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La nonviolenza e' in cammino. 906
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 906
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 21 Apr 2005 00:24:28 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 906 del 21 aprile 2005 Sommario di questo numero: 1. Laura Operti: Colloqui con Norberto Bobbio 2. Giuseppe Burgio: Verso un'ecologia dei conflitti (parte seconda e conclusiva) 3. La "Carta" del Movimento Nonviolento 4. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. LAURA OPERTI: COLLOQUI CON NORBERTO BOBBIO [Ringraziamo Laura Operti (per contatti: laura.operti at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso su "Azione nonviolenta", n. 4, aprile 2005. Laura Operti, docente, saggista, ha promosso e curato rilevanti iniziative e pubblicazioni. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909 ed e' deceduto nel 2004, antifascista, filosofo della politica e del diritto, autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace, e' stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del XX secolo. Opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti presso l'editore Passigli, Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993. Opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti (www.erasmo.it/gobetti) che invitiamo caldamente a visitare] Il 9 gennaio del 2004 moriva Norberto Bobbio e nel primo anniversario sui giornali ho trovato ancora molte fotografie ed articoli che lo hanno ricordato, tra cui un'intervista al figlio Andrea che ci ha restituito la sua figura nel pensiero e nella vita familiare. Queste letture e un senso di pacificato rimpianto, mi hanno spinta finalmente a scrivere qualche riga in omaggio all'illustre professore con cui mi laureai all'Universita' di Torino con una tesi in filosofia del diritto nel giugno 1969, superando un certo imbarazzo e il timore che tutto quello che si poteva dire di lui sia gia' stato detto e scritto e da ben altre e piu' autorevoli voci. Credo pero' che Bobbio non disdegnerebbe affatto essere ricordato, come faro' io, per l'influenza diretta o indiretta del suo insegnamento nelle vite dei suoi allievi, anche al di fuori del mondo accademico e in modi svariati. Fui sua allieva provenendo dalla facolta' di lettere e filosofia e seguii negli anni universitari i suoi corsi su "Il problema della guerra e le vie della pace" e su "Giusnaturalismo e positivismo giuridico" (1). La mia tesi di laurea in filosofia ebbe come argomento "Il principio etico della nonviolenza" e per prepararla fui piu' volte ricevuta a casa sua in via Sacchi 66, come Bobbio era solito fare coi suoi studenti. Gia' allora ebbi la consapevolezza della qualita' del rapporto che in questo modo si instaurava tra docente e allieva, che non era affatto consueto in quella universita' e che per sempre sarebbe rimasto nel cuore. Nulla togliendo all'autorevolezza e a una certa severita' che caratterizzava la persona. Erano gli anni della contestazione e sappiamo che Bobbio la visse intensamente, cercando di capirne le ragioni. Anche di questo si parlava mentre si discuteva della nonviolenza, concetto all'epoca quasi originale e comunque non molto condiviso da piu' parti del "movimento". Bobbio precedentemente mi aveva consigliato vivamente di andare a Perugia a parlare con Aldo Capitini, perche' da lui avrei potuto avere tutti i lumi e le indicazioni che stavo cercando, e cosi' feci nella primavera del '67. Tralascio tutte le impressioni altrettanto forti che ebbi dal bellissimo incontro con Capitini, che richiederebbero un altro saggio, data la statura del personaggio. Da Capitini, oltre all'approfondito esame di quelli che erano i fondamenti del pensiero nonviolento, ebbi il prezioso suggerimento di andare in una certa libreria di Londra, dove avrei potuto trovare tutti i libri che volevo per sviscerare il tema. L'epoca di internet era lontana e quindi io con molto entusiasmo in estate me ne volai a Londra e trovai in questo piccolo negozio in Caledonian Road 5, specializzato in Peace Research, una persona piena di sapere e passione che mi procuro' i libri che cercavo. Sono stata dunque molto fortunata ad avere avuto nel percorso di ricerca che porta alla stesura della tesi incontri cosi' belli, di livello umano cosi' alto, quali - gia' allora lo intuivo - la vita non facilmente regala. Provo un po' di pena per i ragazzi che oggi, come allora, vanno fieri di preparare la tesi nel minor tempo possibile e col minor dispendio di energie... La mia discussione di laurea fu ravvivata da domande che il mio relatore, nonostante la frequentazione di anni, si era riservato di farmi li', e dal dialogo a tre col controrelatore, il professor Giuseppe Riconda, docente di filosofia morale alla facolta' di lettere e filosofia. Ando' tutto bene e come prosecuzione e compimento di questo lavoro tenni all'universita' un seminario con Riconda e pubblicai sulla rivista "Filosofia" nel 1971 un saggio dal titolo Rassegna di studi sulla nonviolenza (2). Ma tutto questo e' l'antefatto per parlare di come l'insegnamento di Bobbio abbia permeato la mia vita, nelle esperienze di lavoro e forse qualcosa di piu'. * Subito dopo la laurea ebbi un incarico a tempo indeterminato per l'insegnamento di materie letterarie presso un scuola media di un quartiere di periferia di Torino, la mia citta'. Il mio primo lavoro mi diede molta felicita' e provai subito una forte empatia per quei ragazzini, un po' teppistelli, tutti pero' sufficientemente incuriositi dalla scuola, dai loro insegnanti, da cio' che veniva loro raccontato (avevo due classi di cui una tutta maschile). Ovviamente, avendo studiato tutt'altro all'universita', sapevo ben poco di didattica, di pedagogia, ma, come pensavo allora e anche adesso penso, dopo tanti anni in cui ho avuto a che fare molto da vicino con la formazione dei docenti, non mi sembrava necessario essere a conoscenza di particolari metodologie per andare d'accordo con gli studenti e insegnar loro quel che si doveva. Era molto diffusa la pratica del "partire dagli interessi dei ragazzi" e quindi anch'io