La nonviolenza e' in cammino. 939



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 939 del 24 maggio 2005

Sommario di questo numero:
1. Clementina, della misericordia
2. Pierluigi Consorti: Una lettera al professor Rodolfo Venditti sul
servizio civile e la difesa civile non armata e nonviolenta
3. Enrico Peyretti: La nonviolenza: scienza, arte, etica del conflitto
vitale
4. Sofia Vanni Rovighi: Scomoda liberta'
5. Pina La Villa: Una minima bibliografia per un corso sulle pari
opportunita'
6. Con "Qualevita", ricordando don Milani
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA MISERICORDIA
[Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care
international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e'
stata rapita alcuni giorni fa]

Per aiutare vedove ed orfani era in Afghanistan Clementina.
Per dare aiuto a tutte le vittime, tutte le vittime di tutte le guerre di
cui quel paese tutti i segni reca, ed e' per questo che oggi (come molti
altri di dolore luoghi, certo) e' il cuore del mondo.
Il suo rapimento - questo crimine che tutti ci offende - ci dice anche che
e' l'ora, ed invero e' l'ora da un pezzo, di metterci alla sua sequela.
Di strapparla, sana e salva, dagli artigli dei rapitori; di recare anche noi
tutti un aiuto alle oppresse e agli oppressi cola'.
Ciascuno puo' fare qualcosa: fosse anche solo sostenere di qui chi la' e'
operatrice ed operatore di pace; fosse anche solo dirlo forte ogni giorno
senza stancarsene che vogliamo che sia liberata al piu' presto, che in quel
paese cessino uccisioni ed altri delitti e feroci discriminazioni: dirlo a
chiunque ci puo' ascoltare, sperando che questa voce giunga ove occorre che
giunga, richiami umanita' all'umanita', all'umanita' l'umanita' richiami.

2. RIFLESSIONE. PIERLUIGI CONSORTI: UNA LETTERA AL PROFESSOR RODOLFO
VENDITTI SUL SERVIZIO CIVILE E LA DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA
[Attraverso Carlo Schenone (per contatti: schenone at email.it), che
ringraziamo di cuore, riceviamo questa lettera aperta del professor
Pierluigi Consorti (per contatti: pconsorti at libero.it) che sviluppa alcune
riflessioni contenute in un intervento del professor Rodolfo Venditti che
abbiamo gia' pubblicato nel n. 919 di questo foglio. Segnaliamo en passant
che, come certamente alcuni nostri lettori gia' sapranno, e' in corso da
tempo un vivace dibattito nell'ambito e sul Comitato consultivo per la
difesa civile non armata e nonviolenta, di cui attualmente Pierluigi
Consorti e' presidente dopo le dimissioni del precedente presidente Tonino
Drago (una delle figure piu' prestigiose ed autorevoli della nonviolenza nel
nostro paese). Questo dibattito ha gia' dato luogo a molteplici interventi
dei quali su questo foglio non abbiano dato notizia poiche' in essi sovente
si usavano toni e modalita' espressive in cui la qualita' dei contenuti
veniva per cosi' dire sminuita e in una certa misura quasi contraddetta e
offuscata da forme comunicative ed interferenze relazionali a nostro modesto
avviso non adeguate. Secondo il nostro modesto parere sarebbe bene che nel
dialogo tra persone tutte comunque impegnate per la nonviolenza - dialogo
che deve certo essere sempre franco ed esplicito, e finanche energicamente
critico nel merito quando si sostengono punti di vista diversi e si ha la
sensazione che le posizioni o le azioni altrui siano inadeguate o erronee -,
i toni e le forme fossero sempre coerenti col fine comune, e comunque con
quel dovere che tutti hanno di esser garbati anche nel rilevare diversita',
nel porgere obiezioni, nell'esprimere un'opposizione (anche la piu' forta,
nitida ed intransigente), usando se non di quei buoni principi che fanno la
gloria della nonviolenza, almeno di quel galateo che e' vanto comune
dell'umana civilta' ed a cui tutti senza eccezione siamo tenuti, caro
maestro mio Cellini, caro mio buon Caravaggio.
Pierluigi Consorti, gia' obieettore di coscienza, docente universitario,
insegna presso il dipartimento di Diritto pubblico ed e' docente "garante"
del corso di laurea in Scienze per la pace dell'Universita' di Pisa, dove
inoltre dirige lo sportello per i diritti umani. La sua attivita' di ricerca
e' principalmente orientata allo studio dei rapporti tra diritto e
religione, fra legge e norme di coscienza. E' presidente del Comitato
consultivo nazionale per la Difesa civile non armata e nonviolenta. Tra le
opere recenti di Pierluigi Consorti: L'avventura senza ritorno. Intervento e
ingerenza umanitaria nell'ordinamento giuridico e nel magistero pontificio,
Edizioni Plus, Pisa 2002; Senza armi per la pace, Edizioni Plus, Pisa 2003.
Rodolfo Venditti, nato a Ivrea nel 1925, docente universitario e magistrato,
ha pubblicato vari libri in cui ha analizzato in chiave critica la
legislazione penale militare alla luce dei principi costituzionali e in cui
ha dedicato ampio spazio allo studio dell'obiezione di coscienza al servizio
militare. Opere di Rodolfo Venditti: L'obiezione di coscienza al servizio
militare, Giuffre', Milano 1981 (nuova ed. 1994; terza edizione 1998, dopo
la nuova legge di quell'anno); Le ragioni dell'obiezione di coscienza,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Giustizia come servizio all'uomo.
Riflessioni di un magistrato sul lavoro del giudice, Elle Di Ci,
Leumann-Torino 1995; La difesa popolare nonviolenta: storia, teoria, esempi
concreti. Aperture dell'ordinamento giuridico italiano, Eirene, Studi per la
pace, Bergamo 1996; Legge e liberta'. I giovani, la legalita', la giustizia,
Fondazione Italiana per il Volontariato, 1998; segnaliamo anche la sua
aggraziata e felice Piccola guida alla grande musica, Sonda, Torino 1990, in
piu' volumetti]

Carissimo Professore,
ho avuto occasione di leggere una Sua nota su "Servizio civile e 'difesa
civile non armata e nonviolenta'", diffusa via internet. Posso serenamente
confermarLe che la pensiamo proprio allo stesso modo. Le conclusioni cui
giunge sono del tutto condivisibili.
