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Nonviolenza. Femminile plurale. 9
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 9
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 Apr 2005 14:01:26 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 9 del 28 aprile 2005 In questo numero: 1. Giulia Allegrini: Donne, popoli indigeni e resistenza nonviolenta 2. Giulia Allegrini: "Siamo indigene, siamo povere e siamo donne. Dobbiamo lottare tre volte. Scegliendo la nonviolenza, che e' femminile" (parte prima) 3. Bojana Stoparic: Le donne palestinesi hanno sempre meno diritti 4. Ida Dominijanni: Lapidazioni e punizioni esemplari 5. Luciana Percovich: Il nuovo tecnologico e la coscienza femminile (1996) 1. INCONTRI. GIULIA ALLEGRINI: DONNE, POPOLI INDIGENI E RESISTENZA NONVIOLENTA [Da "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio 2005 (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org). Giulia Allegrini e' impegnata in esperienze di pace, per i diritti, per la nonviolenza] Lo scorso novembre si e' tenuta a Rovereto la dodicesima edizione del corso internazionale organizzato annualmente dall'Universita' internazionale dei popoli per la pace (Unip). Articolato in sei seminari svoltisi nell'arco di tre settimane, quest'anno si e' rivolto ad esperti attivisti indigeni membri di organizzazioni e movimenti operanti in varie parti del mondo per la promozione dei diritti dei popoli indigeni. I temi trattati sono stati l'internazionalizzazione dei movimenti dei popoli indigeni, la protezione dei popoli e delle loro culture a livello internazionale, sviluppo sostenibile per i popoli indigeni, il diritto all'autodeterminazione in rapporto allo stato e al suo potere, tecniche e strategie di resistenza e lotta nonviolenta. La nonviolenza oltre ad essere stata contenuto di parte del corso e' stata anche il principio base attorno cui e' stato organizzato il corso stesso. Questo e' stato infatti concepito come momento collettivo di scambio aperto di idee, pratiche, esperienze, pensieri, tra relatori e partecipanti appartenenti a contesti culturali, sociali, politici ed anche religiosi e spirituali differenti. Un processo di ricerca maieutico. L'intento di fondo dell'Unip nel lanciare questa iniziativa e' stato quello di promuovere un percorso educativo orientato all'azione, in grado cioe' di sollecitare un "percorso operativo" e di favorire "l'acquisizione di nuove risorse di potere nonviolento quali la stima di se', il coraggio, le conoscenze, la capacita' di promuovere valori fondamentali condivisi, la creativita', la progettualita', la competenza e il networking". Tutto cio' si traduce anche in canale di partecipazione dal basso, "attraverso processi di empowerment che integrino un apprendimento critico di conoscenze, esperienze di vita e lavoro e azione in modo tale da favorire lo sviluppo integrale dell'individuo umano rafforzando quel senso di responsabilita', solidarieta', fiducia senza cui una societa' pacifica non puo' esistere". L'Unip si e' fatta anche quindi promotrice di una riflessione, di un dibattito sempre piu' urgente e purtroppo ancora molto lacunoso rispetto alle istanze relative alla questione indigena, e che spesso si concretizza piu' in un processo dall'alto, portato avanti a livelli istituzionali che non sono in grado di coinvolgere attivamente le comunita' indigene. La questione indigena inizia ad emergere ancora in tempi relativamente recenti, negli anni '80. E' infatti nel 1982 che nasce il Working Group on Indigenous Population (Wgip) presso le Nazioni Unite a Ginevra, con un doppio mandato: esaminare gli avvenimenti che a scala nazionale, regionale, mondiale sono in rapporto con i diritti umani e le liberta' fondamentali dei popoli indigeni; elaborare nuove norme internazionali sui diritti dei popoli indigeni. E' uno dei gruppi di lavoro della Sottocommissione per la prevenzione delle discriminazioni e la protezione delle minoranze. Vi possono partecipare osservatori dei governi, agenzie specializzate dell'Onu, le organizzazioni non governative (ong) e tutte le organizzazioni, popoli o comunita' indigene interessate. Annualmente il Gruppo prepara un documento e lo sottopone alla Sottocommissione che a sua volta propone raccomandazioni e conclusioni alla Commissione. A livello di Sottocommissione partecipano pero' oltre ai rappresentanti dei governi solo le ong con status consultivo, cioe' quelle che dopo un lungo iter burocratico hanno avuto il riconoscimento del diritto ad intervenire come consulenti speciali su alcuni temi. Questo vuol dire che c'e' una scarsa rappresentativita' delle organizzazioni indigene, cosa che ha fatto reclamare un maggior coinvolgimento a livelli superiori al Wgip. Si e' poi arrivati quindi alla creazione di un Foro Permanente con il mandato di "elevare la coscienza e promuovere l'integrazione e il coordinamento delle attivita' in rapporto con i temi indigeni all'interno del sistema delle Nazioni Unite". Al Foro partecipano solo degli esperti eletti in rappresentanza di gruppi indigeni divisi per grandi aree geografiche. Quindi manca un organo che permetta un'effettiva e diretta partecipazione delle piu' volte citate comunita' indigene. Allo stesso Wgip inoltre le ong possono presentare denuncie per violazione dei diritti umani, ma l'organo non e' abilitato a raccoglierle e ad investigare, ne' a fare raccomandazioni ai governi. Nel 1985 il Wgip aveva elaborato un progetto di Dichiarazione dei diritti delle popolazioni indigene, nel 1993 l'Onu aveva proclamato l'Anno Internazionale per le popolazioni indigene e si era arrivati alla stesura della Dichiarazione, ma questa, a distanza di cosi' tanti anni, e a conclusione della Decade internazionale dei popoli indigeni proclamata' nel 1995, non ha ancora nessuna forza giuridica, in quanto approvata solo dalla Sottocommissione, ma non dagli organi superiori, ossia l'Ecosoc, la terza commissione dell'Assemblea generale e l'Assemblea generale in seduta plenaria. La Dichiarazione sarebbe uno strumento valido per i popoli indigeni per affermare la propria identita' e i propri diritti, e il rispetto dei propri valori e culture. In assenza di una piu' forte risposta a livelli istituzionali internazionali le popolazioni indigene continuano ad attivarsi e resistere e lo fanno soprattutto attraverso pratiche nonviolente. La possibilita' datami dall'Unip di partecipare per tre giorni ad un seminario del corso su "identita' e azione nonviolenta" tenuto da Chaiwat Satha-Anand, mi ha permesso di essere osservatrice del prezioso scambio di queste esperienze di lotte nonviolente e quindi poterlo in parte testimoniare attraverso interviste fatte al relatore e ad alcuni partecipanti. Dare infatti la voce ai soggetti, agli attori di queste pratiche, risponde ad uno se non al piu' importante obiettivo che "Azione nonviolenta" si propone di portare avanti. 