seguii piu' o meno questo "imperativo educativo", anche se strada facendo mi accorgevo che porgere con le giuste maniere contenuti totalmente lontani dalla loro esperienza a volte poteva avere un effetto eccitante, come se si andasse alla scoperta di un territorio sconosciuto. E quindi perche' non portarli sui "miei" territori e vedere cosa succedeva? Per questo in una terza media proposi, forse all'interno del programma di educazione civica, o forse no, il tema del giusnaturalismo di bobbiana memoria e, miracolo, riuscimmo a sviscerarlo, a farne capire i nessi con i f enomeni del sociale, con l'attualita', eccetera eccetera. Al punto che quando ci fu una specie di "ispezione" da parte della preside, in quanto per motivi disciplinari (sic!) non si voleva ammettere alcuni ragazzi all'esame, io fronteggiai questo pericolo mettendo in scena un'interrogazione con l'allievo piu' bravo che, guarda caso, si chiamava Leopardi. L'interrogazione si svolse sulla differenza tra diritto naturale e diritto positivo, su come la pensava lui, i suoi compagni, se l'argomento lo aveva interessato, se avrebbe voluto approfondirlo. La preside usci' dall'aula esterrefatta, anche se non voleva darlo a vedere e mi disse soltanto "si', effettivamente il livello culturale della classe e' buono". Ricordo benissimo l'episodio, e quello che tutti avevamo provato, come fosse ora. Con questa esperienza io avevo verificato che tutto il sapere puo' essere condiviso e puo' far crescere in modo diverso tutti, quale che sia l'eta' e la provenienza sociale. Quando raccontai l'episodio a Bobbio, egli sorrise e mi pare di ricordare che fosse soprattutto contento per l'entusiasmo che io mettevo nel far pervenire, mediandolo, a quei ragazzi cio' che avevo imparato nei suoi corsi. Scorgeva in questo le potenzialita' di una trasmissione democratica, ugualitaria, resa semplice, del sapere che era nelle sue corde piu' profonde (3). * Molto anni piu' tardi mi imbattei in quella che sarebbe diventata una mia passione: l'"antropologia visuale", figlia di antropologi e registi. L'antropologa per eccellenza che credette fermamente in questo mezzo per far progredire l'umanita' fu l'americana Margaret Mead, insieme al marito, l'ancor piu' celebre Gregory Bateson, alla fine degli anni trenta, con esperienze sul campo a Bali e in Nuova Guinea (4). Il regista cui puo' attribuirsi la paternita' dell'antropologia visuale e' Jean Rouch, regista-etnologo, francese, da poco scomparso, che particolarmente nelle terre del Niger negli anni '50 scopri' come la cinepresa non solo potesse fissare per sempre espressioni di una cultura che stava scomparendo, ma anche le grandi potenzialita' di relazione e di scambio, insite in questa idea di fare cinema: la cosiddetta "antropologia condivisa" (5). In Italia la figura indicata come piu' significativa in questo campo e' quella dell'etnomusicologo e cineasta Diego Carpitella che indago' e filmo' in aura demartiniana nel nostro Sud fenomeni di tarantismo, musica, canti, linguaggi gestuali, che forse oggi sarebbero dimenticati, se non ci fosse stata la sua vivida opera (6). Nel 1979 organizzai con Diego Carpitella, Gian Renzo Morteo, docente di storia del teatro, Sara De Benedetti del Gruppo di danza contemporanea Bella Hutter, una rassegna dal titolo "Danza, rito, gestualita' nel film etnografico", patrocinata dalla Regione Piemonte e dal Centre Culturel Franco-Italien, che duro' dall'8 maggio al 9 giugno, con tre proiezioni a settimana per un totale di circa quaranta documentari. A Torino, credo per la prima volta, si scopri' al Teatro Araldo in Borgo S. Paolo una cinematografia che spaziava dalla cerimonia rituale delle popolazioni africane, alla danza-trance dei balinesi, al raffinato teatro giapponese kabuki, al folklore europeo. Ma tutto questo cosa c'entra con Bobbio? Innanzitutto avere un atteggiamento curioso e rispettoso degli altri credo sia stato un modo di essere di Norberto, ed e' lo stesso con cui i grandi registi antropologi che ho citato si accostavano a gruppi o popolazioni la cui cultura aveva registri, connotazioni, segni diversi dai nostri. Fissando i segni e le immagini di tali culture nell'immagine filmica si soddisfano schematicamente quattro esigenze: - l'archiviazione di culture in via di estinzione in modo che le future generazioni possano reimpadronirsi della propria identita' culturale; - l'effettuazione di una ricerca scientifica estremamente mirata, che consente di rivedere l'immagine audiovisiva dei fenomeni nei quali il movimento ha un ruolo importante, per un tempo indefinito; - la catalogazione di materiali audiovisivi per una scienza comparativa delle culture; - la comunicazione interculturale, attraverso l'immediatezza del contatto con la realta' che scorre sullo schermo (7). Nulla a che vedere con la cialtronizzazione di un certo reportage televisivo che ci avvicina a "mondi lontani", ma il piu' delle volte in modi superficiali, incolti, attenti piu' di tutto a un'"audience" spesso nutrita di qualunquismo e di volgarita'. E' anche importante ricordare che storicamente la prima manifestazione ad aver promosso in Italia la conoscenza dell'antropologia visuale era stato il Festival dei popoli di Firenze, fondato nel 1959 dell'allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira, di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita, una figura che, guarda caso, ci riporta nell'orizzonte della nonviolenza. Il primo nucleo del Festival fu proprio il documentario etno-antropologico che presto si allargo' alla documentazione sociale o socio-politica e in tempi piu' recenti a quei film di fiction ispirati a valori etici, a loro volta testimonianza delle problematiche che sconvolgono il pianeta: miseria, violenza, disastri ecologici, nuove schiavitu' e cosi' via. * Per la sottoscritta il passo fu breve: quando in Italia si comincio' a parlare diffusamente di flussi migratori, societa' multietnica, integrazione, diversita', incontro tra culture, il mio interesse dominante si trasferi' dall'antropologia visuale all'educazione interculturale. A quell'epoca lavoravo all'Irrsae Piemonte, l'istituto