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La domenica della nonviolenza. 11
- Subject: La domenica della nonviolenza. 11
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 6 Mar 2005 12:06:41 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 11 del 6 marzo 2005 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Un'altra visione e' possibile? 2. Giuliana Sgrena: La risposta 3. Anna Santoro: Sull'attualita' delle "Tre ghinee" di Virginia Woolf 4. Sabato, a scuola 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: UN'ALTRA VISIONE E' POSSIBILE? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Al campo internazionale della gioventu' a Porto Alegre, durante l'ultimo forum sociale mondiale (26-31 gennaio 2005) sono passate circa 35.000 persone di tutti i tipi: studenti e artigiani, femministe e musicisti, gay e lesbiche, venditori di cibo ed acqua, cd, incensi, tamburi e collane, e cosi' via. Camminando per il parco in cui si teneva il campo, si potevano notare le immagini piu' ripetute su striscioni, bandiere, cartelli e magliette: Guevara, Marx e Bob Marley. Si potevano anche notare le mostre di pittura e gli spazi culturali, o le persone che prendevano il sole o meditavano all'aria aperta. L'apertura e l'accoglienza di questo spazio erano la facciata: all'interno di esso giovani uomini hanno stuprato donne. Sembra che a questi Guevara del XXI secolo manchi la capacita' di connettere le proprie azioni personali alla politica che professano, di vedere la relazione fra la militarizzazione ed il controllo della sessualita' femminile, o di capire come le loro azioni o il loro silenzio perpetuino i privilegi di genere. Il campo avrebbe dovuto, nelle intenzioni, essere un microcosmo socialmente progressista in cui i valori del Forum venivano messi in pratica, ed ha prodotto 90 casi denunciati di violenza contro le donne. I casi hanno incluso molestie, intimidazioni, esibizioni sessuali nei bagni (con uomini che si masturbavano in pubblico ed altri che filmavano le donne nude), stupri. La sera del 29 gennaio, un gruppo di giovani femministe presenti al campo ha organizzato una marcia contro la violenza: donne, ed uomini in solidarieta', portavano cartelli con le scritte: "Non vogliamo violenza contro le donne nel nostro mondo" ed anche "Lottiamo ogni giorno: siamo donne, non merce". La marcia non ha ispirato solo sostegno, negli uomini al campo; parecchi hanno ritenuto di dover reagire con minacce e scherno, tanto che le organizzatrici hanno dato vita il giorno successivo alle "Brigate Lilla": un gruppo di donne che portava una fascia di color lilla sul braccio, identificandosi come volontaria pronta ad offrire aiuto alle ragazze che avevano subito abusi. In contemporanea, il Laboratorio d'azione femminista metteva in moto un processo di facilitazione per la denuncia degli abusi stessi. La mancanza di un'analisi di genere nella progettazione del campo ha creato quello spazio come "non sicuro" per le donne. Inoltre, la loro protesta e' stata presa ben poco sul serio, e uno solo degli stupratori e' stato arrestato. Le donne che partecipavano al campo hanno reagito nelle interviste con tristezza, frustrazione e rabbia: hanno detto che uno spazio in cui si permette o tollera la violenza contro le donne non e' in grado di lottare per "l'altro mondo possibile". Erano indignate dal fatto che gli stupratori fossero a piede libero, e hanno testimoniato di sentirsi in quello spazio invase, non rispettate, abusate. Molti uomini hanno professato solidarieta' con le donne che erano state attaccate e con la lotta femminista in generale, ma altri hanno detto che era responsabilita' delle donne prevenire le aggressioni: avrebbero dovuto sapere che era rischioso condividere i bagni pubblici con gli uomini (al campo, peraltro, non erano stati predisposti bagni o docce per sole donne). E' urgente che il Forum sociale mondiale riveda non solo le proprie metodologie, ma la propria visione dell'altro mondo possibile: il sessismo contraddice in pratica la visione comune. Finche' non si smantella il patriarcato, nella teoria e nella pratica, l'oppressione e la discriminazione continueranno. Per esempio, il "Manifesto di Porto Alegre", che sintetizza in 12 punti cio' che il Forum propone a livello globale, e' stato scritto da 18 uomini e una donna. Il Forum e' un momento d'incontro fra persone e gruppi, non e' rappresentativo dell'intera societa' civile globale, e percio' nessuno puo' assumersi la responsabilita' di parlare in nome di essa, come invece coloro che hanno scritto il Manifesto fanno: questo modo di procedere e' asimmetrico, antidemocratico, sessista e ben lontano dagli sforzi per creare un modello di societa' alternativo. Il Manifesto dichiara di voler sostenere politiche che avversino ogni forma di discriminazione; include anche la cancellazione del debito nel Sud, il raggiungimento di piena occupazione e protezione sociale, lo smantellamento dei paradisi fiscali, l'adozione di un commercio piu' equo, il diritto all'informazione, la lotta contro i brevetti su esseri viventi e conoscenza; l'abolizione della privatizzazione dell'acqua, la democratizzazione degli organismi internazionali, lo smantellamento delle basi militari straniere, l'arresto della distruzione ambientale: niente di tutto cio' e' stato articolato da una prospettiva di genere. E non ci sono state richieste di inserirvela, il che suggerisce la comune credenza che esse siano indipendenti dalla subordinazione delle donne, sebbene le donne siano meta' della popolazione mondiale (la meta' piu' povera) e siano quelle che suppliranno con il loro lavoro ovunque i servizi vengano privatizzati. Riconoscere che "l'altra" esiste e' un primo passo (sui 570 eventi della prima giornata del Forum, 25 erano direttamente correlati ai diritti delle donne) ma non puo' essere sufficiente per un movimento sociale; e' necessario che si giunga ad una visione condivisa e all'accordo su quali tipi di azione nonviolenta ci porteranno verso di essa. Mi pare ovvio che sessismo e violenza debbano stare fuori dal quadro. E' ovvio solo per me? 2. