenza, la propria. Questa visuale da' luogo alla "ideologia della vittoria" (4) sull'altro, della sopraffazione giustificata dal diritto; da' luogo alla morte inflitta alla vita pericolosa (mors tua vita mea), o semplicemente ingombrante. In questa visuale la violenza e' giustificata e razionalizzata, illusoriamente regolata e istituzionalizzata, ma non rifiutata e non superata (5), bensi' accresciuta fino al pericolo totale per l'esistenza della specie umana. Nella visuale "copernicana", invece, il punto centrale e' la necessita' e ricerca di liberare nell'umanita' la forza nonviolenta, di fare emergere e nascere, dall'uomo "edito" che noi siamo, l'"uomo inedito" (Ernst Bloch, Ernesto Balducci), finora nascosto e implicito, inespresso: un tipo di uomo piu' cooperativo che competitivo. Si puo' puntare in questa direzione, sospinti dalla stessa necessita' di sfuggire alla massima distruttivita' prodotta dalla logica della violenza, se non chiudiamo del tutto l'avventura umana negli schemi dominanti del suo passato, ma leggiamo, con intelligenza attiva e amorosa, le sue possibilita' inespresse. E' tuttora "tolemaico" chi non ha imparato la lezione di Hiroshima. E' "copernicano" chi da quella lezione ha tratto le conseguenze, imparando che il destino umano e' unico per tutti i popoli, che la minaccia di morte e' indivisibile, come e' indivisibile il bisogno e il diritto di vivere, come sono indivisibili la giustizia e la liberta'. La nuova scienza del conflitto impegna ad un lavoro di pensiero, ricerca, sperimentazione, in tutti i campi del sapere e dell'agire umano. * Gandhi, come pure chi prosegue i suoi "esperimenti con la verita'", appare a molti quasi solo come un profeta religioso, che immagina e addita un mondo altro e diverso dall'unico reale. Uno studioso di Gandhi come Jean-Marie Muller constata in Gandhi il primato della ragione sulla religione e afferma che e' proprio la ragione che conduce Gandhi alla scoperta dell'esigenza di nonviolenza (6). Gandhi e' un profeta religioso e un rinnovatore della politica, e' un sapiente dei piu' grandi ed e' uno dei maggiori scienziati sociali. Di fatto, tanto in Gandhi quanto in Aldo Capitini (il filosofo italiano della nonviolenza, pensatore di grande originalita', purtroppo ancora poco conosciuto fuori d'Italia), religione e politica sono in profonda relazione reciproca. Gandhi scrive: "La mia devozione alla Verita' mi ha condotto alla politica; e posso dire, senza alcuna esitazione, anche se con assoluta umilta', che coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la politica non sanno che cosa significa religione" (7). Aldo Capitini scrive: "Per essere veramente religiosi bisogna passare per la vita pubblica. Si puo' anche essere stiliti o eremiti per riordinare la propria vita interiore, ma poi bisogna fare vita pubblica, e solo su questa sorge la vita religiosa che porta aperture e aggiunta" (8). In questi maestri della nonviolenza, non e' necessario separare religione e politica, come nelle nostre societa', perche' per loro la religione non e' anzitutto istituzione, non e' una potenza sociale, ma un'animazione e ispirazione interiore, che orienta gli animi, nel rispetto di tutte le coscienze, senza conflitti istituzionali, a dedicarsi al bene di tutti nella politica. * Questo atteggiamento dei maestri rappresenta una indicazione per tutte le religioni: tanto per quelle diffuse in societa' a maggiore uniformita' religiosa, col rischio di ridurre la liberta' di coscienza, quanto per quelle presenti nelle societa' pluralistiche, che devono essere tenute distinte dalle istituzioni politiche per rispettarne il pluralismo. In effetti, la cultura della nonviolenza puo' ricevere un forte contributo spirituale dalle religioni, e, a sua volta, essa contribuisce alla purificazione e alla genuinita' delle religioni. Il rapporto delle religioni con la ricerca di nonviolenza e' almeno duplice. Le religioni producono sia violenza che nonviolenza. In quanto sono tensione, ricerca, relazione con un assoluto, esse sono tentate di intransigenza, di totalitarismo, di esclusivismo, di imposizione violenta. Ma proprio il rapporto, vissuto