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La nonviolenza e' in cammino. 871
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 871
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 17 Mar 2005 00:11:34 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 871 del 17 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Salvatore 2. Maria G. Di Rienzo: Dov'e' andata la bambina senza volto? 3. Angela Giuffrida: Come uscire dal vicolo cieco 4. Ileana Montini: Dietro la maschera l'antica e attuale violenza maschile 5. Haifa Zangana: Basta con le illusioni 6. Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso 7. "Azione nonviolenta" di marzo 8. Donatella Di Cesare: La vena anarchica di Jacob Taubes 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. LUTTI. SALVATORE Non e' bastato quel nome a salvarti. Da se stesse le armi uccidono. 2. POESIA E VERITA'. MARIA G. DI RIENZO: DOV'E' ANDATA LA BAMBINA SENZA VOLTO? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Dov'e' andata la bambina senza volto? L'aquila le regalo' una piuma, e dal profondo vennero polveri d'opale e cristallo, cosi' che lei potesse disegnarsi gli occhi. Il fiume porto' a riva una coppa, il cielo la riempi' di sole, e lei intinse la piuma nei papaveri, e si disegno' le labbra, per poter bere. Dov'e' andata la ragazza senza corpo? Ha raccolto meloni e rose selvatiche, rami duri e morbide foglie, ha respirato fumo di salvia, di zafferano, di lavanda. Ora e' un canestro di vuoto e pieno, come la terra sua madre. Dov'e' andata la donna danzante? Nella spirale ha incontrato altre mani. Come stelle si avvolgono, galassia di luce che ruota, e gli astri ridono come ridono i vecchi, con la furbizia di chi ha gia' visto, e ridono come ridono i bambini, di pura meraviglia... 3. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: COME USCIRE DAL VICOLO CIECO [Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002] La prima cosa che mi e' venuta in mente quando ho letto il saggio di Anna Bravo e' che ad interrogarsi sulle proprie responsabilita' circa la violenza che insanguina il mondo e' quella parte della specie che vi partecipa in modo del tutto marginale. Gia' il dibattito sorto attorno alle donne-soldato aveva evidenziato la capacita' tutta femminile di mettersi in discussione, di cercare in se', nel proprio genere eventuali mancanze, prima di addossarle all'altra parte dell'umanita'. Confrontato a tale civilissima pratica, ancora piu' assordante appare il silenzio degli uomini che, pur pretendendo da millenni di governare il mondo come una loro esclusiva proprieta', non si ritengono responsabili in prima persona dei danni arrecati alla specie e al pianeta, tant'e' che non sentono il bisogno di farsi qualche domanda circa la loro "superiore razionalita'". Ma torniamo alle donne. L"inclinazione a riflettere su di se' denota grande maturita', diventa pero' sterile e autodistruttiva se indebitamente potenziata, soprattutto se non si accompagna alla piena consapevolezza dei meriti guadagnati e del ruolo svolto dalle donne nella storia della specie. Accollandosi anche responsabilita' non proprie, esse finiscono per coltivare oltre alla disistima di se' la gia' alta irresponsabilita' maschile; infatti, mentre non perdonano nulla a se stesse e analizzano minuziosamente ogni loro debolezza, ogni errore, anche quelli chiaramente indotti, non pretendono che gli uomini facciano altrettanto o perlomeno che si fermino a riflettere sul proprio operato. Il problema e' che le donne continuano a guardare se stesse, l'altro genere e il mondo intero attraverso quella lente deformante che e' lo sguardo maschile. Nonostante il pensiero della differenza abbia iniziato il proprio cammino con Adriana Cavarero che diffidava "dell'intiero castello concettuale della logica dell'uno" e, considerando "mostruoso" il neutro maschile, metteva l'accento sulla sessuazione al femminile, il sistema di pensiero maschile rimane intoccato ed intoccabile e i suoi meccanismi restano pressoche' invisibili perche' ritenuti comuni alla specie e continuano ad operare a tutti i livelli, anche all'interno del discorso delle donne, bloccandolo in un vicolo cieco. Anche il valore cognitivo delle esperienze del corpo continua generalmente ad essere negato, cosicche' Anna Bravo nel suo saggio, a proposito della "nuova mistica della maternita', spettacolarizzata e sacralizzata piu' di ogni altra esperienza (eccetto, forse, la guerra)", puo' dichiarare di avere nostalgia "di un vecchio numero di 'Via Dogana', dove all'affermazione che diventare madri ha a che fare con la vita e con la morte, si rispondeva che si', ma che lo stesso vale per l'attraversamento di una strada". * A parte l'ovvia constatazione che la mistica della maternita' nelle comunita' dei padri altro non e' che una mistificazione, dato che "il corpo femminile e' sempre piu' oggettificato e parcellizzato, sempre piu' luogo pubblico", a parte l'intento chiaramente provocatorio della superiore affermazione, a me pare che la maternita' non possa essere ridotta a nessun'altra esperienza. La presa di coscienza da parte delle donne di possedere una diversa struttura categoriale, non puo' che derivare dalla consapevolezza che l'esperienza materna e' stata decisiva nella costruzione di quella forma mentis (comune a tutto il genere, non solo a chi partorisce) che ha consentito loro di guidare il processo di civilizzazione della specie e che puo' permettere oggi, se ricostituita coscientemente, di fermare la folle corsa della specie verso l'autodistruzione. Hannah Arendt ci ha invitato a centrare lo sguardo sulla nascita, quindi, in definiva, sulla maternita' e sulla corporeita'. Il corpo della donna, la sua biologia sono le inesauribili fonti dello sviluppo della sua mente, sono la sua carta vincente. Siccome i mondi del simbolico e dell'astrazione sono radicati nel corpo e nella sua esperienza, la potenza del pensiero della donna e' da ricercarsi nella potenza del suo corpo, l'enorme potenzialita' creativa nella creativita' del suo corpo, l'evoluzione razionale e civile della sua mente nella ricchezza della sua esperienza. La coscienza o spirito o mente che dir si voglia non e' "uno spettro nascosto nella macchina" e non esiste senza l'organismo biologico con il suo corredo di istinti ed emozioni. Seguire gli uomini nel loro disegno esistenziale che rinnega il corpo significa guidare la specie verso l'autoannientamento. 4. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: DIETRO LA MASCHERA L'ANTICA E ATTUALE VIOLENZA MASCHILE [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita' maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] Quando si deve scrivere su un saggio cosi' lungo come quello di Anna Bravo, alla fine la percezione dell'insieme e' quella che resta e alla quale si fa poi riferimento. E' una regola gestaltica. Cio' che appare in figura rispetto allo sfondo resta impresso nella memoria. Mi chiedo perche' quelle righe - a pagina 30, scrive Anna Bravo - appunto, non le ho registrate nella memoria. Credo che questa svista sia accaduta perche' mentre Anna Bravo ha ricordato alcuni movimenti degli studenti che si proponevano gia' allora come nonviolenti e alcuni personaggi del mondo cattolico come padre Balducci e don Milani, e liberi religiosi come Aldo Capitini, non cita (o mi sbaglio ancora?) il fenomeno dei gruppi formati di compagni/e di varie formazioni anche se non di tutte, sensibili alla problematica ecologica - e quindi a un punto di vista meno illuministicamente antropocentrico - che formavano comitati per difendere un bene ambientale o per affrontare l'inquinamento di un'area. Ricordo, per esempio, la lotta che nel ravennate conducemmo, anche con successo, per impedire la cementificazione dell'ultimo tratto di spiaggia e pineta a sistema dunifero chiamata Ortazzo-Ortazzino. O il comitato di difesa contro il Monopolio di Stato per evitare la distruzione delle saline di origine etrusca di Cervia, e per salvaguardare quell'ambiente umido oggetto di nidificazione e transito di tante specie di uccelli anche rari. Lotte del tutto nonviolente a suon di ciclostili, articoli e altre azioni collettive. La nascita della Lega Ambiente e la pubblicazione della rivista "Ecologia" diretta da Andrea Poggio a Milano, sono due esempi di interessi socio-politici che non trovavano collocazione del tutto legittimata nelle teorizzazioni della lotta di classe marxiane. Ma da quale angolo della mente e della sensibilita' dei cattolici post conciliari - ma anche degli evangelici - e dei laici di sinistra sono nati questi interessi, che Agnes Heller definiva i "bisogni radicali"? E perche' si sono collocati a sinistra e non altrove? Non cita neppure quel vasto movimento di base che sono state le comunita' spontanee postconciliari nella Chiesa cattolica, sorte con azioni nonviolente come quelle dell'occupazione del Duomo di Parma. In quelle comunita' (chi scrive ne ha fatto l'esperienza diretta) convivevano credenti che avevano fatto "la scelta marxista" e credenti che non l'avevano fatta ne' intendevano farla. Come li' si conviveva? Nell'area marxista organizzata ci sono state varie anime, comprese quelle che rifiutavano l'aggressivita' fisica e che gia' negli anni settanta si dimostrarono creative nell'intraprendere forme di lotta non cruente. Voglio dire non soltanto il movimento delle donne. Ma il movimento ecologista, non trovando sufficiente riconoscimento all'interno delle formazioni partitiche marxiste, divento' pian piano a suo volta partito, soprattutto dopo la prima partecipazione alle elezioni del 1987. Non avendo pero' piu' la capacita' di sottrarsi, al suo interno, alle dinamiche di potere viriloidi e di emarginazione delle donne che ora condivide con tutte le altre istituzioni politiche. * E sarebbe bene, in questa voglia matta di fare ammenda del passato, evitare la rimozione, per esempio, di quanto e' successo alla fine di gennaio a Porte Alegre, dove i giovani maschi di sinistra (e dove altro collocarli?) hanno usato violenza contro le compagne come e' stato denunciato recentemente anche su questo foglio. Come mai, le scelte di collocarsi nell'area della nonviolenza possono coesistere sia con il mantenere il potere saldamente in mani maschili (vedi i movimenti pacifisti e no-global italiani e stranieri), sia usando violenza sul corpo delle donne? Dichiariamo necessaria l'elaborazione del lutto (mi riferisco all'invito di Giobbe Santabarbara): si elabora il lutto, cioe' il distacco, quando e' abbastanza chiaro da che cosa, da chi, ci si vuole separare con un rito simbolico, interiore, di sepoltura. Si elabora il lutto di cio' che e' morto. Finito per sempre come il rogo delle streghe. Ma in realta' quello che e' morto e' il marxismo. Ma la cultura patriarcale che attraversa la Cina post-confuciana, l'Europa cristiana, o l'Asia e l'Africa musulmane o tribali, e' ancora costitutiva delle identita' delle persone. E allora fare ammenda del passato contemporaneamente restando saldi sulle forme attuali, esplicite o nascoste, di quell'agire e quel pensiero, lo sento perlomeno un po' superficiale. In questo senso ho ripreso l'antico - e un po' obsoleto a dir il vero - termine di revisionismo. Nello Zingarelli leggo: "Atteggiamento di persona o movimento che vuole rivedere, (...) modificare i principi fondamentali