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: LA RISPOSTA [Da Giuliana Sgrena, Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 173-174. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] La risposta data dall'occidente agli attentati dell'11 settembre ha ridato paradossalmente fiato a un movimento fondamentalista che sembrava minato nella credibilita' e nel consenso dalle azioni aberranti dei fautori del jihad, che si erano ovunque tradotte in puro terrorismo (come ad esempio il Gia algerino). Proponendo uno "scontro tra civilta'" basato sul fanatismo religioso, sia Osama bin Laden che Bush alimentano le reazioni piu' estreme, una contrapposizione frontale che nel mondo islamico si traduce in talebanizzazione, supporto ideologico al jihad globale, e nel mondo occidentale nell'intolleranza sempre piu violenta verso l'altro, il diverso, soprattutto l'arabo, ma non solo. In realta', uno scontro tra incivilta', o "tra ignoranze", come sostiene Assia Djebar, richiamando anche Edward Said, in una intervista a Toni Maraini. Un'intolleranza senza mediazioni che schiaccia sempre di piu' anche le aspirazioni alla liberta', alla democrazia, alla secolarizzazione che vengono da paesi islamici governati da regimi autoritari. La campagna contro il terrorismo avalla repressioni e guerre, la guerra diventa sempre piu' globale. E in questo circolo vizioso la reazione al terrorismo riproduce il terrorismo come forma di destabilizzazione globalizzata. 3. RIFLESSIONE. ANNA SANTORO: SULL'ATTUALITA' DELLE "TRE GHINEE" DI VIRGINIA WOOLF [Ringraziamo Anna Santoro (per contatti: e-mail: info at arabafelice.it, sito: www.arabafelice.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio. Anna Santoro e' nata nel 1945 a Napoli, citta' in cui vive; femminista, scrittrice, docente, operatrice culturale. "Come studiosa di letteratura italiana, mi sono interessata inizialmente alla letteratura meridionale tra '700 e '800 (narrativa, saggistica, teatro), ma sin dai primi anni '70, ho cominciato a lavorare alla storia delle donne e a meta' degli anni '70 ho avviato una ricerca tesa a ricostruire i segni della presenza delle donne nella scrittura, partendo dai 'luoghi' della memoria della produzione letteraria, cioe' dalle biblioteche". Socia fondatrice della Societa' delle letterate Italiane; nel 1985 ha fondato a Napoli l'associazione culturale "L'Araba Felice" di cui e' presidente. Virginia Woolf, scrittrice tra le piu' grandi del Novecento, nacque a Londra nel 1882, promotrice di esperienze culturali ed editoriali di grande rilievo, oltre alle sue opere letterarie scrisse saggi di cui alcuni fondamentali per una cultura della pace. Mori' suicida nel 1941. E' uno dei punti di riferimento della riflessione dei movimenti delle donne, di liberazione, per la pace. Opere di Virginia Woolf: le sue opere sono state tradotte da vari editori, un'edizione di Tutti i romanzi (in due volumi, comprendenti La crociera, Notte e giorno, La camera di Jacob, La signora Dalloway, Gita al faro, Orlando, Le onde, Gli anni, Tra un atto e l'altro) e' stata qualche anno fa pubblicata in una collana ultraeconomica dalla Newton Compton di Roma. Tra i saggi due sono particolarmente importanti per una cultura della pace: Una stanza tutta per se', Newton Compton, Roma 1993; Le tre ghinee, Feltrinelli, Milano 1987. Numerosissime sono le opere su Virginia Woolf: segnaliamo almeno Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974; Mirella Mancioli Billi, Virginia Woolf, La Nuova Italia, Firenze 1975; Paola Zaccaria, Virginia Woolf, Dedalo, Bari 1980. segnaliamo anche almeno le pagine di Erich Auerbach, "Il calzerotto marrone", in Mimesis, Einaudi, Torino 1977] Il saggio Le tre ghinee (1938), soprattutto se inquadrato all'interno dell'itinerario politico-poetico di Virginia Woolf, e cioe' come seguito di Una stanza tutta per se' (1929), e accolto all'interno delle sue magnifiche opere di poesia (nell'ampia accezione usata dalla stessa Virginia: "perche' le donne scrivevano romanzi e non poesia?"), offre molteplici spunti di approfondimento su questioni ancora aperte. Come sappiamo, Virginia, ne Le tre ghinee, parte col porsi una domanda piu' che mai attuale: "Cosa si potrebbe fare per fermare la guerra?" e risponde che bisognerebbe sapere tante cose che lei non sa, perche' la scarsa educazione ricevuta non l'ha preparata a questo. In verita', per lei la difficolta' maggiore (e la questione che le interessa) sta nell'intendere la guerra come "risultato di forze impersonali", mentre c'e' qualcuno che la pensa, la prepara, la immagina come possibilita', la da' per scontata, ne calcola freddamente i costi (in danaro e vite umane) e la dichiara. Qualcuno che sa di poterlo fare, che sa di essere ascoltato e ubbidito. Che sa di andare incontro a un sentire diffuso riguardo l'evenienza bellica, sia pure quando fosse critico. Qualcuno che abbia questo potere. Questo potere non appartiene a lei ne' a nessuna altra donna, lo Stato che ha dichiarato guerra e' uno Stato che non ha mai dato peso alle donne e che dunque Virginia non riconosce come suo: "Combattere e' sempre stata un'abitudine dell'uomo", sottolinea, e aggiunge che poco importa se sia un fatto dovuto alla natura o alla cultura, certo e' che la maggioranza dei cacciatori, dei criminali, dei soldati, e' fatta di uomini. Prende cosi' il via questo saggio interessantissimo che, alla pari di Una stanza tutta per se', mette in campo una serie di riflessioni importanti e, come l'altro, dovrebbe essere necessariamente studiato a scuola. Perche' il ragionamento di Virginia, sottile e sofferto, logico e ironico, sostenuto da opportune citazioni, dimostra che la guerra nasce dalla mentalita' e dalla cultura, e precisamente dalla mentalita' e dalla cultura maschile, e che gli uomini stessi la rivendicano come momento di "verita'", di "unica gloria", di "realizzazione virile". (Ricordiamo che siamo in Inghilterra, patria