piu' seriamente e interiormente, con l'assoluto che ci trascende, con cui non possiamo identificarci, fa sentire alle persone religiose che noi siamo tutti relativi. Allora, il senso autentico della relazione religiosa ci rende umili, miti, nonviolenti. Il significato migliore delle religioni esige che esse si facciano, tutte, sempre piu' chiaramente nonviolente. Un'opinione ritiene che le religioni monoteiste in quanto tali, e non solo per loro colpe storiche, siano portate all'intolleranza. Eppure, proprio il monoteismo fonda la piu' forte coscienza dell'unita' di tutta intera la famiglia umana, nell'uguale dignita'. Le religioni hanno un riferimento alla verita'. Alcune hanno piu' forte il senso di una verita' ricevuta, rivelata. In ogni caso, la verita' conosciuta e' sempre da penetrare meglio, e soprattutto da vivere fedelmente. La verita' non e' mai posseduta ma sempre cercata, ricevuta, invocata, e sempre veduta solo parzialmente e imperfettamente. Essa, per quanto ci e' data, non risiede tanto nelle menti e nelle definizioni intellettuali (peraltro utili alla vita buona, ma sempre perfezionabili) quanto negli atti pratici della vita autentica. I nostri diversi approcci e interpretazioni della verita' devono essere intesi come in relazione tra loro, pur nelle differenze, e non in una opposizione escludente. Ovviamente, la verita' non si puo' diffondere o inculcare con la forza, ad essa estranea. Soprattutto, le religioni hanno oggi il compito di comprendere che la verita' che possiamo conoscere, sotto diversi punti di vista, non ci "arma" mai gli uni contro gli altri (come ha fatto chi, nella storia, ha pensato con arroganza di imporla ad altri come "verita' armata"). Invece, la verita' proprio ci "disarma", nel senso che ci rende piu' miti ed umili, impegnati continuamente ad imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita piu' giusta. La forza della verita' non e' offensiva, ma consiste nell'agire profondamente in noi, in quanto la cerchiamo e le siamo fedeli, col renderci piu' veri, piu' forti nel resistere al male e nel vivere il bene, per gli altri e con gli altri. Una grande novita' positiva del nostro tempo, nonostante ritardi e fenomeni contrari, e' il dialogo tra le religioni, che fino a ieri si ignoravano, si escludevano, o addirittura si combattevano. Questo dialogo, questa "fecondazione reciproca" (Raimon Panikkar), puo' portare un importante contributo alla cultura della nonviolenza, al superamento delle violenze culturali. * La scienza nonviolenta del conflitto studia anche i meccanismi oggettivi e le dinamiche dei conflitti umani. La buona volonta' individuale e' necessaria, ma non e' sufficiente a superare le dinamiche violente. Uomini buoni in strutture cattive fanno cose cattive, con volonta' buona. I sistemi che incarnano violenza devono venire smascherati con la critica razionale e morale e affrontati con la lotta politica nonviolenta. Il principio etico dell'azione nonviolenta e', in generale, il "rispetto per la vita" (Albert Schweitzer). In particolare, nel mondo di oggi, l'imperativo morale per la liberazione dalla distruttivita' e' stato bene espresso da Hans Jonas: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra" (9). Ernesto Balducci scrive, in termini simili: "Agisci in modo che, nella massima della tua azione, il genere umano trovi le ragioni e le garanzie della propria sopravvivenza" (10). Nella politica, sia come azione sia come riflessione, la nonviolenza introduce l'esigenza di liberazione progressiva da ogni vecchia e nuova violenza. Il pensiero di Hannah Arendt mostra che potere politico autentico e violenza si escludono a vicenda. Dove c'e' il potere di agire insieme nella polis, non c'e' violenza. Dove c'e' violenza, manca il potere politico. Il potere deve essere pensato in modo nuovo, non come dominio di alcuni sugli altri, ma come possibilita' e capacita' di ciascuno, riconosciuta, sviluppata e liberata in tutti. E' questa la prospettiva del "potere di tutti", indicata da Aldo Capitini (11): la possibilita' di orientarsi liberamente e agire insieme attorno ai problemi di tutti. L'obiettivo moderno dello stato di diritto e