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La nonviolenza e' in cammino. 851
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 851
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 25 Feb 2005 00:36:08 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 851 del 25 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Pier Scolari: Cara Giuliana 2. Mao Valpiana: Assolti. Una vittoria della nonviolenza, una vittoria di tutti 3. Per Renzo Imbeni 4. Rosangela Pesenti: Antigone tra le guerre. Appunti al femminile 5. Per una bibliografia sulla Shoah (parte ventinovesima) 6. Sherry Glaser: Lacrime 7. Presto in libreria una nuova opera di Enrico Peyretti 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. PIER SCOLARI: CARA GIULIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 febbraio 2005. Pier Scolari, persona di forte impegno civile e di straordinaria umanita', e' il compagno di Giuliana Sgrena. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] Cara Giuliana, nel video mi sembravi un uccellino in gabbia, con i capelli arruffati e lo sguardo impaurito, e mi chiedevi di salvarti e vedrai che tutti noi ci riusciremo. Sabato a Roma c'e' stata una manifestazione imponente e commovente. Non c'era solo il nostro popolo della pace, c'era tutto il popolo italiano a chiedere la tua liberazione. Ho rivisto gli amici e i compagni di tutta la nostra vita, non hai idea quanti, ci mettero' molto tempo - quando tornerai - a ricordarteli tutti. E poi la gente del nostro quartiere, che conoscevamo appena, ma che ha riempito di locandine le strade di casa e, magari per la prima volta, ha partecipato a una manifestazione. Ora ti scrivo queste righe, tradotte anche in arabo perche' spero - chissa' - che tu riesca a leggerle per avere un po' di conforto, per non farti sentire sola, per abbracciarti insieme a tutti noi che non smetteremo di lottare fino a quando non tornerai a casa. Papa' e mamma sono straordinari, sono venuti a Roma bersagliati da telecamere e fotografi e hanno retto benissimo, tuo padre e' diventato un'icona con la sua barba bianca e lo sguardo lucido e commosso, la mamma sembra te: un po' impaurita, smarrita tra tanta gente, dolcissima. Ma vorrei anche parlare ai tuoi rapitori. Io non so chi siano ne' chi possano essere, ma per quanto lontani da noi sono uomini che possono ascoltare. Tu sai quanto io abbia sempre cercato di trovare e capire le ragioni degli altri, di tutti gli altri, anche di quelli tanto diversi da noi da sembrare di un altro mondo. In fondo giravamo tanti paesi lontani anche per capire questo. Ora non so come rivolgermi a loro, alla loro umanita' che pure certamente esiste in un contesto di tragedie e devastazioni portate dalla guerra. Mi sento solo di dirgli di parlare con te, di guardarti negli occhi, di trovare nelle tue parole, oltre che nelle foto che tu hai fatto e che certamente avranno visto sui canali televisivi arabi, le ragioni di un'umanita' che sembra perduta, le ragioni di una passione per un popolo, quello iracheno, che tu hai raccontato come forse nessun altro e' stato capace di fare. E se poi vogliono altro - soldi, politica o chissa' - altri sapranno trattare. Amore mio ti abbraccio forte forte, ci rivedremo presto. Pier 2. GIUSTIZIA. MAO VALPIANA: ASSOLTI. UNA VITTORIA DELLA NONVIOLENZA, UNA VITTORIA DI TUTTI [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] 12 febbraio 1991: blocco nonviolento del "treno della morte". 24 febbraio 2005: assolti. Un lungo applauso liberatorio, nell'austera aula della prima sezione della Corte d'Appello di Venezia, ha salutato la definitiva sentenza assolutoria per i 17 nonviolenti imputati del reato di blocco ferroviario perche' "in concorso tra loro ostruivano ed ingombravano i binari d'entrambe le direzioni di corsa della ferrovia con la presenza fisica ed anche sdraiandovisi sopra, al fine di impedire la libera circolazione di un convoglio viaggiante con precedenza assoluta e recante forniture militari con destinazione Livorno e per il Golfo Persico". C'era una bella presenza di amici della nonviolenza oggi a Venezia, per assistere al processo e portare solidarieta' agli imputati. Amici venuti anche da lontano, da Torino, da Ferrara, da Gorizia. Cinque gli imputati presenti: Vincenzo Benciolini, Massimo Corradi, Vincenzo Rocca, Maurizio Tosi, Massimo Valpiana. Venivamo da un processo di primo grado (Tribunale di Verona, 27 gennaio 1997) che si era concluso con l'assoluzione "perche' il fatto non sussiste". Il Pubblico Ministero, che aveva chiesto una condanna a 10 mesi di reclusione, aveva presentato ricorso chiedendo "che la Corte d'Appello di Venezia voglia condannare tutti gli imputati alla pena di legge". Questo processo di secondo grado poteva concludersi in diversi modi: non luogo a procedere per intervenuta depenalizzazione di alcuni reati; accoglimento dei motivi dell'appellante e condanna sospesa per intervenuta prescrizione; rinvio alla magistratura civile per sanzione amministrativa; assoluzione con diverse motivazioni. Con i nostri avvocati abbiamo valutato che la prescrizione e la depenalizzazione non ci avrebbero soddisfatto. Cio' che ci interessava era la piena assoluzione e quindi il riconoscimento da parte della magistratura della legittimita' del nostro agire. Quindi gli avvocati presenti (Sandro e Nicola Canestrini di Rovereto, Maurizio Corticelli di Verona, Nicola Chirco di Bologna) era pronti a discutere la causa nel merito. Forse i giudici non si aspettavano di trovarsi davanti il collegio di difesa al gran completo, ne' di vedere l'aula piena di pubblico. In apertura di udienza, dopo i preliminari di rito, il Procuratore Generale ha ritirato l'appello avverso la sentenza assolutoria di primo grado che era stato presentato dal Pubblico Ministero di Verona. I giudici si sono quindi ritirati alcuni minuti in camera di consiglio e poi il Presidente ha dato lettura della decisione di confermare in via definitiva la piena assoluzione di tutti gli imputati "perche' il fatto non sussiste". Dunque una vittoria della giustizia, del