regionale per la ricerca e l'aggiornamento educativi (da alcuni anni Irre, Istituto regionale per la ricerca educativa). La scuola materna, poi la scuola elementare, poi la scuola media cominciavano a riempirsi di bambini provenienti dal Marocco, dalla Cina, dalle Filippine, dal Peru', dalla Nigeria (siamo ai primi anni '90) e le istituzioni scolastiche e gli insegnanti avevano bisogno di formazione specializzata per far fronte all'evolversi della realta'. Senza entrare in un'analisi approfondita del fenomeno e del mio conseguente impegno in quegli anni molto stimolanti, molto ricchi culturalmente, qui voglio ricordare che nacquero in quel periodo tre libri pubblicati dalla editrice Bollati Boringhieri (8), in cui si raccoglievano le relazioni provenienti da convegni, conferenze, seminari organizzati all'Irrsae, piu' contributi vari, tutti progettati intorno all'idea che l'educazione e l'istruzione avrebbe dovuto ispirarsi all'interculturalita' per essere democratiche e rispettose dei diritti umani. All'uscita, nel dicembre '92, del primo libro Verso un'educazione interculturale, nell'elenco che diedi alla casa editrice di persone cui mandare il volume, sicuramente il professor Bobbio era ai primi posti. E puntualmente nel gennaio del '93 ricevetti da Bobbio una letterina di ringraziamento per l'invio del libro e un garbatissimo e affettuoso invito ad andarlo a trovare e fare quattro chiacchiere. Questo di li' a qualche giorno avvenne e ricordo quell'incontro, dopo molti anni che non ci vedevamo, come un momento di grande emozione, per me assai gratificante, ma anche di pacato "contarsela" un po' su tutto, dalle grandi cose del mondo (si parlo' anche di Clinton, per esempio) alle vicende della nostra universita', a cio' che avrei fatto una volta concluso il mio "comando" (il minaccioso termine tecnico era proprio questo) all'Irrsae. Sempre attento, preciso nelle osservazioni e nei suggerimenti, Bobbio mi disse che il mio libro era andato a collocarsi nel suo studio sulla pila di libri che avevano come tema il razzismo e che gli era molto piaciuto il piccolo saggio contenuto nel libro di un autore africano, Mambu Bamapi, dal titolo "Razzismo strutturale e razzismo contingente". Poi mi parlo' a lungo del testo di Pierre Andre' Taguieff, La forza del pregiudizio (9), che amava molto. Riferendosi a un mio capitolo del libro che aveva per tema "Il ruolo dell'antropologia visuale nella pedagogia interculturale" e che riassumeva un po' la mia ricerca di quegli anni, gli scappo' di dire: "Quante cose sai su questo strano argomento". Poi mettemmo in luce il profondo senso di continuita' tra il pensiero nonviolento e il pensiero interculturale che in estrema sintesi hanno in comune il rispetto dell'uomo a qualsiasi classe sociale e cultura appartenga, e mirano entrambi attraverso un'"opzione dinamica", a portare dei cambiamenti la' dove questo si renda necessario. Cosi' come "noi" non possiamo rimanere immutati in una societa' che costantemente ci pone accanto stimoli e modelli provenienti da culture diverse, cosi' "loro", che lasciano la loro societa', devono entrare in una prospettiva di cambiamento che non cancella, ma trascende la loro precedente identita'. In un contesto pero' che non sia mai di dominazione (10) degli uni sugli altri. Di grande suggestione rimangono le parole di Aldo Capitini: "anche a proposito dell'attuale mondialismo la nonviolenza da' un'ottima guida. Non si oppone, sia perche' c'e' tanta gente che in quella forma esprime quello che vuole la nonviolenza, sia perche' c'e' sempre qualche cosa di educativo in questo sentirsi cittadini del mondo". Quando Capitini parla di educazione alla nonviolenza, noi potremmo anche dire all'interculturalita', egli scrive: "l'educazione alla sincerita' e alla libera discussione, al rispetto delle minoranze, dei refrattari, degli eretici, l'attenzione a chi e' fuori del gruppo, e gli scambi di scolari, i campi estivi internazionali e il servizio civile, sono modi che rientrano in questo ambito... perche' di nonviolenza ce ne e' stata, e profonda, pura, mirabile; ma oggi vi vediamo alcuni elementi che ne fanno una cosa nuova; e anzitutto il senso dinamico, che essa e' trasformazione dell'umanita', della societa', della realta', e che quindi non e' un semplice fatto morale e semplicemente personale, ma coinvolge tutti" (11). E potremmo riportare infinite altre frasi di Aldo Capitini, significative per il nostro percorso. Alla fine del pomeriggio, quando Bobbio mi accompagno' all'ascensore, mi disse che, se si fosse presentata l'occasione, avrebbe fatto volentieri cenno al mio libro (12). * Passarono alcuni anni, ebbi occasione di incontrarlo in luoghi pubblici e ci sentimmo al telefono. Andai a trovarlo a Natale del 2000, quando c'era ancora accanto a lui la moglie Valeria. Si parlo' un po' di tutto, delle sue ultime pubblicazioni (13), di come andavano le cose nel mondo, delle situazioni di conflitto, anche del mondo arabo, che era il tema del mio terzo libro; ma di questo Bobbio non ricordava molto, forse il libro si era perso nella mole smisurata di volumi che, nonostante l'eta' avanzata, continuava a ricevere. * Piu' importante per me fu l'ultima visita, nel dicembre 2001, quando gli comunicai che dal mese successivo avrei lavorato come giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d'Aosta. Assunse un'aria vagamente solenne e mi disse quanto poteva essere importante, anzi decisivo, per un giovane deviante avere dal Tribunale la giusta sentenza: che fosse riparatrice, ma al contempo di aiuto, di sostegno, di forza per la sua vita futura che era ancora tutta da compiersi. Qualcosa, fin da queste prime battute, mi riporto' alle atmosfere un po' squinternate, ma estremamente stimolanti che avevano accompagnato i miei primi anni di insegnamento nella scuoletta di periferia e sentii che la mia scelta professionale aveva una sua logica. Piu' volte al tribunale, durante le udienze, le camere di consiglio, lo studio dei fascicoli, i rapporti con l'Istituto penale minorile Ferrante Aporti, ho ripensato alle scarne, ma intense, rigorose parole del