della democrazia e' importante e irrinunciabile, ma occorre vedere la contraddizione profonda tra l'essenza della democrazia e la guerra. La democrazia e' fondata sull'umanesimo dei diritti umani, che sono universali, di ogni persona, e non solo dei cittadini di uno stato particolare. La guerra offende i diritti umani in modo totale. Non puo' dire di difenderli, mentre li offende. L'uso della guerra - specialmente se eretto a metodo, come oggi tragicamente avviene di nuovo - e la politica securitaria, che esaspera l'esigenza di sicurezza per rafforzare il potere, distruggono anche la democrazia interna. La realizzazione della democrazia implica l'abolizione della guerra. La politica e' pace, oppure non e' politica. Essa va ripensata, piu' avanti della democrazia formale (le "regole del gioco"), per vedere che essa consiste nella costruzione della pace, percio' nella soluzione nonviolenta dei conflitti, non solo interni, ma anche esterni allo stato. Al contrario della disastrosa concezione di Carl Schmitt, la politica e' pace, altrimenti non costruisce la polis umana, ma la nega. * Norberto Bobbio ha scritto: "Esiste una grande filosofia della guerra..., non esiste una grande filosofia della pace" (12). E' cosi' soltanto in apparenza. Cio' e' vero nella filosofia dei libri e delle accademie, nel pensiero vicino alle classi dirigenti che hanno esercitato il potere duro. Ma c'e' un pensiero antico e contemporaneo, in tutte le culture, un pensiero in crescita, che osserva e interpreta le quotidiane esperienze di con/vivenza di base tra gli esseri umani, ovunque. Questa, anche se non appare tecnicamente come filosofia, e' una sapienza vissuta e riflessa, che oggi va sviluppando anche la propria espressione politica e l'argomentazione razionale e valoriale. Gandhi, con una osservazione meditata, mostra come, sotto il fracasso delle guerre e delle sopraffazioni, nella vicenda umana continua c'e' piu' pace che guerra (13). Le filosofie del dialogo e dell'alterita', sviluppate nel Novecento, contribuiscono a fondare e chiarire il pensiero della pace (14). La convivenza degli umani in societa' ha bisogno non solo di limitare e controllare il potere pubblico (grande tradizione del costituzionalismo), ma di vedere con chiarezza il valore inviolabile di ogni persona. Questo valore da' fondamento al diritto di ognuno alla pace e alla giustizia, e toglie ogni diritto statale alla guerra (Statuto delle Nazioni Unite, art. 2, non contraddetto dagli artt. 47 e 51). Il pensiero della politica e' spinto dall'esigenza di nonviolenza a superare il realismo stretto e soffocante di Machiavelli e di Hobbes. Machiavelli non e' tanto il "fondatore della scienza politica" (cosi' definito comunemente, anche da Raymond Aron) quanto il fondatore "della scienza politica del dispotismo" e delle relative tecniche (15). Per Hobbes, la pace tra gli uomini e' possibile solo se imposta da un potere superiore. Ma questa e' soltanto la "pace d'impero" (16). Un tale pessimismo antropologico rinuncia a sviluppare nelle persone e nelle societa' le capacita' di convivenza libera e giusta, nella dignita'. Non si tratta, certamente, di giocare una stupida lotteria tra pessimismo e ottimismo, ma di intendere l'ottimismo come lo intende Dietrich Bonhoeffer (che rileggiamo a 60 anni dal suo martirio), quando scrive agli amici le sue riflessioni "dopo dieci anni" di nazismo in Germania: "la forza di tener alta la testa quando sembra che tutto fallisca, ... volonta' di futuro, anche quando dovesse condurre cento volte all'errore, ... salute della vita" (17). L'ottimismo serio non e' attesa del meglio, ma lavoro per il meglio. * L'educazione e la pedagogia, secondo l'esigenza di nonviolenza, vogliono aiutare il bambino (e chiunque) a scoprire in se stesso il riconoscimento e l'identificazione con l'altro, il quale ha un valore uguale al nostro, attraverso la differenza. Tale riconoscimento e' espresso, in tutte le sapienze umane, dalla universale "regola d'oro". La psicologia ci insegna che la maggiore possibile felicita' umana si realizza nelle buone relazioni con gli altri. La buona relazione reciproca si cerca e si costruisce, da