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La nonviolenza e' in cammino. 847
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 847
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 21 Feb 2005 00:19:40 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 847 del 21 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Fatema Mernissi: Giuliana 2. Alberto L'Abate: Previsione e prevenzione dei conflitti armati: riflessioni a partire dal maremoto nel sud-est asiatico 3. La "Carta" del Movimento Nonviolento 4. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. FATEMA MERNISSI: GIULIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 febbraio 2005. Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima), e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] Da giorni, ogni giorno, abbiamo notizie sul rapimento di Giuliana Sgrena, e l'abbiamo vista nel filmato che tutte le televisioni satellitari stanno trasmettendo nel mondo arabo-islamico: le siamo tutti vicini, grazie a questo tipo di informazione possiamo anzi essere tutti vicini fra noi, che desideriamo la pace e che lavoriamo per il dialogo libero e il confronto pacifico. Le tecnologie satellitari ci portano sempre piu' vicini, siamo accanto a voi anche oggi nella manifestazione per la pace e per la liberazione di Giuliana, Florence e Hussein. 2. RIFLESSIONE. ALBERTO L'ABATE: PREVISIONE E PREVENZIONE DEI CONFLITTI ARMATI: RIFLESSIONI A PARTIRE DAL MAREMOTO NEL SUD-EST ASIATICO [Ringraziamo di cuore Alberto L'Abate (per contatti: labate at unifi.it) per averci messo a disposizione la sua comunicazione predisposta per il Forum del movimento contro la guerra che si terra' a Firenze dal 25 al 27 febbraio 2005. Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario, promotore del corso di laurea in "Operazioni di pace, gestione e mediazione dei conflitti" dell'Universita' di Firenze, amico di Aldo Capitini, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente; come ricercatore e programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'; ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, ed e' impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E' portavoce dei "Berretti Bianchi". Tra le opere di Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001] Durante un nostro recente viaggio in India e' avvenuto il maremoto che ha colpito alcuni paesi del sud-est asiatico con un numero di morti inimmaginabile. Inizialmente si parlava di 150.000, ora si parla addirittura di 250.000. Questo disastro ha colpito anche la parte occidentale dell'India, lo stato del Tamilnadu, ed in particolare la zona di Nagapattinan (tra le piu' colpite dell'India), in cui si trovava, quel giorno, una nostra amica che era venuta a visitare un progetto di aiuto comunitario portato avanti da un gruppo di gandhiani nostri amici. Per sua e nostra fortuna lei ed i nostri amici si sono salvati, ma molti degli abitanti di quel paese e di altre zone colpite dal disastro sono invece morti. Questo ci ha fatto riflettere sulle ragioni di un tale disastro, e se fosse stato possibile evitare almeno una parte di quei tanti morti dei vari paesi colpiti da questo disastro; e mi ha fatto anche pensare a tutti i morti che avvengono nelle guerre e nei conflitti armati, e se - anche in questo caso - non sarebbe possibile evitare almeno una parte di queste morti. Secondo un giornalista indiano la forza sprigionata dal terremoto sottomarino che ha provocato quel fenomeno che gli indiani, riprendendo un termine giapponese, hanno chiamato "tsunami" (in italiano "onde nel porto") equivale ad oltre mille bombe tipo quella di Hiroshima, ed anche se alcuni critici hanno detto che le bombe atomiche, oltre all'effetto immediato, hanno anche un effetto a lungo termine come lo sviluppo di malformazioni e di cancro che questo fenomeno non dovrebbe avere, anche questo confronto ci ha portato a pensare alle similitudini tra i disastri provocati da questo fenomeno e quelli invece provocati dalle guerre e dai conflitti armati, con gli oltre 250.000 morti, senza contare quelli successivi, delle due bombe su Hiroshima e Nagasaki. * Prevedere e prevenire e' possibile Quello che e' successo ha tutte le caratteristiche di quei disastri naturali che e' considerato impossibile prevedere e prevenire. Ma in realta' su tutti i giornali dell'India e' apparsa la notizia che disastri di questo tipo sono prevedibili, tanto che il governo indiano ha poi deciso di costituire un servizio speciale per la previsione, con gli altri paesi dell'area, di fenomeni di questo tipo. E la corretta previsione del fenomeno puo' portare almeno ad avvisare in tempo le persone ed a permettere a molti di loro, con l'aiuto di un valido servizio di protezione civile che in India sembra ancora carente, di mettersi in salvo. Alcuni esempi: 1) la figlia del presidente di quella organizzazione gandhiana di cui parlavo prima, che studia in un college in vicinanza del mare, appena sentiti strani rumori dalla sua stanza al secondo piano si e' affacciata alla finestra, ha visto le immense onde del mare (si parla di una altezza di oltre nove metri) avvicinarsi, ha chiamato le compagne che incontrava ed de scappata al piano superiore. Lei e le altre compagne che l'hanno seguita si sono salvate, le altre che sono restate nei piani inferiori sono state travolte dalle acque e sono morte; 2) in un articolo intitolato Una telefonata ha salvato un intero villaggio, del giornale "The Hindu" del primo gennaio 