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La nonviolenza e' in cammino. 879
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 879
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 25 Mar 2005 00:10:08 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 879 del 25 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Enrico Peyretti: Fede - poca fede - di Pasqua 2. Il vagone letto 3. Chiara Cavallaro: Prosegue la campagna contro la legge delega sui codici penali militari 4. Silvia Pierosara: Note da un seminario su "Il principio nonviolenza" di Jean-Marie Muller 5. Elisabetta D'Erme ricorda Lisa Fittko 6. Quando il Criticone chiede scusa 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: FEDE - POCA FEDE - DI PASQUA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Per alcuni credenti cristiani, la mancata realizzazione storica delle promesse bibliche ed evangeliche (queste comprendono anche anzitutto persecuzioni ed emarginazioni) significano la "sconfitta di Dio" (titolo di un libro di Sergio Quinzio, che lessi bene), lo smarrimento della sua parola da parte delle chiese, l'impotenza stessa di Dio a mantenere le sue promesse e la sua incapacita' di salvarci dal male e dal non senso. Se per Quinzio e' tardi dopo duemila anni, allora - mi pare - era gia' tardi dopo un'ora e dopo un giorno. "Noi speravamo", dicevano i due discepoli sulla via (Luca, 24, 21), ma sbagliavano a non sperare piu'. Se noi possiamo accusare Dio dei suoi ritardi (e gia' lo faceva Israele, preferendo affidarsi al vitello d'oro), Dio puo' accusare noi (per esempio: Isaia 50, 1-3). Avremo piu' ragione noi o lui? Quei credenti perplessi non negano la speranza e la fede, ma le pongono completamente al di la' di quella dura constatazione, spesso pigramente elusa, che e' un passaggio nella disperazione. Mi sembra una cosa vera e robusta il sapere e dire chiaro che la speranza non facilmente e leggermente consolatoria e' solo quella che si misura con la disperazione: "spes contra spem", sperare dove non si vede nulla da sperare. Eppure, una tale speranza non puo' essere un salto nel vuoto, che non sarebbe degno della persona umana. Oltre l'angusto calcolo delle evidenze, si'. Senza un punto d'appoggio che merita fede, no. Se Dio chiedesse il sacrificio della coscienza che ci ha dato, un rigido "credo quia absurdum", non meriterebbe fede. Probabilmente quei critici hanno una solida ragione nel combattere quel "cristianesimo senza Cristo" degli "atei devoti" (alla Marcello Pera e Giuliano Ferrara, per dire due esempi, uno grossolano e l'altro luciferino) che, complice spesso la chiesa ufficiale, fanno del cristianesimo la "religione civile" del mondo "evoluto" e ricco, tutta buon senso convenzionale, verniciata di nobilta' spirituale, utile a giustificare l'esistente con tutte le sue nefandezze, dalle guerre alle iniquita' planetarie, come se le democrazie del capitale e del consumismo fossero il fine raggiunto della storia, il compimento delle divine promesse, dove reale, razionale e teologico felicemente coincidono e guai a chi ereticamente discute. Cosi' costoro svuotano il cristianesimo della croce, gli tolgono la novita' di Gesu', che sconvolse la religione del suo popolo, occultano il suo giudizio sul mondo, censurano lo scontro in cui Gesu' fu espulso ed ucciso dai potenti, e continua ad esserlo. A costoro, a chi e' da loro tentato, e alla chiesa che con loro fa concordati e conciliazioni, va buttato in faccia lo scandalo della croce. Al falso evangelo - annuncio pubblicitario di questo "benessere" - va opposto l'evangelo di Gesu' Cristo. Il quale, pero', e' davvero un "buon annuncio": annuncio a noi disperati, o illusi da speranze fallaci, che e' realmente entrato nel mondo, ed e' in mezzo a noi, il regno di Dio, cioe' il modo di vivere che Dio sogna per noi, il modo di vivere che ci salva dal male e dal nulla. Il vangelo e' severo e disilluso, promette la croce, ma e' un "eu-angelion" (annuncio di un bene) e non un "kak-angelion" (annuncio di un male, di un fallimento). Cio' che annuncia e' una realta', non una improbabile utopia. Una realta', tuttavia, non registrata dagli annali mondani, non affermata coi metodi mondani dell'imporsi e del vincere, ma che vive come il seme che germina dopo essere marcito nel terreno, come Gesu' crocifisso e sempre vivo e parlante. Riconosce e vede questa realta', con l'occhio della fede, chi "ha orecchi per intendere" perche' gli e' stato donato di trovare in se' quella "luce che illumina ogni uomo" (Giovanni 1, 9). Chi ha fede lo vede, questo modo di vivere evangelico, germogliare in se' e attorno a se', pur in mezzo al male interiore ed esteriore, ma lo vive anche chi non ha fede ma ha volonta' buona. Nel giudizio annunciato in Matteo 25, chi avra' servito il suo prossimo scoprira' di aver vissuto nel regno di Dio. Il vangelo di Gesu' e' ugualmente la croce e la pasqua, ne' questa senza quella, ne' quella senza questa. A chi vorrebbe la pasqua senza croce, il discepolo fedele ricorda la croce. A chi vede la croce senza pasqua, lo stesso discepolo annuncia la pasqua. La notizia di Gesu' non termina nella croce, come non arriva alla pasqua senza passare dalla croce. Il suo fallimento non e' senza riscatto e vittoria, l'unica vittoria giusta, perche' e' vita che vince la morte, dopo averla accettata per fedelta' alla vita, per solidarieta' totale con le sofferenze degli ultimi e umiliati. Questa vittoria e' l'unica vera perche' non umilia e non schiaccia, ma solleva gli schiacciati perche' e' scesa, col massimo coraggio dell'amore totale, nel loro inferno. "Mors et vita duello conflixere mirando. Dux vitae mortuus regnat vivus" (poiche' non e' inglese, lo traduco: "la morte e la vita si scontrarono in un mirabile duello; il condottiero della vita, morto, regna vivo", dice l'antica liturgia pasquale). Nella croce c'e' piu' coraggio che sconfitta. Gandhi (il