Resto pero' sorpreso dal fatto che vi giunge sottoponendo a critica due
specifiche affermazioni che sarebbero tratte da due miei distinti lavori.
*
Immagino che non abbia avuto occasione di conoscere direttamente i testi cui
fa riferimento. Non ho infatti mai scritto, ne' pensato, che "l'attuale
servizio civile volontario non puo' essere considerato un modo di adempiere
il dovere di difesa della Patria".
Penso, infatti, esattamente l'opposto.
Non nutro alcun dubbio sul fatto che il servizio civile rappresenti una
modalita' di difesa e di costruzione della pace; non avrei altrimenti
intitolato "Senza armi per la pace" (Edizioni Plus, Universita' di Pisa,
2003) la raccolta di scritti che ho curato sui profili e le prospettive
della transizione dal "vecchio" servizio civile (quello degli obiettori) al
"nuovo" servizio civile (quello volontario).
In quel testo ho anche pubblicato uno dei due lavori ai quali fa espresso
riferimento. Analizzando alcuni profili storici e giuridici, concludo
argomentando che il servizio civile e' una forma di difesa solo se si
interpreta il "sacro dovere di difesa della Patri"ª sancito nell'art. 52
della Costituzione in senso evolutivo rispetto all'impostazione
tradizionale, che attribuisce tale funzione (difesa della Patria)
esclusivamente alle Forze armate. E' ovvio che se, al contrario, si
sottolinea l'evoluzione subita dal principio - ed in modo particolare il
ruolo che assume nella sua interpretazione combinata con l'art. 11 della
Costituzione - si puo' giungere ad ammettere che non solo il servizio civile
alternativo a quello militare, ma anche quello volontario, costituiscono
forme di difesa dello Stato.
Sotto il profilo normativo si tratta peraltro di un dato assodato, in quanto
tale funzionalizzazione, gia' espressa nella legge 230 del 1998, e' ribadita
nel primo articolo della legge 64 del 2001.
Non mi dilungo su un tema di cui Ella e' un Maestro, e che  a mia volta ho
sviluppato in alcuni saggi di qualche anno fa (ad esempio: Il diritto alla
pace nella Costituzione italiana, in "Archivio giuridico F. Serafini", 1997,
pp. 109 ss.; Il nuovo servizio civile nella prospettiva della pace e della
nonviolenza, in "Vita sociale", 1997, pp. 234 ss.; Dal 'ripudio della
guerra' al diritto alla pace'. Per una lettura attuale dell'art. 11 della
Costituzione italiana, in "Rivista di teologia morale", 1998, pp. 393 ss.;
Servizio civile, obiezione di coscienza, pace e nonviolenza, in "Rivista di
teologia morale", 1999, pp. 215 ss.).
Sono peraltro convinto che questa funzione non si concretizza unicamente
nelle forme di servizio civile all'estero, ma anche in quelle presenti nel
nostro Paese. Su entrambi i versanti (estero ed interno) c'e' infatti spazio
per sperimentare e concretizzare forme di difesa non armata e nonviolenta.
Penso poi che il servizio civile non assorba tutte le possibili forme di
difesa civile, ma certamente concretizza un aspetto particolarmente
significativo di quelle nonviolente.
*
Venendo al secondo dei punti criticati, mi sembra innegabile che il "nuovo"
servizio civile (quello volontario) abbia operato uno spostamento dell'asse
di centralita' rispetto al "vecchio". Non solo e non tanto perche' caduto
(rectius: sospeso) l'obbligo della leva cessa l'ipotesi della
convertibilita', ma anche perche' esso prevede l'assegnazione dei giovani
servitori a progetti di servizio civile anziche' ad enti di servizio
civile - come avveniva nel passato.
Per intenderci, se prima poteva capitare che un obiettore svolgesse di fatto
qualsiasi tipo di attivita' purche' presso un ente convenzionato, oggi un
servitore civile deve essere impegnato in un progetto specifico che potrebbe
anche essere presentato da piu' enti in rete fra loro. A differenza del
passato, il progetto e' sottoposto ad una preventiva approvazione
dell'Ufficio nazionale per il servizio civile ed e' poi soggetto a diversi
indici di monitoraggio e di valutazione ex post centrati sulla capacita' del
progetto stesso di formare i servitori e rispondere agli obiettivi
pubblicamente prefissati.
Questo costringe anche gli enti accreditati a mettersi al servizio dei
giovani e dei bisogni pubblici, predisponendo progetti congrui e formativi.
Insomma, se in precedenza poteva capitare che un obiettore finisse a "fare
le fotocopie", ora sarebbe impossibile immaginare un servizio civile
strumentale all'ente e non alla collettivita'.
Mi sembra innegabile che questa circostanza abbia modificato la qualita' del
servizio.
Tale cambiamento di qualita' e' fortemente connesso con la progressiva
consapevolezza che si va consolidando dei caratteri nuovi che il servizio
civile presenta. Una forma di impegno civile, nonviolento, di condivisione
dei problemi sociali; pertanto un servizio eticamente significativo. Ne
deriva (e questo e' l'argomento che tratto nel libro Legislazione  del Terzo
settore che Ella ha citato in nota, sebbene segnalando un luogo di
riferimento in cui non tratto questi aspetti; del resto non si tratta di un
libro sul servizio civile, che e' toccato in modo assai limitato ed in via
incidentale) una rinnovata centralita' del progetto formativo rivolto ai
giovani, espressivo, tra l'altro, del principio di solidarieta' (insieme
ovviamente ad altri principi di cui mi occupo nella parte introduttiva del
libro, ma non intendo qui annoiarla).
Anch'Ella del resto conviene che proprio il principio di solidarieta' e'
alla base di tutti i doveri costituzionali, fra i quali deve essere
annoverato anche quello di difesa, espresso singulatim  e - sotto questo
profilo, per consequentiam - nell'art. 52.
Il riferimento al principio di solidarieta' e' del resto richiamato
espressamente dalla Corte costituzionale (da ultimo nella sent. 228 del
2004), che per la verita' si mette semplicemente sulla scia di una dottrina
consolidata ed autorevolissima - che annovera fra gli altri Maestri come
Temistocle Martines e Alessandro Pizzorusso - e a mia conoscenza senza
essere mai stata revocata in dubbio. Una novita' della giurisprudenza
costituzionale si ravvisa semmai nella presa in carico, oltre che del
principio di solidarieta', anche di quello laburistico espresso nell'art. 4
della Costituzione.