diritto, della nonviolenza. * La sentenza, oggi definitiva, fara' da precedente per altre future azioni nonviolente. Vale forse la pena di evidenziare qualche passo delle motivazioni assolutorie. "... essendo stata l'azione comunque posta in essere per salvare delle vite umane compromesse dall'arrivo in Iraq dei carrarmati trasportati sul convoglio". "... porre in essere una manifestazione nonviolenta a carattere meramente simbolico rientrante nell'ambito dei diritti costituzionalmente garantiti ed in particolare quello della libera manifestazione del pensiero con riferimento al ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali (forse per trovare un po' di spazio sui mass media impegnati in quei giorni in una gara generale di conformismo, nel cercare di convincere, appiattendosi acriticamente sulla posizione assunta dal governo allora in carica, l'opinione pubblica italiana che quella che si andava a combattere in Iraq non era una guerra ma 'un'operazione di polizia internazionale')". "... La manifestazione inscenata dai pacifisti del Movimento Nonviolento e' stato un semplice atto dimostrativo di carattere meramente simbolico finalizzato a sensibilizzare l'opinione pubblica in ordine al pericolo di risolvere con le armi le controversie internazionali". "... E che l'intenzione fosse quella cui si e' detto, vi e' chiara traccia anche nel comunicato, pienamente coerente col comportamento tenuto dagli imputati, letto in udienza e fatto proprio da quelli di loro presenti: 'quando partecipammo a quella manifestazione nonviolenta eravamo perfettamente consci di non essere in grado di fermare se non simbolicamente l'escalation della guerra... la nostra e' stata un'azione che e' andata piu' in la' della politica, nella speranza di poterla un giorno contaminare...'". * E' una sentenza che andrebbe letta sui banchi di scuola. Una sentenza che accoglie il senso profondo della nostra azione nonviolenta: bloccare un treno che porta un carico di morte non e' reato, ma e' un atto coerente con la legge suprema della vita. La democrazia italiana oggi ha fatto un passo in avanti. La nonviolenza e' cresciuta. E' stata una vittoria di tutti. 3. LUTTI. PER RENZO IMBENI La scomparsa di Renzo Imbeni ci priva di un amico e di un compagno di lotta. Militante politico e pubblico amministratore di straordinario rigore e infinita generosita', acuto interprete dei segni dei tempi, uomo di pace e sempre piu', sempre piu' profondamente, sempre piu' consapevolmente, sempre piu' soavemente amico della nonviolenza. Scrisse per questo foglio interventi di cui ancora gli siamo grati, ma di tutta la sua vita gli siamo grati. 4. RIFLESSIONE. ROSANGELA PESENTI: ANTIGONE TRA LE GUERRE. APPUNTI AL FEMMINILE [Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo testo di una conferenza tenuta all'inizio del 1997, pubblicato in Alessandra Ghiglione, Pier Cesare Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio. Appunti sulla scena al femminile, Euresis Edizioni, Milano 1998. Rosangela Pesenti e' una delle figure piu' autorevoli e prestigiose del movimento delle donne in Italia. Sulla figura di Antigone cfr. oltre all'archetipo sofocleo almeno Cesare Molinari, Storia di Antigone, De Donato, Bari 1977; George Steiner, Le Antigoni, Garzanti, Milano 1990, 1995] Non sono un'esperta di teatro, la mia quindi non sara' una lezione, ma una conversazione sul tema: avete ascoltato su Antigone molti discorsi colti, la mia sara' una conversazione incolta, il racconto di una "prossimita'" fisica piu' che un discorso argomentato. Antigone e' una donna raccontata da un uomo e nel corso dei secoli da molti uomini, una figura quindi di grande fascino posta ai primordi della nostra civilta', alla soglia della citta', custode del passaggio alla polis e dei rischi connessi a questo passaggio. In questo lungo racconto, che si snoda per alcuni secoli, Antigone e' soprattutto il suo gesto, un corpo diventato puro significante per molteplici interpretazioni, una giovane donna diventata simulacro, contenitore, segno di molti nobili significati. Io vorrei avvicinarmi a questa giovane donna, restare corpo a corpo con lei accantonando le molte passioni che hanno accompagnato il suo gesto e rimosso la sua "realta' fisica". Nel suo gesto il corpo di donna e' stato di volta in volta enfatizzato per sottolineare una differenza tra i sessi che sconfina con lo stereotipo o, al contrario, accantonato, per fare di lei il simbolo puro della lotta all'oppressione. Nella storia l'azione e' mossa da Creonte, Antigone si esprime attraverso il gesto con il quale si prende cura della morte esprimendo insieme l'affetto fraterno, la solidarieta' tra pari e l'autonomia della scelta individuale. Alla fine Creonte entra in crisi ma ancora una volta chi discutera' e agira' il futuro non sara' Antigone che non puo' sopravvivere alla sua scelta. Lei quindi resta poco piu' di un tramite, per parole, gesti, passioni che agiscono oltre la sua vita e oltre la sua morte, figura innalzata a simbolo ma anche pietrificata e resa inoperante. Quando mi e' stato chiesto di parlare di "Antigone tra le guerre" ho interpretato il titolo non come storia della rappresentazione del testo di Antigone tra le due guerre mondiali, ma interrogandomi su chi e' Antigone in mezzo alle tante guerre del Novecento che ognuno di noi si porta, in parte come eredita' e in parte come vissuto. Quale Antigone mi accompagna tra le macerie che le guerre del Novecento hanno disseminato nelle nostre citta'? Non un simulacro, non una fanciulla che muore prima di godere e patire per intero la propria scelta, non una ragazzina sottomessa al destino, immobilizzata per sempre in un gesto. Cosi' come non esiste la donna, immagine stereotipata che immobilizza e scarnifica la molteplicita' delle storie, non esiste la guerra come astratto male della civilta', condanna della specie, ma esistono le guerre e il moltiplicarsi delle sofferenze che, pur definite con un unico nome, sono infinite nel diversificarsi e accomunarsi delle tragedie individuali. * Per attraversare il Novecento