2. INCONTRI. GIULIA ALLEGRINI: "SIAMO INDIGENE, SIAMO POVERE E SIAMO DONNE. DOBBIAMO LOTTARE TRE VOLTE. SCEGLIENDO LA NONVIOLENZA, CHE E' FEMMINILE" (PARTE PRIMA) [Da "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio 2005 (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)] Diviene sempre piu' urgente la necessita' di dare voce ad un punto di vista specifico delle donne, rispetto alla nonviolenza. Nelle interviste che seguono si sono affrontati diversi aspetti e problematiche relative ai diritti dei popoli indigeni. Quello che e' emerso e' che la lotta da loro portata avanti e' una lotta che deve saper rispondere allo stesso tempo a tante questioni. Si devono infatti confrontare non solo con l'affermazione di diritti civili, politici ed economici, ma devono anche saper conservare la loro identita', contro tentativi di assimilazione, integrazione o ghettizzazione, per non perdere la loro cultura, le loro tradizioni, per conservare intatta anche la loro memoria storica. Devono lottare contro grandi multinazionali oltre che contro i loro stessi stati, e a volte, come per le donne, devono riuscire a confrontarsi con le loro stesse comunita' di appartenenza. La comunita' internazionale non ha ancora dato vita ad un sistema di tutela e garanzia efficace dei diritti dei popoli indigeni. Inoltre, si deve constatare che e' spesso assente nel dibatto accademico, all'interno delle associazioni e dei movimenti in generale, un approccio alla nonviolenza che sia piu' attento alle esperienze, vissuti, punti di vista delle donne rispetto alla violenza, in tutte le sue forme e dimensioni, sia essa culturale, fisica e strutturale, e quindi anche alle specifiche pratiche di nonviolenza portate avanti. Ma quello che queste interviste dicono e dimostrano e' che comunque e sempre e' nella quotidianita', e' nelle comunita' del mondo che sono lontane troppo spesso dai grandi centri di decisone e di gestione del potere, che soprattutto si possono produrre dei cambiamenti, delle trasformazioni. * Maasai, Kenya: intervista a Mary Simat, direttrice esecutiva di Maasai Women for Education and Economic Development (Maweed) - Giulia Allegrini: Quali sono le attivita' e gli ambiti di intervento dell'associazione in cui e' attiva? - Mary Simat: Sono una donna indigena del Kenya, un'attivista per i diritti umani dei Maasai. Vengo dal sud-ovest del Kenya, da Narok. Sono presidente del comitato di coordinamento dell'Aipac. L'associazione fa parte del Cbo, un organo di coordinamento di 14 gruppi di donne Maasai del distretto di Narok. Le donne Maasai partecipano alla designazione e implementazione delle attivita' dei progetti attraverso il nostro approccio partecipativo "Rural Appraisal", ossia un'indagine condotta nelle zone rurali che viene usata per raccogliere le questioni conflittuali che emergono come risultato della disuguaglianza di genere. Ma a causa della nostra cultura e' molto difficile riconciliare le divisioni di genere all'interno della comunita' Maasai. Il principale obiettivo dell'associazione e' quindi quello di lottare per i diritti delle donne maasai, in quanto le donne maasai sono le piu' oppresse dal punto di vista socio-economico e politico. Gli ambiti in cui lavora soprattutto l'associazione sono pertanto quelli della violenza contro le donne, che si manifesta in differenti modi anche in termini di esclusione delle donne alla successione della terra, la presa di coscienza delle donne dei loro diritti. La cultura maasai infatti vede le donne, soprattutto le giovani, come proprieta' o risorsa che genera guadagno, pertanto sono spesso escluse dall'educazione. Questo anche a causa della poverta' che fa si' che non tutti i figli possono andare a scuola, e tra loro, a causa della cultura tradizionale, quelli che a scuola ci vanno sono sempre maschi. Le figlie che riescono ad iniziare la scuola, non riescono a completarla, sempre a causa della cultura e delle pratiche tradizionali, quali il matrimonio concordato in giovane eta' o l'infibulazione e le mutilazioni genitali. La sensibilizzazione diviene quindi fondamentale: quando educhi una ragazza educhi tutta la comunita'. - Giulia Allegrini: L'ultimo premio Nobel per la pace e' stato dato ad una donna africana del Kenya, che per la sua lotta e' stata piu' volte picchiata e imprigionata, questo fa riflettere come sia spesso molto piu' difficile per le donne lavorare nell'ambito dei diritti delle donne e della pace. Quali ostacoli ha incontrato la vostra associazione? - Mary Simat: Per noi l'ostacolo non e' tanto la polizia, quanto la resistenza della comunita'. Gli uomini non vogliono che le donne possiedano terra, ricevano educazione. A volte non ci permettono di andare in alcuni villaggi. La comunita' maasai e' conosciuta per essere molto resistente. Ad esempio una volta mi si e' presentata una donna che per adulterio era stata picchiata fortemente, e non dal marito, ma dal fratello, mentre l'uomo non ricevette nessuna punizione, stava in piedi la' mentre lei veniva picchiata. Cosi' ho deciso nel 2001 di provare ad ottenere la posizione di Capo all'interno della comunita', per poter garantire maggior giustizia alle donne. Gli ostacoli derivano poi dal conflitto stesso. Le donne infatti si polarizzano a causa dell'impatto del conflitto ed esitano ad abbracciare la lotta per emancipare se stesse, in un contesto di violazioni gravi dei diritti umani e di poverta' endemica tra le donne maasai. Discriminazioni e violenza contro le donne, come parte del conflitto, conducono ad una mancanza di partecipazione pubblica delle donne indigene. La stessa struttura del governo, la costituzione, le leggi elettorali e le politiche governative causano una generale diminuzione del potere politico. - Giulia Allegrini: Ha accennato prima alla difficolta' di accesso all'eredita' di terra per le donne. Questo credo sia un punto centrale su cui molte donne in