2005, si narra del fatto che un volontario di un progetto di informazione nei villaggi dell'area di Nagapattinan che si era trasferito a Singapore, appena visto il maremoto in azione in quella zona, ha telefonato ai suoi vecchi compagni di lavoro avvisandoli del pericolo imminente. Attraverso altoparlanti e sirene gli abitanti di quel villaggio sono stati avvisati di evacuare le loro abitazioni. Il risultato e' stato che nessuna persona del villaggio e' restata vittima del maremoto; 3) un'altra notizia sulla possibile prevenzione di morti e' riportata dal giornale "The Hindu" del 31 dicembre 2004. Si parla del fatto che intere comunita' tribali che ci vivono, o altre persone che appena sentito il pericolo si sono recate nelle foreste vicine al mare, si sono salvate grazie alla protezione degli alberi della foresta, mentre le altre che si trovavano nelle zone senza alberi sono state trascinate in mare e sono morte. Il titolo dell'articolo e' infatti Dove le foreste hanno salvato la popolazione. E questo fa venire in mente gli immensi danni ecologici causati dalle multinazionali che hanno promosso, in vari paesi del terzo mondo, ed anche in molte aree del Tamilnadu ed in altre zone dell'India, la coltivazione industriale di gamberi. Infatti per costruire le vasche dove questi animali vengono allevati, vengono spesso distrutte le foreste di Mangrovie (che la popolazione locale chiama "gli alberi che salvano le persone") che riparavano i villaggi da fenomeni di questo tipo, lasciando percio' la popolazione del tutto in balia degli eventi naturali. Altre notizie sui danni arrecati da queste multinazionali si trovano in un rapporto fatto dalla Coastal Action Network, una ong che si occupa di monitorare le coste. In questo si accusa le multinazionali interessate alla coltivazione industriale dei gamberi di aver eliminato, per costruire le vasche nelle quali questi animali sono allevati, le dune che si trovavano in molte spiagge, togliendo cosi' una ulteriore protezione alle popolazioni che vivono in quelle zone. Questo ci fa pensare all'importanza della lotta nonviolenta contro questi impianti portata avanti per anni dai nostri amici Jagannathan e Krishnammal (su questa lotta si veda il bel libro di una ecologa italiana, Laura Coppo: Terra, gamberi, contadini ed eroi, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2002, recentemente tradotto e pubblicato in inglese, con una presentazione di Vandana Shiva). Altri danni, documentati dagli ecologi indiani, che hanno reso molto piu' vulnerabili le coste di questo paese ed aumentato il numero di morti e di sfollati a causa del maremoto, sono venuti dal non rispetto della legge che prevede che non si possano fare costruzioni a meno di 500 metri di distanza dal mare. In realta' moltissime costruzione sono state fatte, secondo una scienziato indiano, M. S. Swaminathan ("The Hindu", 10 gennaio 2005), molto piu' vicino al mare, cercando di modificare la legge portando il confine a 200 metri, e questo ha tolto una ulteriore protezione alle popolazioni della zona ed aumentato il numero di persone a rischio. * Economia ed ecologia Tutto questo fa vedere come anche fenomeni considerati "naturali" ed "ineluttabili" possono essere previsti, alla peggio anche con una cosiddetta "segnalazione precoce" come quella del volontario di Singapore, ed almeno le loro conseguenze piu' nefaste possono essere prevenute. Se poi ricerche piu' approfondite mostrassero un legame, anche se indiretto, di questi fenomeni, che in questi ultimi anni si sono succeduti con una certa frequenza in varie parti del mondo, con l'inquinamento ambientale portato avanti dall'industrializzazione dei paesi avanzati, il problema e l'urgenza di lavorare per la prevenzione diventerebbe ancora piu' pressante ed urgente. Questa industrializzazione sta creando grossissimi problemi a livello mondiale (aumento del calore della crosta terrestre, scioglimento delle calotte glaciali artiche, innalzamento dei livelli dei mari, cambiamenti climatici rapidissimi, ecc.) che hanno sicuramente effetti nocivi per la sopravvivenza della biosfera terrestre, e che possono essere legati anche alla frequenza di fenomeni di questo tipo. A questi danni contribuisce anche l'India che sta cercando di entrare, molto rapidamente, all'interno del novero dei paesi industrializzati, a costi umani altissimi (e' la quarta potenza economica mondiale con un tasso di sviluppo economico annuo, di tipo neoliberista, di circa il 10% - nei settori dell'informatica, del tessile, delle automobili, delle costruzioni, ecc. - ma con una completa "deregulation" stradale che fa si' che, dopo la Cina, sia il paese con la massima mortalita' per incidenti stradali, e che trascura del tutto le spese sociali, tanto che ha tassi di mortalita' neonatale ed infantile tra i piu' alti del mondo. Percio', al di la' della retorica, se si vuole realmente rendere omaggio alle tante vittime di questo disastro ed alle moltissime migliaia di persone che sono restate senza tetto e che sono dovute scappare in zone distanti dal loro villaggio, non basta commuoversi ed aiutare le popolazioni colpite da questo fenomeno, ma bisogna anche aiutarle ad organizzarsi, per lottare, con la nonviolenza, come hanno gia' cominciato a fare, contro questo modello di sviluppo che le sta rendendo sempre piu' povere ed emarginate (si veda - chiedendolo al sottoscritto - il bel film sulle lotte delle popolazioni native del Kerala contro l'impianto di Coca Cola che stava