di una ideologia". L'ideologia e' stata quella della lotta di classe, della "giustizia proletaria" che ha permesso di dare legittimita' agli agiti aggressivi. E non si puo' modificare. E' stata storicamente, mi pare, il grande cemento unificatore di stati d'animo di rabbia contro le ingiustizie e di voglia di opporsi. Le chiese, con il loro bagaglio compromesso di storia non solo evangelica e la situazione di secolarizzazione diffusa , non ne facevano un collante e un ideale di massa. * Ma ora l'aggressivita' come si esprime? Dove si incanala? In quali forme di messaggi latenti? La scelta nonviolenta di tanti maschi si scopre che magari e' una maschera che nasconde l'antica violenza (anche fisica, si', anche quella) contro le proprie donne tra le quattro pareti domestiche o contro figli e bambini. Faccio parte di un gruppo di lavoro presso il Consultorio familiare di via Milano a Brescia. Ebbene stiamo preparando per l'autunno un ciclo di quattro incontri sul tema "la violenza nei legami d'amore". Dove collocare il maschio, dichiaratamente nonviolento ma violento, che in tv sostiene che alla propria moglie piace "realizzarsi" facendo la mamma e la casalinga a tempo pieno? Oppure: cosa dire della violenza in aumento contro i bambini operate da pedofili sempre piu' organizzati in sorte di sette segrete? E ancora cosa farne dell'aumento esponenziale della prostituzione femminile? I nove milioni di maschi che usano il corpo delle donne dell'est o dell'Africa sul suolo italico sono tutti di destra? 5. IRAQ. HAIFA ZANGANA: BASTA CON LE ILLUSIONI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Haifa Zangana pubblicato sul "Guardian" del 7 marzo 2005. Haifa Zangana, scrittrice nata in Iraq, e' stata prigioniera d'opinione durante il regime di Saddam Hussein] Dietro la facciata del processo politico postelettorale, nonostante il desiderio di Tony Blair di muoversi in avanti, e il tentativo di George Bush di rabberciare le alleanze con l'Europa, in Iraq le atrocita' continuano ad aumentare. Alcune, come l'attacco ad Hilla, sono nello "stile Zarqawi", con centinaia di morti e feriti. Altre sono piu' spettacolari e sistematiche, come gli aeroplani Usa che bombardano abitazioni sospette a Ramadi, Hit o Mosul, o come gli omicidi ai posti di blocco a Najaf, o la caccia all'uomo dopo il coprifuoco che i cecchini fanno a Samara. Nonostante tutta la retorica sulla "costruzione di una nuova democrazia", la vita quotidiana per gli iracheni e' ancora una lotta per la sopravvivenza. Un giorno tipico in Iraq comincia con la lotta per procurarsi le necessita' quotidiane: una bombola di gas, benzina, acqua fresca, cibo e medicine. E si conclude con un sospiro di sollievo: "Alhamdu ilah" (grazie, Dio), per essere sopravvissuti alle minacce di morte, agli attacchi violenti, ai rapimenti ed agli omicidi. Per un iracheno qualsiasi, persino avventurarsi in strada e' un pericolo. La maggior parte degli omicidi non vengono neppure riportati. Cadaveri senza nomi, senza volti, senza identita', non sono piu' esseri umani. Diventano "il nemico", l'"effetto collaterale", oppure, nella migliore delle ipotesi, delle statistiche su cui discutere. Nel marzo 1989 vari scrittori iracheni ed arabi contribuirono con i loro testi ad un libro intitolato Halabja, che condannava il regime di Saddam Hussein per aver attaccato civili con armi chimiche in quella citta'. Nella mia introduzione al libro allora scrivevo: "Si dice che siano morte 5.000 persone. Altri dicono 10.000. Noi diciamo: ad Halabja, nel giro di pochi minuti, Rasul, Piroz, Ahmed, Khadija, Sardar, Amina, sono stati uccisi. Ad Halabja, gli occhi non danno piu" luce". Ora vediamo che la vita continua ad essere succhiata via dal nostro paese. * A due anni dall'inizio dell'occupazione gli occhi non danno piu' luce in molte citta' irachene. Migliaia di civili sono stati uccisi. Uno di loro si chiamava Hazim Ahmed al-Obaidi. Il 16 gennaio scorso, Hazim, cinquantasettenne, ha lasciato la propria casa per andare al lavoro. Aveva un negozietto in cui vendeva verdura, datteri ed altra frutta, a Mosul. Prima che se ne andasse, sua moglie gli ricordo' di portare a casa un po' di paraffina, se era possibile. Poi Hazim rise forte, abbracciando la figlioletta di quattro anni, Manar, che aveva detto di voler andare a lavorare con lui. Saluto' sua madre, saluto' gli altri suoi figli: Dalal, 17 anni, Shahad, 12, Zayed, 11, e Maha, 9. Hazim non e' piu' tornato. E' stato ucciso, secondo testimoni oculari, da una pattuglia Usa. La sua auto era bruciata e, a causa del coprifuoco, la sua famiglia ha dovuto attendere il mattino successivo per andare a cercarlo. Due giorni dopo, il suo corpo carbonizzato e quasi irriconoscibile fu trovato. Per maggior sofferenza della famiglia, i soldati statunitensi li fermarono mentre trasportavano il cadavere, lo scoprirono e lo fotografarono. Hazim non era un terrorista, ne' un sostenitore di Saddam. Era un uomo semplice e allegro che viveva per la sua famiglia, che era stato ferito durante la guerra Iran-Iraq, e che era sopravvissuto alla durezza delle sanzioni economiche durate anni, vendendo frutta e verdura. Chi indaghera'sul suo omicidio, chi risarcira' la sua famiglia, chi aiutera' i suoi bambini a dare un senso a questa tragedia? Se ne occupera' il governo iracheno ad interim, se ne occuperanno gli occupanti guidati dagli Usa? A giudicare dall'importanza che entrambi danno ai diritti umani, la risposta e' che entrambi non investigheranno sull'omicidio di Hazim, ne' su quelli di altri. I diritti umani, sotto l'occupazione, si sono dimostrati un miraggio. * Nel suo messaggio televisivo agli iracheni, nell'aprile