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La nonviolenza e' in cammino. 870
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 870
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 16 Mar 2005 00:14:52 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 870 del 16 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Una sentenza 2. Anna Bravo: Una precisazione 3. Giobbe Santabarbara: Su di un tema del saggio di Anna Bravo 4. Adriana Zarri ricorda Pia Bruzzichelli 5. Giulio Vittorangeli: In memoria di Oscar Romero 6. Marco Bertotto: Peter Benenson, il cavaliere della coscienza 7. Ottavio Di Grazia: Dietrich Bonhoeffer, la liberta' e l'impotenza di Dio 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA SENTENZA [Peppe Sini e' da decenni il principale oppositore del sistema di potere andreottiano nell'Alto Lazio e la persona che piu' ha contribuito a denunciare e contrastare le penetrazioni mafiose nell'area tra Viterbo, Montalto di Castro, Civitavecchia. Come giornalista d'inchiesta e come pubblico amministratore (gia' consigliere comunale e provinciale, alla meta' degli anni novanta fu eletto col voto unanime di tutti i gruppi del Consiglio Provinciale di Viterbo presidente della Commissione d'inchiesta sui poteri criminali istituita dall'Amministrazione Provinciale) ha realizzato numerose inchieste, iniziative e denunce. Piu' volte querelato per diffamazione a mezzo stampa ha ottenuto in tribunale sentenze vittoriose in rilevanti processi che lo opponevano a uno dei maggiori imprenditori catanesi (uno dei "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" come li aveva definiti l'indimenticabile Pippo Fava), e al faccendiere collegato alla 'ndrangheta che secondo attendibili ricostruzioni reco' a Pecorelli l'ultimo "avvertimento" prima dell'uccisione. A seguito di un suo articolo su "La mafia a Viterbo" che denunciava il ruolo del vertice del gruppo andreottiano viterbese e laziale nell'aver creato i prerequisiti che avevano favorito la penetrazione mafiosa a Viterbo fu querelato per diffamazione dall'allora presidente della Regione Lazio: la sentenza della magistratura in tutti i gradi di giudizio diede ragione a Peppe Sini e torto al Rodolfo Gigli querelante: attualmente il Gigli e' parlamentare di Forza Italia, e il suo delfino di allora e' parlamentare della Margherita] L'eccellente rivista palermitana "Segno", diretta da padre Nino Fasullo e da trentun anni una delle voci piu' autorevoli della riflessione morale contemporanea, nel volume n. 262 del febbraio 2005 pubblica integralmente (alle pagine da 9 a 118) le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione relativa al processo sui rapporti tra il senatore Andreotti e la mafia. E fa precedere il testo da un editoriale dal titolo Come ai tempi di Cesare Borgia, editoriale la cui lettura vivamente raccomandiamo, cosi' come - va da se' - la lettura integrale della sentenza della Suprema Corte. La sentenza, che conclusivamente "PQM rigetta il ricorso del Procuratore Generale e dell'imputato e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese processuali", conferma quello che gia' tutti sapevamo: tutti quelli che abbiamo pianto le nostre sorelle ed i nostri fratelli assassinati dalla mafia, tutti quelli che non abbiamo volto lo sguardo da un'altra parte. Quei rapporti ci furono. Quei rapporti tra la personalita' politica piu' rappresentativa del potere governativo lungo l'arco dell'intera storia dell'Italia repubblicana, e il potere criminale piu' feroce della nostra storia, quei rapporti ci furono. Mentre donne e uomini di incomparabile generosita' venivano assassinati e dei loro corpi si faceva scempio; mentre le persone migliori che al servizio dello stato come garante del civile convivere avevano messo a disposizione l'intera loro esistenza venivano massacrate in una mattanza tale che a ricordare nomi e date non basterebbe ne' questo articolo ne' questo foglio; mentre la mafia uccideva per arricchirsi e si arricchiva uccidendo, ed i nostri piu' grandi e piu' cari maestri e compagni di lotta e di vita venivano falcidiati l'uno dopo l'altro; ebbene, mentre tutto cio' accadeva, e tuttora continua, quei rapporti c'erano stati, il piu' importante uomo di governo di mezzo secolo di storia italiana aveva intrattenuto rapporti con la mafia, si era incontrato con la mafia, si era accordato con la mafia: in segreto, da complice, da complice degli assassini, da complice degli stragisti. Quel signore siede ancora in Parlamento, quel signore e' tuttora senatore, addirittura senatore a vita: quel signore, quindi, ancora concorre a fare le leggi, ed ancora riceve il ripugnante omaggio di quanti nel consesso che detiene il potere legislativo si contendono la sua amicizia e i suoi favori vilmente adulandolo. Noi non chiediamo che a un uomo ormai anziano sia inflitta dura una pena, cio' non riportera' in vita gli assassinati. Noi riconosciamo la piena legittimita' della sentenza della Suprema Corte di Cassazione che conferma il pronunciamento della Corte d'Appello di Palermo la quale, ritenendo che "la cessazione della consumazione del reato nel 1980 ne ha determinato la prescrizione" (ed il reato di cui si parla e' la "partecipazione nel sodalizio criminoso"), ha lasciato libero il senatore Andreotti: poiche' questa puo' legittimamente esser ritenuta corretta valutazione e decisione, alla luce delle norme vigenti, nell'ambito giuridico e specificamente giudiziario in riferimento agli specifici capi d'imputazione ed agli specifici fatti oggetto di indagine e giudizio; ma altra valutazione ed altro giudizio vigono nell'ambito morale, ed in quello politico, ed in quello storiografico. Ed altri fatti ed elementi ancora, a nostro avviso, erano e restano degni di costituire oggetto di indagine e di disamina in sede processuale (fatti ed elementi che anche chi scrive queste righe ha piu' volte