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La nonviolenza e' in cammino. 869
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 869
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 15 Mar 2005 00:13:20 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 869 del 15 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Ileana Montini: Violenza, aggressivita', nonviolenza 2. Severino Vardacampi: Alcune note sulla ricezione del saggio di Anna Bravo 3. Alessandro Pizzi: A scuola con Aldo Capitini, a Orte 4. Lisa Masier ricorda Hans Albrecht Bethe 5. Giulia D'Agnolo Vallan ricorda Morris Engel 6. Arturo Di Corinto ricorda Jeff Raskin 7. "La buona educazione" di Francesco Codello 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: VIOLENZA, AGGRESSIVITA', NONVIOLENZA [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita' maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] "Ricordo molto bene che a suo tempo le donne parlavano della violenza dell'aborto: volevano una legge proprio per aprire un percorso che, eliminando la clandestinita', consentisse un futuro senza aborti attraverso l'impegno pubblico, l'educazione sessuale e la contraccezione. Dagli anni Ottanta (del secolo scorso) ogni prevenzione e' stata rimossa e le donne si sono dovute arrangiare, emancipandosi nel prendere le iniziative, imponendo il preservativo ai loro uomini, proteggendosi con i contraccettivi, avviandosi al sesso libero come i maschi. L'emancipazione omologata non e' una gran cosa, perche' rimuove l'idea di violenza e la riduce a mero incidente; inoltre riguarda ancora poche ragazze, che appaiono piu' visibili nelle inchieste giornalistiche. La maggioranza resta abbastanza 'ignara', si trovano ancora ragazze che 'si devono sposare' per una gravidanza imprevista in arrivo e, anche se diminuiscono gli aborti, gli uomini continuano a restano abbastanza indifferenti e irresponsabili. Eppure per evitare anche i conflitti con gli embrioni, basterebbe che chiedessero alla loro donna se e' disposta a diventare madre in conseguenza del loro, magari reciproco, desiderio. Ma gli uomini fanno conto di non sapere come nascono i bambini e la liberta' delle donne e' affidata alla sorte. Nel caso che una donna si trovi incinta senza averlo voluto, e', come dice il linguaggio popolare, 'nei guai': perche' mai dovrebbe ubbidire alla legge dell'uomo e diventare custode del suo seme, sola colpevole di una violenza che segue a un'altra violenza? Nessuna dice che si debba far ricorso alla interruzione di gravidanza ne' che sia una soluzione facile; si dice solo che nessuno puo' sostituirsi a chi vi fa ricorso e che la societa' la sostiene. Anna Bravo fa bene a richiamare il problema del 'fare violenza', ma la sua analisi storica resta parziale proprio storicamente. Come per gli altri revisionismi: la violenza va combattuta in tutte le aree che ne sono infiltrate, a patto che non si carichino di violenza proprio le iniziative, anche forti e drammatiche, di chi cerca di rimuovere la violenza dalla storia". Questo, tra l'altro, ha scritto Giancarla Codrignani richiamando con precisione la problematica che si sviluppo' intorno al tema dell'aborto. * Vorrei aggiungere che dalla mia esperienza clinica deduco che ancora oggi sono molti i maschi che spesso impongono rapporti non protetti soprattutto negli incontri occasionali, in quanto rifiutano il preservativo. La contraccezione resta un problema a carico esclusivo o quasi delle donne. E quanto alle motivazioni religiose o culturali, sono in aumento, per il mancato uso degli anticoncezionali, le richieste di interruzione di gravidanza da parte delle donne islamiche. Ha ancora ragione Giancarla quando scrive che se non si parlava allora a "difesa del feto o dell'embrione", non si dovrebbe neppure farlo oggi dato che questo incrinerebbe la liberta' femminile e sarebbe "immediato il conflitto di interesse fra due soggetti di tutela della legge, la madre e il figlio, e si ricomincerebbe a discutere di responsabilita' civile (puo' la donna mettere a repentaglio la vita del feto se cade perche' va a spasso liberamente?)". Comunque, il saggio di Anna Bravo non e' parziale solo storicamente. Pero' non sono una storica e mi sarebbe difficile inseguirla nelle cronologie precise e vaste. Mi affido alla memoria e, in nome del principio di complessita', alla parzialita' di altri punti di vista. Era forte, a quei tempi, come scrive anche Giancarla, l'accento posto sull'aborto come strumento estremo per rifiutare una maternita' e, in aggiunta, l'accusa alla societa', all'organizzazione sociale che, come ancora in parte oggi, rendeva difficile per le donne conciliare il desiderio di maternita' con quello della propria realizzazione ed emancipazione. Per esempio, prima del '68, prima della "rivoluzione sessuale", prima del femminismo, le donne cattoliche che si impegnavano in politica (nella Dc) a livelli dirigenziali, consideravano normale la rinuncia a formarsi una famiglia. * Ma il saggio della storica e' di fatto piu' ampio perche' include la problematica generale della violenza, della sua esaltazione nella lotta di classe all'interno della sinistra, e sulla complicita', piu' o meno, da parte delle donne "militanti". Scrive: "Ci siamo scelti determinati maestri e compagni di strada (e per alcuni di loro i movimenti sono stati a loro volta maestri) perche' ci riconoscevamo profondamente nell'ideologia della violenza riformatrice, fatta uomo nella figura del partigiano, del combattente di Spagna, del comunardo, del ribelle risorgimentale, del cittadino in armi