parte di ciascuno, con una tenace offerta di fiducia e di valorizzazione dell'altro. Il "ben vivere", pur nei limiti della nostra esistenza, viene dal riconoscere e seguire quel "codice del bene", nascosto in noi, sotto gli erramenti umani (18). La scoperta che il "vita tua vita mea" e' piu' vero e felice del "mors tua vita mea" ci introduce in quel sapiente universalismo spirituale e pratico (19) che puo' dare un'anima umana al nostro mondo oggi materialmente ma iniquamente unificato, minacciato dalla incapacita' di accettare le diversita'. L'eterna domanda se la natura umana sia piuttosto violenta o nonviolenta, incontra risposte contrastanti, perche' contrastanti sono le esperienze e i casi umani. Ma, se vediamo che la nostra natura non e' fissa e immutabile, ma soprattutto in/definita, aperta, plasmabile, orientata dalla cultura dell'ambiente umano in cui viviamo, allora ritroviamo la possibilita' di sviluppare le nostre capacita' di positiva pacifica "con/vivenza", di organizzare sistemi del vivere insieme senza violenza e offesa. * La pace e' anche un'arte: arte come espressione sensibile di sentimenti, immagini e significati riconcilianti, ma anche come capacita' artigianale di invenzioni fuori dagli schemi ripetuti e dal "pensiero unico": "Un altro mondo e' possibile". Senza questa inventiva, l'umanita' e' tarpata e chiusa, condannata a ripetere i suoi errori e dolori. Qualche esempio: superare l'idea rigida di "confine" territoriale e di assolutezza statale; oltrepassare l'idea di giustizia retributiva verso esperienze di giustizia ricostruttiva (Commissione Verita' e Riconciliazione in Sudafrica); pratiche di economia solidale, libera dal dogma dell'avidita' umana. Questi sono atti dell'arte della pace, fino - speriamo per il futuro - a neutralizzare le malefiche arti belliche. "Un giorno gli uomini si vergogneranno di avere fabbricato le armi", ha detto Ernesto Balducci. Noi gia' ora ci vergogniamo totalmente, e percio' fabbrichiamo - non importa con quanta fatica - le varie arti della pace nonviolenta. La pace non puo' essere soltanto un "contratto" (pax, pactum) instabile, perche' fondato su equilibri di forze opposte (se non avverse). Simone Weil mostra che, prima di ogni "contratto sociale", c'e' un felice "obbligo" umano reciproco, che ci assicura e ci libera insieme, piu' ancora che legarci (20), ed e' il fondamento comune, che ci offriamo a vicenda, dei diritti di ognuno e di tutti. La pace puo' venire istituita solo dalla rinuncia alla violenza, dalla liberazione progressiva dalla propria violenza - Gewaltfreheit - prima che dalla violenza altrui. La pace e' un cammino continuo, personale, sociale, storico, attraverso alcuni passi: la a-himsa; la in/dipendenza interiore dai meccanismi dell'inimicizia; il coraggio e la forza del satyagraha; la testimonianza sempre sicura, anche in caso di sconfitta, data a chi continuera' il cammino nella nonviolenza. La nonviolenza e' piu' realistica della violenza (21). La cultura e la politica di guerra obbediscono alla convinzione fanatica e stolta di poter togliere il male per mezzo del male, e producono piu' pesanti effetti irreversibili. In realta', l'etica della responsabilita' in relazione a tutte le conseguenze dei nostri atti, prevedibili o imprevedibili, si realizza nella ricerca della pace nonviolenta. * Note 1. Si puo' trovare in rete la bibliografia storica sulle lotte nonviolente "Difesa senza guerra", da me curata. 2. Mohandas K. Gandhi, Nonviolence in Peace and War, Navajivan Publishing House, Ahmedabad 1948, I, 129. 3. Simone Weil, Oeuvres completes, vol. I, t. II, Gallimard, Paris 1988, p. 48, cit. in Jean-Marie Muller, Simone Weil, l'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994, p. 27. 4. Cfr Enrico Peyretti, Dov'e' la vittoria?, Il Segno dei Gabrielli editori, Nogarine (Verona) 2005. 5. Cfr Ernesto Balducci, La terra del tramonto, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Firenze) 1992. 6. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus, Pisa 2004, pp. 250-252. 7. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. 31. 8. Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 385. 