professore, in particolare quando in qualche momento di sconforto mi sentivo addosso un senso di inadeguatezza o, a seconda dei casi, di scarsa incisivita' per quello che potevo fare, o meglio: dare. A parte queste considerazioni che riguardano l'"incontro dei saperi", degna aspirazione della magistratura minorile, e di altri ambiti del sociale, ma non sempre facile da realizzare, al tribunale si entra in contatto, nel penale e nel civile, con un'umanita' dolente che ti apre tali scenari di conoscenza e di inevitabile condivisione, da rendere questa esperienza estremamente significativa (14). * Il diritto, o meglio la filosofia del diritto, come tentativo di riflettere sui fondamenti delle leggi che governano noi e i paesi del mondo intero in questi tempi tormentati, mi sembra siano tornati nella mia vita, anche ora che Bobbio non c'e' piu', che il nostro colloquio e' terminato. Un piccolo tassello del grande mosaico che compone la sua personalita'. * Note 1. Uno dei primi libri che lessi di Norberto Bobbio fu Giusnaturalismo e positivismo giuridico, edizioni di Comunita', Milano 1965. Risfogliando l'introduzione leggo che Bobbio dedico' questo libro a Alessandro Passerin d'Entreves e Renato Lattes "coi quali - scrisse a p. 13 - ormai da piu' di trent'anni dura un amichevole e fecondo colloquio". Le pagine di certi capitoli sono molto sottolineate. 2. L. Operti, Rassegna di studi sulla nonviolenza, in "Filosofia", anno XXII, fasc. II, aprile 1971, pp. 217-229. 3. Mi piace ricordare della vastissima bibliografia di Norberto Bobbio un volumetto del 1977: N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino (1920-1959), Cassa di Risparmio di Torino, Edizione speciale per gli studenti delle scuole medie superiori del Piemonte e Valle d'Aosta. Un libro scritto appositamente per insegnanti e studenti che Bobbio defini' ne' "cronaca", ne' "storia", ma piuttosto una sorta di autobiografia. Nella premessa troviamo scritto: "Siccome ho parlato di persone che ho quasi tutte conosciute, talora intimamente, il saggio ha assunto tratto tratto carattere autobiografico". Un impegno editoriale dunque che rivela il rispetto e la fiducia che Bobbio rivolse sempre al mondo della scuola. 4. I film di Margaret Mead e Gregory Bateson che hanno aperto la porta d"ingresso principale all"antropologia visuale e che appartengono alla serie "Films on Character Formation in different cultures" editi dalla New York University sono: A balinese family,17'; Bathing babies in three cultures, 9'; Childhood Rivalry in Bali and in New Guinea, 17'; First days of a New Guineaís baby, 19'; Karba's first years, 19'; Trance and dance in Bali, 20'; Learning to dance in Bali, 13'. I film sono stati girati in 16 mm, bianco e nero, negli anni 1936-'39, e montati a partire dagli anni '50. Della ricchissima bibliografia di Margaret Mead segnalo, in quanto attinente alla tematica che qui ci interessa, ed estremamente attuale: M. Mead, L'antropologia visiva in una disciplina di parole, in "La ricerca folklorica", 1980, 2, pp. 95-98. Del periodo in cui esplorai questo genere di documentazione scientifica: L. Operti, Ripensando a Margaret Mead e Gregory Bateson, in "Il Nuovo Spettatore", 1989, 12, pp.1 23-129. 5. Della sterminata produzione cinematografica di Jean Rouch ricordo a titolo esemplificativo: Bataille sur le grand fleuve,1951, 25', cl; Les maitres fous, 1958, 30', cl; Yenendi ou les hommes qui font la pluie, 1950, 35', cl; Sigui 1969 (con Germaine Dieterlen), 1969, 40', cl; Tourou e Bitti , 1971, 8', cl. Jean Rouch e' stato ricordato nell'ultima edizione del Festival dei popoli di Firenze (dicembre 2004) con una tavola rotonda presieduta dall'antropologo Tullio Seppilli: "In memoria di Jean Rouch: il film etnografico ieri e oggi". 6. Di Diego Carpitella i film importanti sono: Terapia coreutico-musicale di tarantismo,1960, 10', bn; Cinesica culturale1: Napoli. Ricerche sui gesti e il linguaggio del corpo,1974, 40', cl; Cinesica culturale 2: Barbagia, 1976, 42', cl. Su di lui si veda: M. Agamennone e Gino. L. Di Mitri (a cura di) L'eredita' di Diego Carpitella, Besa, Nardo' (Le) 2003. 7. Il libro che ancora oggi e' molto utile e mi e' stato di guida e formazione in questa disciplina e': Paolo Chiozzi, Antropologia Visuale, La casa Usher, Firenze 1984. Altri libri essenziali da segnalare per chi voglia accostarsi a questa tematica sono: P. Chiozzi, Manuale di antropologia visuale, Unicopli, Milano 1993, 1997; M. Canevacci, Antropologia della comunicazione visuale, Costa Nolan, Genova 1996; A. Marazzi, Antropologia della visione, Carocci, Roma 2002. 8. L. Operti e L. Cometti (a cura di), Verso un'educazione interculturale, Irrsae Piemonte, Bollati Boringhieri, Torino 1992, 1997; L. Operti (a cura di), Sguardi sulle Americhe. Per un'educazione interculturale, Irrsae Piemonte, Bollati Boringhieri, Torino 1995; L. Operti (a cura di), Cultura araba e societa' multietnica. Per un'educazione interculturale, Irrsae Piemonte, Bollati Boringhieri, Torino 1998, 1999. 9. P. A. Taguieff, La forza del pregiudizio, Il Mulino, Bologna 1988. 10. Questo concetto ricorre nei libri di Antonio Perotti, uno tra i piu' sensibili studiosi dei fenomeni migratori e delle conseguenti necessita' educative delle societa'. In particolare si veda "Tra memoria e progetto: le transizioni culturali degli stranieri", in E. Damiano, Dinamiche multiculturali e processi formativi. Una nuova frontiera per l'Europa, Celim , Bergamo 1994. 11. A. Capitini, Religione Aperta, Neri Pozza, Vicenza 1964. Le citazioni sono state prese dal cap. IX, "La nonviolenza", pp.141-162. 12. Il che avvenne in occasione di un articolo: N. Bobbio, Razzismo, oggi, in "Scuola e citta", 4, aprile 1993, pp. 179-183. Nell'ultima parte dell'articolo leggiamo queste parole "contro il pregiudizio razziale non c'e' altra via per combatterlo che un'educazione orientata verso valori universali" (p. 183 e nota 11: "si veda il volume di Laura Operti e Laura Cometti (a cura di), Verso un'educazione interculturale, promosso dall'Irrsae Piemonte, e pubblicato dalla Bollati Boringhieri, Torino 1992, raccolta di scritti generali e specifici sulle 'culture altre' e sulla situazione degli immigrati a Torino"). 