e le sue guerre, alcune delle guerre, ho scelto l'Antigone di Maria Zambrano, una ragazza viva, che parla dalla sua tomba e ci interroga. Nel Novecento le donne hanno cercato di riappropriarsi del proprio corpo, di superare quella scissione tra il corpo e la parola che le ha consegnate da sempre, mute, ai significati stabiliti dagli uomini e ha ridotto la loro voce al grido, al lamento, alla moina. Maria Zambrano, filosofa, sa che non si esce dal silenzio ignorando il corpo e la rete di significati nei quali e' rimasto intrappolato, sa che la parola e' prima di tutto voce, legame tra il dentro e il fuori, deposito dei pensieri e sostegno di ogni possibile comunicazione. "La tomba di Antigone" rivela cio' che e' rimasto celato alla vista degli uomini nella storia nota. Maria Zambrano riprende infatti la figlia di Edipo la' dove Sofocle l'abbandona (...) Non tanto all'Antigone 'canonica' o 'canonizzata', l'eroina fissata nella luce del suo gesto, che tiene testa a Creonte, su di lui moralmente vittoriosa nella morte, volge quindi il suo sguardo d'amore Zambrano, bensi' all'ombra di Antigone. La ragazza Antigone: dolente, senza terra, abbandonata, sola 'nel silenzio e nell'assenza degli dei', condannata a non essere, nella zona di nessuno fra vivi e morti; ma che proprio nel momento in cui entra nella tomba si vede per la prima volta" (1). Nel racconto di Zambrano Antigone non e' un monumento a se stessa, ma una ragazza, fragile, incompiuta, la cui storia e' scritta prima che lei possa comprenderla perche' e' la storia del padre e della madre da cui e' nata, la storia condivisa con i fratelli e la sorella come accade ad ognuno di noi che viene messo al mondo e non in un'idea di mondo astratta, ma in un pezzetto di mondo concreto, un recinto di spazio-tempo che non sappiamo se potremo oltrepassare. Zambrano lo annuncia gia' nel prologo: "Antigone, in verita', non si suicido' nella sua tomba, come Sofocle, incorrendo in un inevitabile errore, ci racconta. E come poteva, Antigone, darsi la morte, lei che non aveva mai disposto della sua vita?" (2). Antigone quindi non vuole morire, non puo' morire, e lo grida alla sorella Ismene, una delle ombre con cui si incontra nel sogno: "Il tempo puo' esaurirsi e il sangue non scorrere piu', se pero' sangue c'e' stato ed e' scorso la storia continua a trattenere il tempo, ad aggrovigliarlo, a condannarlo. A condannarlo. Per questo non muoio, non posso morire, finche' non mi si dia la ragione di questo sangue e la storia non esca di scena, lasciando vivere la vita. Solo vivendo si puo' morire" (3). Maria Zambrano non restituisce solo nuove parole ad Antigone, ma le restituisce la voce, e non a caso Antigone parla dalla tomba. In questo caso la tomba e' il luogo che cela il corpo, lo sottrae ai significati socialmente codificati e sottraendo il corpo al nostro sguardo siamo finalmente costretti ad ascoltarne la voce. Non e' piu' quindi il corpo muto di Antigone a condannare la citta' ma la sua voce ad interrogarla. * Quali sono gli interrogativi di Antigone e le sue risposte, le riflessioni, le scoperte che ci svelano cio' che non volevamo vedere? Antigone di Maria Zambrano ora diventa per me solo un pre-testo, un punto di partenza per attraversare le guerre del Novecento, e anch'io come Antigone voglio riattraversare il tempo che precede la mia nascita perche' la' ci sono corpi e parole da ritrovare per comprendere l'oggi, le guerre che ancora incrociano le nostre strade e alle quali non sappiamo prestare ascolto. La guerra non e' la barbarie che irrompe nella civilta', ma ne e' l'esito, e la salvezza sta in un'altra idea di civilta': la storia "patria", la storia dei padri, e' intrisa di retorica della pace e atti di guerra, per questo siamo tutti esuli. Non sempre, del resto, i padri sanno, spesso credono di sapere e sono gli occhi nuovi dei figli a vedere con chiarezza, perche' vivono a ridosso del futuro: Antigone vede con chiarezza cio' che Edipo non riesce a capire, lui che ha risposto all'enigma della Sfinge eppure e' precipitato nella tragedia. Dove sta l'errore nella risposta di Edipo che tutti riconosciamo come giusta? La verita' e l'errore che si sovrappongono nella risposta di Edipo non determinano solo il suo destino, ma sono ancora operanti nel nostro, radice profonda del nostro pensiero, della filosofia su cui si fonda la nostra polis. Scrive Rosella Prezzo, commentando un'altra opera di Maria Zambrano, Chiari del bosco: "Rimane cosi' accecato il pensiero nella luce del suo sapere, come Edipo. Edipo che di fronte all'enigma della Sfinge, che e' il suo stesso enigma, risponde sapientemente, ma senza rendersi conto che la sua risposta giusta e vera ('l'uomo') non gli serviva a nulla, 'perche' il suo sapere valeva solo per qualcosa di generale', 'quando il punto era conoscersi lui, lui stesso, nel nascosto del suo essere'. 'Perche' l'uomo e' un essere nascosto in se stesso, e percio' votato e obbligato ad essere se stesso'. Se Edipo guadagna una scienza, perde un sapere e la possibilita' di vedere" (4). E' drammatico il colloquio tra Edipo e Antigone perche' lei e' figlia della sua cecita' su se stesso, del suo sapere universale che ha censurato le origini, che ha rimosso la madre. Nell'incontro lui non e' piu' il giovane eroe che ha salvato la citta' di Tebe, ma un uomo smarrito dal suo stesso sapere, e lei non e' l'eroina immolata alle colpe della citta', ma la figlia che rivendica il diritto a vivere per se stessa e non come compimento della storia che la precede. "Figlia, io sono, dell'errore. A tu per tu con me stessa, sto qui sotto il peso del cielo e senza terra. Fino a quando? Non posso vivere senza vita, non posso morire senza morte. Come mi generasti, dimmi, visto che sei venuto qui? Tu non sai chi sono, no, non lo sai" (5). La vita non chiede eroi. L'eroe e' la nostra salvezza e la nostra condanna. Per questo Antigone non vuole essere un'eroina, non offre il suo corpo per la salvezza della citta', ma continua a parlare, ad incalzarci con le sue domande, chiede "i conti della storia", si espone