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La nonviolenza e' in cammino. 868
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 868
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 14 Mar 2005 00:11:06 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 868 del 14 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Bolzaneto 2. Anna Rossi-Doria: Una storia non conclusa 3. Anna Bravo: Quegli anni, queste domande 4. Benito D'Ippolito: Un omaggio a Maria G. Di Rienzo 5. Accoglienza e diritti, non campi di concentramento e violenza 6. Enrico Peyretti: Pietas. Un commento 7. Leonardo Boff: Per chi si avventura nel sapore della liberta' 8. Daniela Binello: Donne manifeste 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. BOLZANETO Un manipolo di sadici rapisce molti uomini e donne, spesso poco piu' che ragazzi. Li porta nella camera delle torture. Minaccia, umilia, sevizia, rompe corpi ed anime per sempre. Non e' la Russia di Stalin, non e' il Cile di Pinochet, non e' l'Uganda di Amin, non e' la Cambogia di Pol Pot, non e' Guantanamo, non e' Abu Ghraib. E' Genova, nel 2001. E il manipolo dei sadici agiva in nome e per conto dello Stato italiano. Ma per le leggi dello Stato italiano, come per la coscienza di ogni essere umano, quella condotta era un crimine, un crimine orribile. E il comma quarto dell'articolo 13 della Costituzione della Repubblica Italiana non lascia adito a dubbi: "E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta'". "Meditate che questo e stato", ha scritto una volta per sempre Primo Levi. Dinanzi alla violenza scatenata non si puo' fingere che non ci riguardi, essa riguarda sempre l'umanita' intera. E proprio perche' da persone amiche della nonviolenza abbiamo sempre sostenuto senza esitazione gli operatori delle forze dell'ordine nella lotta contro il crimine, per la sicurezza di tutte le persone, in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani; e proprio perche' da persone amiche della nonviolenza abbiamo sempre denunciato e contrastato i violenti, gli squadristi e i provocatori al male sovente infiltrati fin nei movimenti che si dicono di pace ma che non sono movimenti di pace finche' non decidono di opporsi sempre alla violenza assassina, finche' non scelgono la nonviolenza; proprio perche' da persone amiche della nonviolenza ci sta a cuore la difesa dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche, della civile convivenza e del retto condursi, delle leggi quando sono - come devono essere sempre - il sostegno del debole e il soccorso dell'oppresso, della democrazia come metodo e come sistema; proprio per questo a maggior ragione possiamo e dobbiamo chiedere verita' e giustizia, piena verita' e compiuta giustizia, anche per quanto accaduto a Genova nel 2001. Senza esitazioni, senza ambiguita'. La verita', la giustizia, la misericordia: la comune umanita'. 2. RIFLESSIONE. ANNA ROSSI-DORIA: UNA STORIA NON CONCLUSA [Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo questo articolo di Anna Rossi-Doria apparso sul quotidiano "La Repubblica" dell'8 febbraio 2005. Anna Rossi-Doria insegna Storia delle donne in eta' contemporanea alla Seconda Universita' di Roma; ha lavorato presso l'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza dal 1974 al 1980, ha insegnato Storia delle donne nelle Universita' di Bologna, Modena e della Calabria; fa parte della direzione della rivista "Passato e presente", del Comitato direttivo della Societa' italiana delle storiche, e di quello dell'Istituto romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza. Ha condotto in generale ricerche di storia politica e, piu' di recente, di storia delle idee, occupandosi in una prima fase dei gruppi conservatori italiani in eta' liberale, in particolare della figura di Antonio di Rudini' e della crisi di fine secolo; poi del rapporto tra partiti politici e movimenti sociali nel periodo delle origini della Repubblica, analizzando in particolare la politica agraria e le lotte contadine meridionali; da circa vent'anni si occupa prevalentemente di storia delle donne e di genere, sia dal punto di vista storiografico e metodologico che con ricerche di storia dei movimenti femminili e femministi e di storia dei diritti delle donne. In quest'ultimo campo, ha condotto ricerche prima sulla legislazione protettiva del lavoro femminile e sul suffragismo nel secolo XIX in Inghilterra e negli Stati Uniti, poi sulla conquista del diritto di voto e sul rapporto tra diritti civili e diritti politici nel secolo XX in Italia (con alcuni casi di comparazione con la Francia). In queste ricerche gli interrogativi centrali riguardavano il rapporto teorico e politico tra rivendicazione dell'uguaglianza e difesa della differenza, con le contraddizioni, i paradossi ma anche le potenzialita' di ridefinizione del liberalismo e della democrazia che esso comportava; negli ultimi anni, ha cominciato a occuparsi di storia ebraica a partire dal nodo dell'emancipazione - in cui l'alternativa obbligata tra uguaglianza e differenza si presenta, in modo analogo ma capovolto rispetto a quel che avveniva per le donne, nella forma della equazione tra diritti di cittadinanza e assimilazione, avviando ricerche su alcune forme specifiche di antisemitismo europeo alla fine del XIX secolo, legate non al razzismo - anche se da esso gia' segnate - ma al rifiuto del "particolarismo" ebraico, e sul ricorrente loro abbinamento a forme di antifemminismo; ha anche lavorato su temi di storia della memoria della shoah e della memoria della deportazione nei Lager nazisti, avviando di recente una ricerca sulle memorie scritte e le testimonianze orali di donne ebree e di deportate politiche italiane e francesi. Opere di Anna Rossi-Doria: Per una storia del "decentramento