13. E' di quel periodo l'uscita in libreria di N. Bobbio, La mia Italia, a cura di Pietro Polito, Passigli Editore, Firenze-Antella 2000. Nella prima pagina troviamo scritto "Che questo sia il mio ultimo libro non e' difficile da prevedere. Quando sara' uscito avro' compiuto novantuno anni... L'idea di questo libro e' venuta a Pietro Polito che da anni lavora con me". Pietro Polito e' anche un mio amico e gli ultimi incontri con Bobbio sono stati facilitati dalla sua rassicurante presenza a fianco del maestro. 14. Ho svolto attivita' con incarico di giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d'Aosta dal primo gennaio 2002 al 31 dicembre 2004. In questi anni ho avuto un sostegno teorico, oltre che il piacere della lettura, da una rivista che segnalo vivamente: "MinoriGiustizia. Rivista interdisciplinare di studi giuridici, psicologici, pedagogici e sociali sulla relazione fra minorenni e giustizia", diretta da Piercarlo Paze', promossa dall'Aimmf, Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia. 2. RIFLESSIONE. GIUSEPPE BURGIO: VERSO UN'ECOLOGIA DEI CONFLITTI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Ringraziamo Giuseppe Burgio (per contatti: giuseppeburgio at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio, "Verso un'ecologia dei conflitti. Gregory Bateson e la gestione pedagogica delle differenze", pubblicato nel volume di Gian Luigi Brena (a cura di), Etica pubblica ed ecologia, Edizioni Messaggero, Padova 2005. Giuseppe Burgio, docente e saggista, da anni impegnato in iniziative didattiche e associative di prevenzione del disagio nella scuola, si occupa di pedagogia interculturale all'Universita' di Palermo. Gregory Bateson e' nato nel 1904 in Inghilterra, figlio di un eminente scienziato; compie studi naturalistici ed antropologici, di logica, cibernetica e psichiatria; un matrimonio con la grande antropologa Margaret Mead; Bateson ha dato contributi fondamentali in vari campi del sapere ed e' uno dei pensatori piu' influenti del Novecento; e' scomparso nel 1980. Opere di Gregory Bateson: Naven, Einaudi, Torino; Verso un'ecologia della mente; Mente e natura; Una sacra unita'; Dove gli angeli esitano (in collaborazione con la figlia Mary Catherine Bateson), tutti editi da Adelphi, Milano. Si vedano anche i materiali del seminario animato da Bateson, "Questo e' un gioco", Raffaello Cortina Editore, Milano. Opere su Gregory Bateson: per un avvio cfr. AA. VV. (a cura di Marco Deriu), Gregory Bateson, Bruno Mondadori, Milano; Sergio Manghi (a cura di), Attraverso Bateson, Raffaello Cortina Editore, Milano. Cfr. anche Rosalba Conserva, La stupidita' non e' necessaria, La Nuova Italia, Scandicci (Fi), particolarmente sulle implicazioni educative e la valorizzazione in ambito pedagogico della riflessione e dell'opera di Bateson. Una bibliografia fondamentale e' alle pp. 465-521 di Una sacra unita', citato sopra. Indicazioni utili (tra cui alcuni siti web, ed una essenziale bibliografia critica in italiano) sono anche nel servizio con vari materiali alle pp. 5-15 della rivista pedagogica "Ecole", n. 57, febbraio 1998. Tra i frutti e gli sviluppi del lavoro di Bateson c'e' anche la "scuola di Palo Alto" di psicoterapia relazionale: di cui cfr. il classico libro di Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio-Ubaldini, Roma; e su cui cfr. Edmond Marc, Dominique Picard, La scuola di Palo Alto, Red Edizioni, Como] Le dinamiche della classe La classe non e' formata dagli alunni. La classe e' un sistema formato anche dagli alunni. In un'ottica complessa, sara' un insieme di relazioni di cui fanno parte l'insegnante, i compagni, il sistema scolastico, la societa'... Come tutti i sistemi e' un organismo complesso impegnato in una coevoluzione reciproca fatta di azioni e retroazioni (il feedback delle teorie dei sistemi) molteplici e non solo intenzionali. Ogni classe ha un suo stile, frutto della sua storia, appreso dal contesto scolastico e non solo. In Italia, gli studenti di una classe rimangono insieme per tutte le ore di lezione nella stessa stanza. Sono gli insegnanti che si alternano durante le ore e negli anni. Si crea un'identita' di classe abbastanza forte e spesso una solidarieta' tra compagni che "si passano il compito". Se l'insegnante non e' abbastanza bravo a farsi accettare e "rispettare" puo' avere una competizione di tipo simmetrico con gli studenti, ma generalmente si istaura un modello complementare: un'ostilita' non manifestata con l'insegnante che controlla, giudica, valuta... Gli studenti sono tutti "nella stessa barca" a doversi confrontare con l'Altro, rappresentato dal docente. Spesso pero' la volonta' di conquistarsi i favori dell'insegnante crea un clima di competizione (modello simmetrico) tra i compagni, esasperato dal dover convivere nella stessa aula tutte le ore di lezione. Nelle scuole superiori degli Usa, il modello e' completamente diverso: sono gli studenti a scegliere quali materie studiare e si spostano di aula in aula per seguire le varie lezioni. Cio' porta ad un minore coinvolgimento emotivo con i compagni di corso (che si frequentano per poche ore alla settimana) e ad un rapporto con l'insegnante completamente diverso (25). Evidentemente, non c'e' un modello organizzativo buono e uno cattivo, sia il sistema scolastico italiano sia quello statunitense presentano svariati ordini di problemi e ambiti di efficacia. E' importante pero' notare che diversi modelli organizzativi creano diversi campi di interpretazione e diverse effetti nella quotidianita'. Il modello organizzativo delle nostre scuole e' una delle variabili di cui tenere conto nell'analizzare il tipo di conflitto che esiste e nell'ipotizzare interventi. E' esperienza di tutti notare come fuori dalla scuola il piu' aggressivo degli alunni, la piu' odiosa delle insegnanti, possano essere persone meravigliose, il bullo piu' violento possa mostrare grande sensibilita', il ragazzino considerato poco piu' di un celenterato possa mostrare una brillante intelligenza. E' proprio il contesto infatti