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La nonviolenza e' in cammino. 908
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 908
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 23 Apr 2005 00:23:27 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 908 del 23 aprile 2005 Sommario di questo numero: 1. Per il sessantesimo compleanno di Aung San Suu Kyi 2. Giancarla Codrignani: Religiosi e laici dopo Vojtyla 3. Giovanni De Martis: Il nazismo contro le donne 4. Maria Luisa Boccia: Maternita' di Stato 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. APPELLI. PER IL SESSANTESIMO COMPLEANNO DI AUNG SAN SUU KYI [Da "Ebo", struttura di solidarieta' con il popolo birmano e con la lotta di Aung San Suu Kyi per la democrazia (per contatti: burma at euro-burma.be), riceviamo e diffondiamo il seguente appello promosso da Assistenza Birmania (per contatti: assistenzabirmania at hotmail.com). Aung San Suu Kyi , figlia di Aung San (il leader indipendentista birmano assassinato a 32 anni), e' la leader nonviolenta del movimento democratico in Myanmar (Birmania) ed ha subito - e subisce tuttora - dure persecuzioni da parte della dittatura militare; nel 1991 le e' stato conferito il premio Nobel per la pace. Opere di Aung San Suu Kyi: Libera dalla paura, Sperling & Kupfer, 1996, 1998] Cari amici, vorremmo celebrare insieme a voi il sessantesimo compleanno di Aung San Suu Kyi (19 giugno 2005) unendoci alla campagna internazionale lanciata dal gruppo americano "US Campaign for Burma". Vogliamo far sapere al governo birmano che Aung San Suu Kyi ed il popolo birmano non sono soli e che c'e' qualcuno che pensa a loro anche in Italia. Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far si' che la campagna abbia l'effetto sperato. Abbiamo realizzato e mettiamo a disposizione di chi ne fa richiesta (inviandola per e-mail allegata in Pdf file) una cartolina composta da una foto di Aung San Suu Kyi ed un breve riassunto che sintetizza la lotta per la democrazia ed i diritti umani della leader democratica in Birmania; la cartolina puo' essere stampata e inviata all`ambasciata birmana in Italia. Per favore inoltrate questo messaggio a chiunque possa essere interessato ad aiutarci. Grazie per la vostra gentile collaborazione, Assistenza Birmania Per informazioni e contatti: assistenzabirmania at hotmail.com 2. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: RELIGIOSI E LAICI DOPO WOJTYLA [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso nella cronaca di Bologna de "L'Unita'" del 12 aprile 2005. Non e' necessario sottolineare che queste parole sono state scritte prima che il cardinale Ratzinger divenisse papa Benedetto XVI (elezione avvenuta il 19 aprile). Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Nonostante la tendenza giornalistica a dare dei funerali di Giovanni Paolo II un'immagine indifferenziata emozionalmente travolgente, sono molte e diverse le considerazioni che si dovranno fare di quest'evento, straordinario per i credenti come per i laicisti. Guardavo sullo schermo il volto del cardinal Ratzinger e mi domandavo i suoi pensieri: sono passate poche settimane da un suo duro documento sullo stato generale del cattolicesimo in anni in cui si consuma tutto, anche la fede. Denunciava il calo della partecipazione, l'abbandono della disciplina, una "sporcizia" che intaccava la santita': ieri il dolore non gli sottraeva certo il pensiero critico e forse neppure lui era del tutto rassicurato dall'emozione collettiva, dalla quantita' delle presenze, dai tanti giovani che si esprimevano con liturgie di canti e danze non diverse da altri riti, anche profani. Papa Wojtyla - si dice - e' stato un uomo di contraddizioni: occasione grande di riflessione per tutti, a partire dalla Chiesa che vive in questo mondo sommerso dai problemi e dai conflitti prodotti dall'avanzare di innovazioni di ogni genere, che chiamiamo "modernizzazioni" e che rivoluzioneranno in breve ogni aspetto della nostra vita. Sappiamo questo, ma restiamo disorientati per incapacita' di controllare i processi e ricorriamo all'antica voglia di restaurare poteri e controlli o di abbandonarci all'inerzia. La spettacolarizzazione della malattia e della morte di un Papa che aveva capito il bisogno universale dei "simboli" e dei "segni", ne ha mediatizzato i significati. L'esibizione del corpo vecchio e malato e' apparso a molti inopportuna e sgradevole: ma l'umano, ci diceva Wojtyla attraverso se stesso, e' anche la vecchiaia e la malattia, che non vanno rimosse solo perche' non piacciono. Cristianamente il Papa non e' diverso dall'handicappato che per via ci mette a disagio o dall'anziano che escludiamo dalla nostra vita: non e' cristiana la societa' che scarica sulla famiglia (sulle donne della famiglia) la "cura" (il "peso" della cura) perche' nega sia i servizi, sia l'educazione ad accettare il limite della vita degradata e il dovere di porvi rimedio attraverso l'intervento sociale, priorita' della spesa pubblica ed equita' fiscale in primo luogo. Poi c'e' il lutto delle folle: riscoperta del pellegrinaggio in forma cristiana? O pagana? Ratzingzr non deve essersi sentito rassicurato da tanta emozione rispetto alla responsabilita' di governare la Chiesa del futuro. Ma anche i politici hanno i loro problemi e non possono o adeguarsi al cordoglio o limitarsi al lamento per la laicita' perduta. I popoli vogliono qualcosa di piu', anche se non sanno con chiarezza che cosa: possono essere indotti, non solo nel Sud del mondo, a reazioni irrazionali, anche indotte, e ad affidarsi (come diceva dieci anni fa agli italiani don Dossetti) a qualche "seduttore" che finga di conoscere il loro bene. Non vediamo, invece, dietro questo accorrere di genti il bisogno comune di verita', di giustizia, di pace? Da quanto tempo i poteri politici - anche di sinistra - non portano piu' tra la gente il messaggio dei valori alti che pur posseggono? Davvero pensiamo che la gente non abbia bisogno urgente di aria non inquinata e di miglior respiro morale? 