conservatore", in "Quaderni storici", n. 18, 1971; Il ministro e i contadini. Decreti Gullo e lotte nel Mezzogiorno (1944-1949), Bulzoni, Roma 1983; Uguali o diverse? La legislazione vittoriana sul lavoro delle donne, in "Rivista di storia contemporanea", n. 1, 1985; La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg e Sellier, Torino 1990; Il difficile uso della memoria ebraica: la shoah, in Nicola Gallerano (a cura di), L'uso pubblico della storia, Angeli, Milano 1995; Le donne sulla scena politica in Storia dell'Italia repubblicana, I, La costruzione della democrazia, Einaudi, Torino 1994; Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia, Giunti, Firenze 1996; Memoria e storia: il caso della deportazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998; Antifemminismo e antisemitismo nella cultura positivistica, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999; (a cura di), Annarita Buttafuoco. Ritratto di una storica, Jouvence, 2002; (a cura di), A che punto e' la storia delle donne in Italia, Viella, 2003; La stampa politica delle donne nell'Italia da ricostruire, in S. Franchini e S. Soldani (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, Angeli, Milano 2004] Intervenendo in un dibattito che riporta sulla stampa, dopo un lunghissimo silenzio, il tema del femminismo degli anni Settanta, vorrei essere chiara a proposito dell'intervento da cui quel dibattito e' partito: l'intervista ad Anna Bravo apparsa su "Repubblica" il 2 febbraio, che riprende alcuni punti del suo saggio sul numero della rivista "Genesis" in uscita in questi giorni (al quale non faro' qui riferimento). Penso che una testimone di quelle vicende, oltre che storica di valore, come lei abbia non solo il diritto ma anche il merito di avviare una riflessione che, partendo dal problema dell'assenza di una storiografia, si ponga dal punto di vista della memoria individuale. Penso anche pero' che sia necessario tenere ben presenti sia la distinzione tra storia e memoria, sia il fatto che le memorie sono molte e diverse - in particolare, sulla definizione del feto come vittima e sulla connessione tra il tema della violenza nei gruppi extra-parlamentari e la questione dell'aborto -, cosi' come molti e diversi furono allora i percorsi, non tutti politici, che ebbero come punto di approdo il femminismo (l'inizio, ad esempio, per molte donne dei gruppi extra-parlamentari fu proprio il rifiuto della violenza, anche verbale). Non intendo analizzare l'intervista di Bravo, ne' gli evidenti rischi di una sua strumentalizzazione nel momento in cui il testo della legge 40 e le voci di futuri attacchi alla 194 minacciano quel principio dell'autodeterminazione che della battaglia sull'aborto degli anni Settanta costituiva il centro e la vera posta in gioco. E' su questo che vorrei dire qualcosa, premettendo pero' alcune precisazioni. La prima e' che la Societa' italiana delle storiche, di cui "Genesis" e', in piena autonomia culturale, la rivista, ha avviato la riflessione su questi temi anche in altri modi: con un dibattito organizzato con altre associazioni di studiose nel gennaio 2004 sulla legge 40, dal titolo "Le donne sono ancora dei soggetti?"; con la Scuola estiva del 2004 dedicata a "La sfida del femminismo ai movimenti degli anni Settanta", di cui usciranno gli atti presso Viella; con un convegno su "Nuovi femminismi e nuove ricerche" che si terra' il 19 febbraio a Roma. La seconda precisazione riguarda le mie parole citate nel testo che accompagna l'intervista e che, tratte da un articolo del 1994 su "I viaggi di Erodoto" e separate dal contesto, assumono un significato opposto a quello che avevano: la frase sulla riduzione dell'aborto a una sorta di diritto civile si riferiva non al movimento femminista, ma al ruolo svolto dai partiti nella campagna per il referendum del 1981 e si concludeva infatti con le parole "riduzione che snaturava la riflessione femminista sulla sessualita' e la maternita' di cui l'aborto era stato solo una parte". * Il principio dell'autodeterminazione della donna nella scelta di maternita' assumeva nel femminismo degli anni Settanta, in Italia come in altri paesi dove allora si andava affermando (e' del 1973 la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso "Roe versus Wade", che stabiliva la non interferenza dello Stato nella decisione di aborto nel primo trimestre di gravidanza) e dove e' oggi del pari minacciato, un valore centrale di catalizzatore e di sintesi di tutti gli altri obiettivi, analogamente a quello che era avvenuto per il diritto di voto nei femminismi dell'Ottocento. La centralita' di quel principio derivava dal suo duplice significato: sul piano personale, la liberta' delle donne fondata sul pieno possesso della propria persona, primo elemento della concezione moderna di individualita' autonoma (e di cittadinanza fondata sui soggetti) e la rottura di una lunga tradizione di controllo sul corpo femminile, finalizzato alle esigenze della famiglia patrilineare e patriarcale, esercitato prima dalla Chiesa, poi dalla scienza medica e dallo Stato; sul piano collettivo, una radicale trasformazione dei rapporti tra sfera pubblica e sfera privata (resa visibile dalle grandi manifestazioni di piazza sulla piu' segreta esperienza femminile: semmai i problemi nacquero dal contrasto tra la gioia delle prime e il dolore della seconda) e quindi dei rapporti tra donne e uomini in entrambe le sfere, nella prospettiva fortemente utopica di una nuova concezione del mondo. Questi significati si traducevano non in ideologie o astrazioni, ma in pratiche di pensiero e di relazioni che cambiavano il rapporto tra dimensione individuale e collettiva dell'essere donne, attuando in concreto le parole chiave "il personale e' politico", che