maggiore profeta del nostro tempo) la chiama "nonviolenza dei forti". Del resto, gia' nella Bibbia ebraica bisogna leggere il Qohelet, poi subito il Cantico, e certamente viceversa. Il fatto che noi non ci adagiamo rassegnati nella disperazione - e ci sono continue pesanti ragioni per disperare, nel bel mezzo di questo mondo ricco ed "evoluto" - e' la vittoria del regno di Dio, invisibile ai potenti, e' la pasqua di Cristo che si realizza in noi, che lo sappiamo o no, che possiamo gioirne psicologicamente oppure no. Il fatto che noi vediamo l'onore e la bellezza degli schiacciati dalla storia, e vogliamo difenderli e liberarli (in questo mondo, non in un altro) e' la luce di Dio nei nostri occhi. Il fatto che noi non abbandoniamo la storia alla rovina che sembra spesso meritare e volere, e' segno della forza tenace dell'amore di Dio che attraversa le nostre mani, i nostri pensieri e le nostre fatiche. Il fatto che noi non rispettiamo la legge della guerra - che per Bush e' un blasfemo mandato divino - e' segno che, pur da poveri peccatori, seguiamo nella stori a le orme del vero umile pacifico Messia della pace. Giovanni l'evangelista seppe vedere gia' nella croce di Gesu' la gloria di Dio trasparente in lui. La nostra poca fede ha un germe di questa luce e di questa forza, che incontriamo anche in chi ha in se' Cristo vivo (semplicemente la forza di Dio immessa nella vita) pur senza conoscerlo. Quel padre, che implorava da Gesu' la guarigione del figlio, posseduto da uno spirito muto che lo sbatteva di qua e di la', interpreta tutti noi, continuando a dire "a voce alta" la preghiera piu' sincera: "Io credo, ma tu aiuta la mia incredulita'" (Marco 9, 24). 2. EDITORIALE. IL VAGONE LETTO La marcia su Roma. Il re che nomina presidente del consiglio il capo delle squadracce assassine. Mussolini che arriva in vagone letto. La Costituzione fatta a pezzi. Il parlamento ridotto a bivacco di manipoli. I larghi sorrisi in tivu'. Ed il materassaio incappucciato assurto al rango di padre della patria. E il vento, la bufera. E l'ora di difendere la Costituzione, e con essa la democrazia, la legalita' repubblicana, la dignita' nostra e di tutti, le antiche virtu' repubblicane di Dante e Leopardi e Mazzini e Gramsci, di Eleonora Fonseca Pimentel. E tu che ascolti, tu che guardi, tu che sai, tu che devi. Tu che piangi, tu che asciughi le lacrime. 3. INIZIATIVE. CHIARA CAVALLARO: PROSEGUE LA CAMPAGNA CONTRO LA LEGGE DELEGA SUI CODICI PENALI MILITARI [Ringraziamo Chiara Cavallaro (per contatti: chiara.cavallaro at issirfa.cnr.it) per questo intervento. Chiara Cavallaro, prestigiosa figura del movimento per la pace, economista, ricercatrice Cnr, formatrice alla nonviolenza, fa parte del Comitato scienziate e scienziati contro la guerra, di "Articolo 11. Sana e robusta Costituzione", dell'esperienza di "Ostinati/e per la pace", ed e' una delle persone piu' attivamente impegnate nella campagna "No alla censura preventiva sulla guerra"] Un breve aggiornamento sulla campagna contro l'approvazione della proposta di legge di delega al governo per la riforma dei codici penali militari di pace e di guerra (disegno di legge n. 5433, presentata dal Ministro della Difesa Martino di concerto con il Ministro della Giustizia Castelli). * I lavori delle commissioni parlamentari Nelle due giornate del 7 e 8 marzo 2005, il disegno di legge delega per la riforma dei codici militari di pace e di guerra e' approdata alla discussione alla Camera. Vi e' arrivata monca rispetto al testo originario: un emendamento all'articolo 1 presentato dalla on. Deiana in sede di lavori di commissione, con l'incredibile risultato di 18 voti di opposizione contro 17 della maggioranza, ha abrogato tutti gli elementi della legge delega relativi alla riforma del codice penale militare di guerra (cpmg). Questo risultato, del tutto inaspettato, ha prodotto la convocazione di un comitato ristretto delle due commissioni, che avrebbe dovuto operare un ripensamento sull'intera materia. Questo risultato non e' stato ottenuto. I lavori del comitato, oltremodo sbrigativi secondo quanto riportato in aula dai/dalle parlamentari di opposizione, ha semplicemente confermato una linea gia' prospettata dalla maggioranza: quella di presentare alla discussione in aula uno o piu' emendamenti che reintroducessero gli elementi di delega anche sul cpmg. * La discussione in assemblea In data 7 marzo, la Camera ha iniziato la discussione del disegno di legge, partendo dalle linee generali. La premessa del relatore di maggioranza e' stata che, scontando la successiva reintroduzione degli elementi relativi anche al cpmg, tale discussione potesse essere estesa ad entrambi gli ambiti normativi. A cio' si sono di fatto attenuti tutti gli interventi. Per la maggioranza sono intervenuti: Pierfrancesco E. R. Gramba, relatore IV Commissione, che ha ricordato, nelle leggi n. 6 e n. 15 del 2002, i precedenti per l'applicazione della legge penale militare di guerra e l'introduzione di una importante equivalenza fra lo stato di guerra dichiarato e il conflitto armato, con la definizione di quest'ultimo e l'applicazione del cpmg a prescindere dall'avvenuta dichiarazione dello stato di guerra; Italico Perlini (Fi), secondo il quale l'uso esterno della forza militare, oggi, e' finalizzato non piu' soltanto alla difesa del territorio nazionale, ma ai valori supremi della pace e della sicurezza internazionali; Francesco Bosi, Sottosegretario di Stato per la difesa, che ha sottolineato come la prassi di decidere con atto avente forza di legge per l'invio di missioni all'estero e per l'applicazione del cmpg sia di fatto gia' stata sperimentata nel corso degli ultimi due anni, senza suscitare le perplessita' oggi sollevate dall'opposizione. Per l'opposizione sono invece intervenuti/e: Francesco Bonito, relatore di minoranza II Commissione, che ha ricordato la natura delle giurisdizioni