rovinando completamente l'economia e la salute degli abitanti di quel villaggio), e' questo un insegnamento che dovremmo tener presente e non dimenticare. * Educare alla nonviolenza Ma passiamo ora a prendere in analisi il fenomeno guerra ed i conflitti armati. Anche questi, spesso, sono considerati fenomeni naturali, legati alla natura umana che, da molti, e' ritenuta violenta. Moltissime persone, non solo in India ma anche nel nostro paese, non conoscono la dichiarazione di Siviglia (Spagna) che contesta molto seriamente questa "naturalita'" della guerra e questo suo legame con una "natura violenta" dell'uomo. Questa e' stata scritta, per conto dell'Unesco, da un gruppo di scienziati di fama mondiale di tutto il mondo e di tutte le rilevanti discipline. Nella versione piu' semplificata, adatta a bambini di scuole elementari, gli allievi del nostro corso e quelli di noi che si occupano di educazione alla pace, per rispondere alla richiesta dell'Unesco e dell'Onu, di dedicare il decennio 2001-2010 alla necessaria educazione delle nuove generazioni alla pace ed alla nonviolenza, stiamo cercando, come corso di laurea per operatori di pace e come ong dell'area nonviolenta e pacifista del nostro paese, con l'aiuto di un certo numero di amministrazioni locali interessate alla educazione alla pace, di farla conoscere in molte scuole. * Prevedere i conflitti armati Ma anche nel nostro paese, ed in molti altri, la previsione dei conflitti armati, come quella degli "tsunami", e' ad uno stadio quasi del tutto inesistente. Eppure dopo fenomeni tipo quelli del maremoto e dopo le guerre tutti diventano buoni e si danno da fare, con finanziamenti, aiuti umanitari, contributi vari per la ricostruzione delle case, per l'assistenza ai bambini orfani, per la creazione di nuovi tessuti sociali, ecc., per superare i danni provocati da questi fenomeni. Ma per la previsione di questi non si spende, e non si e' speso, nemmeno un euro. In Europa, ad esempio, le prime ad occuparsi di quella che viene definita la "segnalazione precoce" dei possibili conflitti armati sono state le ong che, in circa 300, si sono riunite in un coordinamento europeo per la prevenzione dei conflitti armati e si sono.date da fare in questo campo (si veda, ad esempio, il libro: European Centre for Conflict Prevention: Searching for Peace in Europe and Eurasia: an Overview of conflict prevention and peacebuiling activities, Lynne Rienner Publ., Boulder, London 2002). In seguito a questo la Comunita' Europea e poi l'Osce (l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea) hanno anche loro deciso di occuparsene e si sono attrezzate, piu' o meno bene, per rispondere a questa esigenza. Ma mentre nen campo del clima la previsione dei fenomeni atmosferici, cui era interessata soprattutto l'aeronautica militare, ha fatto passi da gigante tanto che le previsioni fatte attualmente sono incomparabilmente piu' valide di quelle che venivano fatte, ad esempio, circa venti anni fa, nel campo della previsione dei conflitti armati siamo ancora ad uno stato di quasi analfabetismo. Noncuranza o interessi piu' grandi da salvaguardare delle multinazionale che costruiscono armi? * Alcuni indicatori Dal punto di vista delle attivita' portate avanti finora in questo settore si stanno cercando degli indicatori validi che possano dare dei segnali importanti sulla possibilita' di esplosione di una guerra o di un conflitto armato in uno stesso paese (questi ultimi stanno diventando sempre piu' frequenti). 1) Tra questi indicatori va sicuramente preso in considerazione il livello e l'aumento degli squilibri tra ricchi (come persone e come paesi) e poveri. Questi ultimi subiscono quella che Galtung (si veda, ad esempio, il suo libro, Pace con mezzi pacifici, pubblicato in Italia dalla Editrice Esperia, Milano 2000) ha definito la violenza strutturale (che e' molto piu' pericolosa, anche perche' meno visibile, di quella diretta), ma quando avviene qualche fatto che eccede la capacita' della sopportazione di questi squilibri e di queste ingiustizie i poveri normalmente esplodono, difficilmente con la nonviolenza, che spesso non e' stata loro insegnata, o che considerano una forma di acquiescenza al potere. E la risposta del governo, e della classe al potere, anche nei paesi cosiddetti democratici (che spesso lo sono solo di facciata), e' quella di incrementare la repressione, il che momentaneamente riporta la situazione allo stato precedente, ma fino al momento in cui qualche nuova ingiustizia ed abuso fa esplodere di nuovo la protesta violenta. Ed il ciclo ricomincia. 2) Un secondo indicatore importante e' quello della spesa militare, specialmente se confrontata con quella sociale, ed anche qui il suo andamento. L'aumento della spesa per armamenti va spesso a danno di quella sociale, e questo, da una parte, tende a peggiorare la situazione della popolazione piu' povera, con il rischio di una sua esplosione come accennato prima, dall'altro il suo aumento e' fortemente correlato alla frequenza delle guerre e dei conflitti: le armi non sono fatte per restare inutilizzate, anche perche' la scoperta di nuove armi tende a renderle presto obsolete (si veda, su questo, C. Lamonaca, Piu' armi per tutti. I dati del commercio mondiale delle armi, in Guerra e mondo. Annuario geopolitico della pace 2004, I libri di Terre di Mezzo, Milano 2004). Altri indicatori possibili, sono: 3) il livello di scontri razziali e tra diversi gruppi etnici, ed anche qui il loro andamento. Un