non erano uno slogan, ma la realta' del lavoro nei gruppi di autocoscienza e nei collettivi femministi (della cui straordinaria diffusione geografica e sociale, peculiare dell'Italia, le future ricerche storiche dovranno indagare i motivi). E' in questo contesto che si inseri' la battaglia sull'aborto. Essa scaturi' da lunghe riflessioni e discussioni, segnate ugualmente dal rigore e dalla passione: l'autocoscienza era spesso carica di sofferenza e il dibattito successivo sempre denso di difficolta' e lacerazioni (ad esempio, tra chi voleva la depenalizzazione e chi la legge), ma anche di analisi profonde, complesse e sottili, che non potevano e non volevano sottrarsi alle ardue sfide morali che i temi affrontati comportavano. * Vorrei concludere con una osservazione. E' stato spesso dichiarato, negli interventi nel dibattito di questi giorni, che di tutto questo non abbiamo ancora una storia. Questo e' vero, ma e' anche vero che, a differenza che per gli altri movimenti degli anni Settanta, per il femminismo abbiamo, oltre che numerosi avvii di ricerche, molte e preziose raccolte di fonti e documenti, curate da singole o da associazioni femministe (basti citare la collana "Letture d'archivio", diretta da Lea Melandri per la Fondazione Badaracco e Franco Angeli, e il grande lavoro svolto dalla Rete Lilith). Non si tratta di un caso, ma di un segno fra molti altri che la storia di uno dei fenomeni cruciali della seconda meta' del Novecento non si e' conclusa. 3. RIFLESSIONE. ANNA BRAVO: QUEGLI ANNI, QUESTE DOMANDE [Dal sito www.universitadelledonne.it riportiamo il seguente articolo di Anna Bravo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 15 febbraio 2005. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il Fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003] Ho scritto un lungo articolo sugli anni Settanta, titolo: "Noi e la violenza, trent'anni per pensarci". Ora potrei scriverne un secondo sulla violenza che mi si e' rovesciata addosso appena e' uscita, sulle pagine culturali di "Repubblica", un'intervista di Simonetta Fiori che presentava quel mio testo e il fascicolo della rivista "Genesis" dedicato ai femminismi del decennio. La storia del Novecento rischia sempre polemiche, quella della "stagione dei movimenti" e' particolarmente esposta, ma non ricordo bagarre simili. Perche', eccetto alcuni interventi sereni, proprio di bagarre si e' trattato, con il corredo di insulti e accuse di falso, incompetenza, intimismo, revisionismo (dall'altro ieri anche di ritrattazione). Devo essermi avventurata su un terreno minato. Sono altrettanto indicative le modalita'. Inizialmente si forza lo scritto di Simonetta Fiori, impegnativo ma di taglio necessariamente breve; oppure, vecchio stratagemma discorsivo, mi si fa dire qualche sciocchezza che non ho detto, e ci si applica a dimostrare il contrario. Nel giro di due giorni, scatta la logica del "so ben io di cosa parlo": all'articolo di "Repubblica" non ci si riferisce neppure piu', basta alludere (qui vale la pena citare testualmente Elettra Deiana, "Liberazione" del 6 febbraio) alle "gravissime dichiarazioni di Anna Bravo", che dimostrerebbero come la "devastante marea montante della restaurazione cristiana bianca occidentale che va diffondendosi minacciosa nelle nostre contrade, a cominciare dagli Usa, (arrivi) fin dentro le pieghe della nostra stessa storia". Ma non esageriamo! L'aspetto piu' sgradevole e' che nessuna aveva letto le quaranta pagine del mio testo. Ci vedo non solo una mancanza di rigore culturale, ma una frivolezza che disdegna la fonte diretta, che dissuade dal dire "Preferisco di no" persino quando sembrerebbe elementare: prima leggo, poi parlo. Naturalmente e' difficile affrontare quegli anni, perche' sono stati anche il tempo in cui uno spaccato consistente di giovani persone ha sperimentato la presa di parola, la gioia di vivere e inventare in comune, e noi donne anche l'autocoscienza e spazi nuovi di liberta' mentale. Per di piu', "noi" e' un pronome sconsigliabile, il cui ambito di riferimento va ogni volta specificato: femminismo "storico", delle donne radicali, del sindacato, dei partiti, dei gruppi extraparlamentari. Per questo si usa il plurale femminismi. * Sebbene ci si possa appoggiare a riflessioni e ricerche preziose di alcune donne (e di rari uomini), mi sembra ancora piu' difficile affrontare la storia del rapporto donne/violenza in quegli anni. Alcune militanti dell'Autonomia proponevano di creare Ronde rosa per difendersi dalla polizia. La Libreria delle donne di Milano elaborava la tesi dell'estraneita' femminile come "scelta politica di separazione di un pensiero femminile differente". Dentro Lotta Continua c'era stato prima disagio, poi muro contro muro fra donne e servizi d'ordine. La libreria delle donne di Torino teorizzava il rifiuto "del sangue della croce, del sangue delle Rivoluzioni", ma - Moro prigioniero - sceglieva di non schierarsi fra lo Stato e le Br. E c'erano altre posizioni ancora, e ciascuna poteva variare nel tempo. A me non interessa fare la contabilita' della violenza femminile, ma lavorare sul rapporto con la distruttivita' di allora e sui modi in cui e' stato (o no) ripensato. Non mi interessano tanto le protagoniste della violenza, quanto le molte donne che l'hanno incrociata, vista, tollerata, temuta. Donne che valutano appieno la differenza fra partecipare, essere spettatrici, contrastare, ma che condividono un'idea: da quegli anni e dalla responsabilita' di cercare una misura onesta per raccontarli, e' difficile chiamarsi del tutto fuori - a meno di considerare i violenti e i terroristi una specie un po' meno umana della nostra. Oggi dire che l'ideologia della violenza rifondatrice era cruciale nell'orizzonte della