La nonviolenza e' in cammino. 868



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 868 del 14 marzo 2005

Sommario di questo numero:
1. Bolzaneto
2. Anna Rossi-Doria: Una storia non conclusa
3. Anna Bravo: Quegli anni, queste domande
4. Benito D'Ippolito: Un omaggio a Maria G. Di Rienzo
5. Accoglienza e diritti, non campi di concentramento e violenza
6. Enrico Peyretti: Pietas. Un commento
7. Leonardo Boff: Per chi si avventura nel sapore della liberta'
8. Daniela Binello: Donne manifeste
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. BOLZANETO
Un manipolo di sadici rapisce molti uomini e donne, spesso poco piu' che
ragazzi.
Li porta nella camera delle torture. Minaccia, umilia, sevizia, rompe corpi
ed anime per sempre.
Non e' la Russia di Stalin, non e' il Cile di Pinochet, non e' l'Uganda di
Amin, non e' la Cambogia di Pol Pot, non e' Guantanamo, non e' Abu Ghraib.
E' Genova, nel 2001. E il manipolo dei sadici agiva in nome e per conto
dello Stato italiano.
Ma per le leggi dello Stato italiano, come per la coscienza di ogni essere
umano, quella condotta era un crimine, un crimine orribile. E il comma
quarto dell'articolo 13 della Costituzione della Repubblica Italiana non
lascia adito a dubbi: "E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di liberta'".
"Meditate che questo e stato", ha scritto una volta per sempre Primo Levi.
Dinanzi alla violenza scatenata non si puo' fingere che non ci riguardi,
essa riguarda sempre l'umanita' intera.
E proprio perche' da persone amiche della nonviolenza abbiamo sempre
sostenuto senza esitazione gli operatori delle forze dell'ordine nella lotta
contro il crimine, per la sicurezza di tutte le persone, in difesa dei
diritti umani di tutti gli esseri umani; e proprio perche' da persone amiche
della nonviolenza abbiamo sempre denunciato e contrastato i violenti, gli
squadristi e i provocatori al male sovente infiltrati fin nei movimenti che
si dicono di pace ma che non sono movimenti di pace finche' non decidono di
opporsi sempre alla violenza assassina, finche' non scelgono la nonviolenza;
proprio perche' da persone amiche della nonviolenza ci sta a cuore la difesa
dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche, della civile
convivenza e del retto condursi, delle leggi quando sono - come devono
essere sempre - il sostegno del debole e il soccorso dell'oppresso, della
democrazia come metodo e come sistema; proprio per questo a maggior ragione
possiamo e dobbiamo chiedere verita' e giustizia, piena verita' e compiuta
giustizia, anche per quanto accaduto a Genova nel 2001. Senza esitazioni,
senza ambiguita'. La verita', la giustizia, la misericordia: la comune
umanita'.

2. RIFLESSIONE. ANNA ROSSI-DORIA: UNA STORIA NON CONCLUSA
[Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo questo articolo di Anna
Rossi-Doria apparso sul quotidiano "La Repubblica" dell'8 febbraio 2005.
Anna Rossi-Doria insegna Storia delle donne in eta' contemporanea alla
Seconda Universita' di Roma; ha lavorato presso l'Istituto romano per la
storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza dal 1974 al 1980, ha insegnato
Storia delle donne nelle Universita' di Bologna, Modena e della Calabria; fa
parte della direzione della rivista "Passato e presente", del Comitato
direttivo della Societa' italiana delle storiche, e di quello dell'Istituto
romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza. Ha condotto in
generale ricerche di storia politica e, piu' di recente, di storia delle
idee, occupandosi in una prima fase dei gruppi conservatori italiani in eta'
liberale, in particolare della figura di Antonio di Rudini' e della crisi di
fine secolo; poi del rapporto tra partiti politici e movimenti sociali nel
periodo delle origini della Repubblica, analizzando in particolare la
politica agraria e le lotte contadine meridionali; da circa vent'anni si
occupa prevalentemente di storia delle donne e di genere, sia dal punto di
vista storiografico e metodologico che con ricerche di storia dei movimenti
femminili e femministi e di storia dei diritti delle donne. In quest'ultimo
campo, ha condotto ricerche prima sulla legislazione protettiva del lavoro
femminile e sul suffragismo nel secolo XIX in Inghilterra e negli Stati
Uniti, poi sulla conquista del diritto di voto e sul rapporto tra diritti
civili e diritti politici nel secolo XX in Italia (con alcuni casi di
comparazione con la Francia). In queste ricerche gli interrogativi centrali
riguardavano il rapporto teorico e politico tra rivendicazione
dell'uguaglianza e difesa della differenza, con le contraddizioni, i
paradossi ma anche le potenzialita' di ridefinizione del liberalismo e della
democrazia che esso comportava; negli ultimi anni, ha cominciato a occuparsi
di storia ebraica a partire dal nodo dell'emancipazione - in cui
l'alternativa obbligata tra uguaglianza e differenza si presenta, in modo
analogo ma capovolto rispetto a quel che avveniva per le donne, nella forma
della equazione tra diritti di cittadinanza e assimilazione, avviando
ricerche su alcune forme specifiche di antisemitismo europeo alla fine del
XIX secolo, legate non al razzismo - anche se da esso gia' segnate - ma al
rifiuto del "particolarismo" ebraico, e sul ricorrente loro abbinamento a
forme di antifemminismo; ha anche lavorato su temi di storia della memoria
della shoah e della memoria della deportazione nei Lager nazisti, avviando
di recente una ricerca sulle memorie scritte e le testimonianze orali di
donne ebree e di deportate politiche italiane e francesi. Opere di Anna
Rossi-Doria: Per una storia del "decentramento conservatore", in "Quaderni
storici", n. 18, 1971; Il ministro e i contadini. Decreti Gullo e lotte nel
Mezzogiorno (1944-1949), Bulzoni, Roma 1983; Uguali o diverse? La
legislazione vittoriana sul lavoro delle donne, in "Rivista di storia
contemporanea", n. 1, 1985; La liberta' delle donne. Voci della tradizione
politica suffragista, Rosenberg e Sellier, Torino 1990; Il difficile uso
della memoria ebraica: la shoah, in Nicola Gallerano (a cura di), L'uso
pubblico della storia, Angeli, Milano 1995; Le donne sulla scena politica in
Storia dell'Italia repubblicana, I, La costruzione della democrazia,
Einaudi, Torino 1994; Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia,
Giunti, Firenze 1996; Memoria e storia: il caso della deportazione,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1998; Antifemminismo e antisemitismo nella
cultura positivistica, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il
razzismo nella storia d'italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999; (a cura
di), Annarita Buttafuoco. Ritratto di una storica, Jouvence, 2002; (a cura
di), A che punto e' la storia delle donne in Italia, Viella, 2003; La stampa
politica delle donne nell'Italia da ricostruire, in S. Franchini e S.
Soldani (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia
di genere, Angeli, Milano 2004]