dell'imperialismo. Tantissimi film e romanzi hanno svelato la mentalita' grottesca di quel periodo, senza pero' inquadrarla come propria della cultura maschile. Ricordo anche, tra parentesi, come tanti scrittori italiani, e non solo Marinetti e D'Annunzio ma anche alcuni insospettabili, perfino Gadda, abbiano nutrito un fascino particolare per la guerra in se', scrivendone perfino nei Diari). E dunque, Virginia si chiede come possano gli uomini (che nella loro tradizione hanno sempre dato un posto tanto importante alla guerra, al valore in campo, alle medaglie, alle tradizioni legate a un malinteso senso dell'onore, eccetera, e che inoltre hanno oppresso popoli ed escluso e privato le donne dei diritti elementari, conducendo dunque contro di esse una vera e propria guerra), qualora si proclamino pacifisti, non approfondire essi stessi una critica alla propria cultura, prima di rivolgersi alle donne per chiedere appoggio. Ma Virginia sa anche, lo dimostrero' andando avanti, quanto sia difficile per gli uomini, anche per quelli che singolarmente e sinceramente vogliono opporsi alla guerra, riuscire a farlo, proprio perche' essi sono cresciuti in quella cultura che, assieme all'educazione alla pratica bellica, offre loro una serie di privilegi. Ma su questo tornero' piu' avanti. Alla guerra, come alla politica, alla cultura, alla mentalita' maschile, le donne sono estranee (la "societa' delle estranee"). E questa "estraneita'" e' segnalata gia' nella scrittura di Virginia: "cosa vi spinge a farvi fare la guerra...", oppure: "come aiutarvi a prevenire la guerra...". Eppure non basta dichiarare l'estraneita': Virginia ha davanti delle fotografie di guerra, bambini straziati. E comprende che la guerra la invade, sebbene non sia "in suo nome". Virginia ha ricevuto anche altre lettere che le chiedono sostegno. La prima e' quella da parte di un College femminile, la seconda da parte di un'Associazione per la libere professioni delle donne. Dopo lunghi e articolati ragionamenti, Virginia decide di aderire a tutte le richieste che chiedono sostegno, perche' le donne devono avere diritto a esercitare le libere professioni e ad accedere alle Universita', proprio perche' la loro cultura e la loro liberta' e' in contrasto con la cultura di guerra. E' su questo che insiste: ve la do, la ghinea, ma promettete di non diventare mai come gli uomini. Virginia promette sostegno anche all'Associazione antifascista, ma le si sottrae, non entra in quella organizzazione, sottolineando: "Il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra non e' di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare noi nuove parole e inventare nuovi metodi". Anche perche' quei modi e quei metodi fino ad allora non hanno dato, non avrebbero potuto dare, risultati, appunto perche' ancora non c'e' stata da parte degli uomini l'assunzione del fatto che la loro e' una cultura di genere e che ha preso quella strada. Va notato, a questo proposito, come Virginia accenni tra le righe, senza soffermarsi troppo perche', appunto, non le interessa e "rispetta" l'alterita', alla possibilita' che anche gli uomini "di buona volonta'" in qualche modo prendano coscienza di una perversita' della propria cultura e, sia pure con le difficolta' sopra segnalate, operino per una profonda revisione. Sembra, cosi', tutto molto semplice e lineare, e invece questo saggio presenta una serie di nodi che e' necessario, indispensabile affrontare. Cosi', cerchero' di fermarmi su quelli che mi appaiono nodi forti per noi. Vorrei commentarli dal mio punto di vista, cioe' da quello di una donna di questi tempi, che e' andata piu' volte, come tutte noi, a rileggere Virginia in cerca di risposte, suggerimenti, turbata oltre misura dal disagio di vivere che ora le sta addosso. * La cultura della differenza La guerra non e' solo quella guerreggiata. Uno degli strumenti di guerra strisciante e' l'esclusione sistematica di chi venga qualificato come "diverso". Secondo Foucault, tramite scuola, tv, giornali, riviste, l'assoggettamento da parte della cultura dominante (realizzato attraverso meccanismi sociali, di controllo e di esclusione, basati su ripetuti dualismi: noi e gli altri, i buoni e i cattivi, i giovani e i vecchi, i belli e i brutti, i sani di mente e i folli, gli eterosessuali e gli omosessuali, eccetera), volutamente tende a creare dei non-soggetti, che spesso finiscono per scegliere forme di violenza sempre piu' distruttiva e autodistruttiva. Come la guerra non pone fine ai conflitti tra i popoli, cosi' la repressione e l'emarginazione non fa che radicalizzare questa condizione di non-soggetti. Dunque, la cultura dell'esclusione, cioe' di uno strumento "bellicoso" usato dai poteri forti per tenere sotto controllo il resto del mondo, e' parte fondante della cultura di guerra. Anche le donne sono state tenute a lungo in condizione di esclusione e di assoggettamento, per quel che riguarda le leggi economiche, politiche, sociali; e a mio avviso lo sono tuttora, sia pure attraverso forme piu' subdole. Ma da sempre esse hanno espresso una propria cultura, sfuggendo cosi' al rischio di costituirsi anch'esse come "minoranza risentita" e dunque evitando distruttivita' e autodistruttivita'. Nelle Tre ghinee corrono due discorsi, che si intersecano continuamente pur svolgendosi autonomamente: il primo sottolinea l'esclusione delle donne dalla cultura, dalla economia eccetera (e mostra come la guerra sia un fatto degli uomini), l'altro sottolinea e valorizza la differenza della cultura femminile, che comporta una "capacita'" dello sguardo femminile idoneo a leggere il mondo da un punto di vista altro, con differenti modalita', differenti obiettivi e differenti motivazioni. E a operarvi in maniera differente. In qualche modo, cioe', Virginia cerca di relazionare la nozione di liberazione (la differenza), intesa come liberta' di essere, con quella di emancipazione, di visibilita' "ora e qui", richiamata dalle condizioni reali delle donne. Cosi' prende forma nel saggio una riflessione