sinistra extraparlamentare (e non solo) e' un semplice punto di partenza, e mi sembra quasi scontato aggiungere che il contesto ha avuto si' un peso, ma che e' stato usato troppo volte per sgusciare fuori dal campo della responsabilita' personale. Eppure esistevano alternative, e mi preme appunto ripensare agli incontri mancati, al non inevitabile effetto di cecita' verso altre genealogie che derivava da quel mito della violenza. Chi di noi, donne e uomini, si e' confrontato seriamente con i nonviolenti che digiunavano per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, con la disobbedienza dei radicali, con le opere di Thoreau, Gandhi, del nostro Capitini? E con che distratta condiscendenza guardavamo a "Mondo Beat", la rivista dei cosiddetti capelloni, che in una campagna per la nonviolenza e contro il militarismo denunciava l'aggressione americana in Vietnam, quella sovietica in Ungheria, quella cinese in Tibet, riconducendole al primato dell'ideologia sulla vita. * C'e' ancora da riflettere, e lo stesso vale per l'aborto. Trent'anni fa, credo che non potessimo pretendere da noi stesse piu' di quanto stavamo variamente elaborando, dalla denuncia dello scandalo degli aborti clandestini alla domanda radicale di Carla Lonzi: "per il piacere di chi sto abortendo?". Avremmo meritato una legge migliore. Che sia rimasta un'area di non detto, o non pensato, e' addirittura ovvio: eravamo giovani, nel pieno della lotta per la depenalizzazione, si viveva di corsa; sul possibile dolore del feto oltre un certo stadio della gravidanza, la medicina taceva, e infatti la parola sofferenza veniva riferita a una patologia, mai a una sensazione. Non so se qualcuna abbia formulato la domanda che viene spontanea di fronte a qualsiasi intervento chirurgico: "Fara' male?". Sarebbe stata una buona presa di distanza dal potere medico-scientifico, di cui stavamo denunciando la simulazione di neutralita' su altri terreni; e un passo in piu' sulla strada della cura. Se si da' credito al dolore delle donne, bisogna dar credito anche all'impegno (di molte, di alcune?) a non duplicarlo nel feto, dunque ad aumentare l'attenzione contraccettiva, e magari a sollevare la questione delle tecniche piu' protettive per provocare, o scongiurare, l'aborto. Interrogativi improbabili, allora - ma nessuna ha mai sostenuto che le sole domande da porre fossero quelle ragionevoli, rispettabili, a risposta garantita. Certo il clima non ci aiutava: fra noi (un noi ampio e misto) c'era ben poca sensibilita' alla condizione aurorale, sospesa, terminale, o alla prossimita' fra l'umano e il resto del mondo senziente. "Vi siete mai chiesti che cos'avranno pensato le capre di Bikini? E i gatti nelle case bombardate?", scriveva Calvino nel '46. La nostra risposta sarebbe stata: no. * Penso anche al dopo, e al presente, ai vari medici e ricercatori laici e pro choice che sul problema della sofferenza invitano a dare al feto il beneficio del dubbio, perche' se una cosa va fatta, bisogna scegliere il modo meno doloroso per tutti; al fatto che in futuro sara' sempre piu' difficile distinguere non tanto fra persona e non persona, ma fra persona e persona (le manipolazioni genetiche e estetiche, il trapianto del volto e delle mani), fra vivente e non ancora o non piu' vivente, fra umano e tecnologico, fra natura e tecnonatura. La differenza, dice Rosi Braidotti, e' diventata una categoria nomade. In questi giorni, penso ad alcune pacate inquietudini che ho avvertito. Eppure, dire che il corpo femminile e' vittima di manipolazione cruenta e nello stesso tempo tramite di una violenza contro il feto non equivale a equiparare aborto e terrorismo. E' nominare un dilemma, angosciante, forse esposto a strumentalizzazioni; il rischio e' che non si trovi mai il momento adatto per enunciare temi controversi. * Si', il rapporto con la violenza e' un punto delicato, ma non necessariamente un punto debole, tanto piu' che, come problema storico-teorico e come dannazione del presente, molte donne se ne sono fatte carico. Perche' non discuterne pacificamente? Tutto quel che ho scritto qui si trova nel testo ignoto. 4. RITRATTI. BENITO D'IPPOLITO: UN OMAGGIO A MARIA G. DI RIENZO [Ringraziamo il nostro schivo collaboratore Benito D'Ippolito per averci messo a disposizione questo testo. Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Ho quest'amica sapiente di tutta la saggezza, la pieta' del mondo ho quest'amica che conosce tutto del cuore e del cielo e della musica del mondo le sue parole muovono alla danza il suo sorriso dona luce al mondo. Ho quest'amica che dell'amicizia distilla e dona il frutto, e salva le anime. 5. APPELLI. ACCOGLIENZA E DIRITTI, NON CAMPI DI CONCENTRAMENTO E VIOLENZA [Da Silvia Marcuz (per contatti: e-mail: donkisciotte78 at libero.it, sito: www.giovaniemissione.it ) riceviamo e pubblichiamo la seguente lettera aperta diffusa durante la via crucis Pordenone-Aviano domenica 13 marzo 2005] Noi, donne e uomini che credono nel Dio della vita, oggi presenti alla via crucis da Pordenone alla base Militare Usaf di Aviano, camminiamo per pregare e riflettere sui crocefissi di oggi, le vittime, gli impoveriti in un mondo dove la logica militare si fa garanzia di sicurezza, sopraffazione e difesa degli interessi di pochi. Camminiamo sulla strada della croce per dire con forza che non vogliamo piu' vedere questa terra essere ferita da fili spinati e da muri. Camminiamo e denunciamo anche il nuovo e alto muro costruito in Friuli Venezia Giulia, a Gradisca d'Isonzo. Un muro nato per nascondere il Centro di permanenza temporanea (Cpt) e l'incapacita' di pensare politiche di accoglienza verso i crocefissi che giungono sulle nostre soglie. Con occhi aperti e vigili camminiamo il cammino della nonviolenza: - ripudiamo