Intervenendo in un dibattito che riporta sulla stampa, dopo un lunghissimo
silenzio, il tema del femminismo degli anni Settanta, vorrei essere chiara a
proposito dell'intervento da cui quel dibattito e' partito: l'intervista ad
Anna Bravo apparsa su "Repubblica" il 2 febbraio, che riprende alcuni punti
del suo saggio sul numero della rivista "Genesis" in uscita in questi giorni
(al quale non faro' qui riferimento). Penso che una testimone di quelle
vicende, oltre che storica di valore, come lei abbia non solo il diritto ma
anche il merito di avviare una riflessione che, partendo dal problema
dell'assenza di una storiografia, si ponga dal punto di vista della memoria
individuale. Penso anche pero' che sia necessario tenere ben presenti sia la
distinzione tra storia e memoria, sia il fatto che le memorie sono molte e
diverse - in particolare, sulla definizione del feto come vittima e sulla
connessione tra il tema della violenza nei gruppi extra-parlamentari e la
questione dell'aborto -, cosi' come molti e diversi furono allora i
percorsi, non tutti politici, che ebbero come punto di approdo il femminismo
(l'inizio, ad esempio, per molte donne dei gruppi extra-parlamentari fu
proprio il rifiuto della violenza, anche verbale).
Non intendo analizzare l'intervista di Bravo, ne' gli evidenti rischi di una
sua strumentalizzazione nel momento in cui il testo della legge 40 e le voci
di futuri attacchi alla 194 minacciano quel principio
dell'autodeterminazione che della battaglia sull'aborto degli anni Settanta
costituiva il centro e la vera posta in gioco. E' su questo che vorrei dire
qualcosa, premettendo pero' alcune precisazioni. La prima e' che la Societa'
italiana delle storiche, di cui "Genesis" e', in piena autonomia culturale,
la rivista, ha avviato la riflessione su questi temi anche in altri modi:
con un dibattito organizzato con altre associazioni di studiose nel gennaio
2004 sulla legge 40, dal titolo "Le donne sono ancora dei soggetti?"; con la
Scuola estiva del 2004 dedicata a "La sfida del femminismo ai movimenti
degli anni Settanta", di cui usciranno gli atti presso Viella; con un
convegno su "Nuovi femminismi e nuove ricerche" che si terra' il 19 febbraio
a Roma. La seconda precisazione riguarda le mie parole citate nel testo che
accompagna l'intervista e che, tratte da un articolo del 1994 su "I viaggi
di Erodoto" e separate dal contesto, assumono un significato opposto a
quello che avevano: la frase sulla riduzione dell'aborto a una sorta di
diritto civile si riferiva non al movimento femminista, ma al ruolo svolto
dai partiti nella campagna per il referendum del 1981 e si concludeva
infatti con le parole "riduzione che snaturava la riflessione femminista
sulla sessualita' e la maternita' di cui l'aborto era stato solo una parte".
*
Il principio dell'autodeterminazione della donna nella scelta di maternita'
assumeva nel femminismo degli anni Settanta, in Italia come in altri paesi
dove allora si andava affermando (e' del 1973 la sentenza della Corte
Suprema degli Stati Uniti sul caso "Roe versus Wade", che stabiliva la non
interferenza dello Stato nella decisione di aborto nel primo trimestre di
gravidanza) e dove e' oggi del pari minacciato, un valore centrale di
catalizzatore e di sintesi di tutti gli altri obiettivi, analogamente a
quello che era avvenuto per il diritto di voto nei femminismi
dell'Ottocento. La centralita' di quel principio derivava dal suo duplice
significato: sul piano personale, la liberta' delle donne fondata sul pieno
possesso della propria persona, primo elemento della concezione moderna di
individualita' autonoma (e di cittadinanza fondata sui soggetti) e la
rottura di una lunga tradizione di controllo sul corpo femminile,
finalizzato alle esigenze della famiglia patrilineare e patriarcale,
esercitato prima dalla Chiesa, poi dalla scienza medica e dallo Stato; sul
piano collettivo, una radicale trasformazione dei rapporti tra sfera
pubblica e sfera privata (resa visibile dalle grandi manifestazioni di
piazza sulla piu' segreta esperienza femminile: semmai i problemi nacquero
dal contrasto tra la gioia delle prime e il dolore della seconda) e quindi
dei rapporti tra donne e uomini in entrambe le sfere, nella prospettiva
fortemente utopica di una nuova concezione del mondo.
Questi significati si traducevano non in ideologie o astrazioni, ma in
pratiche di pensiero e di relazioni che cambiavano il rapporto tra
dimensione individuale e collettiva dell'essere donne, attuando in concreto
le parole chiave "il personale e' politico", che non erano uno slogan, ma la
realta' del lavoro nei gruppi di autocoscienza e nei collettivi femministi
(della cui straordinaria diffusione geografica e sociale, peculiare
dell'Italia, le future ricerche storiche dovranno indagare i motivi). E' in
questo contesto che si inseri' la battaglia sull'aborto. Essa scaturi' da
lunghe riflessioni e discussioni, segnate ugualmente dal rigore e dalla
passione: l'autocoscienza era spesso carica di sofferenza e il dibattito
successivo sempre denso di difficolta' e lacerazioni (ad esempio, tra chi
voleva la depenalizzazione e chi la legge), ma anche di analisi profonde,
complesse e sottili, che non potevano e non volevano sottrarsi alle ardue
sfide morali che i temi affrontati comportavano.
*
Vorrei concludere con una osservazione. E' stato spesso dichiarato, negli
interventi nel dibattito di questi giorni, che di tutto questo non abbiamo
ancora una storia. Questo e' vero, ma e' anche vero che, a differenza che
per gli altri movimenti degli anni Settanta, per il femminismo abbiamo,
oltre che numerosi avvii di ricerche, molte e preziose raccolte di fonti e
documenti, curate da singole o da associazioni femministe (basti citare la
collana "Letture d'archivio", diretta da Lea Melandri per la Fondazione
Badaracco e Franco Angeli, e il grande lavoro svolto dalla Rete Lilith). Non
si tratta di un caso, ma di un segno fra molti altri che la storia di uno
dei fenomeni cruciali della seconda meta' del Novecento non si e' conclusa.

3. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: QUEGLI ANNI, QUESTE DOMANDE
[Dal sito www.universitadelledonne.it riportiamo il seguente articolo di
Anna Bravo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 15 febbraio 2005. Anna
Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha
insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e
genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non
omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni
nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha
diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione
nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle
storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza
in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni
culturali. Opere di Anna Bravo:  (con Daniele Jalla), La vita offesa,
Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza,
Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di
memoria della deportazione dall'Italia,  Milano 1994; (con Anna Maria
Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza,
Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri,
1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e
donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; Storia sociale delle donne
nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il Fotoromanzo, Il
Mulino, Bologna 2003]

Ho scritto un lungo articolo sugli anni Settanta, titolo: "Noi e la
violenza, trent'anni per pensarci". Ora potrei scriverne un secondo sulla
violenza che mi si e' rovesciata addosso appena e' uscita, sulle pagine
culturali di "Repubblica", un'intervista di Simonetta Fiori che presentava
quel mio testo e il fascicolo della rivista "Genesis" dedicato ai femminismi
del decennio. La storia del Novecento rischia sempre polemiche, quella della
"stagione dei movimenti" e' particolarmente esposta, ma non ricordo bagarre
simili. Perche', eccetto alcuni interventi sereni, proprio di bagarre si e'
trattato, con il corredo di insulti e accuse di falso, incompetenza,
intimismo, revisionismo (dall'altro ieri anche di ritrattazione). Devo
essermi avventurata su un terreno minato.
Sono altrettanto indicative le modalita'. Inizialmente si forza lo scritto
di Simonetta Fiori, impegnativo ma di taglio necessariamente breve; oppure,
vecchio stratagemma discorsivo, mi si fa dire qualche sciocchezza che non ho
detto, e ci si applica a dimostrare il contrario. Nel giro di due giorni,
scatta la logica del "so ben io di cosa parlo": all'articolo di "Repubblica"
non ci si riferisce neppure piu', basta alludere (qui vale la pena citare
testualmente Elettra Deiana, "Liberazione" del 6 febbraio) alle "gravissime
dichiarazioni di Anna Bravo", che dimostrerebbero come la "devastante marea
montante della restaurazione cristiana bianca occidentale che va
diffondendosi minacciosa nelle nostre contrade, a cominciare dagli Usa,
(arrivi) fin dentro le pieghe della nostra stessa storia". Ma non
esageriamo!
L'aspetto piu' sgradevole e' che nessuna aveva letto le quaranta pagine del
mio testo. Ci vedo non solo una mancanza di rigore culturale, ma una
frivolezza che disdegna la fonte diretta, che dissuade dal dire "Preferisco
di no" persino quando sembrerebbe elementare: prima leggo, poi parlo.
Naturalmente e' difficile affrontare quegli anni, perche' sono stati anche
il tempo in cui uno spaccato consistente di giovani persone ha sperimentato
la presa di parola, la gioia di vivere e inventare in comune, e noi donne
anche l'autocoscienza e spazi nuovi di liberta' mentale. Per di piu', "noi"
e' un pronome sconsigliabile, il cui ambito di riferimento va ogni volta
specificato: femminismo "storico", delle donne radicali, del sindacato, dei
partiti, dei gruppi extraparlamentari. Per questo si usa il plurale
femminismi.
*
Sebbene ci si possa appoggiare a riflessioni e ricerche preziose di alcune
donne (e di rari uomini), mi sembra ancora piu' difficile affrontare la
storia del rapporto donne/violenza in quegli anni.
Alcune militanti dell'Autonomia proponevano di creare Ronde rosa per
difendersi dalla polizia. La Libreria delle donne di Milano elaborava la
tesi dell'estraneita' femminile come "scelta politica di separazione di un
pensiero femminile differente". Dentro Lotta Continua c'era stato prima
disagio, poi muro contro muro fra donne e servizi d'ordine. La libreria
delle donne di Torino teorizzava il rifiuto "del sangue della croce, del
sangue delle Rivoluzioni", ma - Moro prigioniero - sceglieva di non
schierarsi fra lo Stato e le Br. E c'erano altre posizioni ancora, e
ciascuna poteva variare nel tempo.
A me non interessa fare la contabilita' della violenza femminile, ma
lavorare sul rapporto con la distruttivita' di allora e sui modi in cui e'
stato (o no) ripensato. Non mi interessano tanto le protagoniste della
violenza, quanto le molte donne che l'hanno incrociata, vista, tollerata,
temuta. Donne che valutano appieno la differenza fra partecipare, essere
spettatrici, contrastare, ma che condividono un'idea: da quegli anni e dalla
responsabilita' di cercare una misura onesta per raccontarli, e' difficile
chiamarsi del tutto fuori - a meno di considerare i violenti e i terroristi
una specie un po' meno umana della nostra.
Oggi dire che l'ideologia della violenza rifondatrice era cruciale
nell'orizzonte della sinistra extraparlamentare (e non solo) e' un semplice
punto di partenza, e mi sembra quasi scontato aggiungere che il contesto ha
avuto si' un peso, ma che e' stato usato troppo volte per sgusciare fuori
dal campo della responsabilita' personale. Eppure esistevano alternative, e
mi preme appunto ripensare agli incontri mancati, al non inevitabile effetto
di cecita' verso altre genealogie che derivava da quel mito della violenza.
Chi di noi, donne e uomini, si e' confrontato seriamente con i nonviolenti
che digiunavano per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, con la
disobbedienza dei radicali, con le opere di Thoreau, Gandhi, del nostro
Capitini? E con che distratta condiscendenza guardavamo a "Mondo Beat", la
rivista dei cosiddetti capelloni, che in una campagna per la nonviolenza e
contro il militarismo denunciava l'aggressione americana in Vietnam, quella
sovietica in Ungheria, quella cinese in Tibet, riconducendole al primato
dell'ideologia sulla vita.
*
C'e' ancora da riflettere, e lo stesso vale per l'aborto. Trent'anni fa,
credo che non potessimo pretendere da noi stesse piu' di quanto stavamo
variamente elaborando, dalla denuncia dello scandalo degli aborti
clandestini alla domanda radicale di Carla Lonzi: "per il piacere di chi sto
abortendo?". Avremmo meritato una legge migliore. Che sia rimasta un'area di
non detto, o non pensato, e' addirittura ovvio: eravamo giovani, nel pieno
della lotta per la depenalizzazione, si viveva di corsa; sul possibile
dolore del feto oltre un certo stadio della gravidanza, la medicina taceva,
e infatti la parola sofferenza veniva riferita a una patologia, mai a una
sensazione. Non so se qualcuna abbia formulato la domanda che viene
spontanea di fronte a qualsiasi intervento chirurgico: "Fara' male?".
Sarebbe stata una buona presa di distanza dal potere medico-scientifico, di
cui stavamo denunciando la simulazione di neutralita' su altri terreni; e un
passo in piu' sulla strada della cura. Se si da' credito al dolore delle
donne, bisogna dar credito anche all'impegno (di molte, di alcune?) a non
duplicarlo nel feto, dunque ad aumentare l'attenzione contraccettiva, e
magari a sollevare la questione delle tecniche piu' protettive per
provocare, o scongiurare, l'aborto. Interrogativi improbabili, allora - ma
nessuna ha mai sostenuto che le sole domande da porre fossero quelle
ragionevoli, rispettabili, a risposta garantita. Certo il clima non ci
aiutava: fra noi (un noi ampio e misto) c'era ben poca sensibilita' alla
condizione aurorale, sospesa, terminale, o alla prossimita' fra l'umano e il
resto del mondo senziente. "Vi siete mai chiesti che cos'avranno pensato le
capre di Bikini? E i gatti nelle case bombardate?", scriveva Calvino nel
'46. La nostra risposta sarebbe stata: no.
*
Penso anche al dopo, e al presente, ai vari medici e ricercatori laici e pro
choice che sul problema della sofferenza invitano a dare al feto il
beneficio del dubbio, perche' se una cosa va fatta, bisogna scegliere il
modo meno doloroso per tutti; al fatto che in futuro sara' sempre piu'
difficile distinguere non tanto fra persona e non persona, ma fra persona e
persona (le manipolazioni genetiche e estetiche, il trapianto del volto e
delle mani), fra vivente e non ancora o non piu' vivente, fra umano e
tecnologico, fra natura e tecnonatura. La differenza, dice Rosi Braidotti,
e' diventata una categoria nomade. In questi giorni, penso ad alcune pacate
inquietudini che ho avvertito.
Eppure, dire che il corpo femminile e' vittima di manipolazione cruenta e
nello stesso tempo tramite di una violenza contro il feto non equivale a
equiparare aborto e terrorismo. E' nominare un dilemma, angosciante, forse
esposto a strumentalizzazioni; il rischio e' che non si trovi mai il momento
adatto per enunciare temi controversi.
*
Si', il rapporto con la violenza e' un punto delicato, ma non
necessariamente un punto debole, tanto piu' che, come problema
storico-teorico e come dannazione del presente, molte donne se ne sono fatte
carico. Perche' non discuterne pacificamente? Tutto quel che ho scritto qui
si trova nel testo ignoto.