nella fragilita' della sua persona ferita, nell'ansia delle sue domande reali e ineludibili. "La morte ha per l'eroismo un valore superiore alla vita. Solo la morte - la propria come quella degli altri - permette di raggiungere l'assoluto: sacrificando la vita si dimostra di preferire il proprio ideale. (...) Perdere la vita significa concentrare tutto il proprio coraggio in un unico gesto. Quanto alla vita, essa puo' esigere il coraggio di ogni giorno, di ogni istante; puo' essere anch'essa un sacrificio, ma senza niente di esaltante: se devo sacrificare tempo e forze, sono ben costretto a rimanere vivo. In questo senso vivere diventa piu' difficile che morire. (...) Il mondo degli eroi, ed e' forse questo il suo punto debole, e' un mondo unidimensionale, che comporta solo due termini opposti: noi e loro, amico e nemico, coraggio e vilta', eroe e traditore, nero e bianco. Un sistema di referenti che si addice a una situazione orientata verso la morte, non verso la vita. (...) In tal senso i valori della vita non sono assoluti: la vita e' diversa, ogni situazione e' eterogenea. Le scelte che si fanno sono quindi il risultato non di concessioni o di vili compromessi, ma della considerazione di tale molteplicita'" (6). * Il quotidiano, quello spazio-tempo che si gioca interamente nella "contingenza", appartiene da sempre alle donne. Relegate nel quotidiano, nella consuetudine dei gesti che si esauriscono nel loro svolgersi, le donne conoscono la necessita' vitale e quindi il valore di cio' che muta, delle cose che si consumano per vivere, cibo, abiti, oggetti, ma anche gesti, sentimenti. Nel quotidiano si vive il mutamento come percorso, l'evento non e' la data memorabile che illumina l'opacita' della storia, ma il compimento della gestazione e l'annuncio del futuro, responsabilita' che chiede accudimento e non medaglia di cui gloriarsi. Il tempo del quotidiano non e' l'eternita', ma il disegno che si snoda tra nascita e morte. La memoria in questo senso e' anche lo scandaglio che ci consente di comprendere l'origine della nostra stessa vita, radar acceso per intercettare le parole dei morti, l'immagine remota che ci parla anche di noi, oggi, perche' conserva una qualche nostra radice. Il Novecento vede dispiegarsi quella cittadinanza delle donne che non si esprime solo attraverso la richiesta della parita' dei diritti ma ponendo interrogativi sempre piu' radicali sul fondamento stesso della cittadinanza, sul senso del patto sociale, l'origine della polis e della civilta'. Chiedendo l'accesso ai diritti di cittadinanza, le donne, non chiedono parita' (del resto trasformata nella piu' complessa richiesta di pari opportunita') ma mettono in discussione il significato stesso dei termini su cui si e' costruita la possibilita' di comunicare, di condividere il patto che sostiene la cittadinanza. Tra una guerra e l'altra Antigone non si accascia nel pianto ma tesse i propri interrogativi, non si limita a ri-mediare le situazioni, ricomporre la vita, riempire con le nascite i vuoti lasciati dalle morti, ricucire in silenzio le lacerazioni, ma chiede conto delle regioni oscure di un'intera cultura che non ha previsto la sua parola. Antigone non tace ma interroga, dalla tomba in cui e' stata rinchiusa, la sua citta' in rovina. Accanto a lei molte sono le donne che hanno legato alla trama della nostra storia piu' recente i loro pressanti interrogativi, in questo senso mi sembra giusto lasciare la sua storia per riportare alla memoria nomi e volti che ormai, come lei, ci parlano dalla tomba. * Allo scoppio della prima guerra mondiale il mito dell'eroe seduce l'immaginario maschile: molti giovani partono volontari e poche sono le voci che si levano contro la guerra. Kathe Kollwitz, la grande artista tedesca, non riesce a fermare suo figlio che si arruola come volontario e non tornera'. Il figlio e' incalzante, chiede alla madre di aiutarlo a convincere il padre e la madre cede. Cosi' scrive nel suo diario: "Io mi alzo, Peter mi segue, ci fermiamo sulla porta e ci abbracciamo e ci baciamo e io prego Karl per Peter. Quest'unica ora. Questo sacrificio a cui lui mi ha trascinata e a cui noi abbiamo trascinato Karl. (...) La sera io e Karl soli. Piangere, piangere, piangere" (7). Ma non si puo' accettare l'assassinio, a nessun titolo; un corpo che porta dentro di se' la potenzialita' della nascita, un corpo che conosce il travaglio del mettere al mondo sa che il nascere ci pone nella possibilita' della morte, ma la morte e' il termine della vita, non puo' esserne il fine. Nelle pagine del diario di Kate Kollowitz e' presente lo strazio privato della madre, ma anche la riflessione su una storia insensata in cui la morte e l'assassinio vengono rivestiti di nobili finalita': "Cio' che noi abbiamo vissuto in Germania, diventare migliori a causa della guerra, lo prova certamente anche ogni altra nazione belligerante. Ma come si puo' conciliare il fatto che da una parte si migliora eticamente, e insieme cresce l'odio, la menzogna, ossia l'ostilita' contro tutti i non-tedeschi? E' come quando l'amore esiste solo all'interno di una famiglia, e verso l'esterno si chiudono tutte le porte. Ha ancora valore?" (8). Nel dramma di Antigone la madre e' assente, figura passiva, grembo che genera e lascia i figli al possesso del padre, al destino assegnato dalla polis in cui gli spazi e i ruoli sono rigorosamente delimitati. Antigone e' nell'eta' in cui si pensa che varcare la soglia del mondo adulto non significhi imboccare un tunnel stretto e preordinato, ma assumere il coraggio del pellegrino che impara dai propri passi. Antigone sceglie: che siano le ragioni del cuore o il sentire della ragione interroga i suoi pensieri piu' profondi prima delle leggi della citta'. Non ci stupisce che il re la condanni, non mi stupisce che la storia ci racconti da alcuni secoli gli stessi eventi. Per quanti secoli le madri condannate al silenzio hanno generato vittime sacrificali? Kathe Kollowitz non smettera' di parlare e lavorare contro la guerra, come una Cassandra ignorata vedra' il pericolo