ogni forma di violenza: sia quella di chi si ostina a trattare gli immigrati come criminali, sia quella di chi protesta con la logica del muro contro muro; - rinnoviamo l'urgenza di reagire all'apertura del Centro di permanenza temporanea a Gradisca d'Isonzo, coinvolgendo in questo tutte le persone, associazioni e istituzioni che credono in questa causa. Ci chiediamo: - perche' a Gradisca d'Isonzo si stia per aprire il Centro di permanenza temporanea piu' grande del paese nonostante i cittadini abbiamo espresso, piu' volte e in piu' modi, parere contrario e chiedano invece investimenti di risorse in veri progetti di accoglienza per lo straniero; - perche' l'aspetto del Centro di permanenza temporanea di Gradisca debba rimanere nascosto ai cittadini, ulteriore segno della violenza militare che prende possesso del nostro territorio. Camminiamo ricordando il martire mons. Romero che disse "Bisogna scegliere: a favore della vita o della morte. Non ci sono posizioni neutrali: o si serve la vita, o si diventa complici della morte di molti esseri umani; o si crede nel Dio della vita, oppure si usa il nome di Dio per metterci al servizio degli aguzzini di morte". Dalla nostra passione per la vita nascano nell'immediato futuro azioni ostinate contro questa ed altre forme che generano morte. Primi firmatari: Commissione Giustizia e pace dei missionari comboniani in Italia, p. Alberto Pelucchi (provinciale dei Missionari Comboniani), p. Giacomo Palagi (viceprovinciale), p. Alex Zanotelli, don Albino Bizzotto, Beati i Costruttori di Pace, don Pierluigi Di Piazza (Centro di accoglienza "Ernesto Balducci"), don Giacomo Tolot, don Alessandro Santoro (Comunita' di Base Le Piagge, Firenze), p. Dario Bossi e fr. Claudio Parotti (Giovani impegno missionario), p. Franco Nascimbene, p. Giorgio Poletti, p. Claudio Gasbarro. 6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: PIETAS. UN COMMENTO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Questo articolo di Giulio Vittorangeli [Pietas, nel n. 864 di questo foglio] dice semplicemente quello che noi spesso confusamente vogliamo dire. Quando una parola ci interpreta nel profondo, vi leggiamo una verita', quindi acqua che ci disseta, e ci rimette in cammino. Io, dopo la prima parte, dopo la descrizione sintetica e pesante della somma di mali che oggi offende il mondo (niente di nuovo, e' quello che sappiamo, ma e' un macigno sul cuore, perche' e' la tomba di tantissime vite, ed e' il disonore di chi vive oggi), ho tirato un profondo sospiro di pena, e di bisogno di ripresa dalla pena, come chi cerca aria dopo un inizio di soffocamento, dopo che il respiro si e' interrotto per una minaccia, un terrore, un orrore. C'e', infatti, minaccia e terrore e orrore sul mondo umano. Non la povera minaccia dei ribelli, ma la sistematica irridente feroce studiata astuta violenza dei potenti. E noi siamo legati esistenzialmente a loro. E, in aggiunta, ci tocca sentire, nel dibattito pubblico, voci di intelligenze malvage e astute, dotate di ricca amplificazione, che difendono e onorano quella violenza. La menzogna e' sul trono. L'amarezza piu' nera scende dentro e puo' intossicare il cuore. Il tema di questo scritto e' la liberazione di un sentimento spesso compresso, negato dal clima imperante, e impedito anche dalla sacrosanta indignazione: la pieta', "pietas"; non come inerte compianto, ma come forza attiva. Se ho letto bene, questa e' la nonviolenza, comunque la si chiami. Poi, e' tutto da fare. Ma il "primum", prima del fare, prima del sapere, prima del pensare, e' "sentire". 7. LIBRI. LEONARDO BOFF: PER CHI SI AVVENTURA NEL SAPORE DELLA LIBERTA' [Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci messo a disposizione la prefazione di Leonardo Boff al libro Il sapore della liberta' (La Meridiana, Molfetta 2005), scritto da Francesco Comina e Marcelo Barros. Leonardo Boff e' nato nel 1938 a Concordia (Brasile). Tra i suoi maestri (ha studiato in Brasile e in Germania) ha avuto Evaristo Arns, Karl Rahner e Wolfhart Pannenberg. E' tra le figure piu' rappresentative della teologia della liberazione. Opere di Leonardo Boff: Teologia della cattivita' e della liberazione, Queriniana, Brescia; Chiesa: carisma e potere, Borla, Roma; Con la liberta' del vangelo, La Piccola, Celleno (Vt); La fede nella periferia del mondo, Quando la teologia ascolta il povero, Cinquecento anni di evangelizzazione, Ecologia, mondialita', mistica, Grido della terra, grido dei poveri per un'ecologia cosmica, Come fare teologia della liberazione (in collaborazione con il fratello Clodovis Boff), Selezione di testi spirituali, Selezione di testi militanti, tutti presso la Cittadella di Assisi (che ha pubblicato anche altri volumi di Boff). Opere su Leonardo Boff: AA. VV., Il caso Boff, Emi. Marcelo Barros, monaco brasiliano, teologo della liberazione, priore del monastero benedettino di Goias Velho, impegnato per i diritti umani di tutti gli esseri umani, ha scritto con Francesco Comina il libro Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Bari) 2005. Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e' impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna] Caro compagno, cara compagna di cammino e di ricerca, tutto il libro e' un dialogo tra chi scrive e chi legge. E nello stesso tempo viene sollecitata la vocazione del lettore a dialogare, dandogli la possibilita' di partecipare alla conversazione tra il giornalista Francesco Comina ed il monaco Marcelo Barros. In un primo momento questo libro avrebbe dovuto svilupparsi in forma di intervista del giornalista al monaco. Grazie a Dio, gli autori hanno optato per un dialogo piu' ampio nel quale ambedue si mettono in gioco. E i lettori ci hanno guadagnato tanissimo, perche' cosi' appaiono piu' chiare le diversita' delle esperienze, la complementarieta' delle ricerche e la convergenza delle convinzioni che uniscono nello stesso cammino di vita i due autori. Francesco Comina e' un giovane intellettuale italiano. Come gli italiani abitualmente dicono: "Un bravo giornalista", di facile comunicazione per vocazione e per missione, ben presto coinvolto nelle migliori ricerche della sua generazione e profondamente solidale con la causa della pace del mondo e specialmente con il Terzo Mondo. Marcelo Barros e' un monaco, innamorato della Bibbia e dedito all'ecumenismo tra le Chiese e tra le religioni, del quale sono amico e compagno di ricerca teologica e pastorale da piu' di trent'anni. Sicuramente, assieme a Carlos Mesters e Fei Betto, Marcelo Barros e' uno dei teologi piu' letti e amati dalle comunita' ecclesiali di base. Da bambino voleva essere veterinario di animali selvaggi. Invece e' diventato monaco benedettino e fondatore di un monastero ecumenico, una comunita' di monaci inserita in mezzo ai poveri e dove passano persone delle piu' diverse tradizioni spirituali. Marcelo ha sempre raccontato volentieri fatti vissuti personalmente, brandelli di vita vissuta con intensita' e profondita' di cuore. Scrive nello stesso stile con cui parla. In questo libro ha trovato un ottimo spazio per il suo tipo di comunicazione affettuosa e franca. La sua esperienza di biblista al Cebi (Centro di studi biblici) assieme a Carlos Mesters e poi nella Pastorale della terra e nell'impegno all'interno della comunita' di Candomble', lo hanno aiutato a sviluppare una teologia macro-ecumenica della terra, dell'a'cqua. Ora, assieme ai suoi compagni e compagne di Asett (Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo), diffonde una teologia della liberazione a partire dal nuovo paradigma del pluralismo culturale e religioso. Questo libro si colloca nell'orizzonte di questa ricerca. Si tratta di un tema che, essendo centrale nella fede cristiana, ha bisogno di essere approfondito maggiormente nella teologia attuale, elaborata a partire dal mondo dei poveri. L'insegnamento paolino che spiega come "dove c'e' lo Spirito del Signore, la' ci sara' liberta'" (2 Cor. 3, 17) sembra aver avuto poca influenza nelle Chiese, quasi sempre preoccupate piu' di salvaguardare la legge che di testimoniare la grazia. Il coraggio con il quale Lutero scrisse il "De libertate christiana" non sfuggi' al dualismo agostiniano e non impedi' di condannare i movimenti di liberazione sociale dei contadini, animati da Thomas Munzer, contro i signori della terra. Fin dall'inizio della teologia della liberazione la preoccupazione di associare liberazione a liberta' si rese esplicita in diversi autori, smascherando l'ideologia individualista di una liberta' che non si compromette con l'altro e dando conferma che solo a cominciare dalla liberazione di tutti, ognuno di noi puo' trovare la sua liberta' personale. In anni recenti, tradotta in diverse lingue, l'opera di padre Jose' Comblin, La vocazione per la liberta', suscito' una riflessione forte e innovatrice, a partire dalle nuove sfide che viviamo oggi. * Il libro Il sapore della liberta' non si propone come una riflessione sistematica o uno studio sul tema, ma come una testimonianza di vita in forma di dialogo che coinvolge tu che lo stai leggendo e t'invita a continuare questa ricerca. Questo libro non ha capitoli. E' organizzato in cinque dialoghi, come circoli di conversazione indipendenti, ma allo stesso tempo complementari. Seguono da vicino il metodo consacrato in America Latina del "vedere, giudicare e agire". Nel primo dialogo gli autori parlano della propria vita e delle esperienze personali con la liberta'. Si raccontano vicendevolmente l'ambiente dal quale provengono, le esperienze culturali e sociali fatte, come fossero presi da una immensa passione per l'umanita' e in particolar modo per le ingiustizie sociali che affliggono la maggioranza degli uomini e dei popoli. La struttura dell'ingiustizia vigente nel mondo e la sfida di un'umanita' liberata e libera diventa quindi il tema specifico del secondo dialogo. Il terzo cerchio di conversazione parte dalla realta' esposta nel secondo dialogo e tratta di come possiamo liberarci dalla violenza. Il tema e' quello della "liberazione dalle violenze" del mondo. Qui emerge una vera visione ecumenica della pace e della nonviolenza, tema sempre piu' urgente per l'educazione dei giovani d'oggi. Cosi', sembra naturale che il quarto dialogo sia dedicato a un tema radicale: Dio. Molte volte Dio e' stato usato per fomentare guerre e terrorizzare il mondo. Questo libro propone di approfondire la visione di un "Dio sovversivo". E' un modo di parlare di Dio che puo' sostenere un cammino di vera liberta', personale e comunitaria. Il Dio biblico dei profeti, l'"Abba" di Gesu' ha mescolato immagini maschili e femminili e si potrebbe gia' dire che e' ben al di la' di qualsiasi patriarcalismo. Intanto, purtroppo, molte volte nella storia Dio e' stato utilizzato per legittimare l'oppressione dell'uomo sulla donna e il colonialismo dei bianchi sui neri e sugli indigeni. Gli autori professano la loro fede, proprio nel momento in cui si rivelano impegnati in questa ricerca di parlare di Dio in un modo nuovo e liberatore. Dio al plurale e al femminile. Dio come ispirazione e fonte dei nostri desideri. E' questo il tema del quinto ed ultimo dialogo: l'utopia come necessita' della storia e motore delle nostre vite. Partendo sempre dalle esperienze personali, gli autori ci invitano a metterci in cammino verso la terra promessa occupando una particella di Canaan che sia di possibile conquista nell'oggi della vita, in modo da non accomodarci nella piccola porzione gia' conquistata e nemmeno rifugiarci in un ideale