4. RITRATTI. BENITO D'IPPOLITO: UN OMAGGIO A MARIA G. DI RIENZO
[Ringraziamo il nostro schivo collaboratore Benito D'Ippolito per averci
messo a disposizione questo testo. Maria G. Di Rienzo (per contatti:
sheela59 at libero.it) e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista
teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche
sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante
libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti,
Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Ho quest'amica sapiente di tutta
la saggezza, la pieta' del mondo
ho quest'amica che conosce tutto
del cuore e del cielo e della musica del mondo
le sue parole muovono alla danza
il suo sorriso dona luce al mondo.

Ho quest'amica che dell'amicizia
distilla e dona il frutto, e salva le anime.

5. APPELLI. ACCOGLIENZA E DIRITTI, NON CAMPI DI CONCENTRAMENTO E VIOLENZA
[Da Silvia Marcuz (per contatti: e-mail: donkisciotte78 at libero.it, sito:
www.giovaniemissione.it ) riceviamo e pubblichiamo la seguente lettera
aperta diffusa durante la via crucis Pordenone-Aviano domenica 13 marzo
2005]

Noi, donne e uomini che credono nel Dio della vita, oggi presenti alla via
crucis da Pordenone alla base Militare Usaf di Aviano, camminiamo per
pregare e riflettere sui crocefissi di oggi, le vittime, gli impoveriti in
un mondo dove la logica militare si fa garanzia di sicurezza, sopraffazione
e difesa degli interessi di pochi.
Camminiamo sulla strada della croce per dire con forza che non vogliamo piu'
vedere questa terra essere ferita da fili spinati e da muri.
Camminiamo e denunciamo anche il nuovo e alto muro costruito in Friuli
Venezia Giulia, a Gradisca d'Isonzo. Un muro nato per nascondere il Centro
di permanenza temporanea (Cpt) e l'incapacita' di pensare politiche di
accoglienza verso i crocefissi che giungono sulle nostre soglie.
Con occhi aperti e vigili camminiamo il cammino della nonviolenza:
- ripudiamo ogni forma di violenza: sia quella di chi si ostina a trattare
gli immigrati come criminali, sia quella di chi protesta con la logica del
muro contro muro;
- rinnoviamo l'urgenza di reagire all'apertura del Centro di permanenza
temporanea a Gradisca d'Isonzo, coinvolgendo in questo tutte le persone,
associazioni e istituzioni che credono in questa causa.
Ci chiediamo:
- perche' a Gradisca d'Isonzo si stia per aprire il Centro di permanenza
temporanea piu' grande del paese nonostante i cittadini abbiamo espresso,
piu' volte e in piu' modi, parere contrario e chiedano invece investimenti
di risorse in veri progetti di accoglienza per lo straniero;
- perche' l'aspetto del Centro di permanenza temporanea di Gradisca debba
rimanere nascosto ai cittadini, ulteriore segno della violenza militare che
prende possesso del nostro territorio.
Camminiamo ricordando il martire mons. Romero che disse "Bisogna scegliere:
a favore della vita o della morte. Non ci sono posizioni neutrali: o si
serve la vita, o si diventa complici della morte di molti esseri umani; o si
crede nel Dio della vita, oppure si usa il nome di Dio per metterci al
servizio degli aguzzini di morte".
Dalla nostra passione per la vita nascano nell'immediato futuro azioni
ostinate contro questa ed altre forme che generano morte.
Primi firmatari: Commissione Giustizia e pace dei missionari comboniani in
Italia, p. Alberto Pelucchi (provinciale dei Missionari Comboniani),  p.
Giacomo Palagi (viceprovinciale), p. Alex Zanotelli, don Albino Bizzotto,
Beati i Costruttori di Pace, don Pierluigi Di Piazza (Centro di accoglienza
"Ernesto Balducci"), don Giacomo Tolot, don Alessandro Santoro (Comunita' di
Base Le Piagge, Firenze), p. Dario Bossi e fr. Claudio Parotti (Giovani
impegno missionario), p. Franco Nascimbene, p. Giorgio Poletti, p. Claudio
Gasbarro.

6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: PIETAS. UN COMMENTO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e'
nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di
questo notiziario]

Questo articolo di Giulio Vittorangeli [Pietas, nel n. 864 di questo foglio]
dice semplicemente quello che noi spesso confusamente vogliamo dire. Quando
una parola ci interpreta nel profondo, vi leggiamo una verita', quindi acqua
che ci disseta, e ci rimette in cammino.
Io, dopo la prima parte, dopo la descrizione sintetica e pesante della somma
di mali che oggi offende il mondo (niente di nuovo, e' quello che sappiamo,
ma e' un macigno sul cuore, perche' e' la tomba di tantissime vite, ed e' il
disonore di chi vive oggi), ho tirato un profondo sospiro di pena, e di
bisogno di ripresa dalla pena, come chi cerca aria dopo un inizio di
soffocamento, dopo che il respiro si e' interrotto per una minaccia, un
terrore, un orrore.
C'e', infatti, minaccia e terrore e orrore sul mondo umano. Non la povera
minaccia dei ribelli, ma la sistematica irridente feroce studiata astuta
violenza dei potenti. E noi siamo legati esistenzialmente a loro. E, in
aggiunta, ci tocca sentire, nel dibattito pubblico, voci di intelligenze
malvage e astute, dotate di ricca amplificazione, che difendono e onorano
quella violenza. La menzogna e' sul trono. L'amarezza piu' nera scende
dentro e puo' intossicare il cuore.
Il tema di questo scritto e' la liberazione di un sentimento spesso
compresso, negato dal clima imperante, e impedito anche dalla sacrosanta
indignazione: la pieta', "pietas"; non come inerte compianto, ma come forza
attiva. Se ho letto bene, questa e' la nonviolenza, comunque la si chiami.
Poi, e' tutto da fare. Ma il "primum", prima del fare, prima del sapere,
prima del pensare, e' "sentire".

7. LIBRI. LEONARDO BOFF: PER CHI SI AVVENTURA NEL SAPORE DELLA LIBERTA'
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci
messo a disposizione la prefazione di Leonardo Boff al libro Il sapore della
liberta' (La Meridiana, Molfetta 2005), scritto da Francesco Comina e
Marcelo Barros.
Leonardo Boff e' nato nel 1938 a Concordia (Brasile). Tra i suoi maestri (ha
studiato in Brasile e in Germania) ha avuto Evaristo Arns, Karl Rahner e
Wolfhart Pannenberg. E' tra le figure piu' rappresentative della teologia
della liberazione. Opere di Leonardo Boff: Teologia della cattivita' e della
liberazione, Queriniana, Brescia; Chiesa: carisma e potere, Borla, Roma; Con
la liberta' del vangelo, La Piccola, Celleno (Vt); La fede nella periferia
del mondo, Quando la teologia ascolta il povero, Cinquecento anni di
evangelizzazione, Ecologia, mondialita', mistica, Grido della terra, grido
dei poveri per un'ecologia cosmica, Come fare teologia della liberazione (in
collaborazione con il fratello Clodovis Boff), Selezione di testi
spirituali, Selezione di testi militanti, tutti presso la Cittadella di
Assisi (che ha pubblicato anche altri volumi di Boff). Opere su Leonardo
Boff: AA. VV., Il caso Boff, Emi.
Marcelo Barros, monaco brasiliano, teologo della liberazione, priore del
monastero benedettino di Goias Velho, impegnato per i diritti umani di tutti
gli esseri umani, ha scritto con Francesco Comina il libro Il sapore della
liberta', La meridiana, Molfetta (Bari) 2005.
Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e'
impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi
con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere
di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La
meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le
periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a
AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna]