Ne consegue, a mio modesto avviso, una rinnovata carica etica del servizio
civile: modalita' di difesa della Patria, strumento di costruzione della
pace, concretizzazione dei doveri di solidarieta' e di impegno nel "fare
qualcosa per gli altri". Complessivamente, una nuova istituzione
repubblicana. Questo e' almeno il mio convincimento; ed e' in questa
direzione che cerco di muovermi insieme al Comitato che ho l'onore di
presiedere.
*
Da questo punto di vista istituzionale ho piacere di informarLa che
l'Ufficio nazionale per il servizio civile ha da poco approvato la proposta
del Comitato di sostenere ed incentivare alcuni progetti di difesa civile
non armata e nonviolenta all'estero. Si tratta proprio delle forme che Ella
auspica nel Suo articolo, e che presto potranno essere proposte - per la
prima volta - in modo istituzionale in un campo finora riservato alle sole
Forze armate. Mi auguro che questa opportunita' possa consentire di superare
alcune difficolta' finora connesse al valore altamente testimoniale, ma di
cui talvolta si conosce poco l'efficacia, delle tradizionali forme di difesa
popolare nonviolenta.
Il Comitato ha poi ottenuto che nella formazione generale al servizio civile
(i contenuti e le forme della quale sono attualmente allo studio
dell'Ufficio nazionale), sia adeguatamente considerata la funzione di difesa
civile non armata e nonviolenta che senza dubbio concerne il servizio civile
stesso; il Comitato partecipa con una sua rappresentanza al lavoro del
gruppo che sta in questi mesi definendo criteri e modalita' formative, che
saranno presto oggetto di un "patto" che tutti i soggetti coinvolti nel
sistema del servizio civile (privati e pubblici) dovranno sottoscrivere per
partecipare al sistema stesso.
In questa fase il Comitato e' inoltre impegnato ad approfondire il tema
anche sotto il profilo culturale ed educativo. Auspico che questa rinnovata
riflessione sulle esperienze di servizio civile/difesa civile non armata e
nonviolenta possa aiutare a chiarire in che modo si possa arrivare a
strutturare forme di difesa civile disarmata e nonviolenta di fronte ad un
attacco armato e violento, soprattutto di fronte ad un'aggressione condotta
con le tecniche e le modalita' attuali, che sembrano talvolta lasciare poco
spazio di azione alle risposte che le teorie classiche della difesa popolare
nonviolenta hanno fino ad oggi elaborato. Si tratta indubbiamente di
affrontare una sfida culturale ed operativa al tempo stesso, che
personalmente accolgo volentieri - insieme al Comitato -  e per rispondere
alla quale spero di poter contare sul sostegno di quanti finora hanno avuto
a cuore questa tensione e questa tematica.
*
Spero cosi' di aver chiarito la differenza che c'e' tra quanto penso, scrivo
e faccio, e quanto talvolta mi si attribuisce di pensare, scrivere e fare.
In questo senso immagino di farLe cosa gradita allegandoLe un mio piu'
recente scritto in corso di pubblicazione sulla rivista "Le Regioni" (Il
Mulino, 2005, n. 4) in cui affronto ex professo lo stesso tema, e che credo
possa contribuire a chiarire ancor meglio l'articolazione delle mie (vere)
opinioni, e attendo con piacere di conoscere il Suo parere in proposito.
La ringrazio quindi per l'attenzione riservatami e confido che non fara'
mancare ne' a me ne' al Comitato, il conforto della Sua critica. Sono
convinto infine che non avra' nulla in contrario se mi permetto di non
mantenere riservata questa lettera a Lei indirizzata, autorizzandone la
diffusione fra gli interessati a seguire il dibattito in corso.
Con sensi di sincera stima

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA NONVIOLENZA: SCIENZA, ARTE, ETICA DEL
CONFLITTO VITALE
[Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per
averci messo a disposizione la sua relazione al convegno internazionale "Per
un'idea di pace", Universita' di Udine, 13-16 aprile 2005. Enrico Peyretti
e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima
edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi
interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

La nonviolenza e' il buon uso del conflitto. Non e' l'astensione, la
neutralita' assente. Non e' assolutamente l'indifferenza tra l'aggressore e
l'aggredito; ne' il semplice non-fare-violenza (la gandhiana "a-himsa"). La
nonviolenza sta nel conflitto, non lo elude, non lo nasconde, anzi lo mette
in luce quando e' pericolosamente occultato. Di piu', solleva e apre il
conflitto, quando c'e' un'ingiustizia, una violenza tacita e statica,
incarnata nelle strutture sociali. Se l'ingiustizia non e' resa visibile,
non puo' essere combattuta e tolta.
La scelta e l'azione nonviolenta sono soprattutto il gandhiano "satyagraha":
un'azione e una lotta condotte con la
"forza-che-viene-dallo-stare-attaccati-alla-verita'", cioe' a quel tanto di
verita' che abbiamo potuto ricevere e conoscere, senza presumere di
possederla e tanto meno di imporla. Per Gandhi la verita' e' l'unita'
profonda di tutti gli esseri, dunque e' falsita' e male ogni offesa al piu'
piccolo degli esseri; la verita' e' dunque cio' che ci unisce, ci trascende
e ci anima intimamente; la verita' e' la forza buona e viva della vita, piu'
forte di ogni violenza e di ogni male.
La verita' per Gandhi non e' questa o quella concezione di Dio, questa o
quella religione, o filosofia, o sapienza. Ogni conoscenza di verita' e'
valida, ed e' anche fallibile e correggibile. La verita' stessa e' cio' che
chiamiamo Dio: in quanto immanente e trascendente ogni nostra conoscenza,
intima in noi e superiore a noi, sempre cercata, sentita, e mai posseduta,
essa e' Dio.
*
La nonviolenza sta dentro il conflitto e lo gestisce con la forza della
sincerita', in modo tale da condurlo ad essere un atto di vita e di verita'.
Sta nel conflitto per trasformarlo da mortale in vitale, da eliminatorio in
costruttivo.