portato all'attenzione delle competenti magistrature). Noi non chiediamo nulla, se non che una persona che ragionevolmente deve ritenersi essere stata - per una fase almeno della sua vita pubblica e ricoprendo primari incarichi istituzionali - in rapporti, in buoni rapporti, col potere mafioso, sia allontanata dal luogo in cui si fanno le leggi, le leggi che questa persona evidentemente non rispettava quando teneva quei rapporti, ed anche in seguito quando su essi taceva mentre aveva il dovere giuridico e morale di denunciarli, di farne ammenda, e di dimettersi da ogni pubblico ufficio. Per richiedere questo fascicolo di "Segno", ed anche per abbonarsi alla rivista, si possono utilizzare i seguenti riferimenti: "Segno", c. p. 565, 90100 Palermo, e-mail: rivistasegno at libero.it, sito: www.rivistasegno.it; abbonamento 2005: ordinario euro 45, sostenitore euro 100, estero euro 100; un numero: euro 10; arretrato: il doppio. Gli abbonamenti vanno effettuati sul ccp 16666901 intestato a Centro culturale Segno, c. p. 565, 90100 Palermo. 2. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: UNA PRECISAZIONE [Ringraziamo di cuore Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per questo intervento. Siamo grati anche ad Ileana Montini, che condividendo la medesima sensibilita' di Anna Bravo sul tema qui posto, ha dato occasione a questa sottolineatura. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il Fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003] Non vorrei rispondere, non ora, ai punti sollevati dallo scritto di Ileana Montini su "La nonviolenza e' in cammino" 869, ne' voglio chiederle cosa intenda precisamente con il termine "revisionismo", e in compagnia di quali altri "revisionismi" mi collochi. Ma quando scrive: "Vorrei poi aggiungere che il punto di vista di Anna Bravo si situa ancora nella concezione antropocentrica della cultura occidentale", tocca un tema che mi sta infinitamente a cuore, devo percio' invocare il rispetto per le parole, e citare da "Noi e la violenza, trent'anni per pensarci", p. 30: "Anche i movimenti e lo stesso amato '68 hanno contribuito a questa impasse, impregnati com'erano di un antropocentrismo secco e non riflettuto, in cui la natura e i viventi non umani (o non ancora umani) erano tranquillamente ignorati. 'Vi siete mai chiesti che cos'avranno pensato le capre di Bikini? e i gatti nelle case bombardate? e i cani in zona in guerra? e i pesci allo scoppio dei siluri?', scriveva Calvino nel '46 . La risposta e' 'no', e ha molte radici, dalla lunga cecita' delle ideologie politiche e della dottrina cattolica, all'incapacita' di immaginare che possa esistere un interesse comune fra classi o fra popoli in conflitto, a una militanza cosi' totalizzante e dominata dall'antinomia amico/nemico da cancellare quel che la eccedeva, a cominciare dalla prossimita' fra l'umano e il resto del mondo senziente. Ancora oggi, dopo tanti anni e tanti ripensamenti, non so se quando ci viene in mente Nietzsche, che crolla in ginocchio davanti a un cavallo preso a frustate dal vetturino, ci identifichiamo con il dolore dell'uomo o dell'animale". 3. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: SU DI UN TEMA DEL SAGGIO DI ANNA BRAVO [Giobbe Santabarbara, come e' noto, e' uno dei principali - e solitamente, ama dire lui stesso, piu' sgradevoli - collaboratori di questo foglio] Su uno dei molti temi che il saggio di Anna Bravo "Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci" (pubblicato nella bella rivista della Societa' delle storiche "Genesis", nel fascicolo attualmente in libreria; e riprodotto anche su questo foglio nei numeri 862-864) offre alla comune riflessione vorrei qui proporre alcune brevi, limitate considerazioni, di carattere per cosi' dire meramente testimoniale e non piu' che esplorativo, e vorrei farlo mettendo in gioco la mia personale vicenda e memoria, le mie esperienze e riflessioni che credo non siano granche' diverse da quelle di non poche altre persone. * Gli anni settanta e i movimenti tra violenza e nonviolenza il movimento di contestazione degli anni '70 (dal "sessantotto" fino al suo spegnimento come fenomeno di massa; ma chi veniva da quelle esperienze animo' poi il movimento antinucleare e il nuovo ambientalismo, il movimento per la pace che nacque contro il dispiegamento dei nuovi missili russi e americani, il movimento antimafia che fu la cosa migliore degli anni ottanta e novanta e fu anche il nocciolo duro - consapevole, colto, limpido, intransigente - del sostegno da parte della societa' civile alle inchieste giudiziarie contro il regime della corruzione) fu in larghissima parte nemico della violenza e vittima della violenza. Ma la violenza vi fu anche nelle elaborazioni e nelle esperienze militanti di parte non piccola della nuova sinistra degli anni settanta, e non solo in alcuni ristretti gruppi che dagli slogan truculenti passarono alla scellerata messa in atto dei deliri piu' immondi e dei crimini piu' efferati, i gruppi che passarono all'orrore della commissione degli omicidi, delle stragi, i gruppi cioe' esplicitamente e consapevolmente terroristici. Vi fu un'area di consenso all'accettazione e all'uso della violenza come strumento di lotta politica che coinvolse molte, moltissime persone che certo dovettero fare una tremenda violenza alla propria stessa psiche per arrivare - loro che avevano cominciato a impegnarsi nello spazio pubblico per affermare la dignita' di tutti gli esseri umani e perseguiire la liberazione dell'umanita' - a divenire insensibili persino alla morte degli esseri umani. Il fatto che ancor oggi si fatichi a parlarne e' assai significativo, e riguarda il nostro presente: fare i conti onestamente con quel che accadde allora, negli anni insieme dei movimenti e "di piombo", e' necessario anche e soprattutto per l'oggi. * Tre atteggiamenti inammissibili E fare i