che determina un fenomeno, che ne permette l'emergenza, la manifestazione. Come nota Rosalba Conserva, "molti dei disturbi che affliggono i rapporti umani - nella famiglia, nella scuola, sul lavoro - derivano spesso dalla scarsa consapevolezza che le 'proprieta'' dei soggetti sono 'reali' soltanto nella relazione (un ragazzo e' 'mediocre' solo nel contesto che fa emergere la 'mediocrita'' come differenza)" (26). Un ragazzo e' bravo o asino solo in un contesto che pertinentizza come differenza il rendimento scolastico. Alla stessa maniera un ragazzo e' aggressivo, violento, maleducato, etc., solo nel contesto che fa emergere tale fenomeno come differenza. Come dice Bateson, "il caso degli individui devianti, rientra nello stesso sistema di correlazione della differenziazione dei gruppi stabili. Il ragazzo su cui l'educazione di una scuola privata inglese non fa presa, anche se le radici prime della sua deviazione risalgono a qualche avvenimento traumatico 'accidentale', reagisce proprio al sistema della scuola privata. Le abitudini di comportamento che egli acquisisce possono non seguire le norme che la scuola intende stabilire, ma sono acquisite proprio come reazione a quelle norme. Egli puo' acquisire (e spesso acquisisce) strutture esattamente opposte a quelle normali, ma non e' concepibile che acquisisca strutture non correlate. Egli puo' diventare un 'cattivo' allievo di scuola privata inglese, puo' diventare pazzo, tuttavia le sue caratteristiche devianti saranno correlate in modo sistematico alle norme alle quali egli si ribella" (27). Il problema allora sembra essere un contesto scolastico che, innanzitutto, non crei la violenza e, in seconda istanza, non pertinentizzi la violenza nelle relazioni ma si focalizzi sulla valorizzazione e la risoluzione dei conflitti. * Il contesto scolastico E' utile individuare quale danza, quale configurazione relazionale, si e' instaurata nella classe e perche'. E' importante notare come sia la stessa organizzazione della scuola a percepire come fortemente complementare la relazione tra il docente che sa e lo studente che e' privo di conoscenze, tra chi insegna e chi impara. Cosi' come la competizione tra i compagni per avere un buon voto, per essere il primo della classe, evoca una relazione fortemente simmetrica. Ora, sia il modello complementare sia quello simmetrico portano alla rottura, a quello che Bateson chiama schismogenesi, e che nel nostro caso e' la violenza. Gli studenti apprendono forse dalla scuola (oltre che dalla societa') modelli relazionali schismogenetici? Gli studenti a scuola, come gli esseri viventi durante tutta la loro vita, imparano quotidianamente nozioni, contenuti, ma imparano anche forme, imparano ad imparare (e' quello che Bateson chiama deuteroapprendimento (28), apprendimento di secondo livello): che un insegnate urli "Non ti permettere piu' di colpire il compagno!" piu' che invitare alla convivenza pacifica, comunica all'alunno lo stato dei rapporti di forza all'interno dell'aula e fa passare il messaggio che chi e' piu' forte ordina agli altri cosa devono fare. La mia posizione e' che, esattamente come esistono malattie iatrogene (derivate, cioe', da una terapia impropria o eccessiva), allo stesso modo esistano conflitti favoriti o creati proprio dal contesto scolastico in cui vivono e da un intervento pedagogico improprio, dei conflitti "didascalogeni", appresi cioe' per deuteroapprendimento nel contesto educativo. Tenere conto del deuteroapprendimento puo' sembrare un limite alla nostra azione, un ostacolo al superamento del conflitto, puo' essere invece prezioso e utile proprio alla gestione del conflitto: pensare a come pensiamo, pensare a come abbiamo appreso e a come abbiamo appreso a pensare e ad apprendere, e' una risorsa, configura un pensiero autoriflessivo e consapevole che mette in causa se stesso, un pensiero ecologico. Allora, come la scuola (e la societa') possono educare a modelli relazionali diversi? Questa sembra oggi essere una priorita' perche' il vecchio metodo sembra in crisi. La disciplina e la negazione dei conflitti a scuola era garantita fino a non moltissimi anni fa dall'esistenza delle punizioni corporali. Era la minaccia di queste punizioni a garantire un rapporto complementare tra studenti e docenti: chi comandava aveva il monopolio della violenza, chi ubbidiva la subiva. Nel caso di conflitto simmetrico docente-studente, l'uso delle punizioni corporali poneva fine all'escalation: alla crescita dello scontro verbale, al non riconoscimento reciproco, al muro contro muro, la violenza istituzionalizzata (appannaggio esclusivo dell'istituzione) riusciva a porre un termine, creando un vincitore ed un vinto. Questa minaccia inoltre sedava (o rendeva invisibili) i conflitti complementari o simmetrici tra studenti. Le punizioni corporali erano parte integrante di un sistema perfettamente coerente. Oggi le punizioni corporali sono per fortuna vietate ma il gioco relazionale e' rimasto sostanzialmente immutato: la scuola continua a produrre relazioni schismogenetiche (complementari o simmetriche) che ora non hanno la possibilita' di essere concluse e bloccate con l'uso della forza. La scuola e' il campo di una contrattazione continua e snervante, una perpetua prova di forza, una gara di potenza in cui i soggetti piu' forti (gli adulti) non possono usare tutto il loro potenziale di dominio. La soluzione, ovviamente, non e' la reintroduzione delle punizioni corporali ma puo' essere cambiare le regole del gioco. * La reciprocita' Bateson individua, oltre alle due gia' viste, un'altra configurazione relazionale: "Reciprocita'. Benche' le relazioni tra gruppi possano grosso modo esser divise in due categorie, le simmetriche e le complementari, a questa suddivisione toglie alquanta nitidezza un altro tipo di differenziazione, che possiamo chiamare reciproca. In questo caso i membri di ciascun gruppo nei loro rapporti con l'altro gruppo adottano le strutture di comportamento X e Y, ma invece della configurazione simmetrica, in cui X e' risposta a X, e Y aY, si osserva che X e' risposta ad Y. Quindi in ogni singolo caso