lontano e inattingibile. * Dalla prima all'ultima pagina, di tanto in tanto, sentiamo come se il dialogo dovesse rimanere aperto per concludersi. Chi legge percepira', anche se non ci sono discordanze frontali tra i due autori, che appaiono differenze di sensibilita' e di cultura. In effetti uno e' un giornalista italiano e l'altro un monaco brasiliano. Queste differenze arricchiscono particolarmente ogni peculiarita' del dialogo e noi che lo leggiamo. Dom Helder Camara - profeta dei poveri e vescovo che ordino' sacerdote Marcelo e fu suo maestro di ecumenismo proprio a partire dal popolo - sosteneva che l'unita' non solo rispetta le differenze, ma puo' anche nutrirsi di loro e trasformarle in complementarieta' e vantaggio. In questo libro abbiamo la certa conferma che il dialogo e' un elemento intrinseco ed essenziale per tutto il cammino spirituale. Questo ci fa riconsiderare la nostra idea di Dio e la nostra visione della spiritualita' umana, come propone il quinto dialogo. E' spirituale l'atmosfera che ci conduce qui e anche lo sbocco e l'assaggio del nuovo mondo possibile che noi desideriamo costruire. Forse molti lettori potrebbero sentire che il libro si concluda quasi improvvisamente come un'opera incompiuta. Gli autori ci offrono elementi per la riflessione e ci invitano a proseguire il dialogo con noi stessi, con gli altri e con la bonta' divina presente nell'universo e dentro di noi. In ogni modo questo libro propone diverse conclusioni. Una di queste e' che l'essere solidali e' il modo normale della persona per essere libera in questo mondo. Come amava ricordare il monaco Thomas Merton: "Nessun uomo e' un'isola". La solidarieta' e' l'unica via percorribile per costruire societa' basate sulla difesa intransigente e permanente dei diritti umani. Siamo felici di vivere in un mondo nel quale queste strade non sono chiuse. Sia che tu sia religioso/a o non, potrai tirare altre conclusioni valide e sentire il "sapore della liberta'" che qui si dipinge. Chi crede in Dio, sa che avventurarsi in questa strada verso la liberta' e' lasciarsi condurre dallo Spirito che "soffia dove vuole, si ascolta la sua voce, ma non si sa da dove venga e dove vada" (Gv. 3, 8). Per me, cristiano, egli sussurra un nome che mi porta all'Infinito: Gesu' di Nazareth. Ma mi porta pure ad altri nomi che sono sinonimi di amore e di pace, nelle piu' differenti religioni e nelle piu' diverse culture. Che ricchezza! Nessun mortale puo' moderare il vento o frenare la liberta' dello Spirito. Il mistero e' nostra pace e le vie religiose, se ce lo permettono, possono appena essere nostre parabole di amore. Come scrisse Agostino nel IV secolo: "Indicami qualcuno che ami e egli comprendera' quello che sto dicendo. Dammi qualcuno che desideri, che cammini in questo deserto, qualcuno che abbia sete e sospiri per la fonte della vita. Mostrami questa persona ed ella sapra' quello che voglio dire". 8. MEMORIA. DANIELA BINELLO: DONNE MANIFESTE [Ringraziamo Daniela Binello (per contatti: blusole.db at flashnet.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul mensile dello Spi Cgil "LiberEta'" di marzo 2005. Daniela Binello, 47 anni, e' una giornalista free lance. Vive a Roma. Collabora con varie testate giornalistiche nel campo dei diritti umani e dei conflitti internazionali. Collabora, inoltre, con la redazione esteri di RaiTre che realizza le puntate televisive di "C'era una volta". Come inviata ha realizzato reportage da Corea del Nord, Afghanistan, Sudan, Nicaragua, Colombia, Brasile, Palestina, Israele, Balcani, Iraq, Cina e altri Paesi. Nel 1999-2000 ha allestito a Milano la mostra "Infanzia tradita". Nel 2001-2002 ha curato la mostra itinerante "A.A.A. Cittadini cercansi" sui lavoratori immigrati nel Nordest ed il catalogo/reportage che raccoglie cento storie per cento immagini. Nel 2002 e' stato pubblicato da Ediesse il suo libro Il diritto non cade in prescrizione, sul processo avvenuto in Italia per otto casi di italoargentini desaparecidos durante la dittatura. Molti dei suoi articoli sono disponibili sul sito dell'associazione Articolo 21 (www.articolo21.com)] Sessanta, ma non li dimostra. Cosi' si potrebbe definire la testimone ideale dell'Udi, una protagonista, ancora giovane e femminile che presenta oggi molte novita'. A partire dal nome, tanto per cominciare. Udi, infatti, ha recentemente trasformato il suo acronimo in Unione Donne in Italia (da Unione Donne Italiane) per aprirsi, di nome e di fatto, a tutte le presenze femminili che stanno rendendo la nostra vita sociale e civile sempre piu' attuale e ricca di sollecitazioni multiculturali. La mostra sui manifesti dell'Udi, ideata per celebrare il sessantesimo anno dalla fondazione, e aperta al pubblico proprio intorno alla festa dell'8 marzo di quest'anno, s'intitola "Donne Manifeste, 1944-2004". Visitandola, vi sembrera' di scivolare passo passo lungo i sessant'anni di storia delle donne dal dopoguerra a oggi. E' una storia del Novecento, molto importante, che ha segnato in tutte noi dei punti fermi, come le conquiste democratiche delle donne, a suon di "lotta dura che non ci fa paura" per affermare molti dei diritti che oggi le piu' giovani fra noi danno semplicemente per scontati, mentre nulla, invece, e' successo per caso. Lo sanno bene la nostra mamma, la zia o la nostra sorella piu' grande che ci hanno fatto trovare la "pappa fatta". Oggi, che il femminismo sembra superato e che molte ragazze sembrano snobbarlo, cosi', tanto per sembrare piu' moderne, non potrebbe, invece, essere piu' importante aprire una riflessione sui diritti delle donne che, come tutti i diritti, valgono meno di un soldino di cacio se restano scritti soltanto sulla carta. E questo rischio oggi c'e'. Eccome. I circa cento manifesti messi in