conti onestamente con quegli anni significa evitare tre atteggiamenti che cooperano sia alla rimozione della verita' sulla violenza di allora, sia alla riproduzione oggi (in varie forme, a vari livelli) della cultura e delle pratiche della violenza, della violenza che infine uccide. Il primo atteggiamento e' l'omerta' che tuttora perdura: e credo che il mero enunciato sia sufficiente. Il secondo atteggiamento e' il generico e infame "eravamo tutti colpevoli" con cui coloro che allora si macchiarono le mani di sangue o istigarono altri a divenire assassini (e, talora, assassinati) pretendono di coprire le loro personali responsabilita' e fare una chiamata di correo del tutto irricevibile: io che scrivo queste righe allora c'ero, e con tante e tanti altri - la grandissima parte del movimento di contestazione - mi sono battuto contro tutti coloro che picchiavano, sprangavano, sparavano, mettevano bombe: tutti, indipendentemente dal colore della camicia che indossavano, poiche' un pestaggio e' sempre un pestaggio, un omicidio e' sempre un omicidio, una strage e' sempre una strage, e nessun arabesco di parole, nessuna ideologica fantasmagoria, puo' mutare questa realta'; e chi vuole affermare un valore umano deve in primo luogo sapere che occorre difendere sempre le vite umane. Sempre. Il terzo atteggiamento e' quello pretesamente apotropaico, bassamente escapista, di chi vuol ridurre l'accettazione e l'uso della violenza nella cultura e nelle prassi dei movimenti degli anni settanta a cosa che riguarda solo i gruppi terroristici. Non era affatto cosi'. Giornali, riviste, libri di quel torno di anni restano a documentare che in tanti furono corrivi, e che ancora anni e anni dopo vi fu chi non ebbe vergogna a scrivere cose che a chiunque ripugnerebbe anche solo leggere. E non parlo dei giornali, delle riviste e dei libri scritti dai "tecnici addetti all'oppressione" (gli intellettuali del potere, secondo la formulazione che sottende la ricerca condotta in quel grande libro che e' Crimini di pace, Einaudi, Torino 1975) del sistema di potere, dei golpisti e dei neofascisti; parlo della pubblicistica prodotta dai movimenti, da alcuni dei quotidiani della nuova sinistra ai libri editi allora da Savelli e molti altri editori. La mole di documentazione e' immensa. Basterebbe volerla leggere. Che tanti di quelli che allora furono variamente corresponsabili o di sanguinari crimini o di istigazione a quei crimini o di favoreggiamento di quei crimini o di apologia di quei crimini oggi siedano, oltre che sulle cattedre e nelle redazioni, finanche nelle pubbliche istituzioni, aderendo ora agli schieramenti politici e culturali piu' diversi, e' un dato di fatto. Che forse rivela qualcosa: forse spiega perche' questi tre atteggiamenti che cooperano alla rimozione della verita' e all'occultamento delle responsabilita' abbiano tuttora corso; e vi siano dei giovani che nulla sapendo di cio' che accadde allora ancora oggi ripetono slogan e condotte al cui termine c'e' l'orrore, ed ascoltano oggi come maestri di vita e carismatici leader persone che hanno contribuito a seminare dolore e morte e che mai hanno dismesso la medesima tracotanza e sicumera. Dobbiamo parlare, tutti, dobbiamo dire ai giovani cio' che ignorano perche' nascosto sia dalla propaganda dei criminali al potere, sia dalla propaganda dei facitori di violenza infiltrati fin dentro i movimenti per la pace. Non si sta qui sostenendo che quelle persone non possano cambiare, ed essere cambiate; che debbano essere pietrificate in cio' che erano trent'anni fa. Al contrario: si sta chiedendo che si compia pienamente il travaglio dell'elaborazione del lutto, che si collochino anch'esse all'ascolto di luminose esperienze come quelle del movimento delle donne, come quelle emerse da situazioni assai piu' terribili di quella dell'Italia degli anni settanta, come la Commissione per la verita' e la riconciliazione sudafricana. Che si mettano alla scuola della nonviolenza, del principio responsabilita', di cio' che Mohandas Gandhi chiamava satyagraha, la forza della verita', l'attaccamento alla verita', la verita' che libera. * Fare i conti con la violenza, fare la scelta della nonviolenza Le persone amiche della nonviolenza sanno bene due, anzi tre cose: che la violenza e' in noi, che essa va distinta dall'aggressivita', che il campo di lotta tra violenza e nonviolenza e' nella gestione dei conflitti e finanche nel suscitamento e nel disvelamento dei conflitti. Poiche' la nonviolenza e' lotta, e' conflitto, e' coscienza e pratica di autocoscienza dialogica e maieutica. Agli studenti con cui lavoro e che hanno la bonta' di voler ragionare con me di cosa sia educarsi alla pace e accostarsi alla nonviolenza propongo sempre in primo luogo di prendere sul serio la violenza e le teorizzazioni della sua liceita' datesi nel corso della storia del pensiero umano, e ragiono con loro su questo specifico argomento non a partire dagli orrori su cui tutti siamo d'accordo ad emettere la piu' sollecita, facile ed ovvia condanna, ma a partire da tradizioni e persone autorevoli che hanno teorizzato la liceita' della violenza, dell'uccidere, della guerra: ragiono con loro sulle maggiori tradizioni giuridiche in campo penale, ragiono con loro sulla teoria della "guerra giusta" nella teologia cristiana, ragiono con loro sulle teorie di Fanon e di Guevara. Prendere sul serio la violenza e' il primo passo per poterla contrastare con il rigore intellettuale e morale che occorre, per poterla contrastare nell'unico modo praticamente efficace e teoreticamente ed assiologicamente fondato: facendo la scelta della nonviolenza. * Alla scuola del femminismo Una parola ancora prima di concludere: la cosa migliore dei movimenti di contestazione e di rinnovamento degli anni settanta fu il femminismo, che delle esperienze storiche dei movimenti di liberazione e' stata ed