che pare oscillare tra la rivendicazione di diritti (e memoria e denuncia di quelli calpestati) e la piena coscienza dell'esercizio della differenza, che implica la liberazione dal risentimento e l'assunzione della forza straordinaria, da sempre operativa, che e' la cultura delle donne. Cio' che mi sembra particolarmente importante e' il fatto che Virginia colleghi l'esclusione alla differenza. E' grazie all'esclusione che le donne hanno elaborato la propria cultura. Ed e' lo sguardo "da fuori", estraneo, che permette a Virginia di cogliere cio' che gli uomini, da dentro, non possono vedere: per esempio, l'orrore, la miseria, il ridicolo della cultura di guerra. Gli abiti dei militari, soprattutto di grado, pieni di lustrini, pennacchi e medaglie, sono brutti, ridicoli, i nastrini e le onorificenze date agli uomini di cultura sono volgari. La ricercatezza dell'abbigliamento maschile costituisce il loro status civile, economico, politico, militare. Culturale. Pensiamo anche alla biblioteca dei college maschili, da cui le donne sono escluse: gia' in Una stanza tutta per se', Virginia annota quanto sia pericolosa tanto la "mancanza di tradizione" (delle donne) quanto "le conseguenze della tradizione" (degli uomini): e' brutto essere chiuse fuori dalla biblioteca, ma anche l'esservi chiusi dentro. A riprova, Virginia riconosce solo pochi grandi scrittori -come ha riconosciuto poche grandi scrittrici-, perche' l'essere chiusi dentro e' stato nocivo per la loro arte quanto per le donne l'essere chiuse fuori. Le donne, dell'essere fuori, hanno fatto cultura: una cultura piu' aperta, ricettiva, ricca. Ancora: Perche' le donne scrivevano nell'800 soprattutto romanzi e non poesia (intesa come opera pienamente riuscita e libera)? si chiede Virginia, e si risponde: perche' avevano un salotto in comune con gli altri della famiglia, mentre per scrivere poesia e' indispensabile il raccoglimento. Le interruzioni impediscono la poesia. Da qui l'esigenza della stanza tutta per se'. Eppure, la stanza in comune ha insegnato alle donne a cogliere le figure umane per cio' che sono, a osservare come si muovono, l'atmosfera che creano: "I sentimenti delle persone rimanevano impressi su di lei; aveva costantemente sotto gli occhi i rapporti umani". Ne Le tre ghinee, Virginia e' ancora piu' esplicita: annota come le donne, prive di danaro, di riconoscimento, di potere, abbiano accudito i parenti, fatto battaglie grandiose, soprattutto siano state "esseri umani civili". Dunque, "l'educazione gratuita", al di la' delle imposizioni e delle discriminazioni, ha di buono che le donne sono migliori degli uomini, e dunque sarebbe sciocco "buttare via i risultati di quell'educazione... o rinunciare... al sapere che in tal modo abbiamo accumulato". Torna quanto annotavo prima sulla relazione tra esclusione e differenza. "(Questa educazione gratuita) deve avere grandi virtu', oltre che gravi difetti, perche' non si puo' negare che quelle donne, se pure non erano istruite, erano tuttavia donne civili. Non possiamo, quando prendiamo in esame la vita delle nostre incolte madri e nonne, giudicare la loro educazione semplicemente in base alla capacita' di ottenere un impegno, di conseguire onori, o di fare quattrini". Ma cosa e' l'istruzione universitaria, quella negata alle donne, alla quale le donne vogliono accedere? Deve essere un gran bene, visto che gli uomini di potere e cultura se la sono tenuta stretta, eppure quell'istruzione ha avuto pessimi effetti. Non e' un valore assoluto. In piu' il rischio e' che le donne, acculturandosi all'interno di quella cultura portatrice di guerra, di quella quotidiana nutrice della guerra guerreggiata, possano diventare come gli uomini. Presuntuose, avide di potere, gelose dei propri privilegi, violente: "I fatti riportati non dimostrano forse a sufficienza che l'istruzione, la migliore del mondo, non insegna a odiare la violenza, bensi' a farne uso? Che, ben lungi dall'insegnare la generosita' e la magnanimita', essa rende la gente cosi' ansiosa di tenersi stretti i propri privilegi, la grandezza e il potere, da essere disposta a usare sistemi ben piu' subdoli della violenza quando le si chiede di farne partecipi altri? E non sono forse la violenza e il senso del possesso due sentimenti connessi molto da vicino con la guerra? (...) Come puo' l'istruzione educare a non amare la guerra se si usano sistemi di violenza, se si ha senso del possesso dei propri privilegi eccetera che sono alla base della guerra?". E ancora: "Cosa ci fa credere che l'istruzione (...) faccia odiare la guerra?". E dunque il punto e': se le donne entrano nel mondo degli uomini non diventano come loro? Vogliamo forse educare le figlie degli uomini colti a diventare come i loro fratelli, cioe' a farsi la guerra e a preparare la guerra? Anche per le libere professioni le contraddizioni sono analoghe: "Incoraggiando le figlie... a intraprendere le libere professioni non incoraggiamo proprio le qualita' che vogliamo estinguere?". Il punto e' che chiunque acquista privilegi diventa possessivo, geloso degli altri, aggressivo eccetera. "Non abbiamo dunque ragione di pensare che se anche noi eserciteremo le stesse professioni acquisteremo le stesse qualita'? E non sono proprio queste qualita' a provocare le guerre? Tra un paio di secoli, se eserciteremo le professioni allo stesso modo, non saremo anche noi possessive, gelose, aggressive (...) come sono oggi questi signori?". E insomma, riflettendo sul corteo dei figli degli uomini colti, dei fratelli privilegiati: "Abbiamo voglia di unirci a quel corteo, oppure no? A quale condizione ci uniremo a esso? E dove ci conduce il corteo degli uomini colti? C'e' poco tempo; cinque anni, dieci o forse puo' essere questione di pochi mesi ancora. Ma bisogna trovare risposta a quelle domande...". E' a questo che le donne devono pensare, insiste. E se le si obietta che non hanno tempo tra le tante incombenze, lei risponde che le "figlie degli uomini colti hanno sempre pensato i loro pensieri cosi' alla