mostra a Roma, fino al 27 marzo, rappresentano una realta' femminile che non e' esagerato definire di culto, perche' se quella forza collettiva non si fosse messa in marcia e non si fosse imposta alla visibilita' di tutti nel chiedere, e qualche volta pretendere con vivacita', non avrebbe mai raggiunto i risultati di cui oggi possiamo dirci soddisfatte. Ed e' ragionevole pensare che ne possano essere riconoscenti anche gli uomini, passato un primo momento, per cosi' dire, di stupore e sbalordimento. Non e' raro, infatti, sentire uomini affermare di essere "femministi", cosi' come non e' astruso, talvolta, da parte di noi donne, provare nei loro confronti un certo non so che di bonaria diffidenza. La mostra, un evento che fila a pennello per l'8 marzo di quest'anno, riflettera' la vostra immagine come uno specchio. Attraverso la forza rappresentativa delle immagini, la voce delle dirigenti di allora, leader dei congressi e dei momenti corali, l'evoluzione delle campagne d'opinione e per i diritti, rivedrete voi stesse. Passerete in rassegna gli slogan per l'affermazione di una maternita' libera e consapevole, e poi del diritto al divorzio, per la lotta salariale delle caterinette (le sarte di un tempo), delle gelsominaie e ancora per la parita' salariale fra donna e uomo tout court. L'immagine della fanciulla bruna e pensosa, con la mimosa posata su un lato del volto, fu dipinta da Antonietta Raphael Mafai (moglie di Mario e madre di Miriam Mafai), e' stata scelta per rappresentare l'iniziativa: la fanciulla con la mimosa, dai lineamenti marcati e la bocca carnosa, siamo noi. "Nell'ambito delle lotte mi sembrava di vedere che le donne erano piu' concrete - ricorda Lietta Tornabuoni, giornalista e storica osservatrice del movimento femminile - piu' legate alle cose, piu' lontane dalle questioni di principio, dalle questioni ideologiche. E mi sembravano anche piu' resistenti alla fatica di mettere insieme tutto, impegno privato e pubblico, famiglia, lavoro e figli". Infine, la mostra non poteva non rappresentare quella che e' stata la voce dell'Udi, cioe' "Noi donne", una rivista leggendaria, di respiro anche internazionale, che ha cessato le pubblicazioni ufficialmente negli anni Ottanta (sebbene la testata continui a esistere in una forma piu' modesta). Nell'ambito della mostra sono previsti, inoltre, la visione di filmati realizzati dall'Associazione nazionale archivi Udi (ente riconosciuto dal Ministero per i beni artistici e culturali), oltre allo svolgimento di vari dibattiti. Il catalogo della mostra, curato da Marisa Ombra, presidente dell'Associazione nazionale archivi Udi (e coraggiosa partigiana nella Resistenza), con la collaborazione di esperti e del Comitato delle elette, e' disponibile per i tipi del Saggiatore. Hanno patrocinato la mostra gli Assessorati per la cultura rispettivamente del Comune e della Provincia di Roma. La comunicazione del progetto, infine, e' stata curata dalla Societa' Morgana di Roma. * L'Udi di oggi "La volonta' collettiva dell'associazione si esprime ancora nelle assemblee autoconvocate - spiega Pina Nuzzo, responsabile della sede nazionale dell'Udi -. Pensammo a questa modalita' politica nel 1982 e crediamo che sia ancora oggi quella piu' efficace. Gli argomenti all'ordine del giorno sono le guerre, contro cui interveniamo, i tentativi di espropriare le donne della loro specificita' generativa, il rischio della violenza, privata e pubblica, segnale allarmante di una incivilta' nella relazione fra donne e uomini". Nel nuovo millennio l'Udi ha deciso di riorganizzarsi e aprirsi alle vicende del mondo, tendendo una mano alle giovani donne per invitarle a partecipare, rinnovando su basi piu' moderne la pretesa d'interpretare il presente e di disegnare un futuro migliore. "Vorremmo consegnare alla storia e alla collettivita', cosi' come ha fatto chi ci ha preceduto, un patrimonio per poter procedere piu' spedite e piu' leggere" commenta la Nuzzo. Per contattare l'Udi nazionale, oppure l'Associazione nazionale degli archivi dell'Udi (visita su appuntamento): via Arco di Parma 15, 00186 Roma, tel. 066865884, e-mail: udinazionale at tin.it e assarchivi at tiscali.it * Sembra ieri La prima Conferenza nazionale dell'Udi si tiene a Napoli il 6 settembre del 1946, proprio per il carattere emblematico della citta' nel dopoguerra. Anna Lorenzetto, del Comitato direttivo dell'Udi, sostiene pero' che bisogna fare attenzione a non agitare inutilmente il problema meridionale, di non farne, cioe', la "retorica del Mezzogiorno". La Lorenzetto mette in guardia le donne del nord da assumere un atteggiamento leaderistico nei confronti delle compagne meridionali, quando viceversa c'e' molto da "riparare dopo una lunga ingiustizia". "Non dimentichiamo che le Udi del sud sono sorte da sole - dichiara -, con le loro forze, e non hanno avuto come al nord l'appoggio del Cln. Anzi, sono state ostacolate da tutti". Le capogruppo, continua la Lorenzetto, sono quelle che salgono molte scale, che vanno dalle famiglie dei lavoratori a portare la parola giusta, a indicare la via per il rafforzamento del sindacato. Questa prima Conferenza dell'Udi, infatti, segna anche il rapporto d'interscambio per la ricostituzione al sud della Cgil. (Fonte: E' brava, ma... donne nella Cgil 1944-1962, Ediesse, 1999) * Informazioni su Donne Manifeste: Museo di Roma in Trastevere, piazza di Sant'Egidio 1/b, fino al 27 marzo 2005, apertura dal martedi' alla domenica (lunedi' riposo), ore 10-19. Biglietti: intero euro 2,60 - ridotto euro 1,60, tel. 065816563, sito: www.comune.roma.it/museodiroma.trastevere 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 868 del 14 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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