Caro compagno, cara compagna di cammino e di ricerca,
tutto il libro e' un dialogo tra chi scrive e chi legge. E nello stesso
tempo viene sollecitata la vocazione del lettore a dialogare, dandogli la
possibilita' di partecipare alla conversazione tra il giornalista Francesco
Comina ed il monaco Marcelo Barros.
In un primo momento questo libro avrebbe dovuto svilupparsi in forma di
intervista del giornalista al monaco. Grazie a Dio, gli autori hanno optato
per un dialogo piu' ampio nel quale ambedue si mettono in gioco. E i lettori
ci hanno guadagnato tanissimo, perche' cosi' appaiono piu' chiare le
diversita' delle esperienze, la complementarieta' delle ricerche e la
convergenza delle convinzioni che uniscono nello stesso cammino di vita i
due autori.
Francesco Comina e' un giovane intellettuale italiano. Come gli italiani
abitualmente dicono: "Un bravo giornalista", di facile comunicazione per
vocazione e per missione, ben presto coinvolto nelle migliori ricerche della
sua generazione e profondamente solidale con la causa della pace del mondo e
specialmente con il Terzo Mondo.
Marcelo Barros e' un monaco, innamorato della Bibbia e dedito all'ecumenismo
tra le Chiese e tra le religioni, del quale sono amico e compagno di ricerca
teologica e pastorale da piu' di trent'anni.
Sicuramente, assieme a Carlos Mesters e Fei Betto, Marcelo Barros e' uno dei
teologi piu' letti e amati dalle comunita' ecclesiali di base. Da bambino
voleva essere veterinario di animali selvaggi. Invece e' diventato monaco
benedettino e fondatore di un monastero ecumenico, una comunita' di monaci
inserita in mezzo ai poveri e dove passano persone delle piu' diverse
tradizioni spirituali.
Marcelo ha sempre raccontato volentieri fatti vissuti personalmente,
brandelli di vita vissuta con intensita' e profondita' di cuore. Scrive
nello stesso stile con cui parla. In questo libro ha trovato un ottimo
spazio per il suo tipo di comunicazione affettuosa e franca. La sua
esperienza di biblista al Cebi (Centro di studi biblici) assieme a Carlos
Mesters e poi nella Pastorale della terra e nell'impegno all'interno della
comunita' di Candomble', lo hanno aiutato a sviluppare una teologia
macro-ecumenica della terra, dell'a'cqua. Ora, assieme ai suoi compagni e
compagne di Asett (Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo),
diffonde una teologia della liberazione a partire dal nuovo paradigma del
pluralismo culturale e religioso.
Questo libro si colloca nell'orizzonte di questa ricerca. Si tratta di un
tema che, essendo centrale nella fede cristiana, ha bisogno di essere
approfondito maggiormente nella teologia attuale, elaborata a partire dal
mondo dei poveri. L'insegnamento paolino  che spiega come "dove c'e' lo
Spirito del Signore, la' ci sara' liberta'" (2 Cor. 3, 17) sembra aver avuto
poca influenza nelle Chiese, quasi sempre preoccupate piu' di salvaguardare
la legge che di testimoniare la grazia. Il coraggio con il quale Lutero
scrisse il "De libertate christiana" non sfuggi' al dualismo agostiniano e
non impedi' di condannare i movimenti di liberazione sociale dei contadini,
animati da Thomas Munzer, contro i signori della terra. Fin dall'inizio
della teologia della liberazione la preoccupazione di associare liberazione
a liberta' si rese esplicita in diversi autori, smascherando l'ideologia
individualista di una liberta' che non si compromette con l'altro e dando
conferma che solo a cominciare dalla liberazione di tutti, ognuno di noi
puo' trovare la sua liberta' personale. In anni recenti, tradotta in diverse
lingue, l'opera di padre Jose' Comblin, La vocazione per la liberta',
suscito' una riflessione forte e innovatrice, a partire dalle nuove sfide
che viviamo oggi.
*
Il libro Il sapore della liberta' non si propone come una riflessione
sistematica o uno studio sul tema, ma come una testimonianza di vita in
forma di dialogo che coinvolge tu che lo stai leggendo e t'invita a
continuare questa ricerca. Questo libro non ha capitoli. E' organizzato in
cinque dialoghi, come circoli di conversazione indipendenti, ma allo stesso
tempo complementari. Seguono da vicino il metodo consacrato in America
Latina del "vedere, giudicare e agire".
Nel primo dialogo gli autori parlano della propria vita e delle esperienze
personali con la liberta'. Si raccontano vicendevolmente l'ambiente dal
quale provengono, le esperienze culturali e sociali fatte, come fossero
presi da una immensa passione per l'umanita' e in particolar modo per le
ingiustizie sociali che affliggono la maggioranza degli uomini e dei popoli.
La struttura dell'ingiustizia vigente nel mondo e la sfida di un'umanita'