Il conflitto, in se stesso, non significa scontro violento. Nonostante la
confusione del linguaggio corrente, non e' sinonimo di guerra. Il conflitto
nasce da una differenza. L'incapacita' di accettarla porta alla violenza,
che vuole sradicare la differenza. L'intelligenza della vita, invece,
riconosce la differenza e il conflitto come "un'occasione di verita'"
(Gandhi).
Il conflitto puo' essere gestito in modo distruttivo (al limite, eliminare
il nemico o l'avversario per eliminare il conflitto stesso, perche' non si
ha la forza di reggerlo); oppure puo' essere gestito in modo costruttivo:
cioe' lavorando per trasformarlo e condurlo verso un risultato il piu'
possibile positivo per entrambi i contendenti.
Questo lavoro e' una forza creativa. La violenza distrugge pezzi di realta',
perche' e' debolezza di fronte alle sfide della realta' ricca, varia, e alle
sue differenze e tensioni. La nonviolenza custodisce ogni realta', perche'
poggia sulla vera forza. Essa confida che anche il malvagio, trattato con
franchezza e coraggio anziche' con la violenza legittimata, possa ritrovare
la propria verita' umana, nella giustizia e nel rispetto universali. In ogni
caso, la nonviolenza risparmia dolori e vergogne all'umanita', perche' non
oppone alla violenza nuova violenza, ma la piu' profonda e positiva
resistenza. Ogni popolo consapevole di cio' puo' rendersi capace di
difendersi senza i mezzi militari, con la difesa popolare nonviolenta, la
quale non e' solo un auspicio, ma anche una esperienza storica (1).
*
Nei limiti di questa comunicazione, vorrei accennare a qualche argomento che
puo' sostenere la seguente tesi: la nonviolenza e' l'umanesimo adeguato
all'era storica attuale, che e' l'era del rischio nucleare ed ecologico. In
questo senso "la nonviolenza e' il varco attuale della storia" (Aldo
Capitini), cioe' l'unico passaggio verso un futuro possibile.
Quel rischio totale rivela l'impossibilita' morale e la totale
non-convenienza di ogni gestione violenta dei conflitti, specialmente se e'
gestione organizzata, istituzionale, metodica, come sono le strutture della
guerra, dell'economia di sfruttamento e di enorme diseguaglianza, le
operazioni culturali e mediatiche di inganno e manipolazione delle menti
allo scopo di dominarle.
*
L'opzione nonviolenta ha una dimensione filosofica, culturale, religiosa,
politica. Propone immagini interpretative della realta', e programmi di
comportamenti e di azione.
In un certo senso, la nonviolenza c'e' sempre stata (e' "antica come le
montagne", dice Gandhi), ma, nel nostro tempo, dopo il Novecento, ha avuto
una evoluzione di grande importanza.
La scelta di pace nonviolenta, per secoli, e' stata una scelta individuale
nei rapporti interpersonali diretti, e' stata una responsabilita' del
principe nei rapporti politici, e' stata una speranza di chi rivolgeva
esortazioni morali agli individui, ma non e' stata un programma organico
storico e politico.
Il Novecento, il secolo piu' violento e minaccioso della storia, ha visto
anche una grande maturazione della nonviolenza attiva e politica. Da Buddha
a Gesu' a Erasmo a Gandhi c'e' un cammino, nella riscoperta e sviluppo di
tesori antichi.
Da impegno morale individuale (spesso senza speranza di togliere o ridurre
la violenza dei poteri pubblici), la nonviolenza e' diventata teoria e
prassi, studio scientifico del conflitto umano, nei suoi vari tipi e
livelli; prassi sociale che, mentre e' guidata dalla teoria, offre a sua
volta alla teoria un materiale sperimentale continuamente arricchito; teoria
che si articola sul piano etico-filosofico, sul piano sociologico-storico,
sul piano psicologico-pedagogico, sul piano delle dinamiche e degli
strumenti dell'azione.
E' vero che, come dice Gandhi, "La nonviolenza non va predicata, ma
praticata" (2) ma e' vero pure che, come scrive nel 1928 Simone Weil,  "La
pace non verra' fondata dall'amore, ma dal pensiero", perche' "l'amore fa la
guerra altrettanto bene che la pace" (3).
*
Gandhi e' stato detto "il Galileo del conflitto", il fondatore di una nuova
scienza conoscitiva e pratica, personale e politica, diretta a trasformare
il conflitto umano da mortale a vitale, da nemico della vita e produttore di
morte, a compositore di ricchezza di vita e di maggiore verita'
esistenziale, nell'armonia superiore delle differenze.
Gandhi ha messo a frutto una "rivoluzione copernicana".
Nella precedente (ma tuttora persistente) visione "tolemaica", al centro del
sistema c'e' la necessita' di respingere e controllare la violenza altrui,
usando altra violenza, la propria. Questa visuale da' luogo alla "ideologia
della vittoria" (4) sull'altro, della sopraffazione giustificata dal
diritto; da' luogo alla morte inflitta alla vita pericolosa (mors tua vita
mea), o semplicemente ingombrante. In questa visuale la violenza e'
giustificata e razionalizzata, illusoriamente regolata e istituzionalizzata,
ma non rifiutata e non superata (5), bensi' accresciuta fino al pericolo
totale per l'esistenza della specie umana.
Nella visuale "copernicana", invece, il punto centrale e' la necessita' e
ricerca di liberare nell'umanita' la forza nonviolenta, di fare emergere e
nascere, dall'uomo "edito" che noi siamo, l'"uomo inedito" (Ernst Bloch,
Ernesto Balducci), finora nascosto e implicito, inespresso: un tipo di uomo
piu' cooperativo che competitivo.
Si puo' puntare in questa direzione, sospinti dalla stessa necessita' di
sfuggire alla massima distruttivita' prodotta dalla logica della violenza,
se non chiudiamo del tutto l'avventura umana negli schemi dominanti del suo
passato, ma leggiamo, con intelligenza attiva e amorosa, le sue possibilita'
inespresse.
E' tuttora "tolemaico" chi non ha imparato la lezione di Hiroshima. E'
"copernicano" chi da quella lezione ha tratto le conseguenze, imparando che
il destino umano e' unico per tutti i popoli, che la minaccia di morte e'
indivisibile, come e' indivisibile il bisogno e il diritto di vivere, come
sono indivisibili la giustizia e la liberta'.