speciali come sedi nelle quali si riduce la terzieta' del giudice, con differente tutela delle parti; Giuseppe Molinari, relatore di minoranza IV Commissione, che ricordando le posizioni critiche espresse in sede di audizione dai Cocer delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza ha sottolineato la modifica nella definizione del reato militare, e il suo conseguente ampliamento anche a reati comuni; Silvana Pisa (Ds) che ha ricordato la questione, nell'ambito delle missioni all'estero, dell'estensione dell'applicazione del codice militare di guerra ai civili (combinato disposto dell'articolo 4, primo comma, lettera c), con l'articolo 4, primo comma, lettere l) e m)); Elettra Deiana (Prc), che ha sottolineato la dilatazione della nozione giuridica di "conflitto armato" attraverso l'annessione a tale categoria anche delle azioni terroristiche, in contraddizione con l'ordinamento internazionale, che non consente il ricorso alla forza a fini sanzionatori; Piero Ruzzante (Ds), che e' ritornato sulla questione della militarizzazione dei reati comuni; Paolo Cento (Verdi) che ha esplicitato la dichiarazione di voto negativo al disegno del proprio gruppo parlamentare per motivi ampliamente riportati negli altri interventi. E' intervenuto, a titolo personale, anche Carlo Taormina (Fi) (1), che si e' dichiarato contrario al disegno di legge, aggiungendo a quanto sostenuto negli interventi di opposizione il riferimento alla esiguita' del corpo della magistratura militare rispetto ai compiti previsti (104 magistrati, con non piu' di 40 sentenze decisorie con riferimento ai fatti penalmente rilevanti in un anno) e la generalita' di definizione di conflitto armato. * La questione pregiudiziale di costituzionalita' del provvedimento La seduta si e' chiusa con il rinvio della discussione della questione pregiudiziale posta dall'opposizione, prima firmataria Anna Finocchiaro (2). Tale questione, contrariamente alla discussione avvenuta in aula, e' stata posta solo sulla parte di testo del disegno di legge attualmente esistente, e quindi limitatamente a quanto previsto per il solo codice penale militare di pace (cpmp). Si e' fondata su tre punti: 1) l'arbitraria e irragionevole estensione dell'applicabilita' della legge penale militare sotto il profilo sia soggettivo (sottoposizione di civili all'amministrazione militare), sia oggettivo (introduzione di reati comuni tra i reati militari allorche' commessi da militari, in luoghi militari o comunque in danno di militari) in aperta violazione dell'articolo 3 della Costituzione; 2) la previsione di cui al numero 10) della lettera a) dell'articolo 3 di limitazione dei casi di applicazione della sanzione accessoria della rimozione dal grado militare a seconda del titolo di reato e dell'eventuale concorso con inferiore senza ulteriori indicazioni che ne circoscrivano la discrezionalita'; 3) la violazione dell'articolo 110 della Costituzione (che attribuisce esclusivamente al ministro della giustizia "l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia") attraverso la previsione, in materia di reati militari, di forme di concertazione con il ministro della difesa, quando si tratti di rapporti giurisdizionali con autorita' straniere. La seduta dell'8 marzo si e' aperta quindi con l'intervento dell'on. Anna Finocchiaro, di presentazione per linee generali della pregiudiziale oggetto di votazione, a cui si sono succeduti gli interventi di R. Zaccaria (Margherita), non centrato sul contenuto della pregiudiziale, di Carlo Taormina, che ne ha contestato tutti i fondamenti, anche con interpretazioni diversificate rispetto a quanto sostenuto nell'intervento a titolo personale del giorno precedente, e con una interpretazione, relativa al punto 3 della questione pregiudiziale, discutibilmente restrittiva dell'art. 110 della Costituzione, dove si parla di "servizi alla giustizia" e non "alla magistratura ordinaria" come sostenuto dall'onorevole. Questo difetto interpretativo e' stato rilevato nell'intervento dell'on. Elettra Deiana, che ha richiamato inoltre l'inquadrameto dell'art. 110 nell'ambito del Titolo IV, Sezione I "Ordinamento giurisdizionale", dove, per esempio nell'art. 108, diviene evidente come il riferimento sia generalmente rivolto alla amministrazione della giustizia, senza esclusione delle giurisdizioni speciali. Un punto a parte merita di essere citato nell'intervento di Roberto Menia (An) che oltre a ritenere che l'art. 2 (e non il 52! - ndr -) della Costituzione faccia riferimento al concetto di difesa nazionale, "dal quale discende strumentale l'interesse militare", si sofferma sulla definizione del "luogo militare", ricordando che il disegno di legge riprende esattamente quanto gia' presente nel cpmp, art. 230. La discussione si conclude con la votazione, che boccia la pregiudiziale (Presenti e votanti 456, Maggioranza 229, Voti favorevoli 221, Voti contrari 235). * Un inciso: sul "luogo militare" Su questo punto, si deve notare che, per quanto concerne l'art. 230 del cpmp, quanto riportato dall'on. Menia e' esatto, ma cio' che non esplicita l'onorevole e' che, a fronte di una definizione cosi' ampia di luogo militare vi e', nello stesso articolo, una definizione molto ristretta del reato (Furto militare) per la quale essa e' pertinente: Il militare, che, in luogo militare, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola ad altro militare che la detiene, al fine di trarne profitto per se' o per altri, e' punito con la reclusione militare da due mesi a due anni. Se il fatto e' commesso a danno della amministrazione militare, la pena e'della reclusione militare da uno a cinque anni. La delega, invece, da un lato amplia la definizione di reato militare (3) a tutti i reati, compresi quelli comuni se commessi da militari, in piu' prevede che la definizione di luogo militare cosi' come da art. 230 cpmp vigente si applichi indiscriminatamente