liberata e libera diventa quindi il tema specifico del secondo dialogo.
Il terzo cerchio di conversazione parte dalla realta' esposta nel secondo
dialogo e tratta di come possiamo liberarci dalla violenza. Il tema e'
quello della "liberazione dalle violenze" del mondo. Qui emerge una vera
visione ecumenica della pace e della nonviolenza, tema sempre piu' urgente
per l'educazione dei giovani d'oggi.
Cosi', sembra naturale che il quarto dialogo sia dedicato a un tema
radicale: Dio. Molte volte Dio e' stato usato per fomentare guerre e
terrorizzare il mondo. Questo libro propone di approfondire la visione di un
"Dio sovversivo". E' un modo di parlare di Dio che puo' sostenere un cammino
di vera liberta', personale e comunitaria. Il Dio biblico dei profeti,
l'"Abba" di Gesu' ha mescolato immagini maschili e femminili e si potrebbe
gia' dire che e' ben al di la' di qualsiasi patriarcalismo. Intanto,
purtroppo, molte volte nella storia Dio e' stato utilizzato per legittimare
l'oppressione dell'uomo sulla donna e il colonialismo dei bianchi sui neri e
sugli indigeni. Gli autori professano la loro fede, proprio nel momento in
cui si rivelano impegnati in questa ricerca di parlare di Dio in un modo
nuovo e liberatore. Dio al plurale e al femminile. Dio come ispirazione e
fonte dei nostri desideri.
E' questo il tema del quinto ed ultimo dialogo: l'utopia come necessita'
della storia e motore delle nostre vite. Partendo sempre dalle esperienze
personali, gli autori ci invitano a metterci in cammino verso la terra
promessa occupando una particella di Canaan che sia di possibile conquista
nell'oggi della vita, in modo da non accomodarci nella piccola porzione gia'
conquistata e nemmeno rifugiarci in un ideale lontano e inattingibile.
*
Dalla prima all'ultima pagina, di tanto in tanto, sentiamo come se il
dialogo dovesse rimanere aperto per concludersi. Chi legge percepira', anche
se non ci sono discordanze frontali tra i due autori, che appaiono
differenze di sensibilita' e di cultura. In effetti uno e' un giornalista
italiano e l'altro un monaco brasiliano. Queste differenze arricchiscono
particolarmente ogni peculiarita' del dialogo e noi che lo leggiamo. Dom
Helder Camara - profeta dei poveri e vescovo che ordino' sacerdote Marcelo e
fu suo maestro di ecumenismo proprio a partire dal popolo - sosteneva che
l'unita' non solo rispetta le differenze, ma puo' anche nutrirsi di loro e
trasformarle in complementarieta' e vantaggio. In questo libro abbiamo la
certa conferma che il dialogo e' un elemento intrinseco ed essenziale per
tutto il cammino spirituale. Questo ci fa riconsiderare la nostra idea di
Dio e la nostra visione della spiritualita' umana, come propone il quinto
dialogo. E' spirituale l'atmosfera che ci conduce qui e anche lo sbocco e
l'assaggio del nuovo mondo possibile che noi desideriamo costruire.
Forse molti lettori potrebbero sentire che il libro si concluda quasi
improvvisamente come un'opera incompiuta. Gli autori ci offrono elementi per
la riflessione e ci invitano a proseguire il dialogo con noi stessi, con gli
altri e con la bonta' divina presente nell'universo e dentro di noi. In ogni
modo questo libro propone diverse conclusioni. Una di queste e' che l'essere
solidali e' il modo normale della persona per essere libera in questo mondo.
Come amava ricordare il monaco Thomas Merton: "Nessun uomo e' un'isola". La
solidarieta' e' l'unica via percorribile per costruire societa' basate sulla
difesa intransigente e permanente dei diritti umani. Siamo felici di vivere
in un mondo nel quale queste strade non sono chiuse.
Sia che tu sia religioso/a o non, potrai tirare altre conclusioni valide e
sentire il "sapore della liberta'" che qui si dipinge. Chi crede in Dio, sa
che avventurarsi in questa strada verso la liberta' e' lasciarsi condurre
dallo Spirito che "soffia dove vuole, si ascolta la sua voce, ma non si sa
da dove venga e dove vada" (Gv. 3, 8).
Per me, cristiano, egli sussurra un nome che mi porta all'Infinito: Gesu' di
Nazareth. Ma mi porta pure ad altri nomi che sono sinonimi di amore e di
pace, nelle piu' differenti religioni e nelle piu' diverse culture. Che
ricchezza! Nessun mortale puo' moderare il vento o frenare la liberta' dello
Spirito. Il mistero e' nostra pace e le vie religiose, se ce lo permettono,
possono appena essere nostre parabole di amore. Come scrisse Agostino nel IV
secolo: "Indicami qualcuno che ami e egli comprendera' quello che sto
dicendo. Dammi qualcuno che desideri, che cammini in questo deserto,
qualcuno che abbia sete e sospiri per la fonte della vita. Mostrami questa
persona ed ella sapra' quello che voglio dire".