il comportamento e' asimmetrico, ma se si considera un gran numero di casi, ricompare la simmetria, poiche' a volte il gruppo A manifesta X e il gruppo B risponde con Y, altre volte il gruppo A manifesta Y e il gruppo B risponde con X... Si puo' notare che la configurazione reciproca e' compensata ed equilibrata al suo interno e percio' non tende alla schismogenesi" (29). Esiste quindi la possibilita' della reciprocita' ma questa ha uno statuto particolare. Innanzitutto, nella realta', non esistono relazioni simmetriche o complementari "pure": tutte le relazioni di un tipo contengono elementi dell'altro tipo, "e' possibile che una piccolissima dose di comportamento complementare in una relazione simmetrica, o una piccolissima dose di comportamento simmetrico in una relazione complementare contribuisca in modo cospicuo alla stabilizzazione della situazione" (30). Ma questo non e' reciprocita'. E' quanto gia' accade nella nostra pratica scolastica: e' proprio la compresenza di configurazioni complementari e simmetriche ad impedire il collasso delle relazioni. Basti pensare alle gite d'istruzione in cui il momentaneo cambiamento della relazione docente-studente migliora il clima generale della relazione complementare che si istaura normalmente in classe. La reciprocita' vera appare cosa diversa, poco diffusa e molto fragile: infatti, "considerando gli effetti della schismogenesi simmetrica sulle strutture di comportamento reciproche, si vede che queste ultime tendono a manifestarsi sempre meno" (31), d'altro canto, "se si considerano gli effetti della schismogenesi complementare sulle strutture di comportamento reciproco, si vede che meta' della struttura reciproca puo' scomparire: mentre prima entrambi i gruppi manifestavano sia X sia Y, pian piano si sviluppa un sistema in cui uno dei due gruppi manifesta solo X, l'altro solo Y" (32). Ricapitolando, la "purezza" complementare o simmetrica porta al collasso schismogenetico, la compresenza dei due modelli evita il collasso ma mantiene il sistema in uno stato di tensione continua e irrisolta. La reciprocita', la possibilita' di giocare con i ruoli, con la mobilita' dei comportamenti e delle funzioni, appare la migliore garanzia di evitare la schismogenesi ma questa relazione e' fragile, tende a deteriorarsi venendo a contatto con configurazioni simmetriche o complementari: una volta che qualcuno violi la reciprocita' e' molto difficile restaurarla. Il deteriorarsi del conflitto verso la schismogenesi violenta appare uno spettro costante, quasi un destino entropico, la reciprocita' appare una buona prassi, una disciplina costante tesa alla prevenzione della violenza. La trasformazione di un conflitto simmetrico o complementare in uno reciproco, e quindi produttivo di senso, di valorizzazione reciproca, di cambiamento, sembra essere, per l'ecologia della mente, l'obiettivo di una gestione pedagogica. Cosa sia veramente una relazione reciproca e' pero' il grande scoglio teorico che ci troviamo davanti. Lo stesso Bateson non ha affrontato fino in fondo il tema e, nei suoi scritti, la relazione reciproca e' meno articolata dal punto di vista teorico rispetto a quella simmetrica e a quella complementare. Forse perche' la reciprocita' e' una cosa che si fa, non che si teorizza o descrive. Che ha a che fare, secondo me, con la soddisfazione di tutti gli individui implicati nella relazione (anche in quella conflittuale), con il senso di partecipazione e di unita' nel rispetto delle differenze. La reciprocita' ha a che fare con la certezza che il nostro ambiente e' essenzialmente un riflesso di noi stessi, che se mostreremo rispetto e compassione agli altri, gli altri la mostreranno a noi, come quando ci inchiniamo davanti uno specchio e l'immagine riflessa si inchina davanti a noi. Per la ricerca della reciprocita' poi non partiamo da zero: un esempio di felice interazione delle differenze, di risoluzione creativa del conflitto e' sotto gli occhi di tutti noi docenti. Ciascuno/a di noi potra' pensare a quello che succede quando gli studenti si applicano ad un lavoro di gruppo, come piu' facilmente e piu' pacificamente apprendano studiando insieme. Forse il vantaggio dell'apprendimento cooperativo sta nella trasformazione della relazione educativa che da complementare (docente-studente) diventa reciproca e collaborativa (studente-studente). Su questa base, compito dell'educatore puo' essere aiutare i soggetti coinvolti in un conflitto a creare le condizioni piu' favorevoli per gestirlo in maniera nonviolenta; accogliere le loro posizioni come un contributo alla soluzione del conflitto, farli collaborare nell'analisi del conflitto, trasformare il loro punto di vista, facendoli arrivare a pensare che non sono l'uno contro l'altro ma sono fianco a fianco, impegnati nella risoluzione del conflitto. Questo metodo, detto Approccio Senza Accusa (33), sposta il focus dall'individuazione della colpa alla ricerca della soluzione e, soprattutto, mi pare rispettoso della complessita' delle relazioni e delle responsabilita' che si intrecciano in ogni conflitto. Il problema vero, pero', non e' tanto trovare il metodo migliore tra i tanti che la letteratura scientifica ormai ci mette a disposizione (34), quanto operare una rivoluzione epistemologica nel modo in cui guardiamo al conflitto. Ancora piu' in profondita', i conflitti ci offrono la possibilita' di guardare alla scuola, e al ruolo in essa di ogni attore, con occhi critici, capaci di notare le relazioni simmetriche e complementari che vi crescono. La gestione nonviolenta dei conflitti tra gli studenti implica, secondo me, anche la possibilita' di instaurare con gli alunni e con i colleghi relazioni basate sulla reciprocita' e la valorizzazione, l'accrescimento delle potenzialita' e dell'autostima, sulla collaborazione piuttosto che sulla competizione. La reciprocita' certo e' tutta da costruire, a scuola come sul pianeta. Siamo abituati a conoscere la simmetria e la complementarita' non la reciprocita', ma essa appare il nostro obiettivo: la strutturazione di quando un conflitto, una differenza, vengono gestiti in maniera