La nuova scienza del conflitto impegna ad un lavoro di pensiero, ricerca,
sperimentazione, in tutti i campi del sapere e dell'agire umano.
*
Gandhi, come pure chi prosegue i suoi "esperimenti con la verita'", appare a
molti quasi solo come un profeta religioso, che immagina e addita un mondo
altro e diverso dall'unico reale. Uno studioso di Gandhi come Jean-Marie
Muller constata in Gandhi il primato della ragione sulla religione e afferma
che e' proprio la ragione che conduce Gandhi alla scoperta dell'esigenza di
nonviolenza (6). Gandhi e' un profeta religioso e un rinnovatore della
politica, e' un sapiente dei piu' grandi ed e' uno dei maggiori scienziati
sociali.
Di fatto, tanto in Gandhi quanto in Aldo Capitini (il filosofo italiano
della nonviolenza, pensatore di grande originalita', purtroppo ancora poco
conosciuto fuori d'Italia), religione e politica sono in profonda relazione
reciproca.
Gandhi scrive: "La mia devozione alla Verita' mi ha condotto alla politica;
e posso dire, senza alcuna esitazione, anche se con assoluta umilta', che
coloro che affermano che la religione non ha nulla a che fare con la
politica non sanno che cosa significa religione" (7).
Aldo Capitini scrive: "Per essere veramente religiosi bisogna passare per la
vita pubblica. Si puo' anche essere stiliti o eremiti per riordinare la
propria vita interiore, ma poi bisogna fare vita pubblica, e solo su questa
sorge la vita religiosa che porta aperture e aggiunta" (8).
In questi maestri della nonviolenza, non e' necessario separare religione e
politica, come  nelle nostre societa', perche' per loro la religione non e'
anzitutto istituzione, non e' una potenza sociale, ma un'animazione e
ispirazione interiore, che orienta gli animi, nel rispetto di tutte le
coscienze, senza conflitti istituzionali, a dedicarsi al bene di tutti nella
politica.
*
Questo atteggiamento dei maestri rappresenta una indicazione per tutte le
religioni: tanto per quelle diffuse in societa' a maggiore uniformita'
religiosa, col rischio di ridurre la liberta' di coscienza, quanto per
quelle presenti nelle societa' pluralistiche, che devono essere tenute
distinte dalle istituzioni politiche per rispettarne il pluralismo.
In effetti, la cultura della nonviolenza puo' ricevere un forte contributo
spirituale dalle religioni, e, a sua volta, essa contribuisce alla
purificazione e alla genuinita' delle religioni.
Il rapporto delle religioni con la ricerca di nonviolenza e' almeno duplice.
Le religioni producono sia violenza che nonviolenza. In quanto sono
tensione, ricerca, relazione con un assoluto, esse sono tentate di
intransigenza, di totalitarismo, di esclusivismo, di imposizione violenta.
Ma proprio il rapporto, vissuto piu' seriamente e interiormente, con
l'assoluto che ci trascende, con cui non possiamo identificarci, fa sentire
alle persone religiose che noi siamo tutti relativi. Allora, il senso
autentico della relazione religiosa ci rende umili, miti, nonviolenti. Il
significato migliore delle religioni esige che esse si facciano, tutte,
sempre piu' chiaramente nonviolente.
Un'opinione ritiene che le religioni monoteiste in quanto tali, e non solo
per loro colpe storiche, siano portate all'intolleranza. Eppure, proprio il
monoteismo fonda la piu' forte coscienza dell'unita' di tutta intera la
famiglia umana, nell'uguale dignita'.
Le religioni hanno un riferimento alla verita'. Alcune hanno piu' forte il
senso di una verita' ricevuta, rivelata. In ogni caso, la verita' conosciuta
e' sempre da penetrare meglio, e soprattutto da vivere fedelmente. La
verita' non e' mai posseduta ma sempre cercata, ricevuta, invocata, e sempre
veduta solo parzialmente e imperfettamente. Essa, per quanto ci e' data, non
risiede tanto nelle menti e nelle definizioni intellettuali (peraltro utili
alla vita buona, ma sempre perfezionabili) quanto negli atti pratici della
vita autentica. I nostri diversi approcci e interpretazioni della verita'
devono essere intesi come in relazione tra loro, pur nelle differenze, e non
in una opposizione escludente. Ovviamente, la verita' non si puo' diffondere
o inculcare con la forza, ad essa estranea.
Soprattutto, le religioni hanno oggi il compito di comprendere che la
verita' che possiamo conoscere, sotto diversi punti di vista, non ci "arma"
mai gli uni contro gli altri (come ha fatto chi, nella storia, ha pensato
con arroganza di imporla ad altri come "verita' armata"). Invece, la verita'
proprio ci "disarma", nel senso che ci rende piu' miti ed umili, impegnati
continuamente ad imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita piu'
giusta. La forza della verita' non e' offensiva, ma consiste nell'agire
profondamente in noi, in quanto la cerchiamo e le siamo fedeli, col renderci
piu' veri, piu' forti nel resistere al male e nel vivere il bene, per gli
altri e con gli altri.
Una grande novita' positiva del nostro tempo, nonostante ritardi e fenomeni
contrari, e' il dialogo tra le religioni, che fino a ieri si ignoravano, si
escludevano, o addirittura si combattevano. Questo dialogo, questa
"fecondazione reciproca" (Raimon Panikkar), puo' portare un importante
contributo alla cultura della nonviolenza, al superamento delle violenze
culturali.
*
La scienza nonviolenta del conflitto studia anche i meccanismi oggettivi e
le dinamiche dei conflitti umani. La buona volonta' individuale e'
necessaria, ma non e' sufficiente a superare le dinamiche violente. Uomini
buoni in strutture cattive fanno cose cattive, con volonta' buona. I sistemi
che incarnano violenza devono venire smascherati con la critica razionale e
morale e affrontati con la lotta politica nonviolenta.
Il principio etico dell'azione nonviolenta e', in generale, il "rispetto per
la vita" (Albert Schweitzer). In particolare, nel mondo di oggi,
l'imperativo morale per la liberazione dalla distruttivita' e' stato bene
espresso da Hans Jonas: "Agisci in modo che le conseguenze della tua azione
siano compatibili con la permanenza di un'autentica vita umana sulla terra"
(9). Ernesto Balducci scrive, in termini simili: "Agisci in modo che, nella
massima della tua azione, il genere umano trovi le ragioni e le garanzie
della propria sopravvivenza" (10).