per tutte le tipologie di reato, di fatto rendendo, mi sembra, almeno ambigua, se non pericolosamente generica, la definizione stessa. * La prosecuzione dell'iter parlamentare e gli emendamenti Il Presidente chiude la discussione sul provvedimento rinviando l'esame delle proposte emendative e degli articoli del disegno di legge, con tempi non contingentati, al mese di aprile. La data non risulta, al 22 marzo, ancora indicata sul programma dei lavori del sito della Camera. In quella sede verranno presentati una serie di emendamenti sia da parte dell'opposizione che della maggioranza, sia tenuto conto di quanto approvato in sede di Comitato ristretto. In particolare, il Comitato ristretto si sarebbe trovato d'accordo a: - abrogare, art. 3, lettera l, quanto previsto in merito all'abbandono o interruzione collettiva di un servizio; - integrare i riferimenti normativi dell'art. 1 con la L. 382/78 "Norme di principio sulla disciplina militare"; - integrare all'art. 2, c. 1, i riferimenti di principio e di diritto per la delega con le "convenzioni ratificate dall'Italia"; - armonizzare alcuni elementi della delega art. 3, lettera a), n. 12.1 - affidamento in prova, 12.2 - limitazione in caso di cpmg, 12.4 - detenzione al domicilio, con quanto previsto dal codice penale ordinario; - limitazione dell'applicazione degli art. 72, 73, 74 del cpmg al solo personale militare; - prevedere un aumento da 5 a 6 tribunali militari con la possibilita' di ulteriori due sezioni distaccate; - prevedere alcune possibili integrazioni numeriche delle figure presenti nella giurisdizione militare (avvocato difensore, integrazione del Consiglio superiore della magistratura militare) e diverse modalita' per la loro nomina. In ogni caso, dopo l'eventuale approvazione, il provvedimento dovra' ritornare all'approvazione del Senato, che potra' rivedere tutte le parti che sono state oggetto di emendamento a meno che l'emendamento non si sia limitato a ripristinare il testo gia' approvato dal Senato stesso, come auspicato dalla maggioranza nel caso dell'art. 4 - Riforma del Codice penale militare di guerra. * La prosecuzione della campagna contro l'approvazione della legge delega Questo periodo di pausa dell'iter parlamentare e' quindi da sfruttare al massimo per continuare a fare pressione. Qui di seguito sono riportate alcune delle proposte promosse dalla Campagna: a) Promuovere la firma dell'appello Sono state raccolte piu' di 2.000 adesioni, ma e' importate continuare a promuovere la raccolta di firme sul sito al seguente link: http://db.peacelink.org/forum/thread.php?id_forum=24&id=1164 b) Inviare una valanga di email ai parlamentari Provare provare e provare ad inviare la "valagna di mail" agli indirizzi dei parlamentari. Sul sito www.ostinatiperlapace.org sono riportati gli indirizzi di tutti i parlamentari e una proposta di testo da inviare. Per inviare i messaggi ai parlamentari visitate questo link: http://www.ostinatiperlapace.org/ostinati/articles/art_9950.html c) Far approvare ordini del giorno contrari alla delega dalle istituzioni locali Fate pressione sulle istituzioni locali per dare seguito alle iniziative del Comune di Roma e della Provincia di Modena che hanno approvato un ordine del giorno (odg) contrario alla proposta di riforma del codice penale militare di guerra. Al seguente link potete trovare degli utili suggerimenti: http://www.ostinatiperlapace.org/ostinati/articles/art_9684.html * Note 1. Va ricordato che anche in sede di Commissioni riunite, il Cocer ha dichiarato di aver avuto l'on. Taormina quale interlocutore per la parte di maggioranza, per quanto ha riguardato la presentazione di emendamenti al testo. L'on. Taormina non ha, pero', presentato alcun emendamento, sino al momento della costituzione del comitato ristretto. 2. Altri firmatari: Minniti, Fanfani, Molinari, Deiana, Armando Cossutta, Buemi, Oricchio, Cento, Bonito, Ostillio, Lucidi, Carboni, Pinotti, De Brasi, Annunziata, Pisa, Ruta, Mantini, Loddo, Marino, Rocchi, Tanoni, Pisapia, Leoni. 3. Codice Penale Militare di Pace - Capo I Del reato consumato e tentato - Art. 37: "Reato militare". Qualunque violazione della legge penale militare e' reato militare. E' reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non e', in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune. I reati preveduti da questo codice, e quelli per i quali qualsiasi altra legge penale militare commina una delle pene indicate nell'articolo 22, sono delitti. 4. RIFLESSIONE. SILVIA PIEROSARA: NOTE DA UN SEMINARIO SU "IL PRINCIPIO NONVIOLENZA" DI JEAN-MARIE MULLER [Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) e Sergio Labate (per contatti: sergiolabate at unimc.it) per essere stati il tramite attraverso cui abbiamo potuto avere la gioia di pubblicare questo saggio di Silvia Pierosara, che anch'ella ringraziamo per la gentile cortesia di aver acconsentito a mettercelo a disposizione. Sivia Pierosara studia filosofia all'Universita' di Macerata. Per presentare l'autrice riportiamo questa breve notizia - inclusiva anche di alcune dense sue riflessioni ulteriori - scritta da Sergio Labate, il docente che ha promosso il seminario tenutosi sul libro di Jean-Marie Muller presso l'Universita' di Macerata che e' stato causa occasionale dello scritto che segue: "Silvia Pierosara, studentessa di filosofia, ha scritto queste righe come resoconto piuttosto libero del seminario svolto presso il Dipartimento di Filosofia e scienze umane dell'Universita' di Macerata dedicato all'analisi del libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza (Plus, Pisa 2004). Lei stessa ha dettato questa presentazione: 'le mie parole raccolgono un appello urgente, una vera e propria emergenza. Parlare di nonviolenza, sfatare alcuni tra i luoghi comuni che la riguardano e' un dovere per chiunque accostandosi ad essa si senta in qualche modo chiamato a rispondere. Educare