incremento rapido di questi fenomeni e' un indicatore estremamente importante di una possibile esplosione di un conflitto armato ed anche di una guerra civile. Altri indicatori importanti possono essere: 4) il livello di bullismo nelle scuole, o 5) di mobbismo nelle fabbriche, o 6) fenomeni di sopraffazione e di conflitti che possono nascere in certi quartieri della citta', ed anche in questo caso il loro andamento. La frequenza di questi ultimi fenomeni e' un importante indicatore della diffusione di una cultura violenta a livello generale. In questo campo, purtroppo, nel nostro paese, il livello di questi fenomeni, ed il loro andamento, e' molto preoccupante, e fa vedere un incremento della violenza da parte dei giovanissimi, tanto che spesso la mafia (una delle organizzazioni criminali per le quali il nostro paese e' tristemente famoso) ricorre per i crimini peggiori proprio a bambini che non possono essere puniti come i grandi. * Un'esperienza Non e' questa la sede per vedere tutti i possibili indicatori che possono servire a segnalare precocemente l'esplodere di un conflitto armato. Vorrei solo aggiungere due commenti: I. data la situazione attuale e la tendenza a nascondere fenomeni che possono danneggiare l'immagine all'estero dei propri paesi ci vorranno molti anni perche' si arrivi ad avere dati validi e comparabili su questi fenomeni; II. In attesa di questi puo' essere interessante l'attenta osservazione di quelli che nel campo medico si chiamano gli "eventi sentinella" che anche un buon giornalista o un attento osservatore puo' rilevare. Sono quei fenomeni di tale rilevanza che possono servire a prevedere un certo possibile andamento futuro, ad esempio il sorgere e lo svilupparsi di una epidemia, in campo medico, o, nel nostro caso, lo svilupparsi di un conflitto. Un esempio di questo possiamo prenderlo dalla nostra esperienza di lavoro nel Kossovo, durante un congedo universitario di due anni avuto per studiare quel problema e cercare di trovare soluzioni pacifiche al conflitto. Si vedano, su questo: A. L'Abate, Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta (Bari), II edizione 1999 (la prima edizione, con altro titolo, ma dalla stessa casa editrice, e' del 1997); il numero speciale della rivista "Religioni e Societa'", Kossovo: conflitto e riconciliazione in un crocevia balcanico, Rosenberg & Sellier, anno XII, n. 29; e il mio saggio La prevenzione dei conflitti armati a livello macro: il caso del Kossovo, nella rivista "Servitium", novembre-dicembre 2001). Nel Kossovo, per lottare contro l'annullamento incostituzionale da parte della Serbia delle forti autonomie di tipo statuale che questa regione aveva in precedenza, e contro l'occupazione militare e poliziesca successiva a questa operazione, tra i kosovari di etnia albanese si era sviluppata una forte lotta nonviolenta (attraverso marce, digiuni, scioperi e manifestazioni varie, ed attraverso la costituzione di un governo parallelo). Ma tra i sostenitori della nonviolenza come azione diretta (marce, sit-in, ecc.) e quelli invece del governo parallelo (era stato istituito un governo alternativo, raccogliendo tasse e organizzando le scuole albanesi, di ogni ordine e grado, ed anche servizi sociali e sanitari alternativi a quelli della Serbia) non c'era un accordo di fondo sui modi per liberarsi dal giogo della Serbia. I sostenitori dell'azione diretta nonviolenta temevano che queste attivita' alternative servissero a pacificare la zona, a far credere che tutto andasse bene, che non ci fosse alcun conflitto, ed in fin dei conti servissero ai serbi a risparmiare fondi per i servizi forniti dal governo parallelo. Che andassero percio' a favore dei serbi. I sostenitori del governo parallelo (una delle tecniche piu' importanti della nonviolenza) temevano che il ricorso ad azioni dirette, anche se nonviolente, dato che la popolazione albanese non era preparata ad una lotta di massa nonviolenta, avrebbe portato i militari e la polizia serba ad usare la violenza contro di loro, e che questo, a sua volta, avrebbe portato gli albanesi a reagire violentemente, facendo incrementare la violenza dei militari e della polizia serba contro di loro. E che, dati gli squilibri di forze, tutti a favore dei serbi, questo avrebbe potuto portare ad una carneficina, a danno degli albanesi, e percio' ad una loro definitiva sconfitta. Un tentativo di superare questa distinzione tra questi due modi di lottare, e di elaborare una strategia comune che permettesse di unire queste due forme di lotta nonviolenta, era fallito per problemi tecnici. Al nostro (mio e di mia moglie) ritorno in Kossovo dopo un periodo in Italia (i serbi non ci hanno mai dato un permesso di soggiorno per lavoro, percio' ogni tre mesi eravamo costretti a tornare in Italia) una amica giornalista del Kossovo ci racconto' cosa era avvenuto a Dreniza, dopo l'uccisione, da parte della polizia serba, di due militanti dell'Uck (un esercito di liberazione armato che si era formato nel frattempo). Per la prima volta, per commemorare i due morti, un militante di questo esercito si era presentato pubblicamente a volto scoperto ed aveva invitato la popolazione albanese a prendere le armi per la liberazione del loro paese. E le circa 20.000 persone presenti avevano risposto con una ovazione alzando le mani in appoggio all'invito. Questo fu per noi il segnale che ormai la guerra stava per esplodere - come e' avvenuto - e che la lotta nonviolenta, di qualsiasi tipo questa