e' l'unica che sempre ha avuto chiaro un fatto decisivo: la necessita' dell'opposizione alla violenza, la lotta incessante contro la violenza, la scelta della nonviolenza - anche quando non usava questo termine, anche quando mescidava il suo sentire e pensare e dire ed agire con altri linguaggi e tradizioni non altrettanto nitidi, non altrettanto autocoscienti, non altrettanto coerenti nel nesso tra fini e mezzi, tra teoria e pratica. E' difficile oggi spiegare quale autentica liberazione fu non solo per tutte, ma per tutti, l'emersione delle riflessioni e delle pratiche del femminismo nelle culture e nelle esperienze dei movimenti degli anni settanta. Per i militanti maschi che seppero cominciare a mettersi all'ascolto non fu una lezione facile, ed anzi e' insieme una ferita e un acquisto con cui ancora oggi giorno dopo giorno dobbiamo fare i conti, ci dobbiamo confrontare; poiche' il pensiero e la prassi delle donne, quel che sintetizzando in una formula molte e diverse vicende e proposte qui chiamiamo ancora in una parola femminismo, irrompendo nello spazio pubblico con la sua differenza, la sua autonomia, la sua alterita', ed insieme la sua ricchezza, la sua inclusivita', la sua peculiare capacita' di "mettere al mondo il mondo", smascherava, denunciava, criticava, combatteva e rendeva evidente a noi stessi la parte di noi che era restata segnata e impregnata e tuttora veicolava e riproduceva il ruolo dell'oppressore, il ruolo del portatore della cultura e della pratica autoritaria, gerarchica, belluina, il ruolo del maschio cosi' come costituitosi e riprodottosi per generazioni e generazioni in un immenso lasso di tempo in cui meta' del genere umano aveva pensato di negare la piena umanita' dell'altra meta' ed aveva praticato questa mutilazione dell'umanita' di tutte e quindi di tutti con una ferocia cosi' immane da essere divenuta invisibile allo sguardo del carnefice, ed occulta alla sua psiche, cosi' come accade a tutti i torturatori, che non riescono a vedere piu' l'umanita' dell'altra persona e solo a questa condizione riescono a sopravvivere all'orrore di cui sono ad un tempo facitori e schiavi e vittime infine anch'essi. Fu il femminismo, io credo, che mi libero' dalla corazza che senza che io me ne rendessi conto mi imprigionava, mi piagava e mi soffocava: e' stato un dolore, una fatica, un travaglio non lieve, che tuttora perdura, ma questa coscienza di me e della parte oscura di me, coscienza che il femminismo mi schiuse e quindi mi restitui' imponendomi di guardare cio' che di me non volevo vedere, ebbene, e' stato il dono grande e decisivo che ha fatto si' che in quegli anni io non sia stato corrivo col male, non abbia permesso che i sofismi mi ingannassero e mi rendessero complice della violenza. Fu il femminismo che mi accosto' alla nonviolenza, un cammino che ancora continuo; che mi rivelo' la forza della nonviolenza, che ogni giorno scopro di nuovo, perche' la nonviolenza e' forte, come e' forte la donna che genera, e' piu' forte, infinitamente piu' forte dell'uomo che uccide, infinitamente piu' forte di tutti gli eserciti e tutte le guerre. Dal femminismo so di avere appreso non solo un modo diverso di guardare e sentire la lotta politica, non solo la dolorosa coscienza - la lacerante autocoscienza - del fascista che e' in me e con cui devo combattere ogni volta che lo sento latrare o ruggire dal lago nero del cuore, dal pozzo nero del fondo dell'animo; ma anche questo ho appreso: una piu' profonda consapevolezza e maturazione di me per molti altri aspetti ancora: io ero di quelli che sciocchi credevano, per una lunga tradizione monastica e cavalleresca, che il proprio corpo andasse tenuto in non cale, come impedimento e prigione; ero di quelli che sciocchi credevano che il buon militante dovesse essere tutto ragione; ero di quelli che sciocchi credevano all'etica del sacrificio di se' ed in primo luogo dei propri desideri e dei propri sentimenti e delle proprie emozioni e pulsioni. Fu il femminismo a rivelarmi che il personale e' politico; che la scissura cartesiana tra corpo e mente era un delirio; che la sfera della sessualita' era decisiva; che dobbiamo voler bene al nostro corpo; che si pensa col cuore; che si deve lottare per una felicita' sobria e condivisa: la feliciita' altrui, ma anche la propria, e che chi non ha cura anche di se stesso non puo' riescire ad aver cura degli altri. Certo, avevo gia' letto Freud e Foucault, i surrealisti e i francofortesi, l'Antigone di Sofocle e i Manoscritti economico-filosofici del 1844, Sein und Zeit e Qohelet, Sartre e Camus, Leopardi e Cervantes: ma fu il femminismo che mi insegno' a vedere con occhi nuovi e finalmente tutto: solo allora imparai a piangere in pubblico, che e' la cosa che ancor oggi sconvolge i miei studenti, di vedere questo canuto barbone non aver paura di dire e di dare a vedere che il suo cuore sanguina ed e' per questo che chiama alla lotta. * Un ringraziamento, infine Su molti altri temi, lo so, nel saggio di Anna Bravo si riflette, e tutti meritano profonda una discussione, una discussione seria, appassionata, vibratile, energica, esplicita. Che questo foglio vi contribuisca e' per me una gioia grande. Che Anna Bravo a questa dialogica, maieutica, corale riflessione ci abbia invitato scrivendo quelle dense sue pagine, e' per me cosa della quale dal profondo del cuore le sono grato. 4. LUTTI. ADRIANA ZARRI RICORDA PIA BRUZZICHELLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 marzo 2005. Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella, Assisi; Erba della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia, Milano; Il figlio perduto, La Piccola, Celleno. Pia Bruzzichelli ha lasciato nitido e luminoso un ricordo di se' in tante e tanti, Dal sito del Pro civitate museum - osservatorio cristiano alla Cittadella di Assisi (www.procivitate.assisi.museum) riprendiamo soave questo estremo saluto: "Pia Bruzzichelli dall'11 febbraio 2005 contempla il Volto del Signore, dopo averlo annunciato per tutta la vita attraverso l'arte. Sin dal 1947 e per parecchi anni nella Pro Civitate Christiana, attraverso contatti con gli artisti, la realizzazione di mostre, convegni e pubblicazioni, ha contribuito alla formazione delle raccolte della Galleria d'arte contemporanea. I suoi numerosi articoli su 'Rocca', rivista della Pro Civitate Christiana, hanno parlato di Cristo attraverso la bellezza"] La stampa ne ha parlato meno di quanto Pia Bruzzichelli - mancata l'11 dello scorso febbraio - avrebbe meritato (nemmeno "Il manifesto" ne ha fatto memoria). La ricordiamo rapidamente in queste note. Le avevo telefonato, sapendola inferma, poco prima che mancasse, ed ero rimasta rassicurata. Ma mi sbagliavo: il suo coraggio mi aveva ingannata. Attivissima alla Cittadella di Assisi, si era occupata di arte, organizzando incontri e mostre. Sposatasi poi con Gigi Rovo, con lui aveva creato un centro di incontri e studi a San Fortunato, nelle colline prossime ad Assisi. Di lassu', e nella successiva residenza a Bastia Umbra, aveva condotto una vasta attivita' culturale e politica, sempre attenta agli umori culturali e alle problematiche femminili. Chi l'ha conosciuta (un gran numero di uomini d'arte e di cultura, nonche' di ignoti e affezionati amici) ora ne rimpiange l'impegno o ne soffre la dipartita. Ma l'eredita' del suo lavoro - quello conosciuto e quello, non meno importante, noto solo agli amici - restera' a lungo, nella storia del movimento delle donne e nel cuore di chi le e' stato vicino. 5. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI: IN MEMORIA DI OSCAR ROMERO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'". Oscar Arnulfo Romero, nato nel 1917, arcivescovo di San Salvador, voce del popolo salvadoregno vittima dell'oligarchia, della dittatura, degli squadroni della morte. Muore assassinato mentre celebra la messa il 24 marzo 1980. Opere di Oscar Romero: Diario, La Meridiana, Molfetta 1991; Dio ha la sua ora, Borla, Roma 1994 Opere su Oscar Romero: AA. VV., Il vescovo Romero, martire della sua fede, per il suo popolo, Emi-Asal, Bologna 1980; AA. VV., Romero... y lo mataron, Ave, Roma 1980; James R. Brockman, Oscar Romero: fedele alla parola, Cittadella, Assisi 1984; Placido Erdozain, Monsignor Romero, martire della Chiesa, Emi, Bologna 1981; Abramo Levi, Un vescovo fatto popolo, Morcelliana, Brescia 1981; Jose' Maria Lopez Vigil, Oscar Romero. Un mosaico di luci, Emi, Bologna 1997; Ettore Masina, Oscar Romero, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1993 (poi riedito, rivisto e ampliato, col titolo L'arcivescovo deve morire, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995); Jon Sobrino, Monsenor Romero, Uca, San Salvador 1989. David Maria Turoldo - di cui Giulio riporta integralmente una giustamente celebre poesia - nato in Friuli nel 1916, ordinato sacerdote nel 1940, partecipo' alla Resistenza; collaboratore di don Zeno Saltini a Nomadelfia, fondatore con padre Camillo De Piaz della "Corsia dei Servi", poi direttore del "Centro di studi ecumenici Giovanni XXIII" a S. Egidio Sotto il Monte. Ha pubblicato numerose opere di riflessione religiosa, di intervento civile, di poesia. E' scomparso nel 1992. Opere di David Maria Turoldo: della sua vastissima produzione segnaliamo particolarmente alcune raccolte di versi: Il sesto angelo (poesie scelte - prima e dopo il 1968), Mondadori, Milano 1976; e O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990, 1993; Ultime poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; ed almeno la raccolta di testi in prosa La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996. Per una bibliografia piu' ampia: a) poesia: Io non ho mani, Bompiani, Milano 1948; Udii una voce, Mondadori, Milano 1952; Gli occhi miei li vedranno, Mondadori, Milano 1955; Preghiere tra una guerra e l'altra, Corsia dei Servi, Milano 1955; Se tu non riappari, Mondadori, Milano 1963; Poesie, Neri Pozza, Vicenza 1971; Fine dell'uomo?, Scheiwiller, Milano 1976; Il sesto angelo, Mondadori, Milano 1976; Laudario alla Vergine, Dehoniane, Bologna 1980; Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, Napoli 1978, poi Gei, Milano 1984; Impossibile amarti impunemente, Quaderni del Monte, Rovato 1982; Ritorniamo ai giorni del rischio, Cens, Liscate 1985; O gente terra disperata, Paoline, Roma 1987; Il grande Male, Mondadori, Milano 1987; Come possiamo cantarti, o Madre?, Diakonia della theotokos, Arezzo 1988; Nel segno del Tau, Scheiwiller, Milano 1988; Cosa pensare., La Rosa Bianca, Trento 1989; Canti ultimi, Carpena, Sarzana 1989, poi Garzanti, Milano 1991; (con G. Ravasi), Opere e giorni del Signore, Paoline, Cinisello Balsamo 1989; O sensi miei (poesie 1948-1988), Rizzoli, Milano 1990; Mie notti con Qohelet, Garzanti, Milano 1992; Ultime poesie (1991-1992), Garzanti, Milano 1999; Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002; b) teatro: La terra non sara' distrutta, Garzanti, Milano 1951; Da una casa di fango (Job), La Scuola, Brescia 1951; La passione di San Lorenzo, Morcelliana, Brescia 1961, poi Citta' Armoniosa, Reggio Emilia 1978; Vigilia di Pentecoste, Giac (pro manuscripto), Milano 1963; Oratorio in memoria di frate Francesco, Messaggero, Padova 1981; Sul monte la paura, Cens, Liscate 1983; La morte ha paura, Cens, Liscate 1983; c) saggistica: Non hanno piu' vino, Mondadori, Milano 1957, poi Queriniana, Brescia 1979; La parola di Gesu', La Locusta, Vicenza 1959; Tempo dello Spirito, Gribaudi, Torino 1966; Uno solo e' il Maestro, Signorelli, Milano 1972; Nell'anno del Signore, Palazzi, Milano 1973; Alla porta del bene e del male, Mondadori, Milano 1978; Nuovo tempo dello Spirito, Queriniana, Brescia 1979; Mia terra addio, La Locusta, Vicenza 1980; Povero Sant'Antonio, La Locusta, Vicenza 