alla nonviolenza e' tra i compiti piu' difficili, poiche' e' in gioco un risveglio del sentire. La virtu' dell'educatore e' la fede che prima o poi questo risveglio avverra'; quella dell'educando e' la capacita' di ascoltare. Cio' che li accomuna e' l'umilta'. Credo che concretamente ci si possa impegnare piu' di quanto non si immagini, anche se tradizionalmente la categoria della nonviolenza ha trovato un'opposizione pressoche' unanime in quasi tutti gli ambiti, da quello politico a quello religioso. Quanto a me, ancora non posso credere che quella nebulosa di idee e pensieri sparsi che fino a poco fa ritenevo cosi' estranea alle mie materie di studio abbia trovato finalmente voce e si sia rivelata come la cifra di un ragionare altro, capace di tradursi in azione senza forzature'. Questo seminario rappresenta una delle poche iniziative istituzionali dedicate dal mondo universitario alla nonviolenza, e l'eco che viene qui presentata vale come testimonianza di una fecondita' che richiede ulteriori spazi". Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004] Nell'ottica di una triplice dinamica, filosofica, esistenziale e politica, si impone la considerazione della originarieta' della nonviolenza contro l'apparente originarieta' propria della violenza. L'indagine deve prendere le mosse dalla distinzione netta tra la guerra ed il conflitto, che deve servire a sfatare il luogo comune secondo cui il nonviolento non entrerebbe mai in conflitto con i suoi simili. La nonviolenza come modalita' originaria di relazionarsi agli altri implica dunque il conflitto, che va pero' risolto senza l'aiuto della violenza, o meglio, senza lo spirito di vendetta e la previa volonta' di nuocere all'altro. Un dato e' emerso in modo fenomenologicamente evidente anche dall'esperienza del seminario: la pretesa della violenza (o della diffidenza) come forma prima della relazione con altri. Di qui l'urgenza, anche a livello macroscopico, di una chiarificazione, della ricerca di un maggior approfondimento a tutti i livelli (ritorna la triplice dinamica esistenziale, filosofica, politica, volta ad attribuire il primato alla violenza o alla nonviolenza). * Credo che la costitutiva relazionalita' dell'essere umano, che e' venuta alla luce dalle discussioni del seminario, sia sovente posta in secondo piano e occorre come prima cosa dissotterrarla perche' possa essere trapiantata e possa fruttificare. Il fatto che ci sia una distanza apparentemente incolmabile tra ideale e reale non si puo' pagare con il misconoscimento dell'ideale: e' un prezzo troppo alto, e pagarlo equivarrebbe a dare campo libero a priori alla violenza, approssimandosi anche ad una purtroppo non irrealistica teorizzazione della violenza. Un'altra considerazione da fare secondo me e' quella del rapporto tra violenza e nonviolenza: il fatto che la prima venga sempre giustificata dal suo essere a fin di bene o dal suo essere l'ultima necessaria per porre fine ad una catena di morte non deve portarci a considerare la violenza giustificabile. Il fatto che la violenza non dica mai a se stessa di essere tale non deve esimerci dall'esecrarla. A questo punto entrano in gioco a mio avviso due sentimenti autentici che nella lotta con i loro corrispettivi inautentici creano un terreno su cui il germe della violenza puo' inocularsi e diffondersi: in altre parole, e' nell'esperienza quotidiana che si deve aver cura, con pazienza ermeneutica, della verita'. Il primo dei due sentimenti a cui mi riferisco, e a mio avviso anche il piu' originario, e' la meraviglia: riscoprire in ogni atto, in ogni detto, lo stupore dell'agire e del dire originari, ritrovare intorno a se' il nuovo, cio' che gli altri per inerzia o per ipocrisia non vedono; e poi orientare questo sentire meravigliato e meraviglioso verso il bene senza lasciare nulla in balia del "non mi stupisco piu' di niente". C'e' un passo di Roberta de Monticelli che vorrei qui citare: "Colui che guarda il mondo con occhi spalancati e' il filosofo. Il filosofo e' tutt'occhi, il filosofo e' l'occhio spalancato, se prendiamo la frase alla lettera, ganz offenes Auge; o forse, il filosofo e' tutt'occhi, non e' altro che sguardo. L'immagine giusta, qui, e' quella degli occhi sgranati del bambino, piuttosto che quella dello sguardo indagatore del detective e dello sguardo circospetto dell'uomo prudente, o perfino dello sguardo potenziato dalla lente del microscopio. Questo sguardo esprime meraviglia e candore, oltre che la gioia di scoperte ancora tutte nuove; l'atteggiamento che gli corrisponde e' quello dell'affidarsi fiducioso allo spettacolo del visibile" (Roberta de Monticelli, L'ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003, p. 33). L'unica aggiunta che farei e' che anziche' fenomenologicamente neutro, questo atteggiamento e' gia' in se' intrinsecamente orientato verso il bene, sia perche' presuppone l'originaria apertura ad altri che a mio avviso solo forzatamente si puo' sganciare da un giudizio di valore, sia perche' dove c'e' fiducia c'e' speranza, e dove c'e' speranza c'e' amore (o nonviolenza che dir si voglia). Facendo un piccolo passo avanti, si puo' dire che la meraviglia stessa e' la condizione necessaria per il sorgere dell'altro sentimento autentico: l'indignazione. Essa a sua volta per essere superata deve sfociare nel conflitto, ma non si puo' fingere che non ci sia. Direi che a ritroso l'indignazione e' un segno positivo: in sua presenza si puo' risalire il crinale della verita'. I corrispettivi inautentici della meraviglia e dell'indignazione sono il giudizio che impoverisce e l'invidia; nel primo caso, considerata la meraviglia come punto di partenza per la scoperta di un senso ulteriore nel cammino verso la verita', il suo contrario puo' essere quell'operazione decostruttiva di toglimento di senso, di impoverimento di senso che paralizza l'essere umano e le sue potenzialita' e