8. MEMORIA. DANIELA BINELLO: DONNE MANIFESTE
[Ringraziamo Daniela Binello (per contatti: blusole.db at flashnet.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul mensile dello
Spi Cgil "LiberEta'" di marzo 2005. Daniela Binello, 47 anni, e' una
giornalista free lance. Vive a Roma. Collabora con varie testate
giornalistiche nel campo dei diritti umani e dei conflitti internazionali.
Collabora, inoltre, con la redazione esteri di RaiTre che realizza le
puntate televisive di "C'era una volta". Come inviata ha realizzato
reportage da Corea del Nord, Afghanistan, Sudan, Nicaragua, Colombia,
Brasile, Palestina, Israele, Balcani, Iraq, Cina e altri Paesi. Nel
1999-2000 ha allestito a Milano la mostra "Infanzia tradita". Nel 2001-2002
ha curato la mostra itinerante "A.A.A. Cittadini cercansi" sui lavoratori
immigrati nel Nordest ed il catalogo/reportage che raccoglie cento storie
per cento immagini. Nel 2002 e' stato pubblicato da Ediesse il suo libro Il
diritto non cade in prescrizione, sul processo avvenuto in Italia per otto
casi di italoargentini desaparecidos durante la dittatura. Molti dei suoi
articoli sono disponibili sul sito dell'associazione Articolo 21
(www.articolo21.com)]