della rivoluzione francese - un condensato di combattentismo maschile vissuto come cifra naturale della lotta". Ricorda dei molti, i piu', che non seppero cogliere "certe sfumature interne al nostro micromondo": come quelle di "gruppi programmaticamente miti" di studenti e di cattolici, che gia' praticavano e teorizzavano la nonviolenza. Cita don Milani e padre Balducci. Per conto mio vorrei aggiungere Giorgio La Pira sindaco di Firenze. Cita le marce della pace volute da Capitini di cui ho un bellissimo ricordo personale. Non mi sembra che faccia dei distinguo tra le varie formazioni extraparlamentari che nei miei ricordi invece ci sono. Per me, proveniente dal mondo cattolico, meno giovane dei sessantottini, sarebbe stato difficile aderire, per esempio, a Lotta Continua. Mi fu facile invece sentire e vivere "il Manifesto" come impresa piu' pacata e riflessiva, meno incline a praticare forme di violenza collettiva in qualsiasi modo. I miei riferimenti sono stati, oltre a padre Balducci con la rivista "Testimonianze", l'area straordinaria della "famiglia religiosa" che si ispira al francese Charles de Foucauld, ex ufficiale che si fece eremita nel Magreb, e agli scritti di Rene' Voillaume, il fondatore. In libri come "Come loro" insegnava la pratica della condivisione della vita degli oppressi e degli ultimi. In "Lettere dal deserto" del piccolo fratello Carlo Carretto, che si era ritirato dalla politica militante per farsi monaco, c'era l'esperienza della vita con i musulmani che aveva incontrato nei deserti magrebini da novizio e che, imitando Charles de Foucauld, non aveva cercato di convertire, rispettandone, si direbbe oggi, la differenza culturale. Novita' non di poco conto in una Chiesa che era oggetto di critica anche perche' aveva praticato milioni di conversioni collettive violente nei secoli e in tutto il mondo colonizzato dalle nazioni occidentali. Mi chiedo se non e' anche il caso di cercare di capire perche' abbiamo creduto un po' ciecamente nella "rivoluzione culturale" nella Cina di Mao come un bellissimo modello di rivoluzione pacifica. Che cosa ne facciamo, se non l'abbiamo rimosso, del dolore che abbiamo provato leggendo, in questi ultimi anni, le denunce dei misfatti della rivoluzione culturale, in alcuni libri di donne cinesi e nostre come Renata Pisu? * Vorrei poi aggiungere che il punto di vista di Anna Bravo si situa ancora nella concezione antropocentrica della cultura occidentale. Negli anni che fecero seguito alle rivolte giovanili e alla formazione dei movimenti extraparlamentari di sinistra, nacque, in sordina, anche una sensibilita' per l'ambiente o per quella che allora piuttosto si definiva tout court la natura. Ho dei ricordi molti chiari della sordita' dei "militanti" (ma anche delle militanti) alle analisi che invitavano a fare i conti con la tendenza ad aggredire la natura con conseguenze, allora, solo immaginabili. Ci si sentiva rispondere che agli operai non poteva interessare "la natura" quando dovevano indirizzare tutte le energie alla lotta contro i padroni per il miglioramento delle condizioni di vita e la presa del potere. Negli anni ottanta alcuni filosofi dell'Europa settentrionale cominciarono a riflettere sulla sofferenza del "paziente non umano", ovvero degli animali. Ma questa tematica non divento' mai sensibilita' diffusa nella sinistra, ne' nel mondo cattolico, tanto meno nel centro e nella destra. D'altronde a destra e a sinistra c'erano - e ci sono- i favorevoli alla caccia. Gli ambientalisti dovettero collocarsi sempre ai margini, tollerati ma poco amati nella vecchia (Pci) o nell'arcipelago della nuova sinistra. L'origine dei verdi come partito dimostra la difficolta, prima di tutto, di far germogliare le riflessioni sulla violenza contro la natura all'interno della sinistra europea. Ma anche nel femminismo l'antropocentrismo ebbe la meglio marginalizzando le donne "verdi". * A questo punto vorrei mettere a fuoco la parola aggressivita'. Gli psicoanalisti si sono sempre interessati all'aggressivita', prima di tutto Erich Fromm con un suo memorabile libro. Affrontare la tematica della violenza ignorando la pulsione aggressiva, significa riferirsi alla coscienza ignorando l'inconscio. Soleva dire Carl Gustav Jung che chi nega l'esistenza dell'inconscio deve poi spiegarsi perche' tante volte ci capita di dire: "penso una cosa e poi ne faccio un'altra". Ci si puo' limitare, certamente semplificando, ad affermare che l'inconscio e' cio' di cui non siamo consapevoli. Semplificando, l'aggressivita' puo' essere di difesa o distruttiva. Di difesa puo' essere considerata anche l'aggressivita' predatoria del leone che per cibarsi uccide e mangia la gazzella. L'agire aggressivo e' anche quello del maschio che impone, alla femmina un rapporto non protetto contro il rischio di una gravidanza non desiderata. Aggressivo puo' essere considerato l'agire degli uomini celibi della Chiesa che hanno, in nome "del rispetto della vita nascente" imposto alle donne il dramma degli aborti clandestini e della maternita' come destino totalizzante. E' anche contro questa violenza che la protesta femminile si e' organizzata negli anni settanta muovendosi entro i limiti della sensibilita' etica del tempo. Ricordo la manifestazione a favore dell'aborto a Roma dove ci trovammo, come per incanto, in oltre cinquantamila da tutta Italia. Ricordo con commozione un girotondo che fece prigionieri per qualche minuto, a piazza Venezia, due, tre preti in tonaca. Ricordo gli striscioni a quadrettini di stoffa rosa e bianca e le trovate creative delle donne