1980; (a cura di), Testimonianze dal carcere, Paoline, Roma 1980; Amare, Paoline, Roma 1982; Perche' a te, Antonio?, Messaggero, Padova 1983; Ave Maria, Gei, Milano 1984; (con A. Levi, M .C. Bartolomei Derungs), Dialogo sulla tenerezza, Cens, Liscate 1985; L'amore ci fa sovversivi, Joannes, Milano 1987; Come i primi trovadori, Cens, Liscate 1988; Il diavolo sul pinnacolo, Paoline, Cinisello Balsamo 1988; Il Vangelo di Giovanni, Rusconi, Milano 1988; Per la morte (con due meditazioni di P. Mazzolari), La Locusta, Vicenza 1989; Amar, traduzione portoghese, a cura di I. F. L. Ferreira, Paulinas, Sao Paulo 1986; (con R. C. Moretti), Mani sulla vita, Emi, Bologna 1990; La parabola di Giobbe, Servitium, Sotto il Monte 1996; Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte 1997; Il dramma e' Dio, Rizzoli, Milano 1992, 1996, 2002; d) traduzioni: I Salmi, Dehoniane, Bologna 1973; Salterio Corale, Dehoniane, Bologna 1975; Chiesa che canta, volumi I-VII, Dehoniane, Bologna 1981-1982; (con G. Ravasi), "Lungo i fiumi..." - I Salmi, Paoline, Cinisello Balsamo 1987; Ernesto Cardenal, Quetzalcoatl, Mondadori, Milano 1989; e) narrativa: ... E poi la morte dell'ultimo teologo, Gribaudi, Torino 1969. Opere su David Maria Turoldo: un'utile bibliografia di avvio e' in D. M. Turoldo, Nel lucido buio, Rizzoli, Milano 2002] Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, viene assassinato con indosso i paramenti sacri mentre celebra la messa nella cattedrale il 24 marzo 1980 (venticinque anni fa) perche' era diventato un acceso sostenitore di una giusta pace e si era apertamente opposto alle forze della violenza e dell'oppressione. Perche' difendeva i poveri, perche' chiedeva ai soldati di non sparare piu' sui contadini, perche' aveva chiesto pubblicamente al Presidente degli Usa di non mandare piu' armi all'esercito salvadoregno. Padre David Maria Turoldo, alcuni anni dopo, ha scritto questa poesia: "In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, vi ordino: non uccidete! Soldati, gettate le armi..." Chi ti ricorda ancora, fratello Romero. Ucciso infinite volte dal loro piombo e dal nostro silenzio. Ucciso per tutti gli uccisi; neppure uomo, sacerdozio che tutte le vittime riassumi e consacri. Ucciso perche' fatto popolo: ucciso perche' facevi "cascare le braccia ai poveri armati", piu' poveri degli stessi uccisi: per questo ancora e sempre ucciso. Romero, tu sarai sempre ucciso, e mai ci sara' un Etiope che supplichi qualcuno ad avere pieta'. Non ci sara' un potente, mai, che abbia pieta' di queste turbe, Signore? Nessuno che non venga ucciso? Sara' sempre cosi', Signore? * Difficile, davvero, per tutti noi, nel terzo millennio, ricordare il martirio di Romero. Eppure qualcosa ci spinge ancora a soffermarci, a leggere la sua vita, ad un quarto di secolo da quel colpo di fucile... tra passato e presente. Il passato e' il Centro America degli anni '80, con tutto il suo scenario di spaventose atrocita': una delle principali stanze degli orrori del mondo. I gorilla militari armati ed addestrati da Washington (nella famigerata Escuela de las Americas gestita dal Pentagono a Panama, in cui i vertici delle forze armate latino-americane venivano addestrate alla tortura, agli attentati, agli omicidi), hanno devastato la regione distruggendo tutto e rendendosi protagonisti di un'orribile serie di nefandezze, dall'aggressione al terrore, condannate dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja. Sentenza che Washington, complice il silenzio dei governi "democratici" occidentali, ha ignorato alzando le spalle fra l'irritazione e il disprezzo. Cosi' gli Stati Uniti non hanno mai pagato l'oneroso rimborso al Nicaragua in miseria fino a quando il debito legale e' stato condonato dalla presidente Violeta Chamorro, nella vana illusione che gli aiuti nordamericani al paese appena "scampato" al pericolo sandinista (febbraio 1990), sarebbero stati notevolmente superiori. Era l'applicazione della legge del piu' forte, una legge che, com'e' noto, non riconosce altro diritto che quella della forza. In questo senso e' cambiato poco o nulla, anche se siamo passati dalle guerre "a bassa intensita'" (che Romero ha ben conosciuto), ad una serie infinita di aggettivi che affiancano il sostantivo guerra: chirurgica, umanitaria, preventiva, infinita, ecc. Soltanto, che in nome della sicurezza nazionale, gli Stati Uniti d'America continuano a travolgere ogni legalita' internazionale e i diritti umani dei popoli, le loro sovranita' nazionali; oggi sono il carcere di Guantanamo, i bombardamenti in Afghanistan, o le torture in Iraq. Il presente e' tutto racchiuso nell'interrogativo di quelle morti: Romero, Marianella Garcia Villas, i sei gesuiti dell'Uca massacrati il 16 novembre 1989, solo per ricordare quelli piu' conosciuti; e poi quelle di decine di migliaia di salvadoregni, guatemaltechi, nicaraguensi, ecc. Apparentemente, ora tutto e' cambiato: dopo il tempo dei gorilla militari, adesso siamo entrati nell'era del neoliberismo; ma gli Usa hanno lasciato sostanzialmente i Paesi centroamericani devastati, forse, oltre la loro possibilita' di ripresa, disseminati di migliaia di cadaveri torturati e mutilati. Da noi, in Italia, i nostri benpensanti farebbero bene a rinfrescare la memoria storica, a guardare con attenzione, e senza pregiudizi a quanto accadeva nel lontano continente americano; in particolare in quello che gli Stati Uniti hanno da sempre considerato il "cortile di casa". Cosi' come i tanti che elogiano acriticamente il pontificato di Giovanni Paolo II, farebbero bene a rinfrescare la memoria storica, ricordando che proprio in America latina e in Centro America e' venuto fuori il lato peggiore di Wojtyla. 