3. STUDI. GIOVANNI DE MARTIS: IL NAZISMO CONTRO LE DONNE [Dal sito www.olokaustos.org riprendiamo il seguente saggio di Giovanni De Martis, "La 'questione femminile' nella Germania nazista". Giovanni De Martis, presidente dell'associazione Olokaustos, consulente di marketing e comunicazione, si occupa di formazione per le aziende; "laureato in storia ha sempre coltivato la passione per gli studi umanistici cercando di coniugarla con l'impegno politico e sociale"; ha scritto per l'editore Marsilio un libro sulle "stragi del sabato sera"] La Repubblica di Weimar: un nuovo ruolo femminile Joseph Goebbels - destinato a divenire il ministro della propaganda del Reich hitleriano - in un suo racconto giovanile intitolato "Michael" scriveva negli anni Trenta: "La donna ha il compito di essere gradevole e di mettere al mondo figli. Questa non e' una idea cosi' retriva e crudele come si puo' pensare in un primo momento. Le femmine degli uccelli si puliscono per il proprio compagno e si prendono cura delle uova. In cambio il maschio si incarica di portare il cibo al nido, rimane vigile e combatte contro tutti i nemici". A parte la scarsa conoscenza delle numerose variabili di ruoli che il mondo degli animali assegna al maschio ed alla femmina di ogni specie, Goebbels esprime in modo quasi perfetta la divisione dei sessi ideale nei principi nazisti. Intorno all'ancora minuscolo partito nazionalsocialista al principio degli anni Venti ruotava una societa' profondamente differente da quella vagheggiata da Goebbels. La Repubblica di Weimar che aveva sostituito la monarchia prussiana dopo la sconfitta del 1918 aveva dato alla donna tedesca un nuovo ruolo nella societa'. La repubblica aveva concesso il diritto di voto alle donne e contemporaneamente si era verificata una rivoluzione sociale di ampia portata. Durante la prima guerra mondiale le donne per le necessita' belliche erano entrate a pieno titolo nel mondo del lavoro e, alla fine del conflitto, erano circa 11 milioni le donne con un impiego a tempo indeterminato. Vi era certamente molta strada da percorrere nel cammino verso una reale parita' tra i sessi: ancora a parita' di funzioni le donne percepivano salari piu' bassi; nella professione medica e giuridica esistevano forti opposizioni al pieno impiego femminile. Nonostante cio' si era rotto un equilibrio nella societa' tedesca, un equilibrio che destinava la donna esclusivamente ad un ruolo di moglie e di madre. I costumi sessuali tradizionali , almeno nelle grandi citta' come Berlino, entravano in crisi e i classici ruoli si infrangevano in un'atmosfera di sperimentalismo e di modernizzazione. In letteratura si parlava molto di "matrimonio di prova", di problemi di menage a' trois, e non sembrava piu' esserci un argomento realmente tabu'. In altri termini la Germania di Weimar dopo secoli di distacco stava riprendendo contatto con le correnti culturali europee. La reazione delle chiese e dei partiti di destra che gridavano alla corruzione della societa' non ebbe grande peso: al di la' di - rari - atteggiamenti provocatori o trasgressivi il movimento femminile nella Germania di Weimar andava acquistando una sempre maggiore autocoscienza e consapevolezza. * La reazione: l'ideale della donna nordica I circoli conservatori tedeschi vedevano nel crescere del ruolo femminile una minaccia precisa non tanto all'unita' della famiglia, quanto, cosa ancor piu' grave, una minaccia all'integrita' del "Volk", del popolo e della razza tedesca. A guidare questa variegata area di neo-conservatori era una rivista intitolata "Volk und Rasse" ("Popolo e Razza") che alla meta' degli anni Ven ti raccoglieva intorno a se' antropologi, medici e "scienziati sociali" di orientamento apertamente reazionari. La rivista nel 1926 bandi' un concorso tra i suoi lettori per trovare il "miglior viso nordico". Si trattava di ritrovare l'incarnazione dell'ideale dell'uomo e della donna nordici secondo le teorie razziali della rivista. Al primo ottobre 1926 erano giunte alla redazione 793 fotografie di uomini e 506 di donne. I giudici (tra i quali l'antropologo razzista Eugen Fischer) dichiararono che per quanto riguardava gli uomini gli "esemplari pregevoli" erano stati cosi' tanti da rendere difficile la scelta. Viceversa per quanto riguardava le donne "nessuna delle concorrenti catturava realmente l'essenza del tipo nordico". Questa assenza di una concorrente in grado di rappresentare pienamente l'ideale nordico segnala una difficolta' di base del conservatorismo razzista dell'epoca. Se la forza e la determinazione erano le qualita' ideali dell'uomo nordico per la donna le qualita' richieste non erano tanto fisiche quanto "morali". Per certi versi in quegli anni l'ideale estetico della donna nordica era gia' incarnato: la Marlene Dietrich che nell'"Angelo azzurro" seduceva e portava alla perdizione il professore di liceo bigotto e moralista era quanto di piu' nordico si potesse desiderare. Ma la "nordicita'" di Marlene Dietrich era intrisa di un "veleno della modernita'" che contrastava con il ruolo che la donna nordica doveva ricoprire nella societa'. Paradossalmente dunque l'impossibilita' di trovare una donna che incarnasse l'ideale femminile nordico rivelava che per i conservatori tedeschi questa idealita' non era estetica ma "morale". Il compito di stabilire quali fossero le "qualita' morali" ed il ruolo della nordica fu assunto non dagli scienziati razziali ma dai militanti nazisti. * La donna nazista come procreatrice Se i teorici del razzismo erano cosi' concentrati sull'uomo nordico da avere forti difficolta' ad immaginare la "donna nordica", i piu' pratici militanti del neonato partito nazista avevano idee piu' chiare non sull'estetica (abbastanza irrilevante) ma sul ruolo della donna nella societa'. Sin dal 1921 il partito nazionalsocialista pur ammettendo le donne nel partito precludeva loro di accedere ai ruoli dirigenti dell'organizzazione. La visione nazista escludeva in partenza le donne dalla politica. Negli anni Trenta un gerarca nazista scriveva: "Noi nazionalsocialisti abbiamo la ferrea convinzione che la