dell'anno scorso, Tony Blair disse: "Il nostro scopo e' aiutare ad alleviare le immediate sofferenze umane, e muoverci il piu' velocemente possibile verso un'autorita' ad interim diretta dagli iracheni... che rappresenti i diritti umani e la regola della legge, e usi le risorse dell'Iraq per voi e per i servizi di cui avete bisogno". Tanto basti per le illusioni: corpi carbonizzati, il massacro di bambini ad una festa di nozze, l'uccisione di detenuti, spari sulla folla alle manifestazioni, rapimento di civili: questi sono gli aspetti del "futuro migliore". Le truppe di occupazione sono responsabili di una crescente lista di abusi, inclusi la tortura e l'assassinio di prigionieri iracheni. Vedere un cadavere fotografato in mezzo ai sogghigni dei soldati statunitensi ad Abu Ghraib ha scosso la sensibilita' morale delle persone in tutto il mondo. Prendere istantanee del corpo bruciato di Hazim ha scosso la fiducia della sua famiglia nell'umanita' degli americani, cosi' come in quella degli inglesi e degli iracheni che con essi lavorano. Seguendo la linea dei governi Usa e britannico sui diritti umani, i membri del governo ad interim dell'Iraq hanno sorvolato sulle violazioni commesse dalle truppe di occupazione, sia ricordando che simili abusi avvenivano anche al tempo del regime di Saddam Hussein, sia etichettando le vittime come "terroristi". Sotto il regime di Iyad Allawi, intanto, la nuova polizia irachena tortura i detenuti. La scorsa settimana e' toccato a tre membri del Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq. Dai leader del gruppo sono state chieste indagini immediate. Ma costretti come sono a fronteggiare queste atrocita' quotidiane, cosa ci aspettiamo che gli oppressi iracheni facciano? 6. INIZIATIVE. PERCORSI NONVIOLENTI PER IL SUPERAMENTO DEL SISTEMA MAFIOSO [Ringraziamo Enzo Sanfilippo (per contatti: v.sanfi at virgilio.it) per averci inviato questo documento del 26 marzo 2004 sottoscritto da varie autorevoli personalita' dell'impegno contro la mafia e per la nonviolenza. Un documento di notevole interesse (e una proposta di lavoro assai apprezzabile) sebbene ci sembri necessario che nel dibattito e nella ricerca che esso promuove si chiariscano alcuni punti del testo che ci paiono per cosi' dire astratti e generici al punto che potrebbero finanche dar luogo a fraintendimenti anche profondi se non fosse assai noto il rigoroso, tenace impegno delle persone che tale documento firmano] La presenza nel nostro Paese di diverse organizzazioni mafiose radicate storicamente nelle regioni del sud non e' un problema regionale, ma una questione storica non risolta che compromette lo sviluppo e l'evoluzione civile della nostra intera societa'. In molte aree la mafia resta purtroppo l'unica forma di potere riconosciuto. In forza di tale radicamento essa ha ormai assunto caratteristiche strutturali e culturali che le consentono di rigenerarsi anche dopo fasi di repressione conseguenti a fasi di escalation di violenza. Il cambiamento di strategia di alcune organizzazioni mafiose che hanno ultimamente adottato forme meno cruente di azione non ha mutato il clima di intimidazione, di dominio e di conseguente rassegnazione. L'ipotesi di un declino delle organizzazioni mafiose non e' purtroppo suffragata dal fatto che esse continuano: - a ricattare commercianti e imprenditori con il racket; - a infiltrarsi nelle amministrazioni pubbliche e negli appalti; - a smerciare droga; - a lucrare nei mercati finanziari, nei commerci di armi, nella gestione dei rifiuti tossici; - a svolgere un importante ruolo di socializzazione nelle aree piu' degradate e povere del meridione, nelle quali le organizzazioni reclutano le proprie "giovani leve", bambini e ragazzi che restano incastrati a vita nella scelta delinquenziale e nella cultura mafiosa; - ad essere pienamente inserita, con la collaborazione di professionisti preparati appositamente, nel circuito delle correnti della finanza illecita internazionale; - ad avere un rapporto di condizionamento e di interazione con settori delle istituzioni. Come singoli cittadini e associazioni operanti in contesti meridionali e impegnati da vario tempo nel contrasto alla mafia ci sentiamo ancora alla ricerca di strategie, forme di presenza, di conoscenza, di comunicazione che possano dare una svolta efficace all'evoluzione positiva del nostro sistema sociale cosi' tristemente caratterizzato. Dobbiamo riconoscere che, al di la' delle pesanti responsabilita' politiche, al di la' di certi meccanismi economici strutturali che sembrano non poter essere scalfiti dalle nostre azioni organizzate, al di la' dei sedimentati atteggiamenti culturali, anch'essi a volte inattaccabili, tutto cio' che abbiamo fatto non e' stato sufficiente. Non si tratta soltanto della quantita' di energia messa in campo, quanto della qualita' dei metodi adottati, del nostro modo di essere in questo sistema. Abbiamo individuato nella nonviolenza una possibile strada che puo' apportare degli elementi di novita', sia nelle modalita' con cui affrontare e conoscere il fenomeno mafioso, sia nelle prassi che essa puo' suggerire per la trasformazione delle strutture sociali in cui siamo inseriti. Non si tratta di stravolgere le forme storiche di impegno antimafia che vedono impegnate tantissime associazioni e tanti uomini delle istituzioni sul versante della prevenzione e della repressione, ma di aggiungere, come diceva Capitini, una visione particolare capace di anticipare una societa' liberata. La nonviolenza porta ad agire sulla e con la coscienza dell'avversario, nella consapevolezza dell'umanita' di cui ciascuno e' portatore e al contempo della nostra corresponsabilita' al