Africa nel suo complesso si trovano a lottare. - Mary Simat: Credo che in Africa le questioni riguardanti le donne siano piu' o meno simili. Le donne lavorano duramente nelle farms (fattorie), sono loro che si ritrovano a portare avanti il piu' duro lavoro. Le donne Maasai lavorano 18 ore al giorno. Sono nei campi dalle 4 del mattino. Nonostante questo non hanno alcun diritto ad ereditare la terra. Non ci sono leggi che lo prevedono e la pratiche culturali lo impediscono. Hanno il compito di mantenere una comunita' attraverso questo lavoro ma dipendono da altri per potere accedere, possedere terra. Nei casi poi di donne rimaste vedove con figli in assenza di leggi che garantiscono il diritto di accesso alla terra la situazione che si ritrovano a vivere e' spesso drammatica. Quindi e' proprio la cultura, che sta alla base di una societa', con le leggi che la regolano, che porta ad una doppia discriminazione delle donne, cioe' come indigene e come donne. - Giulia Allegrini: Da tempo ormai attraverso numerose convenzioni e conferenze delle donne, penso soprattutto a quella di Nairobi del 1985, si e' definito cosa vuol dire pace per le donne. Cosa vuol dire pace e nonviolenza per le donne in Kenya? - Mary Simat: Credo che ogni modo di fermare la violenza o usare la nonviolenza dipenda molto dal luogo da cui si proviene. Culture differenti determinano approcci differenti. Creare pace in una comunita' vuol dire riuscire a mettere tutti insieme, donne, bambini, anziani. Agire in modo nonviolento in una comunita' vuol dire capire la cultura e quindi vedere come approcciarsi a parlare agli anziani o alle donne. La pace in una comunita' e tutto cio' che ad essa e' legato, lo sviluppo, quindi l'educazione, sono tutte cose che devono venire dalla gente indigena, non da fuori. E' la gente che parla la stessa lingua della comunita', che capisce profondamente il suo funzionamento che deve intervenire. E' comunque un processo lento. Bisogna avere coscienza dei tempi necessari. Ci vuole pazienza. Per le donne poi la violenza ha varie forme, si manifeste in diversi tipi di ingiustizia e di discriminazione. Rispetto a questo comunque e' importante tenere conto dell'approccio che si usa in base alla diversita' culturale. - Giulia Allegrini: Pensa che a livello internazionale il movimento delle donne ponga attenzione alla necessita' di legare differenti approcci? - Mary Simat: I trattati internazionali che riguardano le donne sono fatti ad un alto livello istituzionale, non di base, "grassroot". Sappiamo che non significano nulla se non sappiamo come implementarli in concreto. Credo anche che le donne educate che lottano per i diritti non tengano tanto conto di quelle che non lo sono. Credo anche che le donne africane abbiano bisogno delle loro proprie convenzioni che tengano conto dei propri valori culturali. Bisogna si' trovare degli standard condivisi comuni a livello internazionale, ma bisogna anche fare attenzione al rispetto della diversita'. - Giulia Allegrini: Questo divario tra alti livelli istituzionali e quello di base grass root, che fa si' che le convenzioni per le donne non abbiano anche una "appartenenza" locale, si riproduce per qualsiasi convenzione, soprattutto per gli accordi di pace... non crede? - Mary Simat: Sono completamente d'accordo. Anche perche' i diplomatici che si vanno a sedere ad un tavolo e decidono che cosa e' la pace non sanno assolutamente poi come implementare concretamente l'accordo. Non sono per nulla dentro il problema. I diplomatici esistono anche a livello grass root, nelle comunita' di tutto il mondo. * Ecuador Il movimento indigeno ecuadoriano: un esempio di resistenza e lotta politica nonviolenta per l'affermazione di diritti collettivi, dell'interculturalita', di uno stato multinazionale e per la preservazione della propria terra. L'Ecuador, come la maggior parte dei paesi latinoamericani, soffre le conseguenze del colonialismo. La poverta', la discriminazione, lo sfruttamento della popolazione indigena non sono scomparsi, sono sorretti da un "colonialismo interno" portato avanti da sistemi di stampo dittatoriale, segnati spesso da una forte corruzione. L'esproprio di terre da parte di multinazionali petrolifere e minerarie completa il quadro. Il presidente Gutierrez eletto nel 2002, dopo avere goduto dell'appoggio del movimento indigeno attraverso un'alleanza tra questo e l'attuale partito di governo, ha poi disconosciuto tale alleanza e ha iniziato una politica economica in sintonia con il Fondo monetario internazionale (Fmi), con Bush, ma soprattutto ha instaurato un regime ed ha iniziato una politica di repressione e di persecuzione nei confronti del movimento indigeno, attraverso minacce alle stazioni radio loro sostenitrici, la predisposizione di una "lista nera" che include leaders indigeni, l'assassinio di un membro di Protoecuador che aveva denunciato atti di corruzione, l'imprigionamento del presidente del Movimento Indigeno della regione della Sierra, l'attentato al presidente della Confederazione delle Nazioni Indigene dell'Ecuador. Tuttavia il movimento indigeno ecuadoriano rimane un esempio, un riferimento nell'intero continente per la sua forza e capacita' organizzativa nel portare avanti una lotta politica con mezzi nonviolenti e pacifici a difesa dei propri diritti, della propria cultura e della propria terra [come e' ovvio, questo articolo e l'intervista seguente risalendo alla fine del 2004 (ed essendo stati pubblicati alcuni mesi fa), sono stati realizzati prima dei recenti sviluppi della situazione in Ecuador - ndr -]. * Conaie, Ecuador: intervista a Ninfa Patino - Giulia Allegrini: Potrebbe parlarmi un po' del suo lavoro in Ecuador, dell'associazione in cui e' attiva? - Ninfa Patino: Sto lavorando nella Confedaracion de Nacionalidades Indigenas del Ecuador (Conaie), l'organizzazione piu' importante dell'Ecuador, creata nel 1986, con il fine di far rispettare i diritti indigeni, l'educazione interculturale, l'autonomia, il diritto alla terra e per fare ratificare la convenzione Oit (Organizzazione internazionale del lavoro, nota anche con l'acronimo inglese Ilo) sui diritti degli indigeni. Attualmente il movimento indigeno e' la terza forza politica piu' importante. Nel congresso ecuadoriano ci sono rappresentanti degli indigeni. E' un momento decisivo nella storia politica dell'Ecuador. Si viene a conoscere il movimento