9. Hans Jonas, Il principio responsabilita'. Un'etica per la civilta' tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. 16. 10. Ernesto Balducci, La terra del tramonto, op. cit., p. 183. 11. Aldo Capitini, Il potere di tutti, con un saggio introduttivo di Norberto Bobbio, La Nuova Italia, Firenze 1969. 12. Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1979, p. 163 (e edizioni successive). 13. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, op. cit., pp. 62-65. 14. Cfr, per esempio, Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella editrice, Assisi 2004, specialmente nelle pp. 163-176. 15. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, op. cit., p. 128. 16. Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, op. cit., pp. 178-180. 17. Dietrich Bonhoeffer, Dieci anni dopo, in Idem, Resistenza e resa, edizione italiana a cura di Alberto Gallas, Edizioni Paoline, Milano 1989, pp. 72-73. 18. Vedi Roberto Mancini, Il silenzio, via verso la vita (ma il titolo piu' proprio e' Il codice nascosto. Silenzio e verita'), Edizioni Qiqaion, Bose 2002, capitolo V, pp. 173-221. 19. Nel campo della ricerca di orientamenti etici universali si possono indicare le opere di Pier Cesare Bori, di Hans Kueng, di Raimon Panikkar, e altri. 20. Simone Weil, La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano, Leonardo, Milano 1996. 21. Cfr Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, op. cit., p. 302. Cfr anche Ernesto Balducci - Lodovico Grassi, La pace, realismo di un'utopia, Principato, Milano 1985. 4. MAESTRE. SOFIA VANNI ROVIGHI: SCOMODA LIBERTA' [Da Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, La scuola, Brescia 1963, 1982, volume III, p. 151 (e' la prosecuzione del frammento che abbiamo proposto ieri). Sofia Vanni Rovighi, nata nel 1908 e deceduta nel 1990, filosofa e storica della filosofia, fu a lungo docente alla Cattolica di Milano, autrice negli anni trenta di importanti contributi su Husserl e Hartmann, tra le figure piu' vive della filosofia neoscolastica, vicina alla fenomenologia ed autrice di importanti lavori sulla teoria della conoscenza. Tra le opere di Sofia Vanni Rovighi segnaliamo particolarmente i tre volumi degli Elementi di filosofia, La Scuola, Brescia; sul piano del lavoro storiografico, critico e didattico cfr. inoltre Introduzione a Tommaso d'Aquino, Laterza, Bari; Introduzione a Anselmo d'Aosta, Laterza, Bari; Storia della filosofia moderna, La Scuola, Brescia; segnaliamo inoltre la cura dell'antologia scolastica di Galileo Galilei, Antologia, La Scuola, Brescia] Credere alla liberta' e' scomodo, mentre il non crederci ci dispensa da ogni impegno; perche' il credere alla liberta' ci porta ad essere umili di fronte agli atti di bonta' compiuti dagli altri e ci fa desiderare di essere migliori, mentre il non crederci ci fa pensare che siamo tutti uguali; che l'uomo buono opera cosi' perche' e' fatto cosi' e prova gusto a far cosi', secerne bonta' come il suo stomaco secerne i succhi gastrici, e noi operiamo meno bene perche' siamo fatti cosi', come abbiamo uno stomaco che secerne meno succhi gastrici di un altro. Ora il credere che si ha una scala da salire e' piu' scomodo del credere che si e' gia' in vetta. 5. MATERIALI. PINA LA VILLA: UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA PER UN CORSO SULLE PARI OPPORTUNITA' [Dal sito di "Giro di vite" (www.girodivite.it) riprendiamo la seguente minima bibliografia e sitografia proposta in un corso tenuto dall'autrice sulla tematica delle pari opportunita'. Pina La Villa, acuta saggista, e' redattrice di "Giro di vite", dove in particolare cura la rubrica "Segnali di fumo" ed ha pubblicato rilevanti materiali sul pensiero delle donne] a) Testi di riferimento del corso - AA. VV. (con il coordinamento di Georges Duby e Michelle Perrot), Storia delle donne, (5 voll.), Laterza, Roma-Bari 1992, 1996. - Anna Bravo, Anna Foa, Lucetta Scaraffia, I fili della memoria, (libro di testo per gli istituti superiori, 3 voll. + 3 quaderni operativi e una guida per l'insegnante), Laterza, Roma-Bari, 2001. - Anna Rossi Doria (a cura di), La