6. MEMORIA. MARCO BERTOTTO: PETER BENENSON, IL CAVALIERE DELLA COSCIENZA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 febbraio 2005. Marco Bertotto e' presidente della sezione italiana di Amnesty International. Peter Benenson di Amnesty International e' stato il fondatore] L'avvocato inglese Peter Benenson e' morto venerdi', all'eta' di 83 anni, nell'ospedale Jonh Radcliffe di Oxford. Sono milioni in tutto il mondo le vittime di persecuzioni e violazioni dei diritti umani che conservano un debito di riconoscenza nei suoi confronti. E' stata la sua ispirazione, nel 1961, a lanciare quella che sarebbe stata presto definita "la repubblica della coscienza", Amnesty international: un movimento globale di attivisti per i diritti umani, impegnati a denunciare le ingiustizie dei governi ed esprimere solidarieta' verso le vittime. L'intera vita di Peter Benenson e' stata dedicata a combattere l'ingiustizia nel mondo. Racconta chi lo conosceva da vicino che all'eta' di 16 anni riusci' nell'impresa di coinvolgere la sua scuola in una campagna per il sostegno agli orfani della guerra civile spagnola. Sempre a scuola si dedico' in quegli anni alla sorte di alcuni ebrei in fuga dalla Germania di Hitler. Dopo aver studiato storia all'universita' di Oxford, Peter Benenson si arruolo' nell'esercito inglese, fungendo da addetto stampa. In seguito lascio' le forze armate ed inizio' ad esercitare la professione legale. Si iscrisse al Partito laburista. All'inizio degli anni '50, il sindacato inglese decise di inviarlo in Spagna ad osservare i processi che si stavano celebrando contro alcuni sindacalisti locali. Benenson rimase sconvolto da cio' che vide e, con piglio professionale e forte impegno civile, decise di preparare una lista completa delle inadempienze legali da discutere con il giudice. Anche grazie alla sua intransigenza, la sentenza finale del processo fu di completa assoluzione. Una rarita' nella Spagna franchista. E' stato attraverso queste attivita' che Peter Benenson inizio' a conquistare una reputazione internazionale. A Cipro sostenne l'attivita' di alcuni avvocati greci impegnati a far prevalere il diritto contro le logiche perverse della burocrazia inglese; convinse poi suoi colleghi avvocati a recarsi in Ungheria come osservatori internazionali durante i fatti del 1956, e poi in Sudafrica per seguire un importante processo sulle liberta' civili. Il successo di questi interventi lo porto' a decidere la costituzione dell'organizzazione inglese Justice. E' stata questa costante attivita' in favore dei diritti umani a gettare le fondamenta per quello che sarebbe stato il suo piu' eccezionale contributo, il significato di una vita intera spesa rincorrendo l'ideale di un mondo piu' giusto. Nel maggio del 1961, lesse dell'arresto di due giovani che in un caffe' di Lisbona avevano brindato alla liberta' delle colonie portoghesi. L'indignazione che suscito' in lui quel fatto lo porto' a pubblicare su un settimanale di Londra un articolo intitolato "I prigionieri dimenticati". Era un appello per un campagna di dodici mesi dedicata alla liberazione di tutti i prigionieri per motivi di opinione: l'adesione entusiasta di migliaia di persone in tutto il mondo convinse Benenson a trasformare quella campagna in cio' che sarebbe divenuto il piu' importante movimento globale per i diritti umani. Da quel giorno, il termine "prigioniero di coscienza" divenne di uso comune e il logo del movimento, una candela con filo spinato intorno, un simbolo universale di speranza e liberta'. Nei primi anni di vita di Amnesty international, Peter Benenson lavoro' instancabilmente alla sua idea rivoluzionaria. Assicuro' all'organizzazione il sostegno finanziario per muovere i primi passi, prese parte ad alcune missioni di ricerca, si occupo' di tutte quelle incombenze necessarie a far crescere in dimensioni ed importanza la sua creatura. Nel 1966 scoppio' una crisi interna al movimento a seguito della pubblicazione di un rapporto di Amnesty sulle torture commesse dalle forze armate inglesi. Peter Benenson ipotizzo' che i servizi segreti si fossero infiltrati all'interno di Amnesty. Un'indagine indipendente smenti' questa supposizione e spinse Benenson a ritirarsi temporaneamente dall'organizzazione. Torno' a tempo pieno alla meta' degli anni '90. Il 10 aprile 2001, il "Daily Mirror" lo insigni' del premio Orgoglio della Gran Bretagna. Era il quarantesimo anniversario dalla nascita di Amnesty international. Lo ricorderemo con le parole pronunciate in occasione dei 25 anni di Amnesty, una sorta di testamento spirituale tradotto in decine di lingue: "Questa candela non brucia per noi, ma per tutte quelle persone che non siamo riuscite a salvare dalla prigione, che sono state uccise, torturate, rapite, scomparse. Per loro brucia la candela di Amnesty International". 7. RIFLESSIONE. OTTAVIO DI GRAZIA: DIETRICH BONHOEFFER, LA LIBERTA' E L'IMPOTENZA DI DIO [Dal quotidiano "L'Unita'" del 12 aprile 2002. Ottavio Di Grazia e' docente di storia delle religioni all'Istituto suor Orsola Benincasa dell'Universita' di Napoli, e di storia della diaspora ebraica all'Universita' di Trieste. Dietrich Bonhoeffer, nato a Breslavia nel 1906, pastore e teologo, fu ucciso dai nazisti il 9 aprile del 1945; non e' solo un eroe della Resistenza, e' uno dei pensatori fondamentali del Novecento. Opere di Dietrich Bonhoeffer: Resistenza e resa (lettere e scritti dal carcere), Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1988; Etica, Bompiani, Milano 1969; presso la Queriniana di Brescia sono stati pubblicati molti degli scritti di Bonhoeffer (tra cui ovviamente anche Sanctorum Communio, Atto ed essere, Sequela, La vita comune). Opere su Dietrich Bonhoeffer: Eberhard Bethge, Dietrich Bonhoeffer, amicizia e resistenza, Claudiana, Torino 1995; Italo Mancini, Bonhoeffer, Morcelliana, Brescia 1995; AA. VV., Rileggere Bonhoeffer, "Hermeneutica" 1996, Morcelliana, Brescia 1996; Ruggieri (a cura di), Dietrich Bonhoeffer, la fede concreta, Il Mulino, Bologna 1996] Alle prime luci dell'alba