male che vogliamo superare. Questo approccio implica una pratica di ascolto del vissuto e del punto di vista dell'altro, ovviamente non per accettarli passivamente e legittimarli, ma per attivare un contatto vero e profondo. E pur partendo da questa fondamentale acquisizione la nonviolenza non trascura gli aspetti strutturali dei problemi sociali che ha di fronte. Queste basi ci portano a riconsiderare le forme di lotta alla mafia e a porci degli interrogativi che nessuna logica emergenziale puo' annullare. Ci riferiamo al nostro rapporto con chi ancora appartiene alle organizzazioni mafiose, con chi e' contiguo ad esse e con il proprio comportamento gli da' consenso e con chi ultimamente ne ha preso le distanze dopo un passato di appartenenza, anche se questo non si traduce sempre in una collaborazione piena con le istituzioni della giustizia o assume forme che ci appaiono ambigue o poco comprensibili. Ci riferiamo al possibile ruolo delle vittime, dei familiari, dei soggetti che potrebbero giocare un ruolo di terza parte. Non vogliamo affrontare queste tematiche con un atteggiamento ideologico e critico verso cio' che e' stato fatto e tuttora si fa nel mondo antimafia, anche perche' molti di noi ne fanno pienamente parte. Ma riconoscendo quanto di buono e' stato fin qui costruito su questo fronte, vogliamo analizzare e scegliere con rigore nuove strategie atte a gettare dei ponti di comunicazione con l'universo mafioso, senza nessuna accondiscendenza, ma anche riconoscendo gli attuali limiti delle risposte istituzionali (basti pensare alla crisi del principio rieducativo della pena previsto dall'art. 27 della nostra Costituzione). Facendo riferimento all'insegnamento nonviolento, ai suoi maestri storici (Gandhi, Capitini, Lanza del Vasto) e ad alcune testimonianze esemplari che hanno sperimentato il metodo nonviolento nel meridione d'Italia (Danilo Dolci, don Tonino Bello, padre Pino Puglisi) vogliamo dar vita ad un percorso di approfondimento, di ricognizione di esperienze che gia' operano in questa direzione, di nuove sperimentazioni e progetti di azione nonviolenta in contesti di mafia. Facciamo appello al mondo dell'associazionismo, delle comunita' religiose di varia confessione, agli uomini impegnati nel mondo delle istituzioni (giustizia, scuola, servizi sociali), al mondo della ricerca e dell'universita', ai cittadini che hanno vissuto in contesti mafiosi o ne sono stati vittime e vogliono sperimentare oggi il metodo nonviolento. Il percorso che proponiamo non vuole costituire l'ennesimo cartello di associazioni, ma un laboratorio permanente in cui ciascuno possa partecipare senza abbandonare la propria identita' personale o associativa, rafforzando comunque il proprio impegno per il cambiamento e la ricerca. A titolo esemplificativo indichiamo alcune aree problematiche che tale laboratorio potra' approfondire. * Esperienze sociali di resistenza e costruzione creativa - In quali modi puo' intervenire la societa' civile nelle sue varie articolazioni e con quale rapporto con le istituzioni? - Quali esperienze cooperative e di impresa sociale si possono contrapporre al modello mafioso? - Che contributo puo' venire dalle associazioni anti-racket? - Come costruire percorsi di post-dissociazione? - Quali ruoli specifici possono avere le donne? * Area della riconciliazione - Come possono essere coinvolti i familiari di appartenenti alle organizzazioni mafiose? - Si possono attivare, su questi temi, spazi di ascolto e di incontro all'interno delle carceri? - Quali nuove pratiche e' possibile costruire in ambito giudiziario? (per es. giustizia rigenerativa/riparativa). - Come valorizzare gli apporti in ambito psicologico per favorire percorsi di fuoriuscita da contesti mafiosi? - Quali cammini di accompagnamento le comunita' dei vari credi religiosi possono predisporre nei confronti di eventuali processi di conversione? - Sono possibili interazioni tra questi cammini spirituali e pratiche di riconciliazione in ambito civile? * Approfondimenti scientifici Riteniamo che operare all'interno delle aree sopra richiamate comporti un adeguato approfondimento scientifico, con vari apporti disciplinari e confronti internazionali. In questo percorso sara' pertanto opportuna la collaborazione di singoli ricercatori, centri studi, universita', riviste scientifiche e di area nonviolenta in tema di: 1. Mafia e processi strutturali Aree di approfondimento: - Scenari internazionali (globalizzazione); - Guerre, traffico d'armi, narcotraffici. 2. Metodologia nonviolenta e criminalita' Aree di approfondimento: - Teoria e pratica della nonviolenza; - Forme storiche di azione nonviolenta in contesti di mafia; - Modelli e sperimentazioni di mediazione in ambito giudiziario e sociale; - Difesa Popolare Nonviolenta e criminalita' organizzata. Su questi temi proponiamo la costruzione di una rete nazionale di collegamento e l'organizzazione di varie iniziative che possano sfociare in un evento nazionale per la primavera del 2005. Palermo 26 marzo 2004 * Giovanni Abbagnato, Augusto Cavadi (Scuola di formazione politica "Giovanni Falcone"), Andrea Cozzo (Facolta' di Lettere e Filosofia, Universita' di Palermo), Maria Antonietta Malleo (Mir-Ifor), Enzo Sanfilippo (Movimento dell'Arca), Umberto Santino (Centro "Giuseppe Impastato", Palermo), Carmelo Torcivia (Associazione Kairos, Palermo), Emanuele Villa (Libera, Palermo), Cosimo Scordato (Centro Sociale S. Saverio), Piero Fantozzi (Universita' di Cosenza), Nanni Salio (Centro Studi D. Sereno Regis, Torino), Francesco Lo Cascio (Mir), Sara Ongaro (Cooperativa Quetzal, Modica), Rocco Altieri (Quaderni Satyagraha, Pisa). * Per informazioni e adesioni: v.sanfi at virgilio.it 7. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI MARZO [Dagli amici della redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo] E' uscito il numero di marzo 2005 di "Azione nonviolenta" rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964; mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. In copertina: Le radici d'Europa che possono dare frutti di pace; Intervenga l'Onu per portare pace in Uganda; L'infinita apertura dell'anima in Aldo Capitini In questo numero: Verita' e giustizia per le vittime della guerra (di Carlo Gubitosa e Alessandro Marescotti); Assolti: una vittoria di tutti (di Mao Valpiana); Sulla questione delle origini cristiane dell'Europa (di Maria Buizza); La Costituzione europea come scelta di pace (di Paolo Bergamaschi); Capacita' di identificarer la violenza (di Andrea Cozzo); Una guerra che dura da 18 anni. Campagna "Pace in Uganda" (di Pierangelo Monti); L'infinita apertura dell'anima in Aldo Capitini (di Pietro Pinna). Le rubriche: Educazione: L'arte di ascoltare, per un sano conflitto; Lilliput: Vogliamo la "decrescita". Decalogo per resistere; Economia: Olimpiadi di Torino 2006: No a Finmeccanica; Per esempio:: La lettera di Clara mette in crisi il comando nucleare; Cinema: Il prete che toglieva i ragazzini alla mafia; Musica: Con la riforma scolastica la musica e' finita...; Libri: Gli occhiali per vedere verita', giustizia, compassione; Caro Direttore, le scrivo per dire che...; Appello dall'India per la Biblioteca gandhiana. In ultima: Materiale disponibile. * Per contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una mail a: an at nonviolenti.org, scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". 8. PROFILI. DONATELLA DI CESARE: LA VENA ANARCHICA DI JACOB TAUBES [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2005. Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea; dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario. Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta' di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa' italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi, della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999; Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma 1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo, Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova 2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari 1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache, hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB, 1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen 1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993; Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano 1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990". Jacob Taubes (1923-1987) rabbino di origine viennese, emigrato prima in Svizzera, poi a New York, a Gerusalemme ed infine in Germania, in rapporti di amicizia e dibattito con alcune delle figure piu' vive della cultura del novecento (Gershom Scholem, Theodor W. Adorno, Karl Loewith, Leo Strauss), e' una straordinaria personalita' di pensatore verso cui solo da pochi anni nel nostro paese si sta rivolgendo una crescente attenzione. Tra le opere di Jacob Taubes: In divergente accordo. Scritti su Carl Schmitt, Quodlibet, Macerata 1996; Escatologia occidentale, Garzanti, Milano 1997; La teologia politica di San Paolo, Adelphi, Milano 1997; Il prezzo del messianismo, Macerata, Quodlibet, 2000. Opere su Jacob Taubes: Elettra Stimilli, Jacob Taubes, Morcelliana, Brescia] "Il tempo incalza", perche' ha un termine, una fine. Quando al termine della storia, il tempo "principe della morte" sara' sottomesso, fara' il suo ingresso il tempo della fine. Sara' arrivato il Messia. L'impazienza messianica, antico paradigma ebraico, nuovo paradigma della tarda modernita', guida tutta la ricerca di Jacob Taubes, a cominciare dal suo unico libro Escatologia occidentale (Garzanti, 1997), una ermeneutica della storia narrata come un testo, a sua volta interpretato a partire dal testo della Torah, della Bibbia ebraica. Filosofo, teologo, esegeta, Taubes sfugge ad ogni classificazione; resta pero' un rabbino, saldamente ancorato all'ebraismo ortodosso. Nella sua apertura al cristianesimo cosi' come nei confronti estremi con Heidegger e con Schmitt, il rabbino-filosofo mantiene il punto di vista ebraico. Ma e' una questione che fornira' ancora molti spunti su cui riflettere. Anche di qui la complessita' del suo pensiero, che solo da pochi anni ha suscitato interesse in Germania prima, negli Stati Uniti, in Francia e in Italia poi. Mancava tuttavia una monografia, che arriva ora con il libro di Elettra Stimilli, Jacob Taubes. Sovranita' e tempo messianico (Morcelliana) a ripercorrerne l'opera scegliendo di seguire i due filoni della filosofia della storia e della teologia politica. Quel che spinge Taubes a rintracciare nella storia dell'occidente l'idea messianica e' l'esigenza di chi e' sopravvissuto all'ultima apocalisse, lo sterminio degli ebrei. Reagire all'annientamento significa delineare un processo escatologico che si svolge nella storia, ma e' anti-storico, dove la Shoah diviene necessaria. Questa e' la sfida lanciata da Taubes dove e' contenuta gia' la risposta che - come osserva Stimilli - promette un compimento della teologia politica: il messianismo. Ma la questione si amplia - e si ampliera' anche nel percorso di Taubes. Come pensare infatti il messianismo ebraico post Christum, dopo la cristianita' e il suo apparente risolversi in secolarizzazione? * Mentre riconduce la storia escatologica dell'occidente alle sue radici ebraiche, Taubes