nazista fin dall'inizio e non si stanchera' di lanciare appelli a favore della pace. Nella tomba immaginata da Maria Zambrano Antigone incontra anche l'ombra della madre e le parla: "Se una volta saputo tutto anche tu, ci avessi chiamati figli, figli miei, la viscida fune della morte non ti si sarebbe attorcigliata intorno al collo" (9). L'assenza della madre diventa complicita' silenziosa, lascia il posto al rumore della violenza, alla tragedia che toglie il futuro ai figli. * Nel corso del Novecento guerra dopo guerra sempre piu' donne hanno preso la parola, sono diventate protagoniste della propria vita ed ora cominciano a porre la propria storia nella piazza della citta' per la quale dobbiamo riscrivere il patto fondativo. Sono molte le donne che dobbiamo saper ascoltare, tra queste alcune hanno attraversato l'orrore della Shoah e sono sopravvissute. Dov'era Antigone dietro i cancelli di Auschwitz? Cordelia Edwardson entra ad Auschwitz a quattordici anni per quella meta' ebrea ereditata da un padre naturale che non ha mai conosciuto. La madre, la ragazza-madre, non riesce a salvarla e la figlia lo sa prima ancora che l'evidenza dei fatti distrugga ogni illusione. Lo sa con certezza la sera in cui si festeggia la sua salvezza, affidata al nuovo passaporto spagnolo, e guarda rapita la bellezza della madre che gode della nuova illusione: "C'era come un alone luminoso intorno ai suoi capelli neri e alla sua bocca rossa, e lo sfolgorio delle candele accese si rispecchiava nei calici da vino verdi e nel vino dorato. Era cosi' bello da far male. La ragazza voleva piangere perche' dentro di se' sentiva che quella era una festa di congedo, non di riunificazione come credeva la madre. Sapeva di aver ricevuto in prestito e per grazia un breve spazio di tempo, Proserpina era soltanto in visita fra i vivi, presto sarebbe scoccata l'ora, l'ora dei lupi fra la notte e l'aurora, l'ora degli autocarri grigi, e lei avrebbe fatto ritorno fra le ombre degli inferi. Fu in quella sera luminosa di festa che la ragazza disse addio a tutto cio' che amava. Ma qualcosa l'avrebbe portato con se'. Il filo di Arianna che la madre le aveva dato, il filo della fiaba, del mito e della poesia, sottile come seta, e, si diceva, piu' forte della morte" (10). La legge quindi conduce la ragazza al regno dei morti nell'indifferenza della citta', e li' nella meticolosa organizzazione dell'orrore ogni uomo e' Creonte, carnefice ottuso e insieme vittima connivente: "L'uniforme gli pende addosso come se appartenesse a qualcun altro. Maneggia il fucile goffamente, di certo e' piu' abituato al forcone da fieno o al martinetto. E' uno di quelli richiamati sotto le armi quando la guerra era gia' perduta; un perdente. Sta di guardia seduto accanto alla porta del carro merci, piu' come un simbolo che per necessita'. Nessuna di quelle donne ha piu' la forza e neppure la voglia di pensare alla fuga. E dove potrebbero mai fuggire? Per lo piu' l'uomo siede immerso nella sua stessa impotenza, e' lui che le sorveglia o sono loro a tenerlo prigioniero?" (11). E ancora una volta la salvezza e' solo fuori dalla legge. "Quel giorno la ragazza ricevette da Anna un pezzo di pane e un ritaglio di flanella a quadrettini che poteva essere usato come sciarpa. La ragazza rimase a lungo davanti al pezzo di specchio macchiato delle latrine a carezzare e accomodare la morbida stoffa; Anna aveva detto che quelle sfumature blu scuro s'intonavano ai suoi occhi. Naturalmente qualsiasi contatto tra prigionieri e lavoratori civili era proibito e punito con la pena di morte, ma Anna non aveva paura; era prudente e accorta ma non aveva paura. 'Che vadano a...' diceva con una risata arrogante. (...) Per un certo tempo l'immagine ridente di Anna, il suo profumo di mughetto e la morbida flanella intorno al collo non l'abbandonarono" (12). Anna, la prostituta polacca, con i suoi gesti semplici, diventa la fata potente che trattiene la ragazza alla vita, uno sguardo affettuoso e Cordelia ricomincia a lottare contro la morte; non un eroismo solenne ma il coraggio scanzonato di essere se stessa anche nella quotidianita' atroce del lager conserva un barlume di umanita' al quale Cordelia si puo' aggrappare. Cosi' la ragazza tornera' alla vita per testimoniare, perche' sa di non poter mai essere complice degli assassini. Anche Antigone, dopo l'incontro con Creonte, sa che la porta e' aperta ma non puo' diventare complice di una citta' che vuole dimenticare: la smemoratezza e' una prigione ben piu' soffocante della tomba. "... quella porta della mia condanna rimarra' come loro l'hanno lasciata. Poiche' non e' la condanna, e' la legge che la genera, cio' che la mia anima rifiuta" (13). E l'ultima parola resta, come una sentenza, quella di uno dei due sconosciuti che si contendono le sue spoglie: "Era vostra e l'avete lasciata sola. Quasi nessuno l'ha seguita sin qui quando si lamentava a voce alta, quando supplicava. E prima, quando parti', bambina sola che faceva da guida a suo padre, il piu' sventurato degli uomini: li lasciaste andar via pensando che vi bastasse questo per essere felici, e che la citta' sarebbe rimasta libera da colpa. Allora, nella disgrazia, era vostra, come vostro era suo padre nella colpa. Ma voi siete fatti cosi': scacciate l'innocente quando cade, e poi vi disputate la sua tomba" (14). * Qual e' il male che corrode la citta', incrina il nostro con-vivere, oscura gli sguardi, ammutolisce le voci, qual e' il morbo che svuota le strade e ci costringe nella prigione della nostra stanza, migliaia di disperate solitudini addossate le une alle altre nei condomini angusti dei nostri quartieri come nelle atroci cuccette del lager? Tra le molte risposte ci appartiene, per storia comune, quella di Christa Wolf, dalla Berlino dell'89, una citta' che tutti, in Europa, abbiamo abitato. La condanna e' il sospetto generato dalla mediocrita' e dall'ipocrisia ma non possiamo arrenderci alla complicita'; come Christa, non possiamo tacere. "Attraversai tutte le stanze e spensi tutte le luci, finche' resto' accesa solo la lampada sulla scrivania. Stavolta mi avevano quasi avuta in pugno. Stavolta, che l'abbiano fatto apposta oppure no, hanno colpito nel punto giusto. Quello che un giorno, nella mia nuova vita, avrei nominato. Un giorno, pensai, riusciro' a parlare, con totale facilita' e liberta'. E' ancora troppo presto, ma non sempre e' troppo presto. Non dovevo semplicemente sedermi a quel tavolo, sotto quella lampada, sistemare la carta, prendere la penna e incominciare. Che cosa resta. Che cosa c'e' al fondo della mia citta', e che cosa la manda a fondo. Che non c'e' maggior sventura del non vivere. E che alla fine non c'e' disperazione maggiore del non aver vissuto" (15). * Note 1. "La scrittura del pensiero in Maria Zambrano" di Rosella Prezzo, in Maria Zambrano, La tomba di Antigone, La Tartaruga, Milano 1995, p. 20. 