meridionali. Un esempio, per quei tempi seriosi, di manifestazione ricca d'incanto emotivo che poi i sindacalisti presero ad esempio. Ma ritornando all'aggressivita': ha ragione Anna Bravo che a volte l'aborto si e' consumato contro la propria madre, per il timore di assomigliarle; ma ci puo' essere anche l'inconscio bisogno di restare incinta (facile nell'adolescenete) per dimostrare a se stessa di essere veramente una donna; cui fa seguito poi lo sgomento. Le donne hanno un corpo che, in un certo senso, complica la relazione conscio-inconscio. Fu Lea Melandri nella stagione bella del femminismo a inaugurare la "pratica dell'inconscio" nei collettivi. Mi piace quindi pensare al movimento delle donne come a un mosaico che si e' in fondo costruito nel tempo, dove accanto a zone di colore scuro, si stemperano zone luminose, piu' chiare e definite. Ma vorrei pensare alla violenza e nonviolenza come a qualcosa che non puo' essere oggettivato totalmente e sistemato una volta per tutte in chiari paradigmi post moderni o post tutto: abbiamo a che fare, costitutivamente, con l'aggressivita' che attraversa anche la differenza di genere. Nonviolenti si', come scelta, ma sapendo e accettando che, in forme eguali o diverse, uomini e donne portiamo il seme interiore dell'aggressivita' che puo' crescere anche a nostra insaputa. 2. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNE NOTE SULLA RICEZIONE DEL SAGGIO DI ANNA BRAVO [Severino Vardacampi e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] Sul saggio di Anna Bravo, "Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci" [pubblicato nella bella rivista della Societa' delle storiche "Genesis", nel fascicolo attualmente in libreria; e riprodotto anche su questo foglio nei numeri 862-864] in queste settimane su alcuni quotidiani e alcuni siti internet si e' avviato un ampio e vivace dibattito, che speriamo prosegua, si approfondisca, contribuisca vieppiu' alla comune riflessione. * Sulla ricezione giornalistica Non sorprende la spiacevole circostanza che la discussione su taluni giornali sia stata - per la pressione stessa del contesto dato dal sistema dei mass-media - non poco impoverita e forzata dalle strategie discorsive ed editoriali proprie della comunicazione e dell'intrapresa giornalistica tanto commerciale quanto propagandistica, e dalle implicazioni ideologiche e pratiche presupposte e veicolate dal medium "giornale", dalla modalita' di proposizione e fruizione dei testi di cui consiste, con le notissime conseguenze: frettolosita' e quindi scarsa attenzione, eccessiva semplificazione, polarizzazione esasperata, spettacolarizzazione, surplus di gesto retorico, frequente dirottamento dell'attenzione di chi legge da cio' che conta e interroga a cio' che e' coloritura e scorza, da cio' che impegna a cio' che devia, scilicet: diverte. Abbiamo sovente la sensazione che dopo la televisione il giornale quotidiano sia il luogo peggiore per discutere di argomenti che richiedono invece tempo, ascolto, attenzione, una riflessione palesemente non riducibile a quei letti di Procuste. Ed abbiamo altresi' la sensazione che tanta parte della catastrofe intellettuale (oltre che morale) della sinistra italiana dipenda dalla sua subalternita' al discorso dei mass-media attraverso cui il sistema di potere dominante esercita tanta parte della sua potenza e prepotenza in forma narcotica e manipolatrice: lo sapeva e lo scriveva gia' l'internazionale situazionista decenni fa, che quella sinistra che discute solo di cio' di cui si discute in televisione non serve a nulla, anzi, serve - e' asservita - al peggio. Sensazionalismo e costruzione dello scandalo, sollecitazione di pronunciamenti sommari, manipolazione paratestuale, sono funzionali a una prassi di rimozione degli spazi di riflessione comune; ed infatti dopo il clamore che in quanto clamore poco perdura, segue l'oblio all'inseguimento del prossimo scoop. Mentre invece vi sono temi di cui occorre discutere a lungo, in una conricerca dialogica che presuppone in primo luogo la comprensione tra chi parla, possibile solo se reciprocamente ci si ascolta. Quel lavoro di attenzione, di ascolto, di cura, che e' una delle lezioni grandi che il femminismo ha donato in eredita' feconda a tutte e tutti. * Sulla ricezione nei siti internet Rispetto ai quotidiani miglior veicolo per questa riflessione polifonica quand'anche dissonante - e finanche talora seriale, nel senso della scuola di Vienna -, sono stati fin qui alcuni siti, in particolare - se non quasi esclusivamente - quelli animati da donne, che sono in assoluto la cosa migliore che si trova nella rete telematica, al confronto dei quali la generalita' degli altri siti di riflessione, di documentazione, di informazione danno l'impressione della fiera delle vanita' e dell'orgia delle trivialita', della stupidita' e delle aberrazioni, ovvero del fascismo in atto (e questo vale anche per la maggior parte dei siti cosiddetti "di movimento": in cui trovi ad ogni pie' sospinto linguaggi e concetti degni del Socing orwelliano). Dispiace che anche i siti pacifisti gestiti perlopiu' da maschi quasi non si siano accorti che nel dibattito sviluppatosi intorno al saggio di Anna Bravo si sta discutendo di questioni decisive per una cultura della pace e della dignita' umana; e dispiace che molti autoproclamati "mediattivisti" (qualunque cosa cio' voglia dire) non abbiano ancora colto due elementari verita': che non si da' piu' possibilita' di lotta effettuale per la pace, la giustizia, i diritti umani e la difesa della biosfera se non si fa la