buona; non a tavolino, nel proprio studio, nella solitudine tranquilla di un chiostro di universita'. Hanno pensato mentre rimestavano la minestra, mentre dondolavano la culla (...) E' nostro dovere ora continuare a pensare; come la spenderemo quella moneta? Pensare, pensare, dobbiamo. In ufficio, sull'autobus, mentre (...) Non dobbiamo mai smettere di pensare: che civilta' e' questa in cui ci troviamo a vivere?". Le donne sono dunque tra l'incudine e il martello: da una parte il sistema patriarcale e "le pareti domestiche, con il loro nulla, la loro immoralita', la loro ipocrisia, il loro servilismo", e dall'altra "il mondo della vita pubblica, con la sua ossessivita', la sua invidia, la sua oppressivita', la sua avidita'". Al centro loro, alle quali allora, come oggi a noi, si pone il problema di cosa sia vivere, di cosa vogliamo fare della nostra vita. (Quando frequentavo l'Universita', era ancora in uso quella stupida abitudine del "papiello": i veterani fermavano in strada le matricole e, nelle migliori delle ipotesi, le obbligavano a offrire dolci e paste. Allo stesso modo, in caserma, i "nonni" maltrattavano le reclute. Quando ero molto giovane mi chiedevo perche', chi aveva subito, una volta "emancipato", non ricordasse piu' il profondo senso di ingiustizia presente in quegli eventi, e pensasse unicamente a sostituirsi nel ruolo di oppressore. Secondo lo stesso principio, sia pure con diverso impatto, i bianchi maltrattavano i neri, i nazisti sterminavano gli ebrei, e cosi' via. L'unica, mi dicevo, e' combattere contro l'ingiustizia, la prevaricazione, la violenza. Questo ci siamo dette e detti in tante, tanti: cosi' oggi non c'e' piu' il papiello, il nonnismo, ma per il resto abbiamo scoperto che il potere e' di per se' oppressivo, ingiusto, violento. Il potere trasforma. Percio' crea dei non-soggetti, opera sui "soggetti emergenti" cercando di portare divisione, classificazione: perche' non vuole essere attaccato). La differenza, sebbene si paga con l'avere minori privilegi, se, come notavo all'inizio, si e' data una forma, un linguaggio, una cultura, e' preziosa, e' ricchezza, e' forza, etica ed estetica, possibilita' di mettere di nuovo e al nuovo le questioni. Anche questa del potere. * Il percorso di Virginia Il percorso di Virginia, lo annotavo prima, va su due binari: pensando ai vantaggi dei college maschili, per esempio, guardando il corteo dei figli degli uomini colti, riflette che anche le donne un giorno potrebbero guadagnare soldi, avere potere, fare buone leggi per le donne, eccetera ma... ma c'e' la lettera sul pacifismo e ci sono le foto. E vengono le considerazioni sopra segnalate (a cosa e' servita l'istruzione se non a formare una cultura di guerra?, e poi: e' vero, con le libere professioni si fanno soldi ma "fino a che punto il danaro (...) e' in se stesso un bene desiderabile?". Arriviamo per questa via a una sorta di decalogo per le donne, cioe' a un elenco che sostanzia la differenza. Che si identifica con l'elenco che enumera gli elementi della "educazione non pagata", e cioe': poverta', castita', derisione, e "liberta' dai fittizi legami di fedelta'". Ma che si preoccupa anche di come avere peso, senza rinunciare a cio' che si desidera e a cio' che si e'. Il punto e' che Virginia non parte astrattamente o intellettualmente dalla differenza, arriva alla nozione di differenza. Parte dai desideri condivisi: di liberta', di sperimentarsi, di muoversi in uno spazio largo, non oppressivo, chiuso. Quando, piu' avanti, sempre ne Le tre ghinee, tratta del rapporto con i padri, sottolinea che essi si scontrarono con una forza indistruttibile, non contro il femminismo, non contro l'emancipazione, ma contro qualcosa che e' poco chiamare antifascismo o liberta' di pensiero o desiderio di liberta': le donne volevano viaggiare, amare, lavorare, imparare la musica o la pittura non come esercizio alla moda ma come arte. Volevano, "come Antigone, non violare le leggi, ma trovare la Legge". E' il desiderio di essere, e' ancora pia' che ribellione. E' la scelta di vivere, di avere il proprio spazio, di crescere usandosi. E' questa cosa la differenza. Le donne si misero insieme perche' avevano un'idea di mondo cosi' bella e a quell'idea non potevano rinunciare. Perche' era gia' nella loro pratica, non era un'astrazione, era qualcosa che gia' possedevano, elevata all'ennesima potenza. Per questo Virginia non lascia altra via che nutrire la differenza, non si puo' tornare indietro ma non si puo' entrare in una modalita' che non ci piace, ora. E dunque l'unica e' riuscire a non disgiungere emancipazione da liberazione. L'unica e' riuscire a trovare un altro modo. E va detto tra parentesi che riuscire a trovarlo e a sostenerlo significa anche che le critiche al sistema patriarcale, alla tipologia della societa' maschile, non escludono che gli uomini che lo volessero avrebbero potuto, potrebbero, trovare un altro modo. Cioe' se le donne hanno scelta tra l'imitare il mondo dei potenti o creare un mondo loro, significa (cosa del resto sostenuta da tanti intellettuali) che la strada per lo "sviluppo" scelta dalla civilta' maschile avrebbe potuto essere altra. Cioe' che anche gli uomini avrebbero potuto scegliere in modo diverso, dunque ci si puo' alleare (con quelli che rimettono in discussione la propria cultura, che comprendono che anche quella e' di parte, e che siano capaci di leggerne le derive). * La scrittura delle differenza e' contro la guerra La passione con la quale Virginia difende la differenza e' la stessa che abbiamo posseduto noi e che ci ha fatto forti. E' quella che ci ha portato a studiare la storia delle donne, le scritture delle donne, e' quella che fa si' che molte di noi guardino con antipatia ogni tentativo di creare un canone femminile, sia in letteratura sia comportamentale, proprio perche' la ricchezza delle differenza e' tale da superare l'essere semplicemente antitesi e contrappeso del canone maschile. La cultura della differenza non ha canone ne' canoni. Le scrittrici, le