fosse, era superata, soppiantata da una lotta armata che avrebbe portato, con l'aiuto della Nato e dei paesi occidentali, che invece non si erano mai mossi realmente in appoggio alle lotte nonviolente, alla liberazione del Kossovo. Quanto avvenuto a Dreniza ci apparve appunto come l'"evento sentinella" che segnalava il passaggio da una lotta a lungo termine ma sostanzialmente nonviolenta ad una armata che portera', appunto con l'aiuto della Nato, alla liberazione del Kossovo dall'occupazione militare serba, ma non affatto alla soluzione dei problemi di questa area che sono sempre molto grandi e rischiano, ogni giorno, di far riesplodere il conflitto armato (su questo fenomeno della segnalazione precoce nel Kossovo si veda il mio articolo Prevenire la guerra del Kossovo, pubblicato nel giornale "Il manifesto" nel settembre 1997, ed in forma piu' ampia nella rivista "Mosaico di pace" nell'ottobre 1997). * Dalla previsione alla prevenzione dei conflitti armati Ma passiamo ora al problema della prevenzione. Abbiamo gia' visto i grossi problemi di una valida previsione, e le sue difficolta'. Questo e' del resto vero anche per quanto riguarda i maremoti se un giornale americano ("The New York Times") ha potuto scrivere che il 75% delle segnalazioni precoci di questo fenomeno erano sbagliati. Ed una segnalazione sbagliata crea molti problemi e svuota il valore di questi avvisi, togliendo loro la fiducia delle popolazioni che poi, ad una segnalazione reale, tenderanno a non rispondere positivamente. Qualche cosa di simile e' avvenuto anche in India per una segnalazione da parte di membri del governo stesso che hanno portato ad un grande panico tra la popolazione, ad una grande confusione ed anche a grosse difficolta' nei lavori di aiuto alle vittime del maremoto (si vedano i fascicoli di "The Hindu" del 2, 3, 4 gennaio 2005). Ma il grosso problema, anche se queste segnalazioni fossero valide, e' il passaggio dalla previsione alla prevenzione vera a propria. Il distacco tra questi due aspetti dell'intervento e' spesso molto grande. Un esempio di questo distacco puo' venire dallo stesso Kossovo. Gia' nel 1992, un anno prima dell'esplosione della guerra jugoslava, una organizzazione svedese, il Transnational Fund for Future Research and Peace, studiando a fondo la situazione di quell'area, aveva concluso che c'era il grosso rischio dell'esplosione di un conflitto armato, ed aveva anche fatto una serie di proposte molto valide per la soluzione pacifica del conflitto, non molto diverse da quelle che porteranno, in seguito, alla fine del conflitto armato (che pero' ha poi provocato migliaia di morti da ambo le parti del fronte, e creato problemi successivi di convivenza tra gruppi etnici e linguistici diversi che sono ancora aperti). Ed aveva scritto un documento, molto importante, sulla prevenzione della guerra nel Kossovo. Noi, come attivita' dell'Ambasciata di Pace che avevamo costituto nel 1994, con la Campagna per una soluzione nonviolenta nel Kossovo e con l'aiuto finanziario degli Obiettori di coscienza alle spese militari, dopo percio' che le altre guerre in Jugoslavia si erano sviluppate e completate ma prima che esplodesse invece il conflitto armato per il Kossovo, sulla base delle proposte di questa organizzazione e di quelle di altre organizzazioni che si erano occupate del problema con lo stesso scopo di prevenire l'esplosione del conflitto armato, abbiamo presentato alcune proposte per la prevenzione della guerra in un incontro speciale, presso il Parlamento Europeo, nel 1996, dedicato alla prevenzione dei conflitti armati, che ha dato vita ad un organismo dedicato proprio a questo problema. Questo riprendera' molte delle nostre proposte e le presentera' ufficialmente all'Unione Europea, ma nessuna di queste verra' messa in pratica, e questo portera', nel 1998, allo scoppio della guerra per il Kossovo con le conseguenze prima indicate. Anche qui c'e' da porsi il problema delle ragioni per questa sordita'. Semplice incapacita' a comprendere le ragioni della pace, o grandi interessi per lo sviluppo della guerra? * Cosa fanno le istituzioni? E' certo che gli sforzi che fanno i vari paesi, di tutte le parti del mondo, per la prevenzione dei conflitti armati sono infinitamente inferiori a quelli fatti per prepararsi e per fare le guerre. Sulla base dei nostri studi sulle principali proposte fatte per prevenire il conflitto del Kossovo, e di un calcolo della spesa che questo lavoro ha implicato, e di quella invece per fare la guerra, abbiamo potuto concludere che per la prevenzione (ma in gran parte sostenuta non dai governi ma da ong) si e' speso 1 euro contro ogni 140 euro spesi invece (questi in gran parte dai governi o da organizzazioni internazionali governative), per fare la guerra, per gli aiuti umanitari per i kossovari espulsi dalla zona durante la guerra, e per la ricostruzione del paese finita questa. E' uno squilibrio immenso che sta aumentando giorno per giorno se si pensa alle immense spese sostenute dalle Nazioni Unite per il governo attuale della zona che non si sa quando finira' perche' la turbolenza ancora presente nell'area non lascia presagire la fine della presenza internazionale. In questo caso la segnalazione precoce c'era stata, ma non si e' fatto nulla per prevenire il conflitto armato. Eppure il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha scritto pagine importanti sulla necessita' della prevenzione dei conflitti armati, e cominciano ad esserci dei primi