scelta teorica e pratica della nonviolenza; e non si da' accostamento alla nonviolenza senza collocarsi all'ascolto del pensiero, delle esperienze, delle pratiche delle donne e dei movimenti delle donne, dei femminismi. * Nelle prossime settimane Vedremo nelle prossime settimane come si sviluppera' la riflessione anche sulle riviste, luogo per piu' versi piu' propizio a un miglior ascolto reciproco, a un piu' meditato ed aperto e maieutico dialogare. E vedremo se i contributi che gia' molte hanno dato alla riflessione proposta da Anna Bravo, insieme al testo che tale dibattito ha promosso, riusciranno a fruttificare in ulteriore acquisto per tutte e tutti, promuovendo e trovando svolgimento in quelle modalita' di comunicazione e di relazione che piu' contano: l'incontro "vis-a'-vis" nelle conversazioni pubbliche e private in cui persone in carne ed ossa si accostano e si parlano negli occhi guardandosi. Poiche' ci pare che il testo di Anna Bravo meriti una discussione approfondita sia nel suo insieme, sia anche - e a nostro avviso soprattutto - nello specifico della pluralita' di questioni che pone, che vanno esaminate nelle loro peculiarita' oltre che nel loro intreccio; temi e nessi su cui la discussione e' aperta e su cui deve esercitarsi la pratica ermeneutica della verificazione ovvero della (popperiana) falsificazione, come anche del fecondo fraintendimento (Bloom), o infine pure del detournement (per tornare ancora a Debord). * Sulla struttura del saggio E finanche per quanto concerne la sua struttura, la sua organizzazione stilistica oltre che argomentativa, ci sembra che il saggio di Anna Bravo meriti di essere considerato e discusso: una struttura che ci pare che tenga - se possiamo servirci ancora una volta di un riferimento alla teoria e alla prassi musicale - di alcune caratteristiche tipiche della "forma sonata". E' infatti probabile che l'attenzione che il testo ha suscitato dipenda, oltre che da talune circostanze contingenti - come l'interesse giornalistico col suo inevitabile portato di ipersemplificazione distorcente; come il momento storico, con una destra patriarcale, neofascista e razzista, bellicosa e sciovinista, all'attacco (non a caso una destra al potere che cumula caratteristiche il cui nesso coglieva e contro cui si batteva Virginia Woolf nelle Tre ghinee); e oltre che dalla effettuale schiettezza e fin durezza con cui alcune questioni sono poste; soprattutto dall'aver intrecciato in un medesimo testo-contesto tre-quattro temi (la memoria e il silenzio, l'aborto e la sofferenza, la violenza e la politica, il femminismo come rottura e come rinascita; ma ovviamente altri temi ed altre costellazioni tra essi il testo propone all'ermeneutica) su cui invero molto si e' scritto anche negli scorsi decenni, ma forse mai intrecciandoli cosi', e questo intreccio apre interrogazioni e percorsi di ricerca impegnativi, accidentati, perigliosi, forse finanche abissali, ma sicuramente non rimuovibili con un'alzata di spalle o una difesa d'ufficio hegeliana. Certo, un saggio e' per antonomasia il luogo della ricerca, dell'incertezza, del provvisorio e del carente, della domanda che cerca di creare uno spazio a una ricerca che quella domanda potrebbe finanche destituire di ogni valore; ed alcune formulazioni dell'autrice possono anche essere sembrate a taluna o taluno "prima facie" insostenibili: ma anche su questa insostenibilita' - nella sua polivalenza semantica - interrogarci dobbiamo. * Presa di parola, lavoro analitico, timore e tremore, secretum La forza appassionata con cui il dibattito e' divampato, dando luogo anche a pronunciamenti aggressivi e giudizi trancianti, non credo dipenda solo da cattive abitudini, credo segnali piuttosto un'urgenza autentica, e un'esigenza profonda. L'irruenza di taluni interventi, anche nella loro palese ingenerosita', mi sembra sia segno per cosi' dire dell'irruzione nello spazio della discussione pubblica di una riflessione che sentiamo irrinunciabile, in cui "ne va di noi", della nostra storia, del nostro agire, del nostro sentire: il sentire, il consentire; i sentimenti, l'empatia. Analogamente la sbrigativita' di taluni interventi nella discussione, talvolta cosi' evidentemente autoreferenziali, da' talvolta l'impressione come di voler esorcizzare un dolore, e quasi operare una forclusione: ma a un ascolto piu' profondo ci pare di cogliere un piu' denso sofferto lavoro di elaborazione analitica che ancora forse trova modo di espressione solo entro forme altre di condivisione, di relazione; altre rispetto alla scrittura storiografica, al dibattito giornalistico, al cannibalismo dei mass-media che sempre e' in agguato ove parliamo di cio' che ci sta a cuore, di cio' che e' mobile, di cio' che tiene dello specchio e dell'enigma, in timore e tremore, del nostro intimo e comune secretum. * Il silenzio dei maschi, come se tutto cio' non ci riguardasse In verita' cio' che piu' mi colpisce nel dibattito suscitato dal saggio di Anna Bravo non e' il silenzio delle donne, e' il silenzio degli uomini, l'indifferenza degli uomini. Che copre col suo rombo sordo e cupo il crimine del patriarcato, del fascismo, della guerra che tuttora perdurano, ancora una volta i tre elementi il cui nesso denunciava Virginia Woolf scrivendo sul finire delgi anni trenta del secolo scorso quella lettera in cui spiegava la destinazione delle misere sue tre ghinee: una lettera che ho semrpe sentito indirizzata a noi, aggettante sui nodi del nostro presente. Mi colpisce la stolta indifferenza del movimento per la pace nei suoi luoghi piu' noti e