indigeno nel 1990, con il primo "levantamento". Da quel momento si hanno prese di posizione e successi del movimento indigeno, tanto che e' riuscito a fare cadere due presidenti. Nell'anno 2000 il movimento fece cadere il presidente Bucaram prima e Mahuad poi, che con il suo governo porto' nel paese una forte crisi bancaria e cambio' la moneta dell'Ecuador in dollaro. - Giulia Allegrini: In che momento della storia politica dell'Ecuador e' nato il Conaie? - Ninfa Patino: Il Conaie nacque nel 1986 per far rispettare i diritti degli indigeni, perche' prima di quel momento i governi non tenevano in considerazione alcuna l'identita' degli indigeni. Nel 1996 il Conaie e' riconosciuto come la massima rappresentanza degli indigeni della costa, della terra e della foresta amazzonica. Nel 1998 si ratifica la convenzione 169 per il rispetto dei diritti indigeni, si riforma la Costituzione dello Stato e si riconosce l'esistenza del popolo di nazionalita' indigena. Si riconosce il territorio, soprattutto l'Amazzonia, le lingue. Quindi a partire da questa data si riconosce che ci sono 27 popoli e nazionalita': 13 nell'Amazzonia e nella zona delle coste e 14 nella terra. Questo e' importante perche' a partire da questa data cambia la denominazione. E' anche un momento importante perche' si riconoscono i diritti delle donne indigene, e nel contesto della rappresentanza le donne cercano di far parte di una rete internazionale continentale che si chiama "Enlace continental de las mujeres indigenas" e il coordinamento si concentra nell'Ecuador. Questo significa che il coordinamento delle donne indigene a livello sudamericano e' rappresentato dall'Ecuador. Io attualmente lavoro nella direzione della rete. Attraverso questa direzione si ottengono importanti risultati: c'e' piu' educazione e partecipazione politica delle donne. - Giulia Allegrini: Quindi il movimento indigeno in Ecuador e' riuscito ad avere anche importanti risultati a livello istituzionale... - Ninfa Patino: Esattamente. La cosa piu' importante e' che gli indigeni riescono ad avere una partecipazione non solo nel congresso, ma riescono anche a raggiungere istituzioni importanti per lo sviluppo dei popoli indigeni. Per esempio c'e' un'istituzione che si chiama Coreinte incaricata specificatamente per lo sviluppo dei popoli indigeni, c'e' l'istituzione per l'educazione bilingue interculturale, gestita da indigeni, un'altra e' la Direzione dell'educazione tradizionale, molto importante perche' solo cosi' si riconoscono e si rispettano le nostre visioni e la nostra medicina tradizionale, che devono essere gestite e portate avanti dagli indigeni. Quindi le istituzioni per lo sviluppo, l'educazione e la salute sono tre spazi che corrispondono ai risultati che il movimento indigeno ha ottenuto. Inoltre si e' riusciti a costituirsi come popoli di nazionalita' indigena e si e' anche riusciti a recuperare il territorio dei popoli dell'Amazzonia. Tutto questo e' cio' che si e' ottenuto in seguito alla creazione del Conaie, dal 1986, poi con la ratifica della covnenzione nel 1998 e nel 2000 con una partecipazione politica sempre piu' forte: piu' sindaci indigeni, piu' deputati, piu' partecipazione nelle istituzioni e organizzazioni internazionali. La partecipazione politica ha infatti avuto importanza non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Il movimento ecuadoriano e' considerato il piu' forte e organizzato politicamente a livello anche continentale. Dal 1996-'98 il movimento indigeno crea un movimento politico che si chiama Pchakuti, che significa nuovo popolo/nuovo potere. Questo ha significato poter partecipare politicamente alle elezioni e quindi avere accesso a spazi importanti nel congresso e nello stato, tanto che nelle elezioni del 2002-2003 si costitui' un'alleanza tra il partito che sta attualmente al governo che si chiama Sociedad Patriotica, con il partito pachakuti. L'alleanza vince alle elezioni e porta al governo l'attuale presidente. Il presidente pero' tradisce il movimento, si dichiara dittatore, il movimento pachakuti viene escluso dal governo e ora esso e il movimento indigeno si sono convertiti nella forza di opposizione piu' importante. Il governo ha iniziato una politica di repressione contro gli indigeni, sta disconoscendo le istituzioni di cui ho parlato prima, gestite dagli indigeni, quella per la salute, lo sviluppo e l'educazione, sostituendole con sue autorita'. Ora si sta attraversando un momento critico per il movimento indigeno, dato che il presidente ha disconosciuto e non ha rispettato l'alleanza. Tuttavia da poco, dal 18 ottobre, ci sono state le elezioni, e il movimento ha ottenuto piu' sindaci e piu' cariche istituzionali che lo stesso partito di governo. In questo momento quindi il governo si trova debilitato, mentre il movimento indigeno si sta rafforzando. - Giulia Allegrini: Ma dove trova il suo appoggio il presidente? - Ninfa Patino: Non ce l'ha, in realta'. La cosa piu' importante e' che il movimento indigeno non e' solo una forza guidata da indigeni, ma trova consenso e appoggio nella societa' civile, nelle organizzazioni, le donne, gli intellettuali, tutta la societa' civile, tutti i partiti di sinistra stanno sostenendo il movimento indigeno. - Giulia Allegrini: Qual e' quindi la forza del movimento indigeno? - Ninfa Patino: Il movimento e' molto giovane quindi e' difficile dire che cosa accadra'. In questo momento poi si stanno verificando molti cambiamenti e ci sono anche divisioni interne, in quanto da un punto di vista politico e' cosi' che normalmente accade: Tra gli indigeni ci sono diverse tendenze politiche. C'e' un elemento importante da prendere in considerazione nell'Ecuador: il regionalismo. Tra indigeni della costa, della terra e dell'Amazzonia, c'e' una divisione regionale. Al di la' del fatto che sono tutti indigeni ci sono divisioni che si esprimono politicamente a livello regionale. Quindi ci sono tendenze politiche. Il momento attuale e' un momento di crescita, perche' in ogni regione si sta crescendo politicamente. Per dire qual e' la forza del movimento potrei dire come vedo io la forza di questo movimento e quale dovrebbe essere la sua forza per continuare, che e' poi il mio grande desiderio: che diventi e sia sempre piu' una forza capace di riconoscersi in un'identita' ma che allo stesso tempo rispetti le diversita'. C'e' uno slogan nell'Ecuador e