studi molto seri su come questa dovrebbe avvenire (si veda, ad esempio, il lavoro della Carnegie Foundation, Preventing deadly conflicts, New York 1997). Ma se i governi continuano ad essere cosi' sordi rispetto a questo tema, e gli squilibri tra spese per la prevenzione dei conflitti armati e quelle invece per portarli avanti continuano ad essere cosi' alti a vantaggio di questi ultimi, e' sicuro che avremo un futuro pieno di guerre e di conflitti armati. * L'intervento civile Prima di chiudere vorrei fare un accenno sui problemi dell'intervento nelle zone in cui questi disastri, sia il maremoto che la guerra, sono avvenuti, e sul possibile utilizzo (oltre che per la prevenzione dei conflitti armati, che sarebbe il loro compito specifico, anche per queste attivita' di aiuto alle popolazioni colpite da questi flagelli) degli Shanti Sena (Corpi di pace), che Gandhi, Vinoba e Jayaprakash Narayan avevano promosso (si vedano: C. Walker, A World Peace Guard. An Anarmed Agency for Peacekeeping, Academy of Gandhian Studies, Hyderabad A. P. 1981; e Ramjee Singh, Shanti Sena: A guide Book, Serva Seva Sangh-Prakashan, Rajghat, Varanasi 2003) e che l'Europa, come impegno della sua nuova Costituzione, sta cercando di portare avanti. Ma prima vorrei accennare ad un avvenimento che mi ha fatto molto riflettere in questi ultimi anni e che secondo me e' significativo per capire, da una parte, l'importanza di questi organismi, dall'altra invece la riluttanza di molti governi, in questo caso europei, di occuparsi seriamente del problema della prevenzione dei conflitti armati. Si e' tenuto ai Parigi nell'ottobre 2001, in una sala del Parlamento Francese, un convegno su "L'intervention Civile: Une Chance Pour La Paix" (Intervento civile: una opportunita' per la pace). Il colloquio era organizzato dal Comitato francese per l'intervento civile di pace (cui partecipano varie ong di quel paese ed anche il partito verde francese), e dall'Istituto di ricerca sulla risoluzione nonviolenta dei conflitti, diretto da Jean-Marie Muller, uno dei principali studiosi francesi di nonviolenza. Non parlero' qui del convegno sul quale ho gia' scritto altrove (si vedano le mie dispense "Sociologia dei conflitti e ricerca per la pace", Centro Stampa Toscana Nuova, Firenze, anno accademico 2001/2002) Ma vorrei sottolineare solo alcuni elementi emersi dalle relazioni, e soprattutto dal dibattito molto franco tra le componenti istituzionali e quelle delle ong, che mi sembrano molto istruttivi. Il Ministero della Difesa francese ha preso atto della importanza dell'intervento civile tanto da creare al suo interno anche un Dipartimento sull'intervento militare-civile, ed un altro su quello civile-militare. Ma concepisce questi tipi di intervento come subordinati a quello militare. Nelle parole di un suo rappresentante "l'intervento civile e' spesso fatto grazie a mezzi ed attrezzature messe a sua disposizione dai militari". Al contrario le ong organizzatrici insistono sulla necessita' di una completa autonomia dell'intervento civile da quello militare che partono, nelle parole di Jean-Marie Muller, "da due logiche completamente diverse", non escludendo una loro complementarita' e collaborazione, ma sullo stesso piano e non subordinando quelle civili a quelle militari. Questo problema e' emerso chiaramente anche nel dibattito tra uno dei due esperti del ministero francese della difesa ed il pubblico. Nella sua relazione questi aveva detto chiaramente che nelle situazioni di crisi internazionale si possono ipotizzare tre fasi: 1) la prima e' quella dell'intervento armato; 2) la seconda quella della ricerca di soluzioni politiche; 3) la terza quella della ricostruzione. L'intervento dei civili viene visto come importante soprattutto nella seconda e nella terza fase. Alle rimostranze di alcuni dei partecipanti al colloquio sul fatto che cosi' si metteva del tutto in secondo piano una delle fasi piu' importanti del conflitto, quella nel quale l'intervento di corpi civili di pace puo' essere cruciale, e cioe' la prevenzione della scalata del conflitto e dell'esplodere stesso del conflitto armato, che deve venire prima delle tre fasi su delineate, l'esperto in questione prima non ha risposto, glissando sull'argomento; poi, sollecitato a voce dal pubblico presente a dire la sua su questo argomento, ha riconosciuto l'importanza del problema ma ha detto che questo e' un problema politico che deve essere risolto in sede parlamentare e governativa, e non dal suo Ministero. Ma ha anche aggiunto che, secondo lui, il dibattito politico sull'intervento militare o meno e sulla prevenzione dei conflitti armati e' estremamente carente a livello del parlamento francese e che loro (i militari) avrebbero preferito, prima di essere coinvolti in un intervento nel quale le loro vite sono messe a rischio, un maggiore approfondimento di questa tematica che sembra invece messa in secondo piano dagli stessi politici. Se pensiamo al dibattito del 7 novembre 2001 al parlamento italiano (alla Camera dei Deputati) ed all'appiattimento di questo, a stragrande maggioranza, su posizioni di appoggio all'intervento dell'Italia nella guerra in Afghanistan, senza nemmeno prendere in considerazione le possibili obiezioni, non c'e' che da dargli ragione e vedere la pochezza di questo dibattito anche nel nostro paese. In complesso si puo' dire che il dibattito al parlamento francese e' stato molto utile anche perche' ha messo a nudo le resistenze dell'establishment nei