Nella politica, sia come azione sia come riflessione, la nonviolenza
introduce l'esigenza di liberazione progressiva da ogni vecchia e nuova
violenza. Il pensiero di Hannah Arendt mostra che potere politico autentico
e violenza si escludono a vicenda. Dove c'e' il potere di agire insieme
nella polis, non c'e' violenza. Dove c'e' violenza, manca il potere
politico. Il potere deve essere pensato in modo nuovo, non come dominio di
alcuni sugli altri, ma come possibilita' e capacita' di ciascuno,
riconosciuta, sviluppata e liberata in tutti. E' questa la prospettiva del
"potere di tutti", indicata da Aldo Capitini (11): la possibilita' di
orientarsi liberamente e agire insieme attorno ai problemi di tutti.
L'obiettivo moderno dello stato di diritto e della democrazia e' importante
e irrinunciabile, ma occorre vedere la contraddizione profonda tra l'essenza
della democrazia e la guerra. La democrazia e' fondata sull'umanesimo dei
diritti umani, che sono universali, di ogni persona, e non solo dei
cittadini di uno stato particolare. La guerra offende i diritti umani in
modo totale. Non puo' dire di difenderli, mentre li offende. L'uso della
guerra - specialmente se eretto a metodo, come oggi tragicamente avviene di
nuovo - e la politica securitaria, che esaspera l'esigenza di sicurezza per
rafforzare il potere, distruggono anche la democrazia interna.
La realizzazione della democrazia implica l'abolizione della guerra.
La politica e' pace, oppure non e' politica. Essa va ripensata, piu' avanti
della democrazia formale (le "regole del gioco"), per vedere che essa
consiste nella costruzione della pace, percio' nella soluzione nonviolenta
dei conflitti, non solo interni, ma anche esterni allo stato. Al contrario
della disastrosa concezione di Carl Schmitt, la politica e' pace, altrimenti
non costruisce la polis umana, ma la nega.
*
Norberto Bobbio ha scritto: "Esiste una grande filosofia della guerra...,
non esiste una grande filosofia della pace" (12). E' cosi' soltanto in
apparenza. Cio' e' vero nella filosofia dei libri e delle accademie, nel
pensiero vicino alle classi dirigenti che hanno esercitato il potere duro.
Ma c'e' un pensiero antico e contemporaneo, in tutte le culture, un pensiero
in crescita, che osserva e interpreta le quotidiane esperienze di
con/vivenza di base tra gli esseri umani, ovunque. Questa, anche se non
appare tecnicamente come filosofia, e' una sapienza vissuta e riflessa, che
oggi va sviluppando anche la propria espressione politica e l'argomentazione
razionale e valoriale. Gandhi, con una osservazione meditata, mostra come,
sotto il fracasso delle guerre e delle sopraffazioni, nella vicenda umana
continua c'e' piu' pace che guerra (13).
Le filosofie del dialogo e dell'alterita', sviluppate nel Novecento,
contribuiscono a fondare e chiarire il pensiero della pace (14). La
convivenza degli umani in societa' ha bisogno non solo di limitare e
controllare il potere pubblico (grande tradizione del costituzionalismo), ma
di vedere con chiarezza il valore inviolabile di ogni persona. Questo valore
da' fondamento al diritto di ognuno alla pace e alla giustizia, e toglie
ogni diritto statale alla guerra (Statuto delle Nazioni Unite, art. 2, non
contraddetto dagli artt. 47 e 51).
Il pensiero della politica e' spinto dall'esigenza di nonviolenza a superare
il realismo stretto e soffocante di Machiavelli e di Hobbes. Machiavelli non
e' tanto il "fondatore della scienza politica" (cosi' definito comunemente,
anche da Raymond Aron) quanto il fondatore "della scienza politica del
dispotismo" e delle relative tecniche (15).
Per Hobbes, la pace tra gli uomini e' possibile solo se imposta da un potere
superiore. Ma questa e' soltanto la "pace d'impero" (16). Un tale pessimismo
antropologico rinuncia a sviluppare nelle persone e nelle societa' le
capacita' di convivenza libera e giusta, nella dignita'. Non si tratta,
certamente, di giocare una stupida lotteria tra pessimismo e ottimismo, ma
di intendere l'ottimismo come lo intende Dietrich Bonhoeffer (che rileggiamo
a 60 anni dal suo martirio), quando scrive agli amici le sue riflessioni
"dopo dieci anni" di nazismo in Germania: "la forza di tener alta la testa
quando sembra che tutto fallisca, ... volonta' di futuro, anche quando
dovesse condurre cento volte all'errore, ... salute della vita" (17).
L'ottimismo serio non e' attesa del meglio, ma lavoro per il meglio.
*
L'educazione e la pedagogia, secondo l'esigenza di nonviolenza, vogliono
aiutare il bambino (e chiunque) a scoprire in se stesso il riconoscimento e
l'identificazione con l'altro, il quale ha un valore uguale al nostro,
attraverso la differenza. Tale riconoscimento e' espresso, in tutte le
sapienze umane, dalla universale "regola d'oro".
La psicologia ci insegna che la maggiore possibile felicita' umana si
realizza nelle buone relazioni con gli altri. La buona relazione reciproca
si cerca e si costruisce, da parte di ciascuno, con una tenace offerta di
fiducia e di valorizzazione dell'altro. Il "ben vivere", pur nei limiti
della nostra esistenza, viene dal riconoscere e seguire quel "codice del
bene", nascosto in noi, sotto gli erramenti umani (18). La  scoperta che il
"vita tua vita mea" e' piu' vero e felice del "mors tua vita mea" ci
introduce in quel sapiente universalismo spirituale e pratico (19) che puo'
dare un'anima umana al nostro mondo oggi materialmente ma iniquamente
unificato, minacciato dalla incapacita' di accettare le diversita'.
L'eterna domanda se la natura umana sia piuttosto violenta o nonviolenta,
incontra risposte contrastanti, perche' contrastanti sono le esperienze e i
casi umani. Ma, se vediamo che la nostra natura non e' fissa e immutabile,
ma soprattutto in/definita, aperta, plasmabile, orientata dalla cultura
dell'ambiente umano in cui viviamo, allora ritroviamo la possibilita' di
sviluppare le nostre capacita' di positiva pacifica "con/vivenza", di
organizzare sistemi del vivere insieme senza violenza e offesa.