del 9 aprile 1945 Dietrich Bonhoeffer (pastore luterano, uno fra i massimi teologi del Novecento, membro attivo della resistenza al nazismo) viene impiccato a Flossenburg, per ordine del Fuehrer in persona. Aveva 39 anni. Dietrich Bonhoeffer e' sicuramente un caso singolare nel panorama della teologia contemporanea, Ed e' significativa la fortuna arrisa a questo teologo dopo la sua morte. In Italia a dare risalto all'autore dei testi raccolti in Resistenza e Resa era stato nel 1969 Italo Mancini con una ricostruzione complessiva del pensiero bonhoefferiano. Due anni prima veniva pubblicata quella che a tutt'oggi e' considerata la piu' importante biografia dedicata a Bonhoeffer, quella dell'amico Eberhard Bethge. Una biografia che metteva in luce lo stretto legame esistente tra la vita e il pensiero di Bonhoeffer. Prospettiva che nel 1971 veniva confermata dall'importante lavoro di Feil, il quale estendeva al versante teorico l'analisi sviluppata da Bethge. Recentemente, Alberto Gallas ha proposto una magistrale ricostruzione del cammino di fede e di pensiero del teologo tedesco. * Il rischio per un'opera che gode di una fortuna postuma e' quello di essere catturata dentro infinite maschere che non gli appartengono. Se poi a questo aggiungiamo il fatto che Bonhoeffer non ha lasciato opere sistematiche, allora il rischio di una facile appropriazione acritica da parte di chicchessia diventa ancora piu' allarmante. Infatti si tradirebbe Bonhoeffer se non si leggesse tutta la sua teologia e la sua testimonianza di credente alla luce della Parola di Dio che resta l'unica chiave di lettura possibile per decifrare il rapporto fra ultimo e penultimo; fra teologia e storia; fra l'annuncio della salvezza e la sua realizzazione; fra gia' e non ancora; fra fedelta' a Dio e alla terra. In anni in cui lo smarrimento delle coscienze era reso piu' acuto dalla tragedia dei totalitarismi e dai campi di sterminio, Bonhoeffer ha scelto la strada dell'esposizione della propria esistenza, della testimonianza forte e intransigente. Le tappe fondamentali della vita e della ricerca di Bonhoeffer illustrano ampiamente la ricchezza e la complessita' di un laboratorio teologico che culmina in opere come Sanctorum Communio, Sequela, Etica e Resistenza e Resa. La sua opera, pero', non sarebbe comprensibile senza l'intensa attivita' pastorale che Bonhoeffer seppe dispiegare. Solo questo intreccio di pensiero e azione; solo questa riflessione su Dio e sull'essere umano come essere plurale, irriducibile a strutture e fondamenti o principi esplicativi che non siano nutriti della carne e del sangue di uomini e donne con nome e cognome, poteva determinare una delle critiche piu' radicali alla tradizione teologica e filosofica occidentale. Solo in questo senso Bonhoeffer poteva affrontare la frammentazione della modernita' e tentare di coniugare l'esigenza di un cristianesimo integralmente vissuto con quella di un mondo diventato adulto. * Qui si apre la scena sulla quale appaiono le questioni e le interrogazioni bonhoefferiane: la dimensione dialogica della teologia, il recupero originale dei contenuti (delle Scritture ebraiche e cristiane, la sequela di Cristo, la Chiesa, la teologia della Croce, l'incarnazione, la questione ebraica ("soltanto chi alza la voce a favore degli ebrei puo' cantare il gregoriano"), l'ecumenismo, la testimonianza contro il nazismo nella Chiesa Confessante, la dottrina della giustificazione, la non-religiosita' del mondo moderno, l'etica della responsabilita'. Bonhoeffer ricorda nella sua opera una figura paolina, quella dell'anthropos teleios. Chi e' l'anthropos teleios? (cui si e' richiamato Alberto Gallas, nel suo libro sul teologo luterano). Per rispondere a questa domanda decisiva occorre, sia pure di sfuggita, ricordare una delle questioni centrali della filosofia heideggeriana che ha attraversato il dibattito filosofico di questo secolo: quella del rapporto fra esistenza autentica e inautentica. L'immagine di uomo che per Bonhoeffer simboleggia l'esistenza inautentica e' l'uomo dalle due anime, dal cuore diviso, che accetta i conflitti e le contrapposizioni come un dato statico e insuperabile della realta'; mentre colui che mette in movimento i conflitti, e ristabilisce una relazione tra i poli contrapposti, e' l'anthropos teleios, l'uomo compiuto, nella cui essenza si realizza, consapevolmente o inconsapevolmente, sia egli "cristiano" o sia "pagano", l'invito di Gesu' ad essere teleioi, appunto "perfetti". L'anthropos teleios e' l'uomo che sa vivere autenticamente la propria vita, non nell'anticipazione della morte, ma nell'essere per gli altri, nella responsabilita' per altri, nell'ascolto, nel dialogo. * Il Moderno, la Secolarizzazione introducendo un "mondo senza Dio", un mondo dal quale tutti "gli dei sono fuggiti" segna anche la "fine di tutte le cose", di tutte le grandi parole, dei valori. Ha senso dunque cercare ancora Dio? La risposta di Bonhoeffer e' netta. Se la volonta' di Dio e' la liberta' dell'umanita', in nome di questa liberta' egli si lascia espellere dal mondo sulla Croce. L'impotenza di Dio, il lacerante problema della finitezza, rendono piu' acuta la necessita' di un pensiero che non dichiari il suo lungo addio dalla vita. La responsabilita' per altri non e' la risposta, debole, alla sconfitta di Dio nel Moderno, ma il tentativo di guardare alla salvezza come a qualcosa di essenziale, persino sotto la forma della marginalita', del vuoto, del frammento. Un Dio che salva nonostante tutto e salva nel cuore del "villaggio". Gli interrogativi di Bonhoeffer rimangono centrali ed essenziali per tutti coloro che amano il fascino rischioso del pensiero in cui ne va della vita stessa. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 870 del 16 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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