riguardi dell'intervento civile nei conflitti armati che viene si' considerato sempre piu' importante (su questo tipo di intervento si veda anche la mia relazione al congresso internazionale dell'Ipri a Malta, pubblicata in India ed negli Usa nella sua versione in inglese originale: "Forze nonviolente di interposizione. Sono possibili interventi nonviolenti efficaci nei conflitti armati?", la cui traduzione italiana e' apparsa nel libro curato da Antonino Drago e Matteo Soccio, Per un modello di difesa nonviolento: Cosa ci insegna il conflitto nella Ex-Jugoslavia?, Editoria Universitaria, Venezia 1995) tanto da riconoscergli lo spazio di dibattito all'interno del parlamento francese stesso, ma che viene anche subordinato a quello militare considerato come quello fondamentale che deve dirigere anche l'altro. E questo segnala il grande lavoro ancora da fare, non solo in Francia ma anche in altri paesi, non solo europei, per far comprendere la necessita' di una autonomia e di una non subordinazione dell'intervento civile a quello militare, che possono e devono sempre piu' collaborare reciprocamente per la difesa del paese - che e' l'unica forma di uso della forza armata ammessa dalla nostra Costituzione - ma senza subordinare quello civile a quello militare, come sottolineato ripetutamente dagli organizzatori del colloquio stesso. Ma vediamo meglio cosa sono e cosa possono essere questi corpi. * I corpi civili di pace L'India, primo paese del mondo, ha avuto l'esperienza degli Shanti Sena (Corpi di Pace), che erano stati promossi da Gandhi, Vinoba e Jayaprakash Narayan, i due principali collaboratori e seguaci di Gandhi. Questi corpi sono intervenuti in molte localita' di questo paese per prevenire o superare conflitti interreligiosi, per convincere i "banditi" a lasciare le armi e passare alla ricerca di soluzioni pacifiche ai loro problemi, per promuovere la comprensione reciproca tra gruppi etnici diversi, per aiutare la popolazione durante situazioni di emergenza, ed in altre situazioni simili (si veda, su questo, anche N. Desai, Toward a nonviolent revolution, Serva Seva Sangh, Prakastan, Rajghat, Varanasi 1972). Ma anche se Gandhi stesso prevedeva la possibilita' di un impegno a pieno tempo di un certo numero di persone che lavorassero in questi corpi (si veda R. Singh, Shanti Sena: a guide book, Sarva Seva Sangh, Prekashan, Rajghat, Varanasi 2001, 2003, p. 8) attualmente in India questo impegno e' lasciato a giovani studenti volontari, e alle donne dei gruppi di autoaiuto. Questo impegno volontario e' sicuramente molto importante per avere risultati positivi dalle attivita', ma fa anche sorgere problemi di coordinamento tra i diversi gruppi che operano, di continuita' del lavoro (un volontario non puo' restare impegnato a lungo tempo a causa del suo normale lavoro da portare avanti), della mancanza di una formazione professionale specifica, ed infine della carenza di strutture logistiche ed apparecchiature spesso molto costose, che gruppi volontari non si possono permettere, ma che sono necessarie in molte occasioni. Se gli Shanti Sena indiani fossero stati ben equipaggiati e finanziati, organizzati e ben preparati, l'intervento umanita rio nelle zone del maremoto sarebbe stato molto piu' efficace di quanto sia stato in realta'. E' questo un dato di fatto che nessuno, in India, ha avuto il coraggio di contestare. Per quanto riguarda i conflitti armati, in uno studio che abbiamo fatto sui risultati degli interventi nonviolenti in questi conflitti, gia' citato, abbiamo potuto vedere che essi sono stati realmente efficaci in varie situazioni (Algeria, Cina, Filippine, ecc.) anche quando sono stati portati avanti spontaneamente da popolazioni locali non preparate ad una lotta ed una resistenza nonviolenta, come e' successo nella maggior parte di questi casi. Gene Sharp, il famoso studioso di nonviolenza (si vedano i suoi tre volumi su Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997) pone, nei suoi scritti, il problema che, se questi interventi spontanei e non preparati, fossero stati, o fossero, aiutati da un certo numero di persone a pieno tempo, ben preparati all'uso di tecniche nonviolente di intervento, e con una strategia ben studiata, i risultati positivi ottenuti sarebbero stati, o sarebbero, molto maggiori. Con questa idea in mente stiamo lavorando, a livello italiano ed europeo, per avere almeno un certo numero (per il momento, a livello europeo, si sta pensando a circa 2.000 persone, come primo inizio) di persone a pieno tempo in questi Corpi Civili di Pace, per aiutare le organizzazioni volontarie che gia' lavorano in questo campo a coordinarsi meglio tra di loro e ad essere piu' efficaci. In Italia c'e' gia', per legge, un "servizio civile di pace" della durata di un anno, pagato, sia pur abbastanza poco, che puo' operare in progetti riconosciuti sia in Italia che in altri paesi. Ma questi sono giovani, di ambo i sessi, sotto i 26 anni, con scarsa esperienza di conflitti e di prevenzione e risoluzione degli stessi. Noi stiamo cercando, attraverso il corso di laurea per operatori di pace, per il quale i nostri studenti devono fare un tirocinio di almeno due mesi presso organizzazioni che stanno gia' lavorando in questo campo, di dare loro non solo una preparazione teorica ma anche capacita' e conoscenze pratiche. Ma per questi corpi di pace c'e' bisogno anche di persone piu' anziane che abbiano lavorato nella prevenzione dei conflitti, nell'interposizione, come, ad