politica sia un affare per uomini. La donna tedesca e' per noi troppo sacra per contaminarsi con le sporche questioni della politica parlamentare". L'obiettivo dell'ideologia nazista non e' in prima battuta definire la donna nordica ma darle un ruolo all'interno della societa'. E questo ruolo consisteva in termini pratici nel "rimettere la donna al proprio posto" allontanandola dal mondo del lavoro e riconducendola all'interno della casa per ottemperare al proprio compito naturale: generare piu' figli possibile. Giunto al potere il nazismo varo' una serie di leggi che favorissero la "naturale tendenza alla maternita' delle donne". Gli uomini sposati le cui mogli accettavano di uscire dal circuito del mondo del lavoro ricevevano prestiti che raggiungevano il valore di un intero anno di salario medio (dai 500 ai 1.000 Reichmarks). Per ogni figlio nato dopo la concessione del prestito gli interessi venivano ridotti del 20%, al quarto figlio gli interessi sul debito venivano azzerati. Alla fine del 1940 erano stati erogati 1.700.000 prestiti di questo genere con il risultato pratico di aver ricondotto a casa quasi due milioni di donne che avevano rinunciato al lavoro. Uno dei piu' acclamati scienziati razziali, Otmar von Verschuer, nel 1935 scriveva che la "migliore politica contro la disoccupazione consisteva nel favorire il ritorno a casa delle donne". La politica nazista non poteva pero' accontentarsi di eliminare la donna dalla politica e dal lavoro. Se, come disse Hitler nel 1939, "il campo di battaglia della donna era la casa", occorreva che la donna nordica desse il suo contributo per creare la "famiglia ideale tedesca". E su questa famiglia ideale i nazisti, ancora una volta, avevano le idee ben chiare. Il 16 dicembre 1938 venne creata la Croce d'Onore della Madre Tedesca. Si trattava di una medaglia che copiava esattamente nella sua forma la Croce di Ferro che veniva elargita ai combattenti particolarmente valorosi. La Croce d'Onore veniva consegnata in bronzo alle madri di quattro figli, in argento al raggiungimento dei sei figli e in oro alla nascita dell'ottavo figlio. Contemporaneamente a tutti gli impiegati pubblici tedeschi venne imposto di sposarsi o di dimettersi. Con una legge si impose una tassa aggiuntiva alle coppie prive di figli dopo cinque anni di matrimonio. Parallelamente venne modificata la legge sul divorzio: l'incapacita' della donna a procreare diveniva una ragione lecita per lo scioglimento del matrimonio. * Il nazismo e il problema dell'aborto Nella Germania prenazista l'aborto era regolato dall'articolo 218 del Codice introdotto dalla Repubblica di Weimar. In esso si prevedeva la liceita' dell'aborto nel caso in cui il parto avesse messo in pericolo la vita della madre. I nazisti non modificarono la legge se non consentendo l'aborto nel caso in cui la nascita del bambino fosse un pericolo per l'igiene razziale tedesca. In altri termini l'aborto veniva consentito per sopprimere "incroci razziali" non desiderati. Per il resto l'aborto era strettamente vietato. Nel 1937 i medici che praticavano aborti venivano puniti con dieci anni di prigione e - nel 1939 - l'aborto non autorizzato venne considerato "tradimento contro il popolo tedesco" punibile con la pena di morte. Parallelamente non era consentita alla donna alcuna pianificazione familiare scientifica essendo fuorilegge tutti gli strumenti anticoncezionali. L'aborto per i nazisti era legato non tanto alla donna in quanto tale ma alla "appartenenza razziale" della donna. Infatti mentre si vietava alle donne "ariane tedesche" ogni possibilita' di decidere sulla propria maternita', si autorizzavano per legge le donne ebree ad abortire senza dover richiedere autorizzazioni ai tribunali tedeschi. Nel 1943 veniva concesso e incoraggiato l'aborto alle lavoratrici straniere coatte impiegate nelle fabbriche tedesche. Il problema dell'aborto veniva dunque legato alla "razzialita' della donna". Negato alla donna ariana tedesca tenuta a generare il piu' possibile, autorizzato ed incoraggiato per le donne "razzialmente inferiori". Le motivazioni naziste contro l'aborto non erano ne' morali ne' etiche ma demografiche e razziali. La donna tedesca aveva un potere decisionale limitato sula propria maternita': i figli non erano il frutto esclusivo della maternita' ma una "proprieta'" dell'intero popolo tedesco. Non avere figli o, peggio, abortire significava privare il popolo del suo futuro. La donna che si opponeva alla propria maternita' di fatto era "colpevole di tradimento" verso il popolo e lo Stato. * "Questione femminile" e demografia "Quando la donna ha completato i suoi studi come conseguenza dell'eta' avanzata, della perdita della bellezza e del mancato studio dell'economia domestica, diviene inadatta al matrimonio. Per la maggior parte delle donne che lavorano fuori casa si verifica lo stesso fenomeno". Questo assioma venne espresso dal fondatore dell'"igiene razziale" Fritz Lenz nel 1914. Le sue parole rappresentarono una pietra miliare cui si ancoro' l'ideologia nazista della donna. La "questione femminile" per i nazisti doveva essere inserita all'interno degli interessi generali dello Stato. Per questo motivo una miscela di propaganda, strumenti di incentivi finanziari e premi vennero riservati alle donne che si "uniformavano" al pensiero nazista, mentre leggi sempre piu' dure venivano ideate per tutte coloro che cercavano - coscientemente o meno - di mantenere indipendenza di scelte e di stili di vita. Cosi' le donne nubili superati i 35 anni non vennero piu' considerate come cittadine con pieno godimento dei diritti civili ma vennero relegate nella categoria subordinata degli "Staatsgehoringen" insieme con gli ebrei. Contemporaneamente si indebolirono i diritti del lavoro femminile per cui sino ai 35 anni la protezione legale rispetto ai licenziamenti immotivati venne notevolmente indebolita. A partire dal 1936 venne proibita alle donne la professione di avvocati e di giudici. L'accesso all'Universita' per le donne venne drasticamente limitato fissando una quota massima del 