nel continente che dice: "Unita' nella diversita'". Che sia una forza compatta a livello nazionale, ma che rispetti le specificita' che ci sono al suo interno. Che questa stessa forza non li divida, ma li rafforzi e li unifichi perche' solo cosi' si puo' condividere il potere e confrontarsi con l'establishment, che e' molto forte. Io credo che si siano ottenute molte cose, come gia' ho sottolineato. Una di queste e' anche il riconoscimento da parte delle forze di destra tradizionali. Queste non vedono il movimento indigeno come un piccolo ed insignificante movimento sociale ma come una forza politica. Non possono fare politiche che non tengano conto degli indigeni perche' non avrebbero alcun risultato. Si e' anche riusciti ad eliminare in parte il razzismo contro gli indigeni. Abbiamo anche avuto una donna indigena dentro il Ministero per gli Affari Esteri. - Giulia Allegrini: Ha sottolineato spesso líimportanza della partecipazione politica delle donne indigene. Potrebbe definire il quadro discriminatorio in cui vivono? - Ninfa Patino: Ci sono discriminazioni contro le donne in generale; contro quelle indigene c'e' una tripla discriminazione, in quanto donne, in quanto povere e in quanto indigene. Devono quindi lavorare tre volte di piu' per poter ottenere equita' e uguaglianza. Pero' qualcosa si e' ottenuto, una certa partecipazione. C'e' pero' una forte resistenza culturale. L'educazione non ha raggiunto completamente le donne indigene, ossia la cultura indigena ecuadoriana delle donne e' orale e necessitano quindi di una formazione e di una capacitazione. E' un processo lento. Ci sono donne che stanno ricevendo educazione, ma quelle indigene sono sempre di meno. A livello locale, nelle comunita' c'e' pero' una grande partecipazione e accettazione del coinvolgimento delle donne, ma non nella societa' in generale. Ma la cosa piu' importante e' ottenere risultati a livello locale, che sia riconosciuta la donna, perche' e' sempre stato l'uomo indigeno quello cha ha dominato, colui cha ha tenuto le riunioni, che prende le decisioni. Pero' ora e' diverso, ora le donne partecipano. E' importante che le donne abbiano accesso a spazi di potere, per questo e' importante che si riconosca l'educazione interculturale, ossia si riconoscano tutte e tre le lingue che si parlano in Ecuador, cosi' che anche le donne abbiano accesso a questa educazione. - Giulia Allegrini: Come si colloca il movimento indigeno all'interno dell'agire nonviolento? - Ninfa Patino: Il movimento indigeno e' totalmente pacifista. Qual e' lo strumento del movimento? Il "levantamento" (la sollevazione, l'alzarsi in piedi). Cosi' si chiama, ed e' il simbolo dell'azione nonviolenta degli indigeni. Che cosa significa levantamento: l'occupazione delle strade, degli spazi, ma pacificamente. Significa camminare, andare per il "chakinan" (cammino). Lo strumento sacro e politico del movimento indigeno e' il levantamento. Quando si ha un levantamento vuol dire che tutti e tutte devono uscire per strada. E' il modo di esprimere la mobilitazione nonviolenta. Cio' significa che non e' un gruppo guerrillero, e' un movimento pacifico con un progetto politico, con presupposti e fini politici. - Giulia Allegrini: Tutto questo ha una relazione con una specifica spiritualita' e cosmovisione indigena? - Ninfa Patino: La cosmovisione si ritrova ed e' presente in tutto. Ogni volta che c'e' un levantamento, una riunione, si fanno celebrazione per chiedere permesso alla Pacha Mama, per chiedere permesso alle montagne, alla natura, perche' tutto abbia un buon esito, perche' si sia illuminati e che la mente si apra. C'e' un motto politico che e' in relazione con la cosmovisione: "Ama killa, ama shua, ama llulla" (non rubare, non mentire, non essere ozioso). Questi sono i principi del movimento indigeno che fanno parte del progetto politico del movimento e della sua protesta. (Parte prima - Segue) 3. DIRITTI. BOJANA STOPARIC: LE DONNE PALESTINESI HANNO SEMPRE MENO DIRITTI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Bojana Stoparic, giornalista, corrispondente di "WeNews"] Nella West Bank, una donna in travaglio aspetta per oltre un'ora l'ambulanza che deve condurla in ospedale. Dopo che finalmente l'ambulanza e' giunta e la sta trasportando, il mezzo viene fermato ad un posto di blocco militare. I soldati israeliani rifiutano di lasciar passare l'ambulanza. La donna partorisce su di essa. Nella striscia di Gaza, una donna picchiata sistematicamente dal suo fidanzato non denuncia gli abusi che subisce alla polizia palestinese, perche' sa che i poliziotti non la aiuterebbero. Un'altra giovane donna smette di studiare perche' non puo' piu' sopportare di essere molestata dai soldati israeliani al checkpoint che deve attraversare per frequentare l'Universita' di Gaza City. Queste testimonianze sono state raccolte dal "Centro delle donne per l'aiuto e la consulenza legale" e dal "Centro studi delle donne", entrambi con base a Gerusalemme, allo scopo di documentare le specifiche durezze che le donne palestinesi soffrono nel mezzo del conflitto. "L'occupazione e' stata fondamentale nel distruggere il benessere delle donne", dice Maha Abu-Dayyeh Shamas, che dirige il Centro delle donne per l'aiuto e la consulenza legale. Mentre le autorita' israeliane e palestinesi si incontrano, attiviste per i diritti umani come lei stanno tentando di far entrare le storie delle donne nelle discussioni. "Se la sicurezza militare e' l'unico tipo di sicurezza in agenda nelle negoziazioni di pace, e mi pare che sia proprio questo il caso, allora le necessita' delle donne, che sono tutte correlate alla sicurezza umana, non verranno discusse, aggiunge Abu-Dayyeh Shamas, ma e' la sicurezza umana che porta alla sicurezza militare". La fine dell'occupazione israeliana, dice ancora, deve essere accompagnata da investimenti nei settori della salute pubblica, dell'istruzione, del benessere sociale e dello sviluppo economico. * Ai primi di aprile, Amnesty International ha ripetuto molte delle preoccupazioni manifestate da Abu-Dayyeh Shamas, in un rapporto che descrive dettagliatamente gli abusi sulle donne che vivono nei territori palestinesi, e raccomanda una partecipazione maggiore delle donne ai dialoghi di pace. "Il crollo dell'economia e della sicurezza, causato dal conflitto, ha imposto crescenti pressioni e restrizioni sulle donne, si legge nel rapporto, e