2. La tomba di Antigone, cit., p. 43. 3. La tomba di Antigone, cit., p. 79. 4. Rosella Prezzo, cit., p. 18. 5. La tomba di Antigone, cit., p. 81. 6. Tzvetan Todorov Di fronte all'estremo, Garzanti, Milano 1992, pp. 17-18. 7. Kathe Kollwitz, catalogo a cura di Mario Matasci, Enrico De Pascale, Marcella Snider, mostra organizzata dall'Assessorato alla cultura della Provincia di Bergamo, 1993. 8. Kathe Kollwitz, cit., p. 149. 9. La tomba di Antigone, cit., p. 92. 10. Cordelia Edwardson, La principessa delle ombre, Giunti, Firenze 1992, p. 73. 11. La principessa delle ombre, cit., p. 40. 12. La principessa delle ombre, cit., p. 20. 13. La tomba di Antigone, cit., p. 117. 14. La tomba di Antigone, cit., p. 125. 15. Christa Wolf, Che cosa resta, Edizioni e/o, Roma 1991 p. 105. 5. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE VENTINOVESIMA) UMBERTO SABA Poeta italiano, nato a Trieste nel 1883, muore a Gorizia nel 1957. A tratti e' tale la felicita' che promana dalla sua poesia che si stenterebbe a credere da quali abissi di strazio essa emergeva. E' la poesia onesta della solidarieta' umana. Opere di Umberto Saba: di Saba, come fu detto di Cervantes, occorrerebbe leggere tutto. Ma almeno Il Canzoniere, Einaudi, Torino: una lettura fragrante come un pane, che nutre, addolcisce e fortifica il lettore. Opere su Umberto Saba: un buon punto di partenza e' l'antologia a cura di Mario Lavagetto, Per conoscere Saba, Mondadori, Milano 1981. Utile anche Francesco Muzzioli, La critica e Saba, Cappelli, Bologna 1976. Cfr. anche almeno Antonio Pinchera, Umberto Saba, La Nuova Italia, Firenze 1976. NELLY SACHS Nata a Berlino nel 1891, scampata alla Shoah rifugiandosi a Stoccolma nel 1940 con l'aiuto di Selma Lagerloef, deceduta a Stoccolma nel 1970, e' stata una delle piu' alte voci poetiche del Novecento; ricevette il premio Nobel per la letteratura nel 1966. GINETTA SAGAN Partecipo' alla Resistenza, fondo' poi Amnesty International negli Stati Uniti. E' deceduta nell'agosto 2000. Meravigliosa, indimenticabile Ginetta. Dal notiziario mensile dell'ottobre 2000 di Amnesty International riprendiamo il seguente ricordo scritto da Francesca Zagni, segretaria rganizzativa della sezione italiana di Amnesty International negli anni '90: "Di statura minuta, due grandi occhi, uno sguardo sempre vigile e attento ed un sorriso luminoso. Questo e' il ricordo del primo incontro con Ginetta Sagan, presso gli uffici della sede nazionale di Amnesty International in viale Mazzini, nel 1991. Era in Italia per ricevere uno dei tanti riconoscimenti per la sua attivita' durante la Resistenza ed era molto curiosa di visitare la sezione italiana. Per lei, che aveva fondato il primo gruppo di Amnesty International della costa occidentale ed aveva contribuito in maniera determinante alla crescita del movimento negli Stati Uniti, basto' poco per rendersi conto della nostra voglia di crescere. Promise di aiutarci e lo fece sempre nel corso di questi anni, sia con aiuti finanziari da parte della "Aurora Foundation" che presiedeva, sia coinvolgendoci in tutte le manifestazioni che la riguardavano in Italia, in particolare in Piemonte e Lombardia. A guardarla sembrava fragile, quasi uscita da un romanzo dell'Ottocento, ma in realta' era una persona forte e coraggiosa che la vita aveva provato duramente. Giovanissima, durante la Resistenza aveva aiutato oltre trecento ebrei a fuggire in Svizzera e fatto da corriere clandestino per i partigiani, col nome di battaglia di "Topolino". Nel 1945 venne arrestata, stuprata e torturata. Un giorno una guardia getto' nella sua cella un pezzo di pane, in cui era nascosta una scatola di fiammiferi. Al suo interno c'era una striscia di carta su cui era scritta la parola "Coraggio!" Fu questo messaggio, che fece capire a Ginetta che da fuori non si erano dimenticati di lei, ad ispirare una battaglia durata una vita intera in favore dei "prigionieri dimenticati". Liberata, riusci' ad arrivare a Parigi dove incontro' il marito, allora studente in medicina e si trasferi' con lui negli Stati Uniti. La voglia di aiutare i prigionieri politici e le vittime delle ingiustizie, di lottare contro gli abusi, non l'abbandono' mai. Recluto' un numero incredibile di attivisti e di fondi per la sezione Usa di Amnesty International, organizzo' concerti e manifestazioni non indietreggiando davanti ad alcuna difficolta' e coinvolgendo, anzi travolgendo con il suo entusiasmo e con la sua storia - che solo nel 1967 trovo' la forza di raccontare per intero - personaggi dello spettacolo, politici e magistrati per la lotta per i diritti umani. Ricevette numerosi riconoscimenti: in Italia venne nominata Grand'ufficiale ed insignita della Croce al merito di guerra e negli Stati Uniti ricevette la Medaglia per la Liberta'. Nel 1997, il Comune di Bousson conferi' a lei ed al marito la cittadinanza onoraria e questa circostanza la riempi' di un gioia quasi fanciullesca. Dopo la morte del marito, si ammalo' anche lei di cancro, ma continuo' a battersi per i diritti umani, in particolare contro gli abusi sulle donne e i bambini, a scrivere libri, a tenere conferenze. Nella primavera di quest'anno era a Roma. L'Universita' di Stanford le aveva affidato una ricerca sulla Resistenza Italiana. Il nostro incontro fu piu' affettuoso del solito, era felice della crescita della nostra sezione, ci scambiammo delle battute sui nipotini e sulla voglia di lavorare per i diritti umani delle generazioni future e la promessa di vederci presto. Non la vedremo piu' invece, Ginetta ci ha lasciato alla fine di agosto e tutti noi le dobbiamo molto". VARLAM SALAMOV Scrittore russo (Vologda 1907 - Mosca 1982), vittima dello stalinismo, testimone del gulag. Opere di Varlam Salamov: I racconti della Kolyma, Adelphi, Milano 1995. ELIO SALMON Testimone delle persecuzioni. Opere di Elio Salmon: Diario di un ebreo fiorentino 1943-1944, Giuntina, Firenze 2002. GUSTAVO SALSA Impegnato nell'Auser Valsesia e Valsessera. Opere di Gustavo Salsa: (a cura di, con Giuseppe Francesconi), Molte volte ho pensato che non sarei mai tornato, Auser Valsesia - L'Unita', Vercelli-Roma 2003. 