10% sul totale degli iscritti. I ruoli dirigenziali in ogni professione vennero rigidamente sbarrati alle donne. Contemporaneamente vennero stabiliti incentivi per le donne madri di figli nati da relazioni extraconiugali. La principale preoccupazione tedesca era dunque eliminare dall'orizzonte spirituale e materiale della donna qualsiasi cosa potesse mettere in secondo piano la maternita'. La liberta' femminile entrava in contrasto con la maternita' e la maternita' era un'arma per non far soccombere la "razza ariana". Una martellante propaganda metteva costantemente in luce il pericolo che i "popoli razzialmente inferiori" mantenessero un livello di crescita costantemente piu' alto rispetto ai tedeschi. Si sottolineava in modo ossessivo non soltanto la "quantita'" dei figli ma soprattutto la "qualita'" delle famiglie. Lo Stato nazista voleva spingere verso la maternita' la borghesia medio-alta non solo per avere molti figli ma per averli "qualitativamente" migliori. Occorreva invertire la tendenza che vedeva le classi piu' disagiate procreare di piu' rispetto alle classi piu' abbienti. Cio' che si chiedeva alla donna in termini riproduttivi sarebbe soltanto grottesco se non fosse il frutto delle menti considerate allora piu' lucide e credibili. Ancora Fritz Lenz sosteneva che "Si tratta di un fatto che la donna sia fisicamente in grado di procreare per un periodo medio di 30 anni. Considerando che la donna puo' generare soltanto una volta ogni due anni questo significa mettere al mondo 15 figli come minimo. Qualsiasi cifra inferiore a questa va considerata come la conseguenza di cause non naturali o patologiche". La questione era tanto presente ed angosciante per la macchina statale nazista che sin dall'inizio le grida di allarme si fecero sentire. Il 28 giugno 1933 il ministro degli Interni Frick dichiaro' che la Germania stava cadendo vittima della ideologia borghese dei due figli per coppia e questo era il primo passo verso la catastrofe demografica. Questi allarmi ripetuti sulla possibilita' di una "scomparsa della razza tedesca" furono la base non solo per lanciare la politica di incentivi demografici ma anche per stroncare definitivamente il movimento femminista tedesco. Occorre considerare che nel 1933, alla vigilia dell'arrivo al potere dei nazisti, in Germania esisteva il piu' grande movimento femminista al mondo con 600.000 donne iscritte in associazioni che coprivano tutte le posizioni politiche allora espresse. Ovviamente per il nazismo qualsiasi forma di femminismo, di autocoscienza femminile, rappresentava una minaccia. I movimenti femministi vennero esplicitamente accusati di essere una delle cause del calo demografico registratosi in Germania a partire dall'inizio del Novecento. La "questione femminile" per i nazisti doveva prevedere l'eliminazione di ogni movimento femminile non allineato. Nel giro di pochi anni tutte le strutture associative nate durante la repubblica di Weimar vennero sciolte. * Appropriarsi del corpo femminile: la donna come proprieta' dello Stato Vi e' nel nazismo una sostanziale caratteristica di disumanizzazione della diversita'. La "normalita'" nel nazismo e' maschile ed ariana. La donna - in quanto ritenuta incapace di servire la patria con le armi - e' per definizione in una posizione di inferiorita' rispetto all'uomo. Una inferiorita' che puo' essere parzialmente "riscattata" attraverso la procreazione. In questo senso la donna viene riconosciuta nella sua umanita' ed importanza soltanto in rapporto alla sua capacita' procreativa. Tuttavia questa capacita' non le viene riconosciuta come una caratteristica personale. Il corpo femminile non appartiene alla donna ma allo Stato. Nel 1939 il professor Wagner, direttore della clinica femminile del prestigioso ospedale della Charite' di Berlino e direttore della rivista "Archiv fuer Gynaekologie", dichiaro' che "lo stock nazionale di ovaie rappresenta una risorsa nazionale dello Stato tedesco" ed invitava lo Stato a tutelare per legge questo "stock nazionale". La donna, o meglio il suo corpo visto come elemento riproduttivo, non appartiene a se' stessa ma allo Stato. Viene cioe' compiuto il passo piu' estremo di negazione dei diritti fondamentali: il diritto alla gestione del proprio corpo. La donna fertile e' un patrimonio statale come le miniere, le fonti, le aree di pesca. Il ministro Frick fu il piu' esplicito quando dichiaro' che la soluzione della questione femminile (die Loesung der Frauenfrage) passava per la politica demografica. La donna eliminata dal mondo del lavoro, ridotta a elemento dotato di dignita' giuridica solo se e in quanto madre di numerosi figli, espropriata dei suoi diritti elementari sul proprio corpo, cessava di rappresentare una minaccia sociale per il mondo maschilista nazista. Questa "soluzione della questione femminile" passava per il raggiungimento di un obiettivo chiaro ed esplicito: il raggiungimento di tre milioni di figli in piu'. Un risultato che venne effettivamente raggiunto. Nel 1938 nacquero 1.347.000 bambini e nel 1940 1.645.000. In questo raggiungimento di risultati - debitamente enfatizzato dalla macchina propagandistica - veniva sottaciuto un dato che rivela quanto disprezzo per la donna animasse il nazismo: il tasso di mortalita' femminile a causa dei parti crebbe del 15% passando da 1,6 decessi ogni 10.000 nascita a 1,8 nel solo biennio 1933-'35. La morte di centinaia di donne, la perdita di una parte dello "stock nazionale di ovaie", rappresentava un prezzo adeguato alla crescita demografica della nazione. * Le contraddizioni naziste: la donna tra la casa e il lavoro Nonostante la propaganda nazista sul ritorno a casa delle donne fosse martellante e l'imponente crescita delle nascite aumentasse il peso della gestione dei nuclei familiari, la percentuale delle donne occupate non solo non diminui' ma aumento'. Nel 1938 il 36% delle donne tedesche erano occupate, contro il 26% della Gran Bretagna ed il 18% degli Stati Uniti. Al di la' di qualsiasi spinta ideologica esistevano necessita' pratiche: occorreva manodopera. Sempre