artiste, che amo, sono quelle che hanno rappresentato lo spazio, il momento, la percezione di cio' che il corpo era capace in quel momento di accogliere. E questo introduce un tema importantissimo. Che e' la nozione di letteratura per Virginia, il senso dello scrivere. Gia' in una stanza tutta per se' Virginia aveva scritto: "Datele altri cento anni... datele una stanza tutta per lei e cinquecento sterline l'anno, lasciatele dire quello che pensa... e sara' una poeta". Nelle Tre ghinee, a proposito della guerra guerreggiata e di come prevenirla, scrive: "(Bisognera') sottoporre la sua richiesta (dell'avvocato) alle figlie degli uomini colti, chiedendo loro di aiutarvi a prevenire la guerra non con consigli ai fratelli su come difendere la cultura e la liberta' di pensiero, ma semplicemente leggendo e scrivendo la propria lingua in modo tale da difendere direttamente quelle divinita' cosi' astratte". Ma cosa significa "semplicemente leggendo e scrivendo la propria lingua", per difendere cultura e liberta' di pensiero? Significa che la differenza si da' forma nella scrittura, e anche che la scrittura nutre la differenza. Se intendiamo il rapporto scrivere-vivere, scrittura-vita. La scrittura e' liberta' (dalla condizione materiale e dai condizionamenti di pensiero) e gli steccati, le proibizioni, come gli "imperativi categorici", nuocciono alla scrittura. E dunque le donne, che volevano scrivere, che scrivevano, furono attaccate o cancellate proprio quando davano forma a se stesse. Erano eversive e pericolose prima ancora di sapere di esserlo. Lo hanno appreso proprio a causa di quelle esclusioni. Per fare poesia, per scrivere, c'e' la necessita' di liberarsi dal risentimento e di possedere serena consapevolezza di se' e del mondo. (E non cio' che oggi, anche in tv viene chiamato "autostima e sicurezza di se'"). Significa che l'identita', una volta riconosciuta e posseduta, va dimenticata. Virginia, continuando a ragionare su "immediato bisogno di emancipazione e validita' delle denunce" e "necessario farsi della differenza (poiein)", pur comprendendo e sottolineando le difficili condizioni di lavoro delle donne (l'indigenza, l'essere attaccate, poco stimate), nota come le scrittrici, che abbiano portato nelle proprie opere odio e rivendicazioni, siano state distratte dall'oggetto del loro lavoro che e' la realta' attorno. L'odio ha impedito loro di essere grandi. E invece: "(Jane Austen) scriveva senza odio, senza amarezza, senza paura, senza protestare, senza far prediche". Jane Austen scriveva esprimendo la propria soggettivita', per questo e' stata una grande scrittrice. Bisogna "scrivere da donna (valorizzazione della differenza) ma da donna che ha dimenticato di essere donna (la piena liberta')". E' questo il segreto: la naturalezza della coscienza di se' e del proprio sguardo sul mondo, la relazione col mondo grazie alla capacita' percettiva e all'accoglienza dei suoi segni, che permettono di accogliere l'incanto, l'assunzione della scrittura come linguaggio del corpo, le problematiche inerenti il linguaggio, il rapporto tra estetica e etica. Il punto e' che la poesia e' nelle cose e si rivela quando riusciamo a vederle (e loro riescono ad essere) nella loro interita'. Nella poesia l'etica e l'estetica trovano finalmente la propria relazione. La bellezza, la grazia di cio' che e' attorno, la sua autenticita', ci permette, se ne siamo capaci, di cogliere la grazia dell'essere: quella cosa e'. E' nel pieno di se'. E' questa l'etica della grazia, ed e' anche la grazia dell'etica. Per cogliere cio', serve che lo sguardo di chi guarda incontri lo sguardo della cosa guardata, cioe' che ci sia relazione. Da qui nasce l'incanto che e' il primo germe della poesia. La grazia c'e' quando lo svelamento e l'essere si esplicano, si mostrano, sono. E dunque sono anche buone, nel senso che sono. La bellezza sta nell'essere, che e' predisposizione alla grazia. Questo intendo per relazione tra estetica e etica. Le persone, la politica tradizionale, le nazioni che si scannano, sono cose prive di grazia e di etica, perche', invece di essere libere, sono schiacciate dalle sovrastrutture della cultura, degli interessi privati, della deformazione della cultura di violenza, della mentalita' diffusa ad arte, della paura. Una volta certe della propria liberta', la sperimentazione del linguaggio e del discorso permette di riuscire a dire il non ancora pensato. Virginia cerca di dare forma al balbettio. Che e' tale perche' si inventa un modo che prima non c'era, perche' e' fuori da canoni e non li cerca. (Virginia ci autorizza, ci obbliga e ci aiuta, a leggere allo stesso modo altre scrittrici e a riconoscere, grazie a questa "griglia", quelle che possano insegnarci qualcosa). Tutto cio' che Virginia scrive nei suoi saggi, capolavori del genere (e di genere), lo rappresenta nelle sue opere di poesia. Le quali sono esattamente il mondo visto da lei, sono anche la spiegazione del perche' lo vede in quel modo. Sono "quella cosa che prima non c'era e poi c'e'", come un fiore, un albero, una citta', una guerra. Sono parte dell'esistente. E' in questo senso che la poesia e' "fare il mondo", perche' e' creatrice. Non si scrive per cambiare il mondo. Non si scrive per, non si legge per. Scrivere e' fare, e' essere (nel) il mondo. Chi scrive e' nel proprio sguardo, e' il mondo che rappresenta. Virginia questo lo sa. Percio' afferma che "leggendo e scrivendo la propria lingua si salva la liberta'". Perche' conosce la forza creatrice. Ne Le tre ghinee, ma anche in Una stanza tutta per se', Virginia, grazie al linguaggio che usa, alle modalita' che persegue, da' forma all'immagine che nasce dalla relazione con lo spazio che la circonda. Ma possiamo anche dire che la forma che si da' il pensiero di Virginia e' il contenuto piu' importante, e' il pensiero essenziale, e' la rappresentazione del pensiero, che nel farsi tale dice anche di piu' dei proponimenti, diciamo, del pensiero. (Scrivere il non ancora pensato, indicibile-detto-nuovo