6. POESIA E VERITA'. SHERRY GLASER: LACRIME [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo testo di Sherry Glaser. Sherry Glaser e' l'interprete e l'autrice di numerosi successi teatrali, fra cui Segreti di famiglia, Oh, mia dea!, e Ricordate questo!, un ritratto intimo della guerra attraverso gli occhi di una donna. E' madre single di due bambine, e vive in California. Il suo sito web e' www.sherryglaser.net] Non riesco a fare a meno di chiedermi che succederebbe se migliaia, o anche milioni, di donne che sperimentano il dolore al livello in cui io lo sto sperimentando, andassero a Washington o alle sedi dei loro governi locali, e rimanessero semplicemente li' davanti agli edifici ad esprimere le loro emozioni, e si battessero i seni in un lamento rituale. I miei seni sono gonfi, ora. Ho un petto ampio di mio, ma ultimamente sembra che questi seni vogliano strabordare. Meno male che ho un didietro di considerevoli dimensioni, altrimenti cadrei sul davanti per lo sbilanciamento. Ho saltato le ultime mestruazioni, e non perche' sia incinta. Sono lesbica, e sono assolutamente certa di non essermi impegnata in attivita' procreative. Sono i miei ormoni ad essere impazziti. Sono impaziente con le mie figlie, e tendo in generale ad evitare le persone. Naturalmente, mi sto chiedendo perche'. Perche' il mio corpo si sta ribellando in tal modo, distraendomi dalle necessita' giornaliere della vita? Penso che la risposta vada cercata nel fatto che il mondo intero sta attraversando un'enorme crisi, e che mia madre e' di nuovo rinchiusa nel reparto díigiene mentale del suo ospedale. Per quanto indietro vado con la memoria, mia madre si e' sempre dibattuta nel convincimento di essere la reincarnazione della Vergine Maria. Quando io avevo quattro anni, nel 1964, forte di questa convinzione mia madre marcio' lungo le strade con il mio fratellino neonato fra le braccia, proclamando che il Messia era ritornato. Dopo un bel po' di elettroshock e torazina, lei torno' ad essere la nostra brava mamma, sottomessa ed obbediente come si conveniva ad una casalinga nei primi anni '60. Mantenne quest'identita' funzionale tramite l'assunzione di litio, un sale che le dava il bilanciamento chimico necessario per agire come un essere umano civilizzato: sfortunatamente, il litio le rovino' i reni, che collassarono nel 2002 mentre il suo cervello se ne partiva allo stesso modo. Da allora la sua vita e' stata un incubo farmaceutico. Ogni tanto si riprende, ma i miglioramenti sono solo temporanei, ed in questo momento lei e' ben chiusa dietro una pesante porta metallica e sedata con medicine che si chiamano Haldol, Atavan, Xyprexa e Bendryl. Il mio computer non le riconosce come parole, e mi suggerisce che siano errori: non e' buffo? Ho parlato al telefono con mia madre stamattina, e attraverso il suo annebbiamento lei mi ha detto che "E' tutto rovesciato". Se dice la verita' in cui crede, e cioe' di essere la Vergine Maria, e' pazza. Se mente, e dice di essere la signora Glaser, e' sana di mente. Non riesce a far conciliare le due cose. Mi ha chiesto se io le credo. Ho esitato, e poi ho detto che non le credevo, ma che la amavo e che la stavo ascoltando. Le ho chiesto se questo poteva essere sufficiente, e lei ha risposto di si', e che anche lei mi amava, e ha riappeso. Ecco il dilemma. Io sono un'attrice. Sono conosciuta per i miei pezzi teatrali: per esempio "Segreti di famiglia", dove interpreto tutti i membri della mia famiglia, o il piu' recente "Oh, mia dea", che io definisco una commedia di proporzioni bibliche. E' un lavoro dall'umorismo oltraggioso, e il pubblico lo ama molto, dandomi incredibili soddisfazioni. E questo e' il momento in cui mia madre mi dice che e' giunto il tempo per lei di rivelarsi come la Vergine Maria, che mio fratello dovrebbe rivelarsi come Cristo, e che io dovrei rivelare me stessa come la sua sorella gemella, Sara. Dice che questo periodo e' l'Armageddon, e che la salvezza del mondo dipende da noi. Cio' mi riporta ai miei seni pesanti, e al mio ruolo su questo pianeta. * Cosa si suppone io debba fare, adesso? Holly Near dice: "Se ognuno e ognuna di noi fa anche un'unica cosa, una sola ma piena di bellezza, la vita sulla Terra non morira'". Qualche mese fa, con altre amiche, ho dato inizio ad un movimento che si chiama "Seni, non bombe". Sostiamo a petto nudo nelle strade di Mendocino, reggendo cartelli che spiegano cosa sia la vera indecenza: "La guerra e' indecente", "Le espulsioni di migranti sono indecenti", "La tortura e' indecente", e cosi' via. E' il nostro tentativo di rendere visibili la sacralita' della madre e dei suoi seni. Di risvegliare le persone rispetto al fatto che donne e bambini sono le vittime non rendicontate della guerra voluta dalla politica omicida americana. E che noi sopravviveremo grazie alle madri, che hanno cura, che nutrono, che amano. Vogliamo che il potere femminino si mostri. Le nostre manifestazioni vengono salutate da schiamazzi di clacson, e vi sono alcune persone che se ne ritengono personalmente offese, e coprono gli occhi ai loro figli. La maggior parte delle donne che fa questo con me ha seni piccoli, e sebbene anche a loro ci voglia un bel