piu' uomini venivano inquadrati nell'esercito e sottratti al mercato del lavoro, a sostituirli senza che fosse dichiarato esplicitamente vennero chiamate le donne. Ovviamente i vuoti riempiti dal lavoro femminile erano posti di lavoro a basso salario e qualsiasi competizione per accedere a professioni ben remunerate era scoraggiata. Parallelamente al sempre piu' massiccio utilizzo del lavoro femminile il nazismo creo', attraverso una serie di strutture organizzative, le premesse per un indottrinamento ideologico sempre piu' profondo. * Le organizzazioni naziste femminili e l'indottrinamento ideologico La tradizione organizzativa femminile che aveva segnato la Repubblica di Weimar non poteva essere ignorata dal regime nazista. In altre parole il nazismo non poteva semplicemente far "ritornare a casa" le donne. Occorreva organizzare una struttura femminile nazista che fosse in grado di mobilitare e indottrinare le donne. Nel 1931 il Partito creava la Nsf, l'organizzazione nazista femminile. La Nsf raccoglieva tutte le organizzazioni femminili di orientamento nazista che erano sorte piu' o meno spontaneamente a partire dal 1923. In questa trasformazione la Nsf veniva legata strettamente al partito e i vertici femminili sia a livello locale che centrale vennero nominati non attraverso elezioni interne ma secondo la volonta' del partito. Tuttavia la "gestione" delle donne divenne un motivo di lotta interna al partito facendo fiorire altre organizzazioni femminili gestite da questo o quel gerarca nazista. Nacque cosi' la Bdm (Lega delle Ragazze Tedesche) "protetta" da Baldur von Schirach, il capo dell'organizzazione giovanile del partito (Hitlerjugend). Robert Ley, il capo del Fronte del Lavoro Tedesco, nel maggio 1933 creava il Dff che presto si trasformava in Deutsches Frauenwerk (Dfw). Le competenze delle diverse organizzazioni non furono mai chiarite. Il partito si limito' a subordinare le diverse organizzazioni ad un'unica leader nella persona di Gertrud Scholtz. Uno degli elementi di piu' forte indottrinamento ideologico era rappresentato dal cosiddetto "Arbeitsmaiden", il piano delle "Ragazze al lavoro". Sin dal 1931 venne varato il Servizio di Lavoro per la Gioventu' Femminile (Radwl): ogni ragazza doveva trascorrere un periodo di 6 mesi all'interno di campi agricoli insieme ad altre coetanee e lavorarvi tagliando obbligatoriamente i contatti con la famiglia per tutto il periodo di lavoro. Questo periodo di tempo (veementemente osteggiato dai genitori delle ragazze) mirava a indottrinare attraverso il lavoro le giovani. Parallelamente al lavoro nei campi le ragazze infatti seguivano corsi di preparazione ideologica. Con la guerra questo periodo venne innalzato arrivando nel 1941 a due anni e mezzo. * Fin da bambine. Tentativi di selezione intellettuale Mentre gli "Arbeitsmaiden" rappresentavano un impegno comune a tutte le ragazze tedesche il regime si preoccupo' di avviare una selezione per soggetti particolari. Erano le cosiddette "ragazze particolarmente pregiate", in altri termini bambine che dimostravano attitudini di intelligenza particolarmente spiccate. Dietro suggerimento dell'Obergruppenfuehrer August Heissmeyer vennero creati tra il 1938 ed il 1939 "scuole speciali nazionalpolitiche" destinate a queste ragazze. Queste scuole speciali denominate "Napolas" erano gia' sorte nel 1933 per i maschi. Si trattava di luoghi nei quali si sarebbero dovute raccogliere e crescere le ragazze che mostravano "tratti razziali, intellettuali e caratteriali al di sopra della media". L'idea era di formare l'elite femminile della nuova Germania. Tuttavia l'idea incontro fortissime opposizioni all'interno dello stesso partito: molti gerarchi guardavano con sospetto l'idea di creare delle donne intellettualmente istruite. Cosi' mentre le Napolas per ragazzi vennero ampiamente usate dalla propaganda, quelle femminili passarono sostanzialmente sotto silenzio. Ne vennero edificate soltanto due: Hubertendorf Tuernitz nel 1938-'39 e Kolmar nel 1941. Il sostanziale fallimento di questa impresa testimonia ancora una volta l'incertezza e il timore che un ruolo della donna che andasse al di la' dello stereotipo della "riproduttrice" suscitava nel regime nazionalsocialista. 4. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA: MATERNITA' DI STATO [Da "La rivista del manifesto", n. 46, gennaio 2004. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - e a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002] Dopo vent'anni, il Parlamento italiano ha approvato una pessima legge sulla fecondazione assistita. Una legge-manifesto, che sacrifica l'esigenza prioritaria della tutela della salute della donna e dei nascituri a un'ideologia rigida e astratta, intrisa di valori, che vengono affermati come obblighi: ogni embrione deve essere impiantato e fatto nascere, ogni "coppia" genetica deve costituire una famiglia giuridica. Il rispetto di questi obblighi, sanzionati con pene, riguarda solo chi ricorre alle tecniche - almeno finche' l'aborto e' legale e dal momento che per il codice le figure giuridiche di padre e madre non coincidono con i genitori biologici. Basti pensare all'adozione, ma anche alla norma, ben piu' antica, sulla paternita' presunta. Tutti coloro che sono esclusi dalla fecondazione assistita, perche' non corrispondono ai requisiti richiesti - il seme e l'ovulo necessari al concepimento non sono cioe' di una coppia eterosessuale stabile e benestante, poiche' l'intervento non e' coperto dal servizio sanitario -, possono divenire legittimamente genitori nel vecchio modo, con un rapporto sessuale. Si dice che lo Stato non puo' vietare quello che la natura consente, mentre deve ricondurre al rispetto di una presunta norma naturale chi vuole avere figli in modo artificiale, avvalendosi di strutture sanitarie. In questo caso - solo in questo caso? - la prima responsabilita' verso i nuovi nati e' dello Stato, e della societa' tutta, proprio perche' ammette un mezzo artificiale, contro natura, di procreare. Ma e' la legge dello Stato, non la natura, a