allo stesso tempo ha ridotto ulteriormente la possibilita' per le donne di controllare le loro stesse vite". Posti di blocco stradali, checkpoint e coprifuoco hanno ristretto l'accesso delle donne palestinesi all'istruzione, alla cura della salute ed al lavoro, rendendole piu' vulnerabili al controllo dei parenti di sesso maschile, dice il rapporto di Amnesty. Le demolizioni di case e la distruzione delle risorse naturali da parte delle forze israeliane stanno incrementando il fardello economico e psicologico delle donne palestinesi, che rimangono le principali responsabili della casa e della cura dei familiari. La militarizzazione e le restrizioni imposte alle famiglie dalla poverta' e dalla disoccupazione hanno aumentato la violenza domestica contro le donne. Gli abusi sulle donne palestinesi sono strettamente collegati e devono essere discussi dalle autorita' israeliane e da quelle palestinesi, dice ancora Amnesty. Gli abusi subiti dalle donne ricadono sotto la giurisdizione internazionale, inclusa la convenzione Onu detta Cedaw (Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne). * Gli attivisti per i diritti umani presenti nell'area aggiungono che ne' le autorita' israeliane ne' quelle palestinesi sono state in grado o hanno avuto la volonta' di implementare il trattato dell'Onu sui diritti delle donne nei territori occupati, lasciando le donne prive di un fondamento legale per contrastare le discriminazioni e gli abusi. Poiche' non sono "stato", i territori occupati non possono aderire a un trattato internazionale come il Cedaw; Israele ha ratificato tale convenzione, ma nega di essere responsabile dell'applicazione dei suoi standard fuori dal proprio territorio. "C'e' un vuoto di responsabilita', nei territori palestinesi, rispetto ai diritti umani, che spesso lascia le donne in condizioni di protezione inadeguata e con scarse possibilita' di ricorsi e rimedi", dice Lucy Mair, ricercatrice di Human Rights Watch. Mair sottolinea che sia la Commissione per i diritti umani dell'Onu, sia il Tribunale internazionale di giustizia hanno detto che la responsabilita' della protezione dei diritti umani delle donne nei territori palestinesi e' di Israele, la potenza occupante. "Israele e' responsabile dell'applicazione della legge umanitaria internazionale e della legge internazionale sui diritti umani, finche' detiene lo status di potenza occupante", aggiunge Mair. Marco Sermoneta, consigliere della missione israeliana all'Onu, non e' d'accordo, ed argomenta che e' la legislazione relativa al conflitto armato, non quella dei diritti umani, a governare la situazione a Gaza e nella West Bank. "La legislazione sui diritti umani semplicemente non e' equipaggiata per gestire la realta' dei conflitti armati", dice Sermoneta, e sostiene che tutta la giurisdizione ed il controllo delle materie inerenti il Cedaw sono stati trasferiti alle autorita' palestinesi durante gli anni '90. Abu-Dayyeh Shamas, del Centro delle donne per l'aiuto e la consulenza legale, ribatte che l'occupazione israeliana ha indebolito la capacita' dell'Autorita' palestinese di dar corso alle leggi. "I diritti delle donne vengono assicurati quando vi sono istituzioni legali trasparenti e funzionanti, dice Abu-Dayyeh Shamas, Israele ha sistematicamente indebolito il sistema legale palestinese e la polizia palestinese". Abu-Dayyeh Shamas rileva la prevalenza della violenza domestica come esempio: secondo un sondaggio condotto nel 2002, il 57% degli intervistati conosceva una donna che era stata aggredita dal marito. La polizia palestinese, prosegue, e' stata immobilizzata da coprifuoco e restrizioni, e come risultato e' stata incapace di rispondere efficacemente alla violenza di genere. * Il rapporto di Amnesty International nota che le leggi palestinesi in vigore che dovrebbero proteggere le donne dalla violenza domestica non solo sono insufficienti, ma in alcuni casi incoraggiano gli abusi: il codice penale giordano, che e' in vigore nella West Bank, "garantisce l'esenzione dal processo e riduce le sanzioni agli uomini che uccidono o aggrediscono mogli o parenti di sesso femminile per motivi di 'onore familiare'". L'esenzione dal processo avviene ad esempio se lo stupratore sposa la sua vittima, ed una ragazza che sia stata vittima di violenza sessuale o abuso deve avere un parente maschio che sporga la denuncia per lei. Ad ogni modo, il rapporto di Amnesty conclude che le istituzioni palestinesi sono "il posto migliore per prendere le misure necessarie per assicurare il rispetto e la promozione dei diritti umani delle donne palestinesi". Il rapporto chiede anche con urgenza alla comunita' internazionale di fornire alle autorita' palestinesi le necessarie risorse per intraprendere riforme legali e sociali. * Per maggiori informazioni: - Amnesty International: web.amnesty.org/actforwomen/isr-310305-action-eng - Women's Centre for Legal Aid and Counseling: www.wclac.org 4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LAPIDAZIONI E PUNIZIONI ESEMPLARI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 aprile 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Generale Ricardo Sanchez, assolto. Generale Walter Wojdakowski, assolto. Generale Barbara Fast, assolto. Colonnello Marc Warren, assolto. Generale Geoffrey Miller, assolto. Non sapevano, o non c'e' prova che sapessero. Generale Janis Karpinski: ammonita. Per negligenza. Il caso Abu Ghraib e' chiuso? Lo Human Rights Watch, osservatorio americano per i diritti umani, giura di no. Per il 28 aprile, primo compleanno di quelle foto di seviziati, seviziatori e seviziatrici che sconvolsero l'opinione pubblica mondiale promette un nuovo dossier che inchioda alle loro responsabilita', oltre a Sanchez e Miller (ex comandante delle forze americane in Iraq il primo, responsabile delle carceri militari irachene, nonche' ex comandante di Camp Delta a Guantanamo il secondo), anche il ministro della difesa Donald Rumsfeld e l'ex direttore della Cia George Tenet. Facciamo il tifo dagli spalti, ma intanto prendiamo atto che, col rapporto consegnato al Congresso sabato, l'esercito americano si autoassolve: malgrado sia l'inchiesta condotta dell'ex ministro della difesa James Schlesinger, sia quella condotta dai generali Kay, Fay e Jones ipotizzassero per le torture di Abu Ghraib responsabilita' dirette e indirette dei vertici della catena di comando. Seymour