Sessanta, ma non li dimostra. Cosi' si potrebbe definire la testimone ideale
dell'Udi, una protagonista, ancora giovane e femminile che presenta oggi
molte novita'. A partire dal nome, tanto per cominciare. Udi, infatti, ha
recentemente trasformato il suo acronimo in Unione Donne in Italia (da
Unione Donne Italiane) per aprirsi, di nome e di fatto, a tutte le presenze
femminili che stanno rendendo la nostra vita sociale e civile sempre piu'
attuale e ricca di sollecitazioni multiculturali.
La mostra sui manifesti dell'Udi, ideata per celebrare il sessantesimo anno
dalla fondazione, e aperta al pubblico  proprio intorno alla festa dell'8
marzo di quest'anno, s'intitola "Donne Manifeste, 1944-2004". Visitandola,
vi sembrera' di scivolare passo passo lungo i sessant'anni di storia delle
donne dal dopoguerra a oggi.
E' una storia del Novecento, molto importante, che ha segnato in tutte noi
dei punti fermi, come le conquiste democratiche delle donne, a suon di
"lotta dura che non ci fa paura" per affermare molti dei diritti che oggi le
piu' giovani fra noi danno semplicemente per scontati, mentre nulla, invece,
e' successo per caso.
Lo sanno bene la nostra mamma, la zia o la nostra sorella piu' grande che ci
hanno fatto trovare la "pappa fatta".
Oggi, che il femminismo sembra superato e che molte ragazze sembrano
snobbarlo, cosi', tanto per sembrare piu' moderne, non potrebbe, invece,
essere piu' importante aprire una riflessione sui diritti delle donne che,
come tutti i diritti, valgono meno di un soldino di cacio se restano scritti
soltanto sulla carta.
E questo rischio oggi c'e'. Eccome.
I circa cento manifesti messi in mostra a Roma, fino al 27 marzo,
rappresentano una realta' femminile che non e' esagerato definire di culto,
perche' se quella forza collettiva non si fosse messa in marcia e non si
fosse imposta alla visibilita' di tutti nel chiedere, e qualche volta
pretendere con vivacita', non avrebbe mai raggiunto i risultati di cui oggi
possiamo dirci soddisfatte.
Ed e' ragionevole pensare che ne possano essere riconoscenti anche gli
uomini, passato un primo momento, per cosi' dire, di stupore e
sbalordimento. Non e' raro, infatti, sentire uomini affermare di essere
"femministi", cosi' come non e' astruso, talvolta, da parte di noi donne,
provare nei loro confronti un certo non so che di bonaria diffidenza.
La mostra, un evento che fila a pennello per l'8 marzo di quest'anno,
riflettera' la vostra immagine come  uno specchio. Attraverso la forza
rappresentativa delle immagini, la voce delle dirigenti di allora, leader
dei congressi e dei momenti corali, l'evoluzione delle campagne d'opinione e
per i diritti, rivedrete voi stesse. Passerete in rassegna gli slogan  per
l'affermazione di una maternita' libera e consapevole, e poi del diritto al
divorzio, per la lotta salariale delle caterinette (le sarte di un tempo),
delle gelsominaie e ancora per la parita' salariale fra donna e uomo tout
court.
L'immagine della fanciulla bruna e pensosa, con la mimosa posata su un lato
del volto, fu dipinta da Antonietta Raphael Mafai (moglie di Mario e madre
di Miriam Mafai), e' stata scelta per rappresentare l'iniziativa: la
fanciulla con la mimosa, dai lineamenti marcati e la bocca carnosa, siamo
noi.
"Nell'ambito delle lotte mi sembrava di vedere che le donne erano piu'
concrete - ricorda Lietta Tornabuoni, giornalista e storica osservatrice del
movimento femminile - piu' legate alle cose, piu' lontane dalle questioni di
principio, dalle questioni ideologiche. E mi sembravano anche piu'
resistenti alla fatica di mettere insieme tutto, impegno privato e pubblico,
famiglia, lavoro e figli".
Infine, la mostra non poteva non rappresentare quella che e' stata la voce
dell'Udi, cioe' "Noi donne", una rivista leggendaria, di respiro anche
internazionale, che ha cessato le pubblicazioni ufficialmente negli anni
Ottanta (sebbene la testata continui a esistere in una forma piu' modesta).
Nell'ambito della mostra sono previsti, inoltre, la visione di filmati
realizzati dall'Associazione nazionale archivi Udi (ente riconosciuto dal
Ministero per i beni artistici e culturali), oltre allo svolgimento di vari
dibattiti. Il catalogo della mostra, curato da Marisa Ombra, presidente
dell'Associazione nazionale archivi Udi (e coraggiosa partigiana nella
Resistenza), con la collaborazione di esperti e del Comitato delle elette,
e' disponibile per i tipi del Saggiatore. Hanno patrocinato la mostra gli
Assessorati per la cultura rispettivamente del Comune e della Provincia di
Roma. La comunicazione del progetto, infine, e' stata curata dalla Societa'
Morgana di Roma.
*
L'Udi di oggi
"La volonta' collettiva dell'associazione si esprime ancora nelle assemblee
autoconvocate - spiega Pina Nuzzo, responsabile della sede nazionale
dell'Udi -. Pensammo a questa modalita' politica nel 1982 e crediamo che sia
ancora oggi quella piu' efficace. Gli argomenti all'ordine del giorno sono
le guerre, contro cui interveniamo, i tentativi di espropriare le donne
della loro specificita' generativa, il rischio della violenza, privata e
pubblica, segnale allarmante di una incivilta' nella relazione fra donne e
uomini". Nel nuovo millennio l'Udi ha deciso di riorganizzarsi e aprirsi
alle vicende del mondo, tendendo una mano alle giovani donne per invitarle a
partecipare, rinnovando su basi piu' moderne la pretesa d'interpretare il
presente e di disegnare un futuro migliore. "Vorremmo consegnare alla storia
e alla collettivita', cosi' come ha fatto chi ci ha preceduto, un patrimonio
per poter procedere piu' spedite e piu' leggere" commenta la Nuzzo.
Per contattare l'Udi nazionale, oppure l'Associazione nazionale degli
archivi dell'Udi (visita su appuntamento): via Arco di Parma 15, 00186 Roma,
tel. 066865884, e-mail: udinazionale at tin.it e assarchivi at tiscali.it
*
Sembra ieri
La prima Conferenza nazionale dell'Udi si tiene a Napoli il 6 settembre del
1946, proprio per il carattere emblematico della citta' nel dopoguerra. Anna
Lorenzetto, del Comitato direttivo dell'Udi, sostiene pero' che bisogna fare
attenzione a non agitare inutilmente il problema meridionale, di non farne,
cioe', la "retorica del Mezzogiorno". La Lorenzetto mette in guardia le
donne del nord da assumere un atteggiamento leaderistico nei confronti delle
compagne meridionali, quando viceversa c'e' molto da "riparare dopo una
lunga ingiustizia". "Non dimentichiamo che le Udi del sud sono sorte da
sole - dichiara -, con le loro forze, e non hanno avuto come al nord
l'appoggio del Cln. Anzi, sono state ostacolate da tutti". Le capogruppo,
continua la Lorenzetto, sono quelle che salgono molte scale, che vanno dalle
famiglie dei lavoratori a portare la parola giusta, a indicare la via per il
rafforzamento del sindacato. Questa prima Conferenza dell'Udi, infatti,
segna anche il rapporto d'interscambio per la ricostituzione al sud della
Cgil. (Fonte: E' brava, ma... donne nella Cgil 1944-1962, Ediesse, 1999)
*
Informazioni su Donne Manifeste: Museo di Roma in Trastevere, piazza di
Sant'Egidio 1/b, fino al 27 marzo 2005, apertura dal martedi' alla domenica
(lunedi' riposo), ore 10-19. Biglietti: intero euro 2,60 - ridotto euro
1,60, tel. 065816563, sito: www.comune.roma.it/museodiroma.trastevere

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 868 del 14 marzo 2005

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