nelle sue figure piu' celebrate, pressoche' tutti ferreamente quand'anche inconsapevolmente maschili e maschilisti: forse perche' questa discussione mette a nudo interiori dissidi e incertezze (il maschilismo, l'autoritarismo e il militarismo dei manifestanti professionali viriloidi e fin squadristi prediletti dai mass-media e dai partiti - e dalle aziende-partito - che pressoche' tutti, in maggiore o minore misura, ereditano dell'organizzazione burocratica staliniana riproducendone l'ideologia e i meccanismi; la falsa coscienza o l'intima angoscia dei religiosi maschi di varie appartenenze che avvertono una loro collocazione ambigua, come persone sinceramente di pace e insieme parte e funzionari di strutture sovente tuttora in cospicua misura cupamente patriarcali, ferocemente misogine, non di rado con marcate caratteristiche fin dittatoriali e totalitarie; l'ipocrisia di chi si colloca o aspira a inserirsi nel mainstream delle "multinazionali del bene", quel lato oscuro del mondo delle onlus e delle ong che troppi astrattamente mitizzano in blocco senza rendersi conto di cio' di cui stanno parlando; e si potrebbe continuare). * Quattro tesi Mi colpisce che tanta parte delle persone che si sentono movimento per la pace, per la giustizia, per i diritti, non colgano queste cose che a me paiono decisive, e che concludendo queste brevi, esplorative e provvisorie note vorrei ancora una volta riassumere in forma di tesi: I. Che il femminismo (il pensiero e le pratiche delle donne, il movimento di liberazione delle donne, i femminismi nelle loro varie articolazioni e dialettiche; da Simone de Beauvoir a Vandana Shiva, da Simone Weil a Assia Djebar, da Rosa Luxemburg a Luce Irigaray, da Hannah Arendt a Rigoberta Menchu', da Edith Stein a Wangari Maathai) e' l'esperienza storica decisiva del Novecento nell'indicare una via d'uscita dalla catastrofe dell'umanita'; che solo a partire dalle esperienze e riflessioni di cui esso consiste e che esso ha suscitato si possono costruire relazioni orientate alla convivenza, al rispetto e alla promozione di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani, di riconoscimento di umanita' per l'umanita' intera e per ciascuna persona. II. Che il femminismo e' quindi, proprio perche' smaschera e dissolve la pretesa totalitaria del pensiero unico patriarcale, proprio perche' riconosce le differenze e non le annichila, proprio perche' e' vettore storico della lotta contro ogni oppressione nei confronti delle persone e della natura, e' anche "corrente calda" ed esperienza cruciale di cio' che chiamiamo nonviolenza in cammino. III. Che la scelta della nonviolenza, come ebbe a scrivere una volta Aldo Capitini, e' il varco attuale della storia: di fronte all'immensa mole di male che insensati erigono i poteri apparentemente piu' forti del mondo, che la civilta' umana stanno precipitando nel baratro, occorre sapere che la nonviolenza e' piu' forte, che essa puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe, che essa puo' non solo resistere all'orrore attraverso le mille sue pratiche, ma costruire fin d'ora relazioni di convivenza, relazioni di giustizia, relazioni di liberta'. La nonviolenza e' in cammino, ma ha bisogno del contributo di tutte e tutti per affrontare e sconfiggere le concrezioni di male dominanti, le strutture dell'ingiustizia e della menzogna, dello sfruttamento e dell'alienazione, della guerra e del terrore, della paura e della morte. IV. La nonviolenza e' in cammino, ma e' un cammino di cui tanta parte e' la capacita' di ascolto dell'altra persona, dell'altra e dell'altro, della vita e del mondo; e' la capacita' di rispondere al volto altrui che muto e sofferente ti interroga; e' la responsabilita' "per amore del mondo". Di questa disposizione ad essere "cuore pensante" (Etty Hillesum, certo), a prendersi reciprocamente cura, a "mettere al mondo il mondo", le donne e il pensiero e la pratica delle donne - e quindi il femminismo, i femminismi - sono il soggetto storico e culturale decisivo. 3. EDUCAZIONE. ALESSANDRO PIZZI: A SCUOLA CON ALDO CAPITINI, A ORTE [Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna). Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra su Aldo Capitini puo' essere richiesta scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, e-mail: azionenonviolenta at sis.it] Da qualche giorno, presso il liceo scientifico statale di Orte (Viterbo), e' allestita una mostra su Aldo Capitini, messa a disposizione da Luciano Capitini. L"iniziativa affianca il corso di educazione alla pace, che da anni caratterizza il liceo e che si svolge con grande coinvolgimento degli studenti. La mostra vuole far conoscere il pensiero di Aldo Capitini e invitare ad un approfondimento della sua opera, sempre piu' attuale e necessaria per l'azione politica. La mostra, non a caso, e' ospitata nella scuola; il pensiero pedagogico di Aldo Capitini e' molto utile anche per stimolare una riflessione tra i docenti, sugli scopi dell'insegnamento, sul ruolo degli educatori e sulle finalita' della scuola stessa in un momento di grande confusione come questo, segnato dalle riforme, a mio avviso distruttive della scuola pubblica, messe in atto dagli ultimi governi. Conoscere le idee di Aldo Capitini e' utile anche per orientarsi nel mondo della politica. In particolare in questo momento approfondire il pensiero di Aldo Capitini, mettendo al centro dell'azione politica la partecipazione dei cittadini, il "potere di tutti", puo' essere il metodo per far prevalere gli interessi della collettivita' e, in particolare, per affermare i diritti dei piu' deboli. 