indicibile). Quell'io, novita' assoluta nella saggistica, e' la dichiarazione di un centrale corpo femminile che guarda, si presenta anima e corpo, diciamo, tasta il territorio, lo spazio: in Una stanza tutta per se' era il college, la biblioteca, i libri che aveva attorno, ne Le tre ghinee ancora la stanza, la scrivania, cio' a cui arriva il suo sguardo: le foto di guerra, le lettere, le relazioni affettive, i ricordi, i pensieri. Lei tocca le cose. Non e' teoria. Il ragionamento nasce dalla percezione del corpo. E si muove come in un dialogo interno. Virginia pensa mentre scrive, fa ricerca, sperimenta. E' fuori canone: fa uso del massimo impegno di sincerita', di autenticita'. Tasta lo spazio interiore, lo esplora. Dialoga con se stessa. Il gioco della sua scrittura continuamente dice e torna indietro, si mette dal punto di vista della mentalita' corrente e poi dal suo, femminile e personale. E' come un grande quadro, o un prodotto multimediale che apre continue finestre con differenti linguaggi: seri, ironici, rivendicativi, superiori, utopistici, etici... * E ora? Che sensazione di freschezza che ricavo da questa lettura. Virginia non smette mai di darmi un senso intimo di pace, sia pure cogliendo il dolore della coscienza che essa possedeva. Queste cose che noi "femministe" abbiamo scoperto tanti anni fa, in cui abbiamo creduto e poi rivisitato e poi articolato, queste cose che penso tuttora, le ha pensate Virginia, la grande. E dunque, possiamo ricominciare a farci queste domande, perche' siamo in un momento in cui dirci: tra cinque, dieci anni, tra mesi, sara' veramente tardi. Il punto e' che ora alcune cose sono cambiate. E siamo cambiate anche noi. E' cambiata la vita delle donne e l'immaginario sulle donne. E' cambiata l'insoddisfazione che viviamo, il dolore che percepiamo, l'urgenza degli eventi. Che cosa e' per noi oggi la nozione di differenza? Meglio ancora: voglio partire, come fece Virginia, non da una nozione astratta di differenza, ma dai desideri: che cosa vogliamo noi? a che cosa ci ribelliamo? Cosa ci e' insopportabile? Grazie a quale sentimento siamo (possiamo essere) una forza invincibile? Cosa vogliamo costruire? Com'e' il mondo che vediamo? Serve prima qualche riflessione su cui confrontarci. Ma il mio (il nostro) e' un balbettio confuso. So che stiamo cercando altro, anche quando parliamo di cio' che abbiamo capito. * Le donne non sono piu' invisibili Virginia scrive in un periodo (la cultura dell'imperialismo inglese, la guerra, i grandi nazionalismi) in cui avvenivano trasformazioni, era lei la trasformazione. Le donne erano "fuori" e ci si interrogava su come essere libere di vivere, di significare cultura, punti di vista, autorevolezza. Le donne erano madri, moglie, sorelle, chiuse nelle case e nel ruolo assegnato, e le visibili (che davano scandalo) erano, diciamo, le progressiste, quelle che sfidavano il silenzio, la clausura delle menti e dei corpi. Virginia e le donne che si sono ribellate, volevano viaggiare, scrivere, essere libere e non sopportavano l'esclusione che impediva loro di essere (ma e' l'esclusione che ha contribuito alla differenza, ricordo). Oggi, c'e' un nuovo immaginario femminile che la societa' sta costruendo. La pericolosita' di questo nuovo immaginario sta nel fatto che il corpo femminile, restituito alla liberta' e alla dignita' come essenza della differenza di genere, punto di vista da cui parte lo sguardo sul mondo, la percezione, la relazione con l'altro, e introdotto in letteratura proprio dalle donne (come oggetto-soggetto e come linguaggio), oggi ci viene mostrato essenzialmente come strumento di seduzione pubblicitaria e commerciale sempre piu' volgare, luogo di dolore e di sevizie, artefice esso stesso di torture e di disastri, soggetto di distruzione e di autodistruzione, potere politico magari speculare a quello maschile (e non c'e' niente di peggio del fatto che vinca l'idea della specularita'). La visibilita' che, nei mezzi di comunicazione (che hanno ora un potere maggiore di quello di ieri, anzi: assoluto, visto che non ci sono piu' altre forme di confronto e di relazione e cioe' le assemblee, i collettivi, le riunioni...), si da' al femminile (a un certo femminile), e che e' tanta, e' fatta proprio per sottolineare una pretesa raggiunta uguaglianza. La differenza e' unicamente nell'aspetto fisico (la superfetazione di labbra e seni, l'odiosita' di voci sempre sopra le righe, i bisticci patetici) e neanche piu' nella grazia o nella bellezza, perche' ci raccontano e ci mostrano che i due sessi sono sempre piu' vicini. Ci assalgono immagini nuove di corpi di donne, immagini che attraverso questa guerra hanno segnato e sottolineato una realta' in trasformazione che non possiamo non cercare di decifrare. Perche', accanto ai corpi distrutti delle donne, accanto ai volti delle donne che lottano per la pace, ci sono i volti, i corpi di donne militari torturatrici, di politiche fredde autrici di azioni di guerra, di intellettuali "intelligenti e sfrontate", di guerriere, terroriste, suicide e portatrici di morte, ci sono madri che uccidono figli, madri che prostituiscono le figlie; volti e corpi ampiamente sfruttati dai mezzi di informazione, con una logica terribile che sta a noi leggere e smascherare. Non si tratta piu' di cancellazione della cultura delle donne, ma di una strisciante operazione di omologazione. C'e' l'adescamento a uno slittamento minimo progressivo, alternato con scatti distruttivi. Il mondo dell'immaginario femminile, fatto dagli sguardi delle donne, dalle relazioni che esse creano o alle quali tendono, quel mondo della differenza, viene messo in crisi da parte del mondo "ordinario", che pretende di renderci a se' interne, che, mistificando, sottolinea la non-differenza, la ormai avvenuta integrazione (cioe' omologazione), in piu' pretendendo di rendere oggettive, inevitabili, la guerra e le guerre, le miserie e le catastrofi, presentandosi di nuovo comprensivo anche di noi. Neutro. Quando le donne aderiscono alle