che innalza i soli suoi avere o aver fatto al proprio essere. Siamo all'invidia, molto vicina all'ipocrisia del "va tutto bene, non c'e' conflitto" e alla vigliaccheria, alla paura che fa chinare il capo. * Tra l'autentico e l'inautentico sta un processo che Muller molto a ragione definisce di semplificazione, e che collegherei con cio' che ho chiamato impoverimento di senso, e che per la sua compiutezza da solo e' in grado di portarci dalla questione dell'autenticita' a quella della violenza; un altro elemento che a mio avviso puo' chiarire il discorso e' il pondus della parola. Ma procediamo con ordine. A monte si potrebbe collocare la paura di morire, di cui la paura di essere superato, ovvero l'invidia, non sono che una prefigurazione, che vede l'essere umano asserragliato, preso nel costruirsi barriere intorno a se' e a tirare frecce alla cieca dall'interno della sua inespugnabile fortezza (pensiamo alla diffusione delle armi da fuoco negli Stati uniti). Cio' avviene sia a livello mondiale, sia a livello interpersonale, basti pensare alla pratica assai diffusa del "rinfacciarsi" azioni passate, dell'ancorarsi sulla propria linea di difesa, in questo caso il passato, pur di non scoprire le proprie debolezze. Semplificare puo' significare trovare un nemico, un capro espiatorio, cercare nel passato dell'inquisito un solo atto che giustifichi la ghigliottina; tagliare il nodo e' piu' semplice che scioglierlo, avverte Muller; semplificare e' dare la morte nella persuasione di allontanare la propria, giudicare nella persuasione di non essere giudicati, o perlomeno di giocare ad armi pari: occhio per occhio dente per dente, il mondo da allora non e' progredito un granche'. Semplificare e' rendere tutto banale, e' appunto non meravigliarsi piu', dare per scontato, inaridirsi: ed ecco che l'uomo tutto preso a non morire e' gia' morto da un pezzo, cammina, parla, sente, pensa e anche generalizza per sentito dire; qui entra in gioco anche la violenza totalizzante del concetto. Allora alla parola si deve restituire tutta la sua pienezza, e se definire e' porre in essere, non chiamare, non dire, assimilare sono tutte operazioni che semplificando tolgono realta'. Una caratteristica del seminario secondo me e' stata proprio quella di dare il giusto nome alle cose con esattezza fenomenologica e pazienza ermeneutica. * Rispondere significa sentirsi chiamati dalla e alla verita'; per questo non si puo' operare una cesura tra pubblico e privato: non c'e' una verita' che vada bene per l'uno e male per l'altro. Mi sembra interessante riportare l'esempio di Gandhi nelle parole di Giuliano Pontara: "Assai piu' interessante dell'interpretazione pacifista e' quella di coloro i quali, pur negando l'esistenza di un messaggio gandhiano sul piano teorico, ideologico, o comunque giudicando su questo piano il suo messaggio del tutto secondario e non particolarmente originale, sottolineano l'importanza e l'originalita' del suo contributo sul piano della prassi, in quanto Gandhi avrebbe mostrato la pratica possibilita' ed efficacia di un comportamento morale nella sfera dei rapporti politici, cioe' in quella sfera di rapporti umani in cui, di regola, la possibilita' e l'efficacia di un comportamento del genere e' stata negata e l'uso della violenza teorizzato sulla base di ragioni di varia natura, psicologica, sociologica, storica, ecc." (Giuliano Pontara, Introduzione a Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, p. XXXV). E' d'obbligo il riferimento a Max Weber, e alla sua distinzione tra etica della responsabilita' ed etica della convinzione, l'una posta a guida della politica, l'altra come faro delle scelte individuali; ancora una volta Muller coglie nel segno quando individua il meccanismo che sta alla radice di questa distinzione: "Dunque, non e' sulla scelta del mezzo che dobbiamo interrogarci, ma sulla scelta del fine. La questione e' sapere se gli uomini non possono avere insieme un'ambizione diversa da quella di stabilire tra loro dei rapporti di dominio-sottomissione, di comando-obbedienza; se non hanno la vocazione a concepire un altro progetto politico, che fondi un ordine sociale non fondato sulla violenza. Ci sembra che proprio queste domande richiedano delle risposte diverse da quelle a cui, col pretesto del realismo, si rassegna Max Weber" (Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004, p. 140). I mezzi non possono considerarsi solo in quanto utili a raggiungere un fine: ogni azione in quanto compiuta ha in se' una propria perfezione, un suo telos immanente che la rende passibile di un giudizio di valore, anche se in quel momento parrebbe esclusivamente asservita allo scopo. Cio' vale sia a livello individuale, sia a livello pubblico. * La paura di non essere riconosciuti spesso e' la molla che suscita la violenza. La catena della paura-semplificazione-identificazione del nemico-legittimazione della violenza non ha risparmiato nessuno, neanche quegli ambiti che per definizione avrebbero dovuto tirarsi fuori e schierarsi dalla parte della nonviolenza: le religioni. Anche in questo caso lo spazio tra ideale e reale e' andato talmente assottigliandosi da scomparire. Troppe volte il richiamo alla finitezza e all'imperfezione umana e' servito da giustificazione per la risoluzione violenta dei conflitti: quello che dovrebbe essere un positivo appello all'apertura ontologica verso un comune nucleo di verita' (pena l'implosione, l'autoreferenzialita') si e' spesso trasformato in un invito necessitante a ristabilire un presunto ordine tramite la violenza. Anche se si tiene per vero che non e' su questa Terra che si raggiungera' la pace, non bisogna stancarsi di cercare, pur nella consapevolezza di essere in itinere, di donare la propria vita, che e' gia' dono, di spendere se stessi per la Verita'. Rassegnarsi alla violenza toglie a qualsiasi religione lo slancio verso l'alto. Giustificare