riconoscere come padre un gay, come madre una donna singola o una lesbica in coppia, come genitori un uomo e una donna sposati, che riconoscono il figlio di lui partorito da un'altra donna (caso prossimo alla famigerata maternita' surrogata) o concepito da lei con altro uomo (caso analogo alla vietata inseminazione eterologa). * La legge approvata e' un tale groviglio inestricabile da risultare inapplicabile, oltre che inconcepibile per il buon senso, e in piu' punti incostituzionale. Pure e' un esito coerente della rappresentazione sulla fecondazione assistita costruita in questi lunghi anni di inerzia parlamentare, motivata da un esclusivo intento: enfatizzare l'allarme sociale, convogliando inquietudini reali sull'immagine di un disordine dilagante, di eccessi illimitati, perseguiti in modo indistinto da medici e ricercatori, come da uomini e donne. Da uno scandalo all'altro, scena dopo scena, e' stato raffigurato il Far West selvaggio popolato da Frankenstein intenti a fabbricare il vivente, e da donne determinate ad avere un figlio a tutti i costi. Donne piu' che uomini, poiche' il desiderio smisurato, come e' noto, e' intrinseco alla temibile, per gli uomini, onnipotenza materna. Miscelando notizie sulle effettive tappe della ricerca e sperimentazione - alcune delle quali pongono senza dubbio questioni serie e delicate - con veri e propri falsi - siamo pronti alla clonazione umana! - e, soprattutto, evocando fantasmi antichi quanto l'uomo, per nutrirne l'immaginario sociale di chi vive immerso in un mondo fantascientifico, si e' creato il contesto necessario a evocare la Legge come baluardo, ripristino dell'Ordine, fonte esclusiva di Autorita'. Poco importa se nessuna legge puo' adempiere, ormai, a questo compito. Ne' di certo lo potra' questa legge che, grazie al suo impianto proibizionista, avra' come conseguenza la clandestinita', il diffondersi del mercato illegale, il ricorso al cosiddetto turismo procreativo. E lascera' senza riferimenti certi medici, ricercatori e cittadini. Del resto l'esigenza di conoscere, controllare e orientare le attivita' dei centri e' stata volutamente disattesa fin dall'inizio. Gia' nel lontano 1985 una circolare ministeriale vietava pressoche' tutto negli ospedali pubblici, per non compromettere lo Stato con pratiche eticamente illecite e, per lo stesso motivo, lasciava il privato senza regole, pur di non legittimare i centri che le adottavano. Perfino l'Ordine dei medici, invece di fornire regole deontologiche ai suoi iscritti, si preoccupava nel '95 di definire l'idoneita' dei pazienti a richiedere l'intervento. Dunque se ci sono stati eccessi, forme di commercializzazione, sperimentazioni azzardate, rischi per la salute, usi discutibili di materiale genetico, la prima responsabilita' e' politica e ricade sulle spalle di chi oggi plaude alla fine del Far West: in primo luogo del composito schieramento cattolico, ma non solo. Intendo di tutti e tutte coloro che ritengono l'approvazione di questa legge una scelta secondo coscienza, coerente con il rispetto di valori etici indisponibili. * Alcuni/e favorevoli alla legge ammettono che non e' perfetta, ma obiettano che dal fronte opposto si intende affermare una liberta' illimitata, sia sul versante della scienza e delle sue applicazioni, sia sul "diritto" a procreare se, quando e come si vuole. Insomma il solo limite valido e' il divieto imposto con la forza della sanzione, poiche' liberta' equivale a liceita' senza misura e regola. Per comprendere a fondo il ritorno di questa contrapposizione, in se' statica e inevitabilmente destinata a rendere insanabile il conflitto etico e politico sulla regola sociale, occorrerebbe risalire alle sue origini, alla concezione moderna dell'individuo e dello Stato. Non mi e' ovviamente possibile farlo qui, ma davvero e' difficile prendere sul serio, come andrebbe fatto, il richiamo alle sfide epocali, alla frontiera di civilta' cui siamo pervenuti con le tecnologie, in particolare nel campo biogenetico, se poi non si e' disposti a riconsiderare criticamente, come anche e' necessario fare, quali presupposti siano davvero in questione, quanto siano difendibili, e soprattutto se offrono criteri convincenti per misurarsi con quelle sfide. Non e' neppure possibile dare conto, sia pure sommariamente, delle letture che confutano la secca alternativa tra liberta' e divieto, e mostrano come l'ordine sociale non sia effetto esclusivo della sovranita' della legge, ma di una trama di istituzioni, di discorsi, di luoghi, di forme, attraverso i quali il potere arriva fino ai comportamenti piu' minuti e piu' individuali, raggiunge le forme appena percettibili del desiderio, penetra e controlla il piacere individuale, in breve determina verita' e menzogna rispetto a chi e' ognuno/a, a cosa e' questo o quell'oggetto, fatto, esperienza. E' proprio dallo studio del sesso - sessualita' e procreazione - che Michel Foucault ha tratto una teoria politica radicalmente critica sul binomio, dominante in epoca moderna, tra legge e liberta', tra potere politico che emana la prima e individuo che afferma l'autodeterminazione. Sebbene quest'impostazione abbia prevalso nel discorso pubblico sulla fecondazione assistita, le prospettive davvero inedite che le tecnologie aprono restano in essa del tutto opache. * Una delle conseguenze piu' gravi - francamente scoraggiante - del corto circuito tra spettacolorita' mediatica e appelli etici alla legge e' quella di aver sottratto alla sfera pubblica l'opportunita' di comprendere quali siano i mutamenti in atto, che risultano in grado di incidere sul futuro, per profondita' e durata, e quale rivoluzione del pensiero richiederebbe affrontarli. Perche', se e' certo che il processo iniziato non sara' arrestato da una legge tanto ipocrita quanto retorica, essa contribuisce a distogliere l'attenzione dagli aspetti piu' problematici, alimentando l'illusione che il nuovo modo di procreare sia stato ricondotto entro i rassicuranti argini della terapia di coppie sterili. Non ci sara' nessuna rottura epocale del sistema di relazioni