coraggio per sfilarsi la maglietta, io mi sento maggiormente vulnerabile. I miei seni sono grandi. Non c'e' dubbio che io stia rivelando me stessa. Non si puo' fare a meno di notarli, e ad ogni movimento che faccio rimbalzano incontrollabilmente. Sembrano avere vita propria. Allora, perche' si sono pure gonfiati? E perche' io non sanguino? Io credo perche' mi sto portando addosso le sofferenze del mondo. La devastante tristezza della guerra e la distruzione di tutto cio' che e' sacro sono fatti innegabili, e pero' e' socialmente inaccettabile rispondervi. Il mio analista dice che soffro perche' sto perdendo mia madre e che il mio atto di denudarmi il petto in mezzo alla strada e' un modo per costruire un ponte sino a lei. Mi ha suggerito di accendere candele sul mio altare, e di calmarmi. Io ho suggerito la possibilita' che la follia di mia madre sia oracolare. Forse l'avrebbero considerata una profetessa, nei tempi antichi. Forse senza l'intervento dei prodotti chimici sarebbe riuscita a vedere attraverso il velo dell'illusione. Mia nonna fu rinchiusa allo stesso modo suo, e mori' in un istituto. Forse mi sto portando il loro messaggio profetico nel sangue. Si dice che un tempo era possibile. Perche' non di nuovo? Moltissime donne parlano quotidianamente della loro depressione, dello shock e dell'orrore che provano di fronte alle bugie ed alle omissioni del governo e delle corporazioni economiche. Si ammalano, si sentono stanche, non riescono a fare quello che devono fare durante la giornata, specialmente ora dopo le ultime elezioni. Io mi spoglio nel tentativo di attrarre l'attenzione dei media di destra e di quelli che si autocensurano sulle colossali ingiustizie che vedo. Janet Jackson ha avuto tutti i titoli dei giornali perche' per un secondo le si e' visto un capezzolo. E allora perche' noi no, per una giusta causa? Un paio di anni fa andai a Washington, ad assistere ad una seduta del Senato. Quel giorno lo presiedeva Hillary Clinton e le decisioni da prendere riguardavano quali ulteriori sanzioni e punizioni si potessero imporre a Yasser Arafat ed al popolo palestinese. Cominciai a piangere. All'inizio mi sentirono solo i miei vicini, il pubblico in galleria, ma quando il volume dei miei singhiozzi si alzo', persino Hillary non pote' impedirsi di guardare verso l'alto. Un enorme buttafuori venne a prendermi per un braccio e mi porto' nell'atrio, dove fui circondata da personale della sicurezza che mi suggeriva di andare in bagno a rinfrescarmi. Risposi loro che non volevo rinfrescarmi, volevo piangere. Sembravano terrorizzati da una donna in lacrime, forse piu' spaventati che se avessi avuto in mano una pistola: quella era una minaccia a cui sapevano come rispondere. Percio', ripeto, non riesco a fare a meno di chiedermi che succederebbe se migliaia, o anche milioni, di donne che sperimentano il dolore al livello in cui io lo sto sperimentando, andassero a Washington o alle sedi dei loro governi locali, e rimanessero semplicemente li' davanti agli edifici ad esprimere le loro emozioni, e si battessero i seni nudi in un lamento rituale. Che effetto avrebbe? Io credo che questo tipo di potere non potrebbe essere negato. Io credo sia giunto il tempo per tutte le donne, le nonne, le figlie, di rivelare se stesse. Io credo che lasciar continuare le atrocita' sia la vera follia. Forse sto entrando in menopausa. O forse, come mia madre, sono semplicemente pazza. 7. STRUMENTI. PRESTO IN LIBRERIA UNA NUOVA OPERA DI ENRICO PEYRETTI [Con viva gioia riceviamo e diffondiamo la seguente notizia editoriale. Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Esce a giorni presso Il Segno dei Gabrielli editori (tel. 0457725543; fax 0456858595, e-mail: scrivimi at gabriellieditori.it), al prezzo di 10 euro il nuovo libro di Enrico Peyretti: Dov'e' la vittoria? Piccola antologia sulla miseria e la fallacia del vincere. * L'opera si apre con la seguente dedica: Alle vittime di tutte le "vittorie", - e vittima di se stesso e' anche chi vince con le armi e con l'ostilita' - supplicandole di perdonare questa nostra misera umanita', che tuttavia e' sempre di nuovo chiamata, anche proprio da quelli che calpesta ed uccide, che corrompe e rovina, a ritrovare una ragione e un cuore umani. * E' una raccolta di 115 testi, note, pensieri, sulla vacuita' della vittoria in guerra e nei rapporti quotidiani violenti o imperiosi. Perche' attaccare la vittoria? C'e' forse qui un amore del perdere, dell'esser vittime? O si pensa solo ad una vittoria nel mondo spirituale futuro, consegnando alla violenza la vittoria in questo mondo? Denunciando l'inganno della vittoria, si vuole proporre una ragione e un diritto senza forza? Niente affatto. La nonviolenza e' forza. La forza costruisce, la violenza distrugge. Nell'opinione dominante, viziata dall'ideologia della violenza, il guadagno del vincitore e' il danno del vinto. Nel pensiero e nella strategia della forza nonviolenta, il guadagno e' condiviso, magari minore, ma senza danni. E maggiore soprattutto la qualita' umana, la soddisfazione, se non la felicita' comune. La gestione dei conflitti con la forza umana dei mezzi costruttivi e' l'alternativa alla guerra, sia pubblica che privata. Qui si intende smascherare l'inganno e l'illusione della vittoria: tentativo non superfluo, perche' nei nostri anni l'idolatria mortale della guerra e' tornata con arroganza a guidare i potenti e folli detentori di leve omicide. Chiamano vittoria, quando non precipitano invece nello stesso abisso che hanno aperto, quella che e' la massima sconfitta umana: essere nemici, gli uni contro gli altri, percio' senza gli altri, dunque meno umani che mai. Le voci qui raccolte - oltre ottanta, ordinate per epoche storiche - vanno da Buddha, alla Bibbia, al Corano, a Erasmo, Kant, Voltaire, Tolstoj, Simone Weil, naturalmente Gandhi, e tanti scrittori e testimoni molto, poco, o niente famosi. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 851 del 25 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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