anche una sola volta una sedia elettrica significa giustificarla sempre. Mi pare significativo ricordare qui la triplice apertura che ricorda Raimon Panikkar: "Dobbiamo aprirci, innanzitutto, all'immanenza nascosta nelle nostre stesse tradizioni fino alle loro radici piu' profonde. Dobbiamo aprirci, in secondo luogo, alla trascendenza orizzontale delle altre culture, cioe', sapere ascoltare l'esperienza umana attraverso le epoche, senza disprezzarne nessuna a causa di acritici pregiudizi evoluzionistici. Questo significa mantenere un dialogo dialogico aperto a tutto cio' che possa apparire al nostro orizzonte. Dobbiamo aprirci verticalmente, in terzo luogo, al mistero della realta'; mistero che non si esaurisce ne' in noi ne' negli altri, ne' nell'immanenza ne' nella trascendenza, e che ci mantiene vigili, criticamente recettivi e in definitiva veramente umani: infatti ne' personalmente ne' collettivamente siamo i padroni del destino dell'universo" (Raimon Panikkar, L'esperienza filosofica dell'India, Cittadella editrice, Assisi 2000, pp. 192-193). Lo spunto che si puo' cogliere e' il seguente: il richiamo alle radici piu' profonde non deve essere interpretato come una acritica accettazione delle proprie tradizioni, ma come una conoscenza profonda di cio' che abbiamo alle spalle; se si pensa alla tradizione cristiana l'attenzione cade agevolmente sulla radicalita' del precetto "non uccidere", che significativamente non recita "non uccidere l'embrione ma uccidi l'assassino", o viceversa. Avere il coraggio di accettare fino in fondo il "non uccidere" implica una fiducia profonda nel mistero, (dal basso verso l'Alto), una "fedelta' creatrice" (dall'Alto verso il basso). Come ricorda Muller, non possiamo fondare le nostre scelte sull'innocenza o meno dell'altro (Jean-Marie Muller, op. cit. p. 78). * Una considerazione da fare e' quella sulla distinzione tra risultato e frutto, o tra efficacia e fecondita'; la nonviolenza non si puo' valutare a livello di efficacia, perche' esso e' gia' un criterio violento; infatti dal punto di vista dell'efficacia la nonviolenza non assicura nulla, non ci assicura dalla paura della morte, anzi spesso ha condotto alla morte migliaia di vite umane, ma la paura di morire e' gia' in se' un atteggiamento violento: il nonviolento considera la vita un'esperienza di pienezza che si compie al di la' della propria morte, la vera condizione della morte e' per lui la vita, ed il dare la vita si puo' misurare solo in termini di frutti, di fecondita'; la vita e' gia' un premio, essa si compie a prescindere dalla morte. Il criterio dell'efficacia chiama l'assolutizzazione della nostra finitezza e la rassegnazione ad essa, oltre ad evidenziare che l'economia con le sue leggi ha impregnato di se' tutto e tutti sganciandosi dall'etica e dalla politica. Un'ulteriore suggestione ci invita a riflettere sul tempo come condizione necessaria della fecondita', e sulla pazienza del saper aspettare: quest'ultima, oltre ad essere, credo, una tra le principali virtu' del nonviolento, implica quella fiducia profonda di cui ho parlato prima, e che qui va diretta all'altro uomo. Dare tempo e' esattamente il contrario dell'agire violento che toglie tempo e si illude de-cidendo di risolvere il conflitto. Mi pare significativo ricordare una questione che Muller mette in rilievo nel paragrafo Comprendere la violenza della rivolta (Ivi, p. 48). prima di tutto vorrei rilevare che saper vedere, stupirsi e meravigliarsi ha anche qui la sua fondamentale importanza, e voglio sperare che il problema sia soltanto di cattiva informazione; in altre parole, trovo giusto, anzi sacrosanto indignarsi per i fatti dell'11 settembre, ma non trovo altrettanto giusto rifiutarsi ancora una volta di capire le ragioni (si badi, non giustificare), chiudersi gli occhi, e, cosa ancora piu' vile, vendicarsi di qualcosa che gia' era una vendetta e che se continuiamo cosi' non potra' essere l'ultima. Perche' solo quelle immagini fanno cosi' presto a fare il giro del mondo? La violenza dell'oppresso va condannata quanto quella dell'oppressore, ma ignorarne volutamente le ragioni significa lasciare la vittima in balia del carnefice e schiava della violenza di ritorno da cui da sola non sembra capace di liberarsi. Ancora una volta le parole di Muller colgono nel segno: "Spesso la violenza degli oppressi e degli esclusi e' piu' un mezzo di espressione che un mezzo di azione. Non e' tanto la ricerca di un'efficacia quanto la rivendicazione di un'identita'. E' il mezzo che hanno, per farsi riconoscere, coloro la cui esistenza stessa non resta soltanto sconosciuta, ma misconosciuta" (Ivi, p. 48). * In conclusione, l'esperienza di questo seminario e' stata per me nuova per due ordini di motivi: da un lato perche', anziche' essere la traduzione di un testo filosofico in termini comprensibili, viceversa e' stata la traduzione (e dunque interpretazione), in termini filosofici, di un testo volutamente non rigoroso come quello di Muller, che poteva disorientare il lettore abituato ad un argomentare piu' serrato, ma che e' ricco di spunti da cogliere (o di semi fecondi); dall'altro lato perche', senza nulla togliere all'unicita' della Verita' e al rigore, mi ha insegnato che in ultima analisi cio' che conta e che ci orienta e' cio' che crediamo, in altre parole, e' una questione di fede, o di fiducia. 