liberta' delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1990. - Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1999. - Elisabeth Badinter, La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio, Feltrinelli, Milano 2004. - G. De Martino, M. Bruzzese, Le filosofe. Le donne protagoniste della storia del pensiero, Liguori editore, Napoli 1994. * b) Sulle pari opportunita' - AA. VV., Le parole delle pari opportunita', in "Adultita'", quaderno 2, gennaio 2000. - Laura Balbo (a cura di), Tempi di vita, Feltrinelli, Milano 1992. - Fiorella Farinelli, Formare la parita', Ediesse, Roma 1993. - Nella Ginatempo, Donne al confine. Identita' e corsi di vita femminili nella citta' del Sud, F. Angeli, Milano 1994. * c) Su Simone de Beauvoir - Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982. - Marisa Forcina, Simone de Beauvoir, in "Donne in filosofia", Lacaita, Manduria, 1990. - Nicola Abbagnano, Introduzione all'esistenzialismo, Mondadori, Milano 1989. - Pietro Prini, Storia dell'esistenzialismo, Edizioni Studium, Roma 1989. - Fiorella Bassan, Filosofia e narrazione: una rilettura di Simone de Beauvoir, in "Sofia", n. 0, gennaio-giugno 1996. - Renate Siebert, saggio introduttivo a Simone de Beavoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1999. * d) Sulla storia di genere - Simonetta Piccone Stella, Chiara Saraceno (a cura di), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna 1996. - Gianna Pomata, Storia particolare e storia universale: in margine ad alcuni manuali di storia delle donna, in "Quaderni storici", n. 74, agosto 1990. * e) Sulla letteratura - Marina Zancan, Il doppio itinerario della scrittura, Einaudi, Torino 1998. - Mariri' Martinengo, Le Trovatore II. Poetesse e poeti in conflitto, (testi provenzali con traduzione a fronte), Libreria delle donne, Milano 2001. * f) Sul mondo attuale - Sara Ongaro, Le donne e la globalizzazione. Domande di genere all'economia globale delle riproduzione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. - Barbara Ehrenreich, Arlie Russell Hochschild, Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli, 2004. - Melita Richter e Maria Bacchi (a cura di), Le guerre cominciano a primavera. Soggetti e genere nel conflitto jugoslavo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003. * g) Sulla filosofia - Elena Pulcini, L'individuo senza passioni, Bollati Boringhieri, Torino 2001. - Francesca De Vecchi (a cura di), Filosofia ritratti corrispondenze. Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, (testi di Laura Boella, Roberta De Monticelli, Rosella Prezzo, Maria Concetta Sala), Tre Lune Edizioni, Mantova 2001. - Giovanna Borrello, Il lavoro e la grazia. Un percorso attraverso il pensiero di Simone Weil, Liguori, Napoli 2001. - Chiara Zamboni, Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio, Liguori, Napoli 2001. * h) Riviste italiane: - "DWF - Donna Woman Femme", trimestrale di ricerche e analisi di storia e sociologia della donna, via 5. Benedetto in Arenula 6, 00186 Roma. * i) Siti internet www.sussidiario.it/forum/collaboratori/messages/1097.shtml www.libreriadelledonne.it (la politica della Libreria delle donne di Milano) www.womenews.net (il giornale del "Paese delle Donne") www.societadelleletterate.it/Pub/ (associazione di donne impegnate nella ricerca della scrittura e della letteratura) www.autoriformagentile.too.it (la scuola, il sapere di chi vi insegna) www.girodivite.it/sherazade.htm (rivista di storia e didattica) www.girodivite.it/antenati.org (rivista di storia delle letterature europee) 6. RIVISTE. CON "QUALEVITA", RICORDANDO DON MILANI Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ricordando don Milani. * "Io ho chiamato tutti i ragazzi e ho raccontato la cosa in presenza a tutti facendo diventare i torinesi di tutti i colori perche' non s'aspettavano che non tenessi nessun segreto coi ragazzi" (Lorenzo Milani, da una lettera alla madre del 20 luglio 1960, in Idem, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti, Genova 1990, p. 337). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 939 del 24 maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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