Hersh, il giornalista e scrittore che per primo denuncio' le torture di Abu Ghraib sul "New Yorker", non si stupisce: va sempre cosi' quando l'esercito indaga su se stesso. Non ci stupiamo neanche noi dell'esercito americano. Dei liberaldemocratici italiani, invece, si'. Riprendo in mano un dossier-stampa su Abu Ghraib dello scorso maggio e rileggo alcune difese oltranziste della democrazia americana davanti a quelle foto di prigionieri incappucciati, derisi, trascinati al guinzaglio. L'argomento era il seguente: episodi, sia pur riprovevoli, di tortura capitano in tutte le guerre e ad opera di tutti i regimi, tirannici o democratici che siano; la superiorita' delle democrazie sulle tirannie non sta nell'assenza dell'errore, ma nella capacita' di correggerlo, ovvero nella capacita' di punire, esemplarmente, i colpevoli. Ed eccoci accontentati: colpevole il capitano Graner, condannato a 10 anni di galera dalla corte marziale. Colpevole, di negligenza, la direttrice di Abu Ghraib. Innocenti tutti gli alti vertici. Punizione esemplare di una democrazia esemplare? E' questo che stiamo esportando in Iraq, la tolleranza della tortura e la punizione delle mele marce? E' questo il margine di errore previsto nel conto delle "libere elezioni" che certificano che la democrazia e' arrivata a Baghdad? I nostri opinion maker democratici, oltranzisti e "terzisti", ci dovrebbero e si dovrebbero una risposta. * E siccome le cattive notizie sono come le ciliegie e non arrivano mai una per volta, eccoci a un altro "errore" che c'e' scappato in un altro paese, l'Afghanistan, liberato e democratizzato con la guerra antiterrorista: la lapidazione di Amina Aslam, 29 anni, rea di tradire il marito, da anni assente ed economicamente inadempiente, in una regione oltretutto di etnia tagika, dunque nemica dei Taliban. Ma la guerra in Afghanistan non ci era stata presentata come la guerra di liberazione delle donne dal burka e dalle esecuzioni sommarie? Si', noi non ci avevamo creduto ma molti democratici italiani, stavolta non solo "terzisti" ma anche squisitamente di sinistra, ci avevano giurato. Anche in Afghanistan ormai si vota, e dovrebbe vigere un nuovo codice di compromesso fra la sharia e il diritto liberale, ma evidentemente non vige: qualcuno ci aveva avvertito, ad esempio Samira Makhmalbaf nei suoi film, che il patriarcato islamico (come del resto quello occidentale) non sta agli ordini dei governi. I nostri opinion maker democratici, oltranzisti e di sinistra, ci dovrebbero e si dovrebbero qualche risposta. E il segretario dei Ds, ormai convinto che la guerra (qualche volta) e' sbagliata ma l'esportazione della democrazia e dei diritti e' cosa buona e giusta, si dovrebbe qualche domanda. 5. RIFLESSIONE. LUCIANA PERCOVICH: IL NUOVO TECNOLOGICO E LA COSCIENZA FEMMINILE (1996) [Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo questo intervento di Luciana Percovich presentato come introduzione al seminario su "La Rivoluzione Cyber / Nuove Reti di Donne", tenutosi presso l'Universita' delle Donne di Milano nel 1996. Lo riproponiamo ad anni di distanza per l'interesse delle tematiche affrontate. Luciana Percovich vive e lavora a Milano, dove insegna inglese al Liceo classico Manzoni; partecipa dall'inizio degli anni Settanta al movimento delle donne (Gruppo femminista per una medicina delle donne, Libreria delle Donne), collabora con la Libera Universita' delle Donne come docente e membro del comitato di gestione; ha collaborato con La Tartaruga edizioni e con diverse riviste, tra cui "Fluttuaria", "Lapis", "Madreperla", "Memoria", "Orsaminore", "Reti", "Sottosopra"; suoi saggi sono apparsi in volumi collettanei: Verso il luogo delle origini, La Tartaruga, Milano 1992; Donne del Nord / donne del Sud, Angeli, Milano 1994; Figuras de la madre, Catedra, Madrid 1996; ha diretto la collana di saggistica "Il Vaso di Pandora" per La Salamandra edizioni] Metaforizzare la natura come madre (organismo vivente, origine comune) o come macchina (organismo inanimato, altro da se') cambia notevolmente la percezione di se stessi in relazione con cio' che ci circonda. "Simulare" oggetti, luoghi, interlocutori cambia, amplificandolo, il processo di sostituzione implicito in ogni forma di rappresentazione simbolica, fino a portarci a muovere in un universo parallelo capace tuttavia di intervenire, modificandolo, sull'universo comune a tutti, fisico o immaginario che sia. La tecnologia del presente - per quanto lontana possa apparire dalle nostre vite quotidiane, dai bisogni e dalle emozioni - ci sta cambiando anche senza bisogno che ce ne rendiamo conto, nei modi di comunicare, lavorare, desiderare, far figli, pensare. Prese dall'urgenza di scoprire noi stesse quasi non ci accorgevamo di come il mondo stava intanto cambiando anche fuori di noi e imboccando una traiettoria apparentemente lontana dai nostri desideri. Anche oggi facciamo fatica e opponiamo resistenza a mettere in gioco le nostre nuove certezze e a misurarle sul diverso punto della storia in cui nel frattempo ci siamo tutte e tutto spostati. Le domande su noi stesse, la ricerca di nuova soggettivita', le tecnologie della riproduzione, il telelavoro, i viaggi in rete per il mondo col sedere ben piantato sulla sedia di casa, sono tutte cose che passano anche attraverso i corpi, attraversano anche i nostri corpi sessuati che con le unghie e i denti abbiamo cercato di riguadagnare al nostro controllo; e temiamo di sentirci gia' di nuovo spiazzate, sperse, un'altra volta senza parole. Ma l'unica cosa che puo' davvero metterci fuori gioco oggi e' la nostra stessa paura, diffidenza, desiderio di fuga. Il mondo che sta emergendo in una delle sue periodiche mutazioni di pelle non e' poi cosi' estraneo ne' a priori ostile. Tutt'altro. La lotta che dobbiamo ancora una volta affrontare non e' con cio' che sta fuori di noi, ma con noi stesse e i nostri ingiustificati - se agiti alla cieca - meccanismi di fuga. Se, mettendo alla prova quella fiducia in noi stesse che abbiamo imparato in questi anni, accettiamo di confrontarci anche con queste cose, argomenti, linguaggi che a prima vista ci sembrano totalmente inaccessibili, potremo anche fare scoperte imprevedibili e arrivare a osare ad immaginare futuri possibili di cui potremo essere soggetti agenti e non vittime al traino. Non e' impossibile entrare nei linguaggi strutturati delle discipline