5. LUTTI. ELISABETTA D'ERME RICORDA LISA FITTKO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 marzo 2005. Elisabetta D'Erme e' giornalista, saggista, consulente editoriale di grande cultura e fine sensibilita'] Nelle memorie di centinaia di persone scampate alla persecuzione nazista e' spesso presente il riferimento a una via di fuga attraverso i Pirenei, nome in codice: "F-Route". Per anni nessuno ha saputo cosa si nascondesse dietro a quella "F". Il mistero venne svelato quando nel 1982 usci' in Germania la prima parte delle memorie di una ebrea tedesca, Lisa Fittko. Raccontava il suo tentativo di salvare la vita del filosofo Walter Benjamin facendolo scappare nottetempo attraverso un sentiero che da Banyuls sur Mer passava sui Pirenei fino ad arrivare al confine con la Spagna. Segui' nell'85 Mein Weg ueber die Pyrenaeen. Erinnerungen 1940-41, memorie di una donna eccezionale, dotata di una umanita' e un coraggio fuori dal comune. Il libro e' stato pubblicato nel 2000 da Manifestolibri per la traduzione di Sarina Reina, col titolo La Via dei Pirenei. Ed e' con grande commozione che apprendiamo la scomparsa di Lisa Fittko, stroncata da una polmonite, il 12 marzo, a 96 anni, nella Chicago dove viveva dal 1948 e dove aveva continuato a svolgere, fino a eta' avanzata, attivita' pacifista. E' stata una donna d'azione e gli unici suoi due libri non sono il prodotto di un esercizio letterario ma nascono dall'urgenza di lasciare una testimonianza scritta di un impegno politico, etico e civile oggi forse impensabile. Nei suoi due libri, La Via dei Pirenei e Solidariteat unerwuenscht ("Solidarieta' sgradita", '92) Lisa Fittko ricorda la sua attivita' di militante nella Resistenza contro il nazifascismo e poi la sue esperienza di esule nel nuovo mondo. Nata nel 1909 a Uzhorod (odierna Russia), era cresciuta a Vienna, per emigrare poi a Praga e Berlino. La sua attivita' politica la costrinse a lasciare nel 1933 la Germania, per 15 anni visse in esilio tra Svizzera, Olanda, Francia e Cuba. Con singolare immediatezza e grande carica comunicativa, nei suoi libri Lisa Fittko ripercorre alcuni episodi della sua vita avventurosa. Pagine di storia che avrebbero altrimenti corso il rischio d'andare perse nell'oblio. La "sua" via attraverso i Pirenei ci riporta agli anni 1940-'41 durante i quali Fittko, dopo essere finita nel campo di concentramento femminile di Gurs, riesce a fuggire e a organizzare con il marito Hans il salvataggio di centinaia di esuli, che vennero aiutati a passare il confine francese, attraverso un sentiero sui Pirenei. Profughi illustri, politici, intellettuali, comuni perseguitati, raggiunsero la Spagna grazie all'aiuto di Lisa e Hans Fittko, gente che una volta arrivata in Portogallo si sarebbe conquistata la liberta' oltreoceano. Solo uno si arrese troppo presto. Walter Benjamin. Infine anche Hans e Lisa riuscirono a sfuggire a quella tremenda "trappola" che andava chiudendosi sempre piu' inesorabilmente intorno a loro. Con l'aiuto dell'Emerescu, l'Emergency Rescue Committee costituito da Varian Fry rangiunsero Cuba. I suoi libri sono stati tradotti in inglese, tedesco francese e giapponese. In Germania La Via dei Pirenei e' da anni un testo scolastico. In chiusura del suo libro Lisa Fittko scriveva: "Alcuni dei nostri amici americani ci domandano: come potete desiderare di tornare in Germania? Dopo tutto quello che vi hanno fatto? Quello che i nazisti ci hanno fatto ci obbliga a ritornare. Abbiamo aspettato questo momento per tutto il tempo dell'esilio. I combattenti della Resistenza devono contribuire a estirpare le radici del fascismo, a condannare i colpevoli. Gli Alleati hanno 'vinto' la Germania. Soltanto noi possiamo 'liberare' la Germania dal fascismo". E a chi le chiedeva ormai novantenne quale fosse la sua patria, seguitava a rispondere: "la mia casa e' questa, qui a Chicago. Il sogno di pace e liberta' puo' vivere ovunque". 6. TEMPI MODERNI. QUANDO IL CRITICONE CHIEDE SCUSA [Il nostro buon amico il Criticone, nel suo noioso veteromarxismo luxemburghista, le spara grosse una volta ancora, vogliano gentili lorsignori compatire] Chiedo scusa, ma otto occidentali su dieci che partecipano ai vari raduni di Porto Alegre et similia sono borghesi e professionisti delle arti liberali, privilegiati per antonomasia e nei ranghi dei tecnici addetti all'oppressione, in vario modo e misura sovente munificamente stipendiati o finanziati da enti pubblici o privati decisamente non innocenti; e la circostanza che per aver fatto un po' di turismo, convegnistica, campeggio e voli transatlantici pretendano poi di impancarsi a portavoce e guida dei poveri, anche da loro rapinati, infine anche della parola, andiamo, non e' un bel vedere, caro affardellato signor Kipling. * Chiedo scusa, apprezzo molto molto di cio' che consapevolmente ha fatto Gorbaciov, e ne riconosco i meriti e i talenti, ma in quel paese i miei compagni di lotta stavano nelle galere e nei manicomi mentre il sunnominato era parte - e in brillante carriera - dell'apparato che in gabbia e all'elettroshock li mandava. Sono cose che non riesco a dimenticare, mi spiace. * Chiedo scusa, ringrazio anch'io lo stato italiano per aver salvato la vita di alcune persone italiane in Iraq; ma se si fosse opposto alla guerra invece di sostenerla avrebbe potuto salvare un'infinita' di altre persone, vittime della guerra e del terrorismo che ne e' estrinsecazione e frutto. * Chiedo scusa, con tutto il cuore apprezzo l'opposizione parlamentare che alla guerra dice di no, ma avrei desiderato tanto che alla guerra avessero detto di no anche quando erano al governo, in quel 1999 che e' ferita che non cicatrizza. * Chiedo scusa, e' un piacere sincero sentir segretari di partito (e son piu' d'uno, vivaddio) che si esprimono in pro della nonviolenza. Apprezzerei ancor piu' se costoro sapessero anche di cosa parlano quando quella parola usano palesemente svuotandola della sua storia piu' vera e del suo arduo e non banale contenuto. * Chiedo scusa, ma finche' nel movimento per la pace si dara' credito e spazio e autorita' a vecchi e giovani squadristi, autoritari, militaristi e totalitari, e infine anche - anzi, all'origine - machisti e patriarcali, dubito assai che saremo un movimento per la pace. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 879 del 25 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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