4. LUTTI. LISA MASIER RICORDA HANS ALBRECHT BETHE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2005. Lisa Masier scrive di temi scientifici e culturali sul "Manifesto"] Hans Albrecht Bethe, uno dei giganti della fisica del Novecento, dando contributi importanti in molti settori diversi di questa disciplina scientifica del XX secolo, e' morto domenica a Ithaca, nello stato di New York, all'eta' di 98 anni. L'annuncio e' stato dato ieri dalla Cornell University, dove Bethe ha lavorato e insegnato per quasi settanta anni. Bethe e' stato uno dei padri della prima bomba atomica ed e' stato insignito del premio Nobel per la fisica nel 1967 per la scoperta della produzione di energia nelle stelle ("per il suo contributo alla teoria delle reazioni nucleari e in particolare per le sue scoperte concernenti la produzione di energia nelle stelle", recitava la motivazione dell'Accademia di Svezia). All'inizio degli anni Trenta aveva lavorato a Cambridge con Ernest Rutheford - lo scopritore della struttura dell'atomo e premio Nobel per la chimica nel 1908 -, poi con Enrico Fermi a Roma, il grande fisico italiano con cui collaboro' in seguito, agli inizi degli anni Quaranta, nei laboratori segreti di Los Alamos dove venne messa a punto la bomba atomica. Ma, dagli anni Sessanta in poi, Bethe divenne un critico della proliferazione delle armi nucleari. Hans Albrecht Bethe, che era nato il 2 luglio 1906 a Strasburgo - allora territorio tedesco -, fu costretto a lasciare la Germania, in seguito alle persecuzioni naziste perche' era figlio di madre ebrea. Dopo aver condotto ricerche nelle universita' di Francoforte, Stoccarda e Monaco di Baviera, ottenne la cattedra di fisica all'universita' di Tubinga, che gli fu poi tolta dalle persecuzioni antiebraiche del regime di Hitler. Da qui la decisione di trasferirsi in Inghilterra, insegnando dapprima a Manchester e poi a Bristol. Nel 1938 Bethe formulo' la teoria che spiega la produzione di energia all'interno delle stelle come il Sole mediante reazioni nucleari, identificando il cosiddetto ciclo del carbonio. Diventato cittadino degli Stati Uniti, negli anni Quaranta ha contribuito allo sviluppo dell'elettrodinamica quantistica e ha diretto il reparto di studi teorici a Los Alamos nell'ambito del progetto Manhattan che porto' alla costruzione delle prime bombe nucleari a fissione. Risale a questo periodo la sua collaborazione con Edward Teller, il celebre fisico non altrettanto critico con il nucleare, che continuo' a difendere a spada tratta per tutta la sua lunga vita e a cui si deve l'autentica paternita' della prima bomba atomica, rivendicata con orgoglio. Al contrario di Teller, in seguito Bethe tento' di opporsi allo sviluppo degli ordigni a fusione nucleare (bombe all'idrogeno), e si adopero' per l'adozione dei trattati internazionali sulla messa al bando dei test nucleari. Questo impegno coincise con l'incarico ricevuto nel 1958, quando il governo americano lo nomino' capo di una task-force di scienziati che doveva elaborare uno studio sul disarmo. Negli anni Settanta fu consulente della Casa Bianca durante i negoziati di Ginevra per la messa al bando dei test atomici. Hans Albrecht Bethe, pur avendo collaborato allo sfruttamento della fisica nucleare per scopi militari, ha mantenuto sempre molto spirito critico e grande lucidita' sul ruolo e le responsabilita' degli scienziati sul destino dell'umanita'. Lo testimonia un suo resoconto, che risale al 1954 ma che e' stato declassificato soltanto nel 1980, nel quale Bethe descrive il coinvolgimento degli scienziati nella costruzione della bomba H, un progetto ancora piu' controverso di quello che ha portato alle prime armi nucleari, e mette in evidenza come questo rapporto sia diventato continuativo e non soltanto episodico di un periodo di emergenza. La fama di questo fisico e astronomo si deve soprattutto alla scoperta dei meccanismi di produzione di energia all'interno delle stelle. Ancora nel 1938, infatti, gli astrofisici non conoscevano quali processi nucleari potessero generare nelle stelle energie cosi' elevate. Secondo il racconto di George Gamow - fisico e cosmologo di origine ucraina, grande sostenitore della teoria del Big Bang nonche' straordinario affabulatore -, Bethe, presente insieme a lui a un convegno che si svolgeva a Washington nell'aprile del 1938, durante il quale era stato posto il problema, penso' di risolvere l'"enigma" in treno, durante il viaggio di ritorno a New York, prima di recarsi nel vagone ristorante per la cena... E cosi' fu: il fisico tedesco aveva scoperto il "ciclo del carbonio" o "ciclo di Bethe", uno dei due principali processi di produzione di energia nucleare presenti all'interno delle stelle, in grado di sopperire al fabbisogno energetico di queste enormi "fornaci" naturali. 