familiari, con un moltiplicarsi vorticoso di padri e madri. Anzi, grazie alla scienza vi sara' certezza per tutti e tutte dell'identita' biologica; anzi verra' in primo piano perfino l'evidenza dell'"essere persona", fin dal concepimento. E al bisogno di tutti i bambini e le bambine del mondo di avere la vera mamma e il vero papa' a fianco, almeno per quelli nati grazie alle tecniche lo Stato offre assoluta garanzia. Non sto ironizzando, ma riassumendo seri ragionamenti, fatti piu' volte in questi anni da intellettuali ed esperti di bioetica. Purtroppo l'argine non tiene, perche' le tecnologie tendono a ridefinire la normalita' della procreazione, sul piano simbolico prima ancora che nelle pratiche. Se queste ultime per ora rispondono a una domanda sociale circoscritta, anche se in espansione, prevalentemente costituita da coppie sterili, la rivoluzione simbolica, gia' avvenuta, accomuna tutte le tecniche, dalle piu' semplici alle piu' sofisticate, nella possibilita' del concepimento senza rapporto sessuale: tecnicamente senza coito, per l'immaginario e il simbolico senza contatto tra i corpi. Senza attivare cioe' quello scambio tra sostanze biochimiche e significati, tra fantasie e volonta' che, per dirlo con la psicoanalista Marie Magdalene Chatel "negli esseri parlanti... realizza una precipitazione (in senso chimico) dell'incrociarsi di desideri inconsci", per cui ogni gravidanza e' "in qualche modo un incidente" (1). Una volta spezzata la continuita' tra rapporto sessuale e concepimento fisico siamo entrati in quello che Jacques Testart chiama "il tempo morale della dissociazione: ti amo e ti do' un figlio senza carezze ne' contatto, ti desidero e faccio un figlio con te senza amarti. Fino a oggi solo questa seconda ipotesi era possibile" (2). Se vogliamo parlare di artificialita', questa consiste nell'assenza di rapporto sessuale tra donna ed uomo. E' questo a scompaginare il rapporto tra natura e cultura, costruito da secoli, e non gia' la possibilita' che la coppia procreativa non corrisponda piu' a quella giuridica dei genitori. La dissociazione tra sessualita' e procreazione, se per un verso rende possibile il ricorso a piu' soggetti, dando luogo alla scomposizione e moltiplicazione di padri e madri, per altro verso accomuna questo scenario a quello piu' accettato dell'inseminazione omologa nella coppia legittima. Perche' mai la tecnica di inseminazione dovrebbe essere diversamente regolata a seconda di chi vi ricorre? L'intervento non prevede neppure l'indispensabile partecipazione del medico. Dove consiste, allora, l'artificialita'? Nella distinzione, come si fa intendere, tra "omologa" ed "eterologa"? In cosa, la possibilita' che una donna porti in se' il frutto di un seme diverso da quello del marito, costituisce un artificio? E' qui la frattura creatasi rispetto al modo normale di concepire, al modello sociale di filiazione? O non e' piuttosto la messa fuori scena della sessualita' che contraddistingue, sia pure con diversa intensita', l'inseminazione come la fecondazione in vitro (Fivet), omologa o eterologa? * Se nelle pratiche sessuali sono i corpi che parlano, a volte assecondando, altre smentendo le scelte consapevoli, i desideri elaborati, anche nelle nuove pratiche non e' solo il saper fare strumentale a decidere dei risultati. Non basta sostituire materiale efficiente per porre riparo. Si attivano fantasie sessuali insieme all'immaginario sulle tecnologie. Donne e uomini che vi ricorrono comunicano tra loro e con i medici in una lingua che miscela biologico, immaginario e simbolico, creando legami diversi da quelli tra domanda e prestazione. Si puo' ipotizzare che "concepire senza contatto" incida profondamente sul desiderio: posso avere un figlio mio, senza patire del legame con l'altro. La fantasia narcisistica e' stigmatizzata per stilare la lista degli anormali, ma e' presumibilmente attiva anche nei normali. Nell'ottica impersonale della tecnica il sesso e' un mezzo che puo' funzionare piu' o meno bene, si tratta di perfezionarlo o sostituirlo. Per farlo, le tecnologie per un verso mimano il processo "naturale", e per un altro lo modificano piu' o meno massicciamente. Come gia' sapeva Francis Bacon, per dominare la natura occorre conoscerla ed obbedire alle sue leggi. Per ottenere un concepimento il medico deve trattare "organi senza corpi" (3), scomponendo la procreazione in funzioni e sostanze, diversamente rilevanti per le distinte fasi del processo, con relativi problemi di disponibilita' e uso. Questo punto di vista, necessario per intervenire, si riproduce nella rappresentazione sociale e nella percezione soggettiva di chi vive nel corpo questa riduzione ad organi: la donna. Se generare e' un problema di organi da combinare, riproducendo la sequenza delle loro funzioni, anche in modi distinti, e ottenendoli da corpi diversi, si rafforza l'idea che tutti i soggetti abbiano uguale diritto e possibilita' di farlo, utilizzando materiale biologico proprio o altrui. Da qui il discorso sul riconoscimento di questo diritto, garantendo a tutti e tutte uguali opportunita' di accesso alle tecniche. Ho gia' detto che considero bizzarro, oltre che costituzionalmente discutibile, vietare per queste ultime quello che non si puo' non ritenere legittimo per il sesso. E tuttavia questo diritto individuale e uguale poggia sulla finzione che sia definitivamente azzerata la differenza tra donna ed uomo, proprio sul nodo cruciale della procreazione. * Ma le tecniche non possono sostituire il corpo femminile, tuttora indispensabile nella gravidanza. Ne' l'utero e' un organo disponibile all'uso, separato dal corpo, dunque dalla donna. Equipararlo agli altri organi riproduttivi, come avviene di frequente, tradisce l'assurdita' di questa distinzione tra i corpi, la disponibilita' di parti e funzioni e le libere volonta' soggettive che si accordano attorno a questo uso. Equiparare seme, ovocita e utero riduce la gravidanza a un transito come un altro verso la nascita. L'embrione ottenuto dalla provetta passa al grembo senza che questo venga