*
La pace e' anche un'arte: arte come espressione sensibile di sentimenti,
immagini e significati riconcilianti, ma anche come capacita' artigianale di
invenzioni fuori dagli schemi ripetuti e dal "pensiero unico": "Un altro
mondo e' possibile". Senza questa inventiva, l'umanita' e' tarpata e chiusa,
condannata a ripetere i suoi errori e dolori. Qualche esempio: superare
l'idea rigida di "confine" territoriale e di assolutezza statale;
oltrepassare l'idea di giustizia retributiva verso esperienze di giustizia
ricostruttiva (Commissione Verita' e Riconciliazione in Sudafrica); pratiche
di economia solidale, libera dal dogma dell'avidita' umana.
Questi sono atti dell'arte della pace, fino - speriamo per il futuro - a
neutralizzare le malefiche arti belliche. "Un giorno gli uomini si
vergogneranno di avere fabbricato le armi", ha detto Ernesto Balducci. Noi
gia' ora ci vergogniamo totalmente, e percio' fabbrichiamo - non importa con
quanta fatica - le varie arti della pace nonviolenta.
La pace non puo' essere soltanto un "contratto" (pax, pactum) instabile,
perche' fondato su equilibri di forze opposte (se non avverse). Simone Weil
mostra che, prima di ogni "contratto sociale", c'e' un felice "obbligo"
umano reciproco, che ci assicura e ci libera insieme, piu' ancora che
legarci (20), ed e' il fondamento comune, che ci offriamo a vicenda, dei
diritti di ognuno e di tutti.
La pace puo' venire istituita solo dalla rinuncia alla violenza, dalla
liberazione progressiva dalla propria violenza - Gewaltfreheit - prima che
dalla violenza altrui.
La pace e' un cammino continuo, personale, sociale, storico, attraverso
alcuni passi: la a-himsa; la in/dipendenza interiore dai meccanismi
dell'inimicizia; il coraggio e la forza del satyagraha; la testimonianza
sempre sicura, anche in caso di sconfitta, data a chi continuera' il cammino
nella nonviolenza.
La nonviolenza e' piu' realistica della violenza (21). La cultura e la
politica di guerra obbediscono alla convinzione fanatica e stolta di poter
togliere il male per mezzo del male, e producono piu' pesanti effetti
irreversibili. In realta', l'etica della responsabilita' in relazione a
tutte le conseguenze dei nostri atti, prevedibili o imprevedibili, si
realizza nella ricerca della pace nonviolenta.
*
Note
1. Si puo' trovare in rete la bibliografia storica sulle lotte nonviolente
"Difesa senza guerra", da me curata.
2. Mohandas K. Gandhi, Nonviolence in Peace and War, Navajivan Publishing
House, Ahmedabad 1948, I, 129.
3. Simone Weil, Oeuvres completes, vol. I, t. II, Gallimard, Paris 1988, p.
48, cit. in Jean-Marie Muller, Simone Weil, l'esigenza della nonviolenza,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994, p. 27.
4. Cfr Enrico Peyretti, Dov'e' la vittoria?, Il Segno dei Gabrielli editori,
Nogarine (Verona) 2005.
5. Cfr Ernesto Balducci, La terra del tramonto, Edizioni Cultura della Pace,
Fiesole (Firenze) 1992.
6. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Plus, Pisa 2004, pp. 250-252.
7. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996, p. 31.
8. Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 385.
9. Hans Jonas, Il principio responsabilita'. Un'etica per la civilta'
tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. 16.
10. Ernesto Balducci, La terra del tramonto, op. cit., p. 183.
11. Aldo Capitini, Il potere di tutti, con un saggio introduttivo di
Norberto Bobbio, La Nuova Italia, Firenze 1969.
12. Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il
Mulino, Bologna 1979, p. 163 (e edizioni successive).
13. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, op. cit., pp.
62-65.
14. Cfr, per esempio, Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di
Aldo Capitini, Cittadella editrice, Assisi 2004, specialmente nelle pp.
163-176.
15. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, op. cit., p. 128.
16. Norberto Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, op. cit.,
pp. 178-180.
17. Dietrich Bonhoeffer, Dieci anni dopo, in Idem, Resistenza e resa,
edizione italiana a cura di Alberto Gallas, Edizioni Paoline, Milano 1989,
pp. 72-73.
18. Vedi Roberto Mancini, Il silenzio, via verso la vita (ma il titolo piu'
proprio e' Il codice nascosto. Silenzio e verita'), Edizioni Qiqaion, Bose
2002, capitolo V, pp. 173-221.
19. Nel campo della ricerca di orientamenti etici universali si possono
indicare le opere di Pier Cesare Bori, di Hans Kueng, di Raimon Panikkar, e
altri.
20. Simone Weil, La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri
verso l'essere umano, Leonardo, Milano 1996.
21. Cfr Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, op. cit., p. 302. Cfr
anche Ernesto Balducci - Lodovico Grassi, La pace, realismo di un'utopia,
Principato, Milano 1985.

4. MAESTRE. SOFIA VANNI ROVIGHI: SCOMODA LIBERTA'
[Da Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, La scuola, Brescia 1963,
1982, volume III, p. 151 (e' la prosecuzione del frammento che abbiamo
proposto ieri). Sofia Vanni Rovighi, nata nel 1908 e deceduta nel 1990,
filosofa e storica della filosofia, fu a lungo docente alla Cattolica di
Milano, autrice negli anni trenta di importanti contributi su Husserl e
Hartmann, tra le figure piu' vive della filosofia neoscolastica, vicina alla
fenomenologia ed autrice di importanti lavori sulla teoria della conoscenza.