scientifiche, nei gerghi degli addetti ai lavori: sono linguaggi in fondo ben piu' poveri e meccanici di qualsiasi linguaggio complesso e polisemico, quali sono invece i linguaggi della letteratura o della psiche. Ma e' necessario compiere una apertura di disponibilita', un gesto attivo di ascolto. In questo sta la difficolta', non nei linguaggi codificati in se'. La soglia su cui stiamo e' tutta interna a noi stesse. Questo seminario si pone consapevolmente come un gesto iniziale per provocare un confronto, usando della disponibilita' di donne che sono gia' andate a vedere cosa c'e' dall'altra parte e hanno imparato a usare quei linguaggi "estranei"; e come un invito a ciascuna a considerare la possibilita' di varcare questo crinale. * Nel momento in cui abbiamo messo in agenda questo incontro, non era ancora esplosa sui mass media l'attenzione per Internet, il Manifesto Cyborg di Donna Haraway non era ancora circolato nell'edizione italiana e solo pochi gruppi di donne gia' discutevano e progettavano in rete. Oggi, a distanza di pochi mesi solamente, questi temi sono molto diffusi e anche questo, nel suo piccolo, e' un indicatore dell'accelerazione nel rapporto tempo/cambiamento, che e' uno dei fatti che connotano il presente. Ho posto questo tema perche' intendevo nominare alcuni fatti appunto, che sono sotto gli occhi di tutte, ma che poco diventano soggetto delle discussioni tra di noi, quasi fossero uno sfondo insignificante. Nel nominarli desidero collocarli dentro una precisa prospettiva, ossia metterli a reagire con la riflessione nata dalla nostra pratica politica di questi ultimi vent'anni. Per cercare di capire quanto tra di noi sia diffusa la consapevolezza della peculiarita' del momento presente, per verificare se e quanto questi fatti pesano tra di noi, per interrogare alcuni "slittamenti semantici" che appartengono al mondo piu' ampio, che di fatto contiene anche le nostre elaborazioni su temi che ora sono alla ribalta comune, e che gia' allora mettemmo all'origine della nostra riflessione, quali la soggettivita', il corpo, l'uscita da un pensiero e da una organizzazione sociale, politica e immaginaria basata sulla gerarchia e sulla binarieta' dei processi logici e rappresentativi. Faro' quindi un assemblaggio di quelli che a me sembrano elementi interessanti, per istituire relazioni possibili con la nostra esperienza. Non sono molto ottimista nei confronti dell'aprirsi di una relazione fruttuosa tra il nuovo tecnologico e lo zoccolo duro del femminismo italiano. Ma vale la pena tentare. * Il primo fatto che e' persino ovvio enunciare e' che stiamo attraversando una catastrofe epocale, non nell'accezione puramente negativa in cui il termine "catastrofe" e' entrato nel linguaggio comune, ma nell'antico suo senso, che segnala la fine di una condizione e l'emergere di una nuova. Rene' Thom, con la sua teoria sulle catastrofi, ha mostrato come l'evoluzione proceda non per continuita' ma per salti, attraverso punti di rottura, oltre i quali il mutamento avviene appunto come "catastrofe". Viviamo in un periodo di catastrofe epocale, simile a quello iniziato con l'invenzione della stampa, che ha plasmato il nostro essere nel mondo in modo globale (e nel dirlo ho in mente il McLuhan della Galassia Gutemberg). Quali sono gli elementi di novita' che mi fanno parlare di catastrofe? Ne nomino alcuni: 1. i limiti dello sviluppo e la crisi ambientale; 2. l'impoverimento a macchia di leopardo che non riguarda solo il Sud, ma zone del Sud e zone del Nord, dell'Est e Ovest; 3. l'emergere degli integralismi, compensato da un radicarsi sempre piu' capillare di quelli che potremmo chiamare valori New Age; 4. il mondialismo, riferito sia all'aspetto della distribuzione del lavoro sia all'aspetto planetario che ogni fenomeno di questi tempi comporta; 5. la crescita tumultuosa di discipline tecnico-scientifiche come la biologia molecolare e le biotecnologie; 6. la telematizzazione e l'informatizzazione che toccano tutti i settori del mondo produttivo e non solo di quello; 7. l'orgoglioso risveglio di antiche culture semicancellate dal colonialismo; 8. il movimento mondiale delle donne. * Ne scelgo due per marcare il percorso piu' interessante dal nostro punto di vista. Primo, la nuova coscienza delle donne: possiamo dire che non c'e' paese del primo, secondo o terzo mondo che non abbia dentro di se' un forte movimento femminile. Questa presa di coscienza delle donne, naturalmente con caratteristiche diverse luogo per luogo, segna l'emergere di un protagonismo delle donne che ha come scopo la rinegoziazione radicale del rapporto tra i sessi. Secondo, gli ultimi esiti delle tecnologie biologiche e informatiche; di queste sono oltremodo interessanti le modalita' con cui avvengono, e cioe' il carattere di globalita', dove per globalita' s'intende sia la dimensione geografica che quella del profondo, di simultaneita' con cui irrompono in ogni parte del globo e di accelerazione a cui tutto cio' che succede e' sottoposto. Questi esiti tecnologici toccano l'organizzazione della produzione e la sua redistribuzione, il lavoro e tutto quello che il lavoro si porta dietro: famiglia, assetto sociale, assetto culturale, ecc.; i modi e le forme del linguaggio e della comunicazione; i corpi, quelli delle donne in particolare, perche' la separazione tra sessualita' e riproduzione, gia' iniziata con le possibilita' date dagli anticoncezionali, si sta facendo radicale, rendendo possibile per ora il concepimento, tra breve l'intera gestazione, fuori dal corpo femminile. E, infine, l'immaginario globale e locale, anche di quelle parti del mondo fin qui governate da una staticita' che ha retto, piu' o meno immodificata, per qualche millennio. Tutte le svolte epocali comportano una rinegoziazione del rapporto tra i sessi, basti ricordare come la scoperta del ferro abbia trasformato il Mediterraneo in bacino di incubazione di alcuni dei piu' compiuti sistemi patriarcali. Questa volta, la nuova coscienza delle donne e alcuni esiti della scienza e della tecnologia, per certe loro peculiarita' che affrontero' tra poco, potrebbero segnare una svolta nel rapporto tra i sessi che potrebbe essere, ma non necessariamente, a vantaggio delle donne. Dipende da come ce la giochiamo... ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 9 del 28 aprile 2005
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