ritenuto l'evento decisivo per la sua vita, per il suo esserci nel mondo. Concepimento, gravidanza, parto diventano stadi diversi di un unico processo: momenti di una stessa vita racchiusa nella biologia. Non va sottovalutata la forte discontinuita' che l'extracorporeita' rappresenta. Poiche' l'essenziale e' avvenuto fuori di lei (senza lei?), per la donna gestante si tratta di completare l'opera. Ma, finche' l'extracorporeita' dovra' arrestarsi alla soglia della gestazione, i figli della scienza continueranno a essere "nati da donna". Alla gestazione corporea resta quindi connessa la differenza tra divenire madre e divenire padre. Tuttora il Codice civile riconosce come madre colei che partorisce. Un riconoscimento che diviene problematico dal momento che non vi e' piu' coincidenza tra "madre" genetica e "madre" gestante. Ed e' questa l'altra novita' sconvolgente prodotta dalla fecondazione in provetta. Per la prima volta due donne possono contribuire alla nascita di un nuovo essere umano, senza che vi sia relazione con un uomo, dell'una o dell'altra; e' sufficiente la disponibilita' di seme congelato. Ovviamente le due donne devono ricorrere all'imprescindibile mediazione del medico, e alla complessa struttura che egli ha alle spalle. Viceversa per un uomo non e' sufficiente procurarsi un ovulo, o un embrione, deve esserci una donna che acconsenta al suo reimpianto e a partorire il figlio di lui. Lungi dall'avvicinare la prospettiva di una parita' biologica e giuridica tra i due sessi, le tecnologie riattivano, come ho gia' detto, tutti i fantasmi sull'onnipotenza materna. Non e' difficile ricondurre a questo la difesa del modello di famiglia tradizionale. Nella famiglia eterosessuale, anche nella versione aggiornata della parita' di diritti, l'uomo resta la figura centrale; attribuendo alla coppia la normalita' della scelta procreativa, il suo diritto continua a essere privilegiato rispetto al differente potere di generare di donne ed uomini. * Finche' si nasce da donna, anche la tutela dei non-nati non puo' prescinderne. Non vi e' diritto che possa essere fatto valere in nome del concepito, che non si traduca per la donna in un dovere giuridico di portare a termine la gravidanza. La legge italiana, da poco approvata, prevede l'obbligatorieta' dell'impianto dei tre embrioni ottenuti. Essendo vietata la "revoca del consenso", la donna non ha scelta, anche se la situazione e' mutata o, semplicemente, valuta diversamente le conseguenze al momento di decidere l'impianto. E' davvero mostruoso ipotizzare di costringerla, contro la sua volonta'. Ed e' contro il buon senso affermare che il riconoscimento del diritto a nascere non mette in questione l'aborto. La conclusione coerente di quel diritto e' di vietare, senza eccezione alcuna, ogni sua violazione. Perfino se si dovesse scegliere tra le due vite, questo paradossale "diritto dell'embrione" - patrocinato dalla legge - andrebbe privilegiato sul diritto della donna, se e' compito dello Stato proteggere i piu' deboli. Evocata dal concepimento fuori del corpo materno, l'indipendenza acquisita dal concepito consente alla societa' e allo Stato di controllare in forme odiose il corpo femminile. All'idea che l'embrione sia autonomo fin dal concepimento le tecnologie offrono una parvenza realistica, eternizzando la sua fantasmatica presenza. Si discute se l'embrione e' o no persona senza fare distinzione tra grembo materno e provetta, come se fosse trascurabile se a fare il vivente sia il corpo o lo strumento. E come se tra embrione in vivo e in vitro la condizione fosse la stessa, e dunque si dovessero adottare gli stessi principi per decidere cosa e' lecito o no fare. Ma la personificazione trae forza simbolica dall'immagine di un essere vivente, piu' difficile da riconoscere in un insieme di cellule congelate, dunque la vita deve essere presa in carico, assistita, difesa, nel luogo concreto del suo farsi, il corpo femminile. La presunta indipendenza dall'embrione in vitro serve a giustificarlo. Ma la nozione di persona giuridica e' inapplicabile alla relazione primaria, di dipendenza corporea e non solo, con la donna. In quanto soggetti di diritti, embrione e donna o sono considerati autonomi l'uno dall'altra, come se fossero separati, anche e prima di tutto nell'integrita' dei corpi; oppure l'embrione e' parte inscindibile del suo corpo, della quale lei disporrebbe come di altre. In entrambi i casi si nega la realta' sui generis della relazione grazie alla quale la vita prende forma in un essere distinto, pronto a separarsi dalla madre. Sottratto all'essere generato da madre, il non-nato appartiene tutto e subito allo Stato che fa della sua vita, fin dall'inizio, una materia sua. Catturato dal biologismo proprio delle tecnologie, il diritto presume di fondarsi sulla verita' biologica, versione aggiornata, quanto dogmatica, del giusnaturalismo. Ma, una volta ridotta la nascita a una modo tecnico di venire al mondo, concentrato il senso dell'essere umano nell'identita' genetica, davvero non c'e' modo di porre un limite all'intervento invasivo, politico e tecnologico, sul vivente. Per concludere, la procreazione assistita mostra in tutta evidenza che le relazioni procreative sono tuttora centrate sulla figura femminile. Rispettare la volonta' della donna "di procreare e costituire la forma di famiglia che meglio crede, liberamente e responsabilmente", "eliminare qualunque limite che ponga impedimenti alla sua volonta'", favorire "un'etica civile non priva di componenti pragmatiche": sono questi i criteri ai quali si e' ispirato il legislatore in Spagna. Una buona premessa per provare a governare questo passaggio epocale. * Note 1. Marie Magdeleine Chatel, Il disagio della procreazione, Il Saggiatore, Milano 1995. 2. Jacques Testart, L'uovo trasparente, Bompiani, Milano 1988. 3. Rosi Braidotti, Soggetti nomadi, Donzelli, Roma 1995. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 908 del 23 aprile 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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