Tra le opere di Sofia Vanni Rovighi segnaliamo particolarmente i tre volumi
degli Elementi di filosofia, La Scuola, Brescia; sul piano del lavoro
storiografico, critico e didattico cfr. inoltre Introduzione a Tommaso
d'Aquino, Laterza, Bari; Introduzione a Anselmo d'Aosta, Laterza, Bari;
Storia della filosofia moderna, La Scuola, Brescia; segnaliamo inoltre la
cura dell'antologia scolastica di Galileo Galilei, Antologia, La Scuola,
Brescia]

Credere alla liberta' e' scomodo, mentre il non crederci ci dispensa da ogni
impegno; perche' il credere alla liberta' ci porta ad essere umili di fronte
agli atti di bonta' compiuti dagli altri e ci fa desiderare di essere
migliori, mentre il non crederci ci fa pensare che siamo tutti uguali; che
l'uomo buono opera cosi' perche' e' fatto cosi' e prova gusto a far cosi',
secerne bonta' come il suo stomaco secerne i succhi gastrici, e noi operiamo
meno bene perche' siamo fatti cosi', come abbiamo uno stomaco che secerne
meno succhi gastrici di un altro. Ora il credere che si ha una scala da
salire e' piu' scomodo del credere che si e' gia' in vetta.

5. MATERIALI. PINA LA VILLA: UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA PER UN CORSO SULLE PARI
OPPORTUNITA'
[Dal sito di "Giro di vite" (www.girodivite.it) riprendiamo la seguente
minima bibliografia e sitografia proposta in un corso tenuto dall'autrice
sulla tematica delle pari opportunita'. Pina La Villa, acuta saggista, e'
redattrice di "Giro di vite", dove in particolare cura la rubrica "Segnali
di fumo" ed ha pubblicato rilevanti materiali sul pensiero delle donne]

a) Testi di riferimento del corso
- AA. VV. (con il coordinamento di Georges Duby e Michelle Perrot), Storia
delle donne, (5 voll.), Laterza, Roma-Bari 1992, 1996.
- Anna Bravo, Anna Foa, Lucetta Scaraffia, I fili della memoria, (libro di
testo per gli istituti superiori, 3 voll. + 3 quaderni operativi e una guida
per l'insegnante), Laterza, Roma-Bari, 2001.
- Anna Rossi Doria (a cura di), La liberta' delle donne, Rosenberg &
Sellier, Torino 1990.
- Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1999.
- Elisabeth Badinter, La strada degli errori. Il pensiero femminista al
bivio, Feltrinelli, Milano 2004.
- G. De Martino, M. Bruzzese, Le filosofe. Le donne protagoniste della
storia del pensiero, Liguori editore, Napoli 1994.
*
b) Sulle pari opportunita'
- AA. VV., Le parole delle pari opportunita', in "Adultita'", quaderno 2,
gennaio 2000.
- Laura Balbo (a cura di), Tempi di vita, Feltrinelli, Milano 1992.
- Fiorella Farinelli, Formare la parita', Ediesse, Roma 1993.
- Nella Ginatempo, Donne al confine. Identita' e corsi di vita femminili
nella citta' del Sud, F. Angeli, Milano 1994.
*
c) Su Simone de Beauvoir
- Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982.
- Marisa Forcina, Simone de Beauvoir, in "Donne in filosofia", Lacaita,
Manduria, 1990.
- Nicola Abbagnano, Introduzione all'esistenzialismo, Mondadori, Milano
1989.
- Pietro Prini, Storia dell'esistenzialismo, Edizioni Studium, Roma 1989.
- Fiorella Bassan, Filosofia e narrazione: una rilettura di Simone de
Beauvoir, in "Sofia", n. 0, gennaio-giugno 1996.
- Renate Siebert, saggio introduttivo a Simone de Beavoir, Il secondo sesso,
Il Saggiatore, Milano 1999.
*
d) Sulla storia di genere
- Simonetta Piccone Stella, Chiara Saraceno (a cura di), Genere. La
costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna 1996.
- Gianna Pomata, Storia particolare e storia universale: in margine ad
alcuni manuali di storia delle donna, in "Quaderni storici", n. 74, agosto
1990.
*
e) Sulla letteratura
- Marina Zancan, Il doppio itinerario della scrittura, Einaudi, Torino 1998.
- Mariri' Martinengo, Le Trovatore II. Poetesse e poeti in conflitto, (testi
provenzali con traduzione a fronte), Libreria delle donne, Milano 2001.
*
f) Sul mondo attuale
- Sara Ongaro, Le donne e la globalizzazione. Domande di genere all'economia
globale delle riproduzione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001.
- Barbara Ehrenreich, Arlie Russell Hochschild, Donne globali. Tate, colf e
badanti, Feltrinelli, 2004.
- Melita Richter e Maria Bacchi (a cura di), Le guerre cominciano a
primavera. Soggetti e genere nel conflitto jugoslavo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2003.
*
g) Sulla filosofia
- Elena Pulcini, L'individuo senza passioni, Bollati Boringhieri, Torino
2001.
- Francesca De Vecchi (a cura di), Filosofia ritratti corrispondenze. Hannah
Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, (testi di Laura Boella,
Roberta De Monticelli, Rosella Prezzo, Maria Concetta Sala), Tre Lune
Edizioni, Mantova 2001.
- Giovanna Borrello, Il lavoro e la grazia. Un percorso attraverso il
pensiero di Simone Weil, Liguori, Napoli 2001.
- Chiara Zamboni, Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio,
Liguori, Napoli 2001.
*
h) Riviste italiane:
- "DWF - Donna Woman Femme", trimestrale di ricerche e analisi di storia e
sociologia della donna, via 5. Benedetto in Arenula 6, 00186 Roma.
*
i) Siti internet
www.sussidiario.it/forum/collaboratori/messages/1097.shtml
www.libreriadelledonne.it (la politica della Libreria delle donne di Milano)
www.womenews.net (il giornale del "Paese delle Donne")
www.societadelleletterate.it/Pub/ (associazione di donne impegnate nella
ricerca della scrittura e della letteratura)
www.autoriformagentile.too.it (la scuola, il sapere di chi vi insegna)
www.girodivite.it/sherazade.htm (rivista di storia e didattica)
www.girodivite.it/antenati.org (rivista di storia delle letterature europee)

6. RIVISTE. CON "QUALEVITA", RICORDANDO DON MILANI
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ricordando
don Milani.
*
"Io ho chiamato tutti i ragazzi e ho raccontato la cosa in presenza a tutti
facendo diventare i torinesi di tutti i colori perche' non s'aspettavano che
non tenessi nessun segreto coi ragazzi" (Lorenzo Milani, da una lettera alla
madre del 20 luglio 1960, in Idem, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti,
Genova 1990, p. 337).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 939 del 24 maggio 2005

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