5. LUTTI. GIULIA D'AGNOLO VALLAN RICORDA MORRIS ENGEL [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 marzo 2005. Giulia D'Agnolo Vallan dopo la laurea in lettere e filosofia a Torino ha frequentato il Master program presso la Film and Television School della Tisch School of the Arts della New York University, citta' nella quale vive e lavora come giornalista ed operatrice culturale; collabora con varie testate ed ha curato varie rassegne cinematografiche per importanti festival del cinema] Senza di lui, disse Francois Truffaut, la Nouvelle Vague non ci sarebbe stata. Di lui Saul Bellow scrisse che "poteva penetrare le dure superfici delle apparenze, far parlare le pietre, far si' che le metropolitane e i marciapiedi si rivolgessero a noi gridando, che i milioni di morti seppelliti in file di lapidi malamemente identificate ci influenzassero". John Cassavetes e D. A. Pennebaker si sono spesso dichiarati tra i suoi piu' grandi ammiratori. Il regista Morris Engel e' morto sabato a New York. Aveva 86 anni ed era malato di cancro. Figura mitica e allo stesso tempo segreta del cinema americano, Engel e' stato una presenza imprescindibile di quella rivoluzione che avvenne tra gli anni cinquanta e i primi anni settanta nel cinema indipendente Usa. E, come e' successo per Leonard Kastle con il suo Honeymoon Killer, per essere "imprescindibile" gli basto' virtualmente un film solo, The Little Fugitive, vincitore del leone d'argento a Venezia nel 1953. Girato per 30.000 dollari, con una 35 mm portatile creata apposta per lui, in un magico, contrastatissimo, bianco e nero che omaggiava le fotografie del suo maestro Paul Strand (con il quale collaboro' al film Promise Land) e le immagini "di strada" di un'altra sua grande passione, Berenice Abbott, Il piccolo fuggitivo e' l'odissea d'un giorno d'estate di un bambino di sette anni (Richie Andrusco) che scappa a Coney Island quando crede di aver ucciso il fratello maggiore. Sullo sfondo espressionistico e multiforme del grande luna-park newyorkese, il bimbo ha avventure e incubi da paese delle meraviglie - ogni superficie e ogni incontro a cavallo tra realta' e fantasia. Scritto da Ray Ashley e montato da quella che sarebbe presto diventata la moglie di Engel, la nota fotografa Ruth Orkin, Il piccolo fuggitivo venne acquistato in Usa dal distributore americano di Ladri di biciclette e di Roma citta' aperta. Non a caso, il lavoro di Engel e' stato spesso avvicinato al nostro neorealismo. In realta', la sua influenza piu' grande rimane la fotografia americana degli anni trenta, unita ad un occhio complice nella meraviglia dello sguardo infantile e a una voglia di perdersi sulle superfici - dei volti o dell'asfalto, come dice Bellow - e sui contorni fino a farli esplodere. Nel 1955 Engel diresse, sempre con la collaborazione di Orkin, Lover and Lollipops, su una bambina orfana di padre che osserva sua madre innamorarsi di nuovo e, nel 1958, Wedding and Babies, il suo progetto piu' "strutturato" con gli attori Viveca Lindfors e John Myhers. Anche quel film vinse un premio a Venezia, insieme a Il posto delle fragole di Ingmar Bergman. Piu' in sincronia con l'universo solitario della fotografia, Engel non si pose nemmeno il problema di andare o meno "a Hollywood" sfruttando il boom degli indipendenti degli anni sessanta - lavoro' e mantenne la sua famiglia essenzialmente con la fotografia e qualche spot pubblicitario. Ma nel 1968 giro' I Need a Ride to California, film che rimane tutt'oggi "invisibile" su una ragazzina hippie nell'East Village della controcultura. Quando, anni fa, cercai di convincere Engel a darmelo per portarlo in Italia disse che non era "in condizioni di essere proiettato", lasciandomi supporre che forse non ne aveva mai terminato il montaggio. Ma garanti' che le sequenze di Central Park dell'Hair di Milos Forman sarebbero impallidite di fronte al materiale che aveva lui sulla flower generation. Dalla sua finestra affacciata sul lato ovest del grande polmone verde newyorkese Engel aveva infatti un posto d'osservazione privilegiato su tutto quello che succedeva nel parco. Da quella finestra scatto' anche molte foto e, come lui, sua moglie che ne trasse una famosa serie sulla stagioni. A sorpresa - anche di chi lo aveva conosciuto - Engel giro' due video negli anni novanta, A Little Bit Pregnant ('93), su un bimbo la cui sorella incinta rifiuta di sposarsi ma anche di avere un aborto, e Camellia (98), studio ravvicinato della figlia di due anni di un amico. In quell'occasione ci disse che il video gli sembrava uno strumento interessante - anche se nel suo appartamento, appena entrati sulla destra, troneggiava ancora una moviola, coperta solo da un panno un po' impolverato. 6. LUTTI. ARTURO DI CORINTO RICORDA JEFF RASKIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 marzo 2005. Arturo Di Corinto e' docente di scienze della comunicazione all'universita' "La sapienza" di Roma] Nel 1984 Steve Jobs e Steve Wozniack fondatori della Apple Computer, presentano il Macintosh, il primo computer sviluppato su un'interfaccia grafica. Responsabile e progettista del "Mac" fu Jeff Raskin, che creo' il gruppo di sviluppo nel 1979, ideo' il nome, raccolse le migliori invenzioni della ricerca sulle interfacce come il "drag and drop", il mouse, il concetto di interazione a oggetti, le finestre sovrapponibili e la metafora della scrivania. Qualche anno dopo Steve Jobs litigo' con Jeff Raskin e, rifugiatosi in una palazzina, isso' una bandiera nera da pirati e prese il comando del gruppo di lavoro, costringendo Jeff Raskin a dimettersi nel 1982. Jeff Raskin, lo sviluppatore dell'Apple Macintosh e inventore del mouse con un solo bottone e' morto ieri all'eta' di 61 anni per un cancro al pancreas nella sua casa di Pacifica in California. Laureato in matematica e filosofia, musicista e scrittore, era un teorico dell'interazione uomo-macchina e ha sempre privilegiato la sintesi di usabilita' e versatilita' nella progettazione delle interfacce informatiche, con l'obiettivo di rendere i computer sempre piu' facili da usare, "amichevoli" e poco costosi. Se e' lui che ha dato il nome al famoso Macintosh, cambiandone la pronuncia per motivi di copyright - suo il merito di aver convinto Steve Jobs a abbandonare il progetto del computer Apple Lisa - a buon ragione si