riannoda con il filo del pensiero apocalittico ebraismo e cristianesimo, pur tenendoli ben distinti. Ma con un gesto imprevisto e inattuale legge il cristianesimo delle origini attraverso l'ebraismo. Per Taubes, che si definisce dall'inizio un "apocalittico della rivoluzione", la parola originaria e' la "estraneita'" che nel vocabolario gnostico rinvia alla frattura tra uomo e mondo, Dio e mondo. Uomo e Dio sono cosi' accomunati dalla loro estraniazione al mondo. La estraniazione si traduce nell'erranza che segna il passaggio dalla natura alla storia, dal mondo pagano al mondo ebraico-cristiano. E' nel popolo di Israele, "luogo storico dell'apocalittica rivoluzionaria", che l'erranza si manifesta per la prima volta assumendo quella forma teologico-politica che con un termine greco viene detta teocrazia. Il tema, toccato gia' nell'Escatologia, e' affrontato da Taubes soprattutto negli ultimi anni a partire dal seminario intitolato Teologia politica come problema ermeneutico. Usato per la prima volta da Flavio Giuseppe, quando descrive la rivolta degli zeloti, dei gruppi di resistenza ebraica contro l'Impero romano, il termine "teocrazia" viene rilanciato nella modernita' da Spinoza. Fenomeno fondamentale della teologia politica, la teocrazia e'"´un immediato dominio di Dio che esclude ogni forma di dominio dell'uomo sull'uomo", fino al rifiuto di ogni guida politica. Viene cosi' alla luce la vena anarchica del pensiero di Taubes. Il patto di alleanza con Dio esclude ogni altro patto o vincolo terreno e fa di Israele una comunita' politica senza autorita', una societa' che non si costituisce attraverso uno stato. "La teocrazia si basa sull'animo sostanzialmente anarchico di Israele". Qui Taubes segue un'antica linea interpretativa che nel novecento passa per Gustav Landauer e Martin Buber. Pone pero' l'accento sull'originaria estraneita' a se stesso del popolo ebraico, stirpe nomade destinata a restare deterritorializzata - come direbbe Deleuze - popolo "non-popolo" il cui diritto, a differenza del diritto romano, vieta la proprieta' privata, "popolo senza spazio" e percio' "popolo del tempo", il cui unico luogo e' il non-luogo del deserto in cui si rivela "il Dio universale che guida la storia del mondo". Questo Dio straniero ed escatologico e' un Dio sovversivo perche' "contesta il mondo in se' e annuncia quello nuovo". Il pericolo pero' della spinta sovversiva e rivoluzionaria e' quello di affondare nel vuoto nulla oppure di differire il suo telos, il suo fine, nel futuro. In breve: la spinta apocalittica rischia di mostrare solo la sua tragicita' se privata dell'idea messianica. Soltanto se quest'ultima regge, puo' delinearsi la "nuova alleanza" che e' il vero telos della rivoluzione. * Di qui l'interesse di Taubes per le prime comunita' cristiane che si oppongono al potere imperiale e l'attenzione per le due figure capaci di rivelare l'essenza dell'escatologia: Gesu' di Nazareth e soprattutto Paolo di Tarso. Ma la lettura che Taubes fa di queste due figure e' una lettura ebraica. "Gesu' non va considerato come l'iniziatore di qualcosa di nuovo, ma come un fenomeno dell'ondata apocalittica in Israele". Il suo annuncio del Regno va inteso "secondo l'espressione ebraica": importante non e' che cosa il Regno sia, ma il fatto che e' vicino, che anzi forse c'e' gia'. Anticipando quello che sara' un importante filone di ricerca - va ricordato il libro di Jules Isaac, Gesu' e Israele, curato da Marco Morselli (Marietti, 2001) - Taubes guarda dunque al Cristo storico. Gesu' di Nazareth, ebreo, carpentiere itinerante, del ramo impoverito della stirpe di David, chiede al popolo un atto politico decisivo per il Regno di Dio seppure non violento: se tutta l'ecumene e' sottomessa all'Impero, al popolo libero di Israele non resta che l'esodo nel deserto. Ma la profezia di Cristo non e' adempiuta. La delusione nelle comunita' ebraico-cristiane e' immensa. E' qui che entra in scena Paolo, Saul di Tarso, per predicare che "nonostante il ritardo della parusia il nuovo eone e' gia' cominciato". Cosi' mantiene la tensione messianica tra il gia' e il non-ancora - tensione che va definitivamente perduta con l'escatologia individuale di Agostino e il riconoscimento della Chiesa come impero. Si comprende allora perche' la figura di Paolo assuma per Taubes un significato particolare che si sviluppa e si precisa nella sua riflessione fino al seminario di Heidelberg pubblicato postumo con il titolo La teologia politica di San Paolo (Adelphi, 1997). Mentre l'Imperium si espande ineluttabilmente, Paolo riesce a farsi carico dell'estraneita' dal mondo delle masse spingendole a un "epocale raccoglimento", condizione alternativa al potere imperiale. Allontanarsi dall'Impero e' seguire il Messia. Contro la versione cattolica che fa di Paolo un normalizzatore e soprattutto il fondatore di una nuova religione, Taubes lo interpreta come un eversore, esponente radicale del messianismo ebraico. Ma e' questa interpretazione che produce lo scontro con Scholem, uno scontro che investe il concetto stesso di messianismo. La questione si incentra sulla Legge ebraica, sulla Halakhah. Per parte sua Taubes ribadisce la validita' della Legge condivisibile da tutti nella "sobrieta' quotidiana della giustizia" - e rilancia la sfida ebraica contro l'arbitrio dell'amore. Paolo - e questo e' il punto - non ha inteso per nulla negare la Legge; piuttosto ha voluto ripensare il rapporto tra Legge e fede. L'attualita' di questo ripensamento per la politica e' stata sottolineata da Giorgio Agamben: un sistema irrigidito che pretende di normare tutto e' il segno di una perdita di senso della legge (Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani, Bollati Boringhieri, 2000). Scholem fraintende il gesto antinomico di Paolo ricondotto a una crisi della tradizione; cosi' la redenzione ebraica sarebbe un evento pubblico, quella cristiana un evento spirituale. Deriva anche da qui il messianismo che Scholem propone: il prezzo che il popolo ebraico ha dovuto pagare per l'idea messianica sarebbe "una vita vissuta nel differimento", un rinvio dunque della venuta del Messia - rinvio che tende a trattenere, a conservare, e che indebolisce l'ebraismo. Percio' Taubes si affretta ad abbattere quella barriera dell'interiorita' che Scholem ha eretto tra ebraismo e cristianesimo - ma occorre dire che critiche in tal senso sono state mosse a Scholem anche dal noto cabbalista Moshe Idel. La "trasgressione" di Paolo non vuole essere una negazione, ma un compimento della Legge perche' se il Messia e' venuto, la Legge e' compiuta. E' questa la via di Damasco, l'eresia che l'ebraismo ovviamente non puo' seguire. Ma e' un'eresia ebraica, come eresie ebraiche sono quelle di Gesu' di Nazareth o di Shabbatai Zvi, il falso Messia dell'eta' moderna. Per Taubes non si tratta tuttavia di riportare a casa un eretico, quanto piuttosto di giungere attraverso Paolo e la sua "interiorizzazione" del messianismo a una auto-comprensione piu' complessa dell'ebraismo post Christum. * "La Lettera ai Romani - scrive Taubes nel seminario di Heidelberg - e' una teologia politica perche' e' una dichiarazione di guerra politica" contro l'Impero. Quando la profezia viene meno, la speranza della redenzione vacilla, la grandezza di Paolo sta nel fronteggiare interiormente la crisi e di farne l'epicentro stesso della vita messianica. Cio' che allontana Taubes da Scholem al tempo stesso lo avvicina al modo in cui Benjamin intende la teologia, ossia come messianismo, pensando la redenzione non nel futuro, ma in ogni istante in cui si raccoglie e si riscatta anche il passato. "La comunita' messianica non e' priva di storia; tutto il passato spinge verso un adesso; esiste in un permanente stato di eccezione". Qui Taubes non esita a confrontarsi con Carl Schmitt - di cui conosceva bene i trascorsi nazisti. Davvero sovrano - aveva detto Schmitt - non e' chi definisce la norma, ma "chi decide sullo stato di eccezione". La differenza tuttavia e' che per Schmitt teologia e politica si identificano e il potere si autolegittima: nella sua interpretazione di Paolo la forza che ritarda la venuta dell'anticristo e' l'Impero. Al contrario per Paolo interpretato da Taubes la forza antimessianica e' l'Impero contestato nella sua illegittimita'. Sovrano e' solo il Messia, perche' solo il Messia puo' compiere la legge e percio' sospenderla. La teologia in Taubes non si identifica per nulla con la politica; proprio il loro divergere puo' accelerare "l'avvento del regno messianico". Nel ripensare radicalmente teologia politica e filosofia della storia Taubes sa dare risposte alle questioni urgenti della fine della sovranita' e della fine della storia. E lo fa seguendo il punto di fuga dal pensiero apocalittico che la tradizione ebraica ha sempre indicato: il messianismo. * Nota. Le tappe della vita Jacob Taubes, nato a Vienna il 25 febbraio del 1923, fu discendente di una antica dinastia di rabbini. Nel 1936 la nomina del padre Zvi Taubes a rabbino-capo della comunita' ebraica di Zurigo consenti' alla famiglia di sopravvivere alla Shoah. Taubes fu ordinato rabbino nel 1943. Studio' quindi filosofia e storia all'Universita' di Zurigo dove consegui' il dottorato nel 1947 con una tesi sulla Escatologia occidentale. Ebbe inizio per lui una brillante e movimentata carriera accademica. Nel 1948 fu invitato dal Jewish Theological Seminary di New York. Decisivo fu l'incontro con Gershom Scholem che, colpito dalla sua geniale originalita', lo invito' a lavorare con lui all'Universita' ebraica di Gerusalemme. Taubes lo segui' e con la moglie Susan Anima Feldman, che aveva sposato nel 1949, si trasferi' in Israele dal 1951 al 1953. Ma il rapporto con Scholem fu destinato presto a deteriorarsi. Taubes fece ritorno negli Stati Uniti e, dopo aver lavorato in diverse universita', nel 1956 fu nominato professore di Filosofia della religione alla Columbia University di New York. La profonda affinita' che uni' Taubes alla moglie Susan, con cui condivise gli studi, divento' con il tempo il motivo della rottura del loro rapporto. Nel 1969, dopo aver pubblicato il romanzo autobiografico Divorcing, Susan Taubes si uccise gettandosi in mare aperto da un piroscafo. La vita di Taubes era stata segnata gia' dal suicidio del padre a Gerusalemme nel 1966, che aveva gia' compromesso il suo equilibro precario, tanto che fu costretto a numerosi ricoveri psichiatrici. Malgrado il secondo matrimonio con Margherita von Brentano, la vita sentimentale di Taubes fu attraversata da un turbinio di donne, percorsa da passioni intense ma brevi, rapporti di amicizia e di lavoro profondi ma conflittuali. Nel 1966 fu chiamato dalla Freie Universitaet di Berlino a ricoprire la cattedra di Ebraistica e quella di Ermeneutica filosofica. Nel 1968 il suo Dipartimento di Ermeneutica divento' il cuore del movimento studentesco di Rudi Dutschke. Gravemente malato, Taubes accetto' nel febbraio del 1987 l'invito del Centro di studi della Comunita' evangelica di Heidelberg a tenere un seminario sulla Lettera ai romani di Paolo, un testamento del suo messianismo ebraico. Mori' qualche settimana dopo, il 21 marzo del 1987. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 871 del 17 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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