modalita' maschile, finiscono per dover fingere (o convincersi di possedere) un rapporto con questo istinto di guerra (o di competizione, o di egoismo, o di violenza) che non hanno (Virginia: "non riesco a capire"), e cosi' facendo prostituiscono il loro corpo e la loro mente, diventano schiave - vedi le torturatrici, ma anche le terroriste che si fanno raccontare favole riguardo il mondo che verra'. C'e' anche un'altra ipotesi: che appartenga anche al femminile, sia pure a suo modo, la possibilita' del ricorso alla morte e alla distruzione. Che certi gesti (le torturatrici, le terroriste, le politiche "guerrafondaie", le intellettuali fuori di testa, le "madri assassine"...) non siano corpi estranei a noi, ma siano dentro di noi, cioe' dentro il nostro mondo. E' possibile che il femminile contenga come espressione di soggettivita' anche quella suicida violenta crudele. Che sia dentro di noi. Come abbiamo scoperto che l'invidia, la gelosia, l'ambizione, la menzogna, appartengono al genere femminile come a quello maschile, sia pure sempre a suo modo. Puo' darsi, ma, appunto, sta a noi affrontare questo nodo nostro interno, e leggerlo a nostro modo. Perche' in tal caso, il "femminile" dovra' essere sottoposto a una lettura critica e analitica che preveda di nuovo le "classi", le ideologie, i percorsi individuali o di gruppo, eccetera. Perche' una cosa e' certa: nel mio quotidiano quella "educazione gratuita", quella "differenza", la presenza di quegli "esseri umani civili", nei comportamenti, nelle relazioni, nei ragionare, mi manca. E ho molta paura. Sta di fatto che abbiamo perduto la verginita': sappiamo troppo. Siamo in guerra, siamo in posizioni che comportano competitivita', siamo torturatrici, terroriste, e siamo protagoniste di film, romanzi, e anche veline, ragazze da calendario, e non piu' passive ma soggetti. E' vero, non siamo piu' "figlie degli uomini colti", siamo noi le "donne colte". Ma certo non siamo piu' quelle madri per le nostre figlie. * Mi chiedo: quali soggetti siamo? (Parlo di noi, non delle "donne") Virginia ha riflettuto: se l'istruzione e' quella cosa che comporta una mentalita' di guerra, di presunzione, carrierismo, egoismo... vogliamo davvero seguire i nostri fratelli? E se invece, come abbiamo sempre detto, non vogliamo seguirli e crearci una nostra strada, essa deve significare una qualita' differente nella modalita', nel linguaggio, nel suo farsi, nel poiein. Ecco perche' Virginia conclude che per fermare la guerra basta scrivere. Virginia da' le tre ghinee perche' pensa che esse aiutino le donne a essere, cioe' a perseverare nella differenza (quello che ho chiamato il decalogo), ad articolarla, a diffonderla tra le altre donne, a esercitare una critica nei riguardi del maschile che faccia spostare e dividere lo stesso maschile (Virginia chiede all'avvocato di riflettere "sulle ragioni per cui quelle scuole e quelle universita' hanno fallito"), senza entrare nella sua logica che per Virginia e' incomprensibile. Se si accetta la logica di qualcuno ci si muovera' con la stessa logica. Dobbiamo riflettere se, quelle tre ghinee, le abbiamo usate nel migliore dei modi, se non abbiamo accolto quegli elementi che giustamente Virginia leggeva come, anch'essi, "cultura di guerra". Vorrei che tornassimo a interrogare il nostro quotidiano, i nostri atteggiamenti, la nostra difficile strada che si muove sempre in quel "campo di ambiguita'" (come chiamai lo spazio letterario delle scritture di donne) e che ora si riveste di nuove articolazioni. Se le politiche donne assomigliano sempre piu', nei modi e nei procedimenti, cioe' anche nei linguaggi, ai loro colleghi, se le imprenditrici, le accademiche, le scrittrici, le dottore, le avvocate, le architette, eccetera, accolgono e usano le modalita' e i comportamenti maschili, quale meraviglia se le soldatesse torturano, le consigliere militari mentono, le terroriste uccidono? E se le ragazze vogliono fare le veline non e', sia pure su un piano differente, la stessa cosa? Si tratta di un processo di omologazione, di espropriazione, che prende forme diverse, ma che certo ha sempre meno a che fare con quella differenza grazie alla quale abbiamo iniziato il nostro viaggio. Vorrei che ci fermassimo a ridiscutere noi stesse, ad analizzare di nuovo come uscire dalla contrapposizione tra esercizio della differenza e assunzione di ruoli e di responsabilita' in una societa' che non alle donne ha pensato quando ha creato la griglia di valori che permette l'entrata in quegli stessi ruoli e l'esercizio di quei ruoli. Se torno a fatti piccoli e grandi, piu' sopra citati, dal nonnismo al papiello universitario, dalla fatica di salire in cattedra di tanti che nel '68 hanno lottato contro i baroni e ora lo sono essi stessi baroni ed esercitano allo stesso modo il potere, se penso ai giovani poeti e ai giovani artisti di una volta, alle sperimentazioni in arte poi assorbite a canoni, se penso ai giovani nei confronti degli adulti, alla sinistra nei confronti della destra, agli onesti e ai disonesti, ai popoli oppressi, alle donne, mi rendo conto che il modo con cui si esercitano le cose, una volta che sia stato permesso solo di annusare qualche parvenza di potere, e' sempre lo stesso. E questo non e' questione che astrattamente possa impensierire, e' che porta le guerre, le distruzioni, il terrorismo, la fame e la violenza, e porta superficialita', volgarita', apparenza, porta un mondo doloroso e cinico che a volte la fantascienza ha disegnato. Porta infelicita'. Porta autodistruzione. 4. EDUCARE ALLA PACE. SABATO, A SCUOLA La mattina del 5 marzo, al liceo scientifico di Tuscania, con i ragazzi della quinta B e della quinta A, in piedi in silenzio rendiamo omaggio a Nicola Calipari. Il volto di quest'uomo che salva le vite, il volto di quest'uomo assassinato, dico, questo e' il volto della nonviolenza. E questa e' scuola vera, la sola che vale. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 11 del 6 marzo 2005
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