puo' considerare l'apripista di tutti i computer da tavolo, e uno dei pionieri della rivoluzione informatica. Era un pallino fisso per lui, che veniva dalle controculture degli anni '70 e frequentava lo Xerox Parc Center (il famoso centro di ricerche vicino Palo Alto), trasformare i computer in oggetti usabili da tutti e non piu' da nerd capelloni o scienziati in camice bianco. Il "New York Times" di ieri lo ricorda come un uomo dall'attitudine rinascimentale. E di fatto era un umanista, come si comprende leggendo il suo libro Interfacce a misura d'uomo, edito in Italia da Apogeo (2003, pp 255, euro 23), un saggio dove si contesta la preferenza degli utenti per computer sempre piu' potenti che pero' "non sanno fare quello che serve". Nel libro infatti Raskin affronta la grande questione della comunicazione mediata dalle tecnologie, cioe' l'usabilita' delle interfacce, luoghi di confine fra mondi che parlano linguaggi diversi e che spesso, invece di facilitare l'interazione con la tecnologia, la complicano. In estrema sintesi, la tesi del libro del creatore del Macintosh e' che occorre un approccio completamente nuovo nel design delle interfacce uomo-macchina se vogliamo che gli infodomestici, le case domotiche, i computer stessi, diventino friendly, facili da usare, per tutti e non per i pochi, occidentali, acculturati, con del tempo da sprecare nello studio di voluminosi manuali d'istruzioni. E infatti intorno all'anno 2000 Raskin avvio' la costruzione di The, The Humane Environment, un sistema che incarnava la sua idea di interfaccia a misura d'uomo usando elementi a codice sorgente aperto. Obiettivo dichiarato del progetto era di progettare un sistema software in grado di comprendere e sfruttare le modalita' operative di base del sistema uomo secondo le piu' recenti acquisizioni della psicologia cognitiva, lavorando sui bisogni degli utenti piuttosto che sulle esigenze commerciali, ma con l'utopia di fornire un ambiente di lavoro e di apprendimento che fosse realmente "inclusivo", cioe' adatto per tutti: giovani, anziani, luddisti e incapaci. Difficile dargli torto. A chi non e' mai capitato di sentirsi disorientato davanti allo schermo di un computer senza sapere cosa fare? Come dice Jakob Nielsen, il decano dell'usabilita', se non riusciamo ad usare uno strumento, la colpa non e' nostra, ma di chi l'ha progettato. Raskin ne era profondamente convinto. 7. LIBRI. "LA BUONA EDUCAZIONE" DI FRANCESCO CODELLO [Dal sito di Nonluoghi (www.nonluoghi.it) riprendamo la seguente segnalazione] Francesco Codello, La buona educazione. Esperienze libertarie e teorie anarchiche in Europa da Godwin a Neill, Franco Angeli, Milano 2005, 700 pagine, euro 42. Questo libro presenta una teoria pedagogica e un movimento educativo, pressoche' sconosciuti al grande pubblico. Pensiero anarchico e pratiche educative libertarie, invece, non solo sono esistite nel passato, ma rappresentano ancora oggi una realta' che, seppur non molto diffusa, costituisce un importante contributo al processo di emancipazione umana. Originalita' e specificita', innovazione vera e intuizioni anticipatrici, vengono qui illustrate, analizzate e collocate in una dimensione storica che muove dalla fine del '700 e si snoda fino alla prima meta' del '900, interessando diversi paesi europei. La pedagogia libertaria emerge, di volta in volta, in pensatori ed educatori, che sono quasi sempre inseriti in un movimento rivoluzionario, protagonista in straordinari eventi storici: dalla Prima Internazionale alla Comune di Parigi, dalla nascita e dallo sviluppo delle organizzazioni anarcosindacaliste alle grandi mobilitazioni di massa nei diversi paesi europei, dalla rivoluzione russa a quella spagnola del 1936-1939, dagli anni travagliati del primo conflitto mondiale a quelli che precedono la nascita di fascismo e nazismo. In questo quadro l'educazione assume per i libertari un'importanza decisiva soprattutto attraverso iniziative di istruzione popolare e di educazione rivoluzionaria, tendenti alla formazione di un nuovo modello di uomo. Allo stesso tempo la critica lucida e pertinente dei vari sistemi scolastici non trascura e non risolve l'impegno di questi educatori, i quali, spesso, realizzano concretamente illuminanti esperienze educative alternative (Jasnaja Poljana di Tolstoj, Cempuis di Robin, La Ruche di Faure, la Escuela Moderna di Ferrer, Summerhill di Neill, ecc.). Questo filone educazionista del movimento anarchico e libertario, di derivazione illuministico-individualistica e/o socialista, nel sottolineare sia la centralita' dell'individuo e della sua diversita', sia il ruolo fondamentale del collettivo nel processo formativo, concorre a delineare una straordinaria azione e un pensiero originale che ha ancora molto da insegnare. Il libro si puo' trovare nelle librerie e puo' essere richiesto direttamente all'autore al seguente indirizzo: Francesco Codello, via I. Nievo 5/A, 31100 Treviso (Italia) e-mail: f.codello at virgilio.it Francesco Codello, dirigente scolastico di Treviso, da anni impegnato nella ricerca storico-educativa, e' autore di numerosi articoli e saggi apparsi su diverse riviste, animatore dell'Iden (International Democratic Education Network) in Italia e redattore della rivista "Libertaria". Ha pubblicato anche un volume dal titolo: Educazione e anarchismo. L'idea educativa nel movimento anarchico italiano (1900-1926), Ferrara, 1995. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 869 del 15 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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