soddisfacente per tutti, come scambio, mediazione simbolica, apprendimento, accoglimento e gestione dell'alterita', riconosciuta proprio in quanto alterita' irriducibile: ne' irenismo ne' fondamentalismo ma crescita. * Miracoli Rimane il problema a ciascun docente di sperimentare nel singolo caso, nel singolo conflitto, con i singoli studenti, con i singoli colleghi, il tema della reciprocita'. E rimane il problema ulteriore di inserire la reciprocita' in un'organizzazione scolastica che e' complementare quando non schiettamente verticistica. Questa sfida merita comunque di essere accettata, per gli esiti enormemente positivi che potrebbe avere, per la grande posta in gioco. La prima cosa da fare e' pero' analizzare, potenziare e criticare lo sguardo con cui guardiamo ai conflitti, scoprire con umilta' la complessita' di un conflitto e le nostre implicazioni con esso, la non innocenza di ciascun attore. Accettare questo piano significa non pensare piu' al conflitto come a qualcosa da rimuovere, ma come a una danza, un gioco che si vuole trasformare. L'orizzonte non puo' che essere l'azione ma occorre partire da alcuni punti fermi da cui non possiamo prescindere. Nella gestione dei conflitti abbiamo dei limiti oggettivi: noi insegnanti non siamo che un elemento del sistema scuola (di cui fanno parte tutti i sistemi rappresentati da tutte le persone che vivono la scuola) che a sua volta e' in coevoluzione reciproca con il macrosistema costituito dalla societa'. Pensare che la scuola possa da sola risolvere il problema della violenza significa commettere l'errore logico del Barone di Muenchhausen che, impantanatosi, riesce a sollevarsi tirandosi su per il codino, portando con se' anche il cavallo che cavalcava, stringendolo tra le gambe. Una cosa appare certa dall'analisi etnologica comparata (35): la violenza e la nonviolenza non sono questioni genetiche ma legate all'apprendimento e all'acculturazione. Rispetto a questo campo ci sono quindi per la scuola ampi e importanti ambiti di azione. Nessun educatore puo' fare il lavoro al posto degli alunni. Il docente, se esterno al conflitto, non e' responsabile diretto della sua soluzione. Superare le barriere non e' compito dell'educatore ma degli attori del conflitto, solo loro possono superare le loro resistenze. L'educatore non puo' sostituire i danzatori, puo' solo proporre una nuova danza. Tale processo non e' facile ed e' molto faticoso. Una delle frasi che piu' spesso ho sentito dagli insegnanti sfiniti e sfiduciati e': "non possiamo fare miracoli". L'esistenza e la persistenza dei conflitti e' stressante, le aspettative legate ai tentativi di risolverli sono spesso frustrate. Si spera di poter cambiare la situazione, si partecipa a corsi di aggiornamento, si leggono libri sull'argomento, si fanno riunioni e consigli di classe, ma la situazione non sembra cambiare in maniera sensibile. Allora si getta la spugna: "non possiamo fare miracoli". Io credo invece che l'unica cosa che possiamo fare e' proprio un miracolo, letteralmente "piccola meraviglia". Nessuna guarigione improvvisa, nessun pentimento subitaneo, nessuna conversione, solo una realistica consapevolezza di vincoli e possibilita', solo artigianali "piccole sorprese". Non abbiamo nessuna bacchetta magica. La codipendenza reciproca tra scuola e societa', se da un lato rende piu' faticosa qualsiasi iniziativa a scuola, dall'altro lato ci da' pero' la garanzia che le iniziative didattiche hanno una ricaduta sociale. La scuola e' parte del sistema-societa', deve integrarne l'organizzazione sistemica ma, al contempo, contribuisce a determinarla. In quest'ottica, la gestione dei conflitti a scuola non puo' avere risultati immediati, ma va valutata nell'arco di un congruo periodo di tempo. Gli effetti dell'azione pedagogica pero' avranno anche effetti di lunga distanza sull'intera societa', sull'intero pianeta. La gestione pedagogica dei conflitti e' un lavoro duro, paziente, avaro di risultati immediati, parziale e locale. Il fine e' pero' grande, enorme. Le "piccole meraviglie" che otterremo, nel trasformare i conflitti, saranno fenomeni di un cambiamento grandissimo: avremo dimostrato che la violenza non e' ineluttabile. Avremo insegnato la pace. Avremo fatto la pace, qui ed ora, cosi' come siamo. * Note 25. Cfr. Sclavi, Insegnamenti impliciti, cit., pp. 45-61. 26. R. Conserva, La stupidita' non e' necessaria. Gregory Bateson, la natura e l'educazione, (prefazione di S. Manghi), La Nuova Italia, Firenze1997, p. 53. 27. Bateson, Verso un'ecologia della mente, cit., p. 120. 28. Ivi, pp. 195-215. 29. Ivi, p. 110. 30. Ivi, p. 112. 31. Ibid. 32. Ivi, p. 113. 33. Cfr. S. Sharp, P. K. Smith, Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative, Erickson, Trento 1995, p. 90 e sgg. 34. Cfr. P. Patfoort, Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti, La Meridiana, Molfetta 2000; Th. Gordon, Ne' con le buone ne' con le cattive. Bambini e disciplina, traduzione di E. Fabretti, La Meridiana, Molfetta 2001; E. Menesini, Bullismo, che fare? Prevenzione e strategie d'intervento nella scuola, Giunti, Firenze 2000; D. Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze 1998; F. Marini, C. Mameli, Il bullismo nelle scuole, Carocci, Roma 1999; Riguardo alla forma piu' diffusa e virulenta di bullismo, quella ai danni degli studenti omosessuali, vedi L. Pietrantoni, L'offesa peggiore. L'atteggiamento verso l'omosessualita': nuovi approcci psicologici ed educativi, prefazione di G. Rifelli e presentazione di S. Lo Giudice, Del Cerro, Pisa 1999, e G. Burgio, Gay a scuola. La violenza reale e simbolica ai danni degli studenti omosessuali, in P. Gamberoni, S. Martelli, B. Pastore, Multiculturalismo dialogico?, a cura di G. L. Brena, Messaggero, Padova 2002. 35. A. Montagu (a cura di), Il buon selvaggio. Educare alla non-aggressivita', Eleuthera, Milano 1999. (parte seconda - Fine) 3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 4. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 906 del 21 aprile 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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