esempio, nella prima guerra dell'Iraq, o in Jugoslavia, o in altri paesi, che potrebbero portare a questi corpi ed ai membri piu' giovani la loro esperienza e le loro conoscenze. Percio' in Italia un certo numero di ong (tredici per il momento, ma alcune di queste sono gia' dei coordinamenti di varie altre organizzazioni, percio' il numero effettivo e' molto maggiore) hanno dato vita ad una "Rete per i Corpi Civili di Pace" che sta cercando di ottenere un riconoscimento ufficiale dell'importanza di questa attivita'. Attraverso un lavoro di pressione dal basso, con altri gruppi europei simili, siamo riusciti ad avere, nella nuova Costituzione Europea, un impegno a costituire un "Corpo Europeo Civile di Pace", ed a livello italiano, anche qui grazie ad un lavoro dal basso durato anni ed anni, esiste una legge che obbliga il nostro governo a "promuovere e sperimentare forme di difesa nonarmata e nonviolenta". Il presidente del Comitato consultivo del governo per la "difesa nonarmata e nonviolenta", il professor Antonino Drago (in questo momento dimissionario per vari problemi interni del comitato), che e' anche un collega impegnato nel nostro corso di laurea, mentre eravamo in India ci ha proposto di contattare il movimento gandhiano perche' chieda al governo dell'India di finanziare ed appoggiare gli Shanti Sena, per dare loro maggiore forza, ed iniziare una stretta collaborazione con i "Servizi di Pace italiani" (simili ma non coincidenti con i Corpi Civili di Pace che ancora devono essere organizzati e riconosciuti, anche se, singolarmente o in collegamento tra loro, le ong che fanno parte della Rete hanno gia' fatto esperienze importanti in vari paesi del mondo) - e con i Corpi Civili di Pace Europei, quando saranno stati organizzati - e di metterli, sia gli uni che gli altri, a disposizione delle Nazioni Unite per interventi di prevenzione dei conflitti armati, di interposizione nonviolenta, di difesa nonviolenta quando sia necessaria, e per la ricostruzione di rapporti umani e di riconciliazione dopo la guerra. Quello che e' sicuro e' che se le Nazioni Unite avessero a loro disposizione un corpo internazionale di pace, ben preparato alla nonviolenza, per gli impegni su citati, il loro ruolo nella prevenzione di conflitti e nella loro risoluzione nonviolenta, come richiesto dalla Agenda per la Pace delle Nazioni Unite e dallo stesso segretario generale Kofi Annan, sarebbe molto maggiore ed efficace di quanto sia attualmente (si veda su questo il libro. curato da Francesco Tullio, Una forza nonarmata dell'Onu: utopia o necessita?, Formazione e Lavoro, Roma 1989). Una proposta di questo tipo per un intervento in Iraq, al posto di quello militare che sta dando risultati abbastanza contraddittori (stimolando il terrorismo invece di eliminarlo), e' stato presentato dall'attuale governo spagnolo di Zapatero, ed e' promosso anche da varie organizzazioni che fanno parte della "Rete Italiana per i Corpi Civili di Pace". Un'altra proposta, con una raccolta di firme, e' stata lanciata dalle organizzazioni francesi per "Interventi di pace in conflitti armati" (un altro nome per i Corpi Civili di Pace), e sta andando avanti a livello europeo, per chiedere all'Unione Europea di intervenire con questi corpi nel conflitto tra israeliani e palestinesi. E' infatti confermato da tutti i ricercatori per la pace che anche una semplice presenza di osservatori neutrali in un conflitto tende a ridurre la sua intensita' e la sua violenza. * Il modello di sviluppo Ma non basta avere dei corpi di pace ben addestrati alla nonviolenza per ridurre la frequenza e l'intensita' delle guerre. E' necessario anche avere un modello di sviluppo completamente diverso da quello attualmente in auge ed imperante. L'attuale modello di sviluppo, ormai diffuso a livello mondiale, sta infatti accrescendo rapidamente il distacco tra ricchi e poveri, sia come paesi che come persone, e sta portando all'intera sfera terrestre problemi difficilmente risolvibili, di cui abbiamo parlato prima. E' percio' necessario lavorare per un diverso modello di sviluppo che non abbia le implicazioni di quello/i attuali. Il modello di sviluppo dei paesi che si sono definiti comunisti (ma che si potrebbero anche definire di "capitalismo di stato") ha portato un certo livello di sviluppo economico ai paesi dell'est, ma attraverso un sistema politico che non riconosceva le liberta' fondamentali dell'uomo, controllato da una polizia politica molto potente. Questo sistema e' crollato attraverso un movimento di massa nel 1989 che qualcuno ha definito "nonviolento", ed altri invece come "potere popolare" (si veda, su questo, il bel libro di Giovanni Salio, Il potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995). Uno studioso ha scritto che ormai la storia dell'umanita' e' finita, e che attualmente il solo modello valido di societa' e di sviluppo e' quello capitalista, con il suo interesse centrale nel mercato e nell'economia neoliberale. Ma e' esattamente questo modello di sviluppo che sta portando, a livello ecologico, i problemi che abbiamo visto prima e che minaccia la stessa sopravvivenza del nostro pianeta, ed a livello politico e sociale sta portando problemi e disastri ancora peggiori. Con la sua "guerra infinita" al terrorismo, Bush ed i suoi imitatori e seguaci, invece di eliminare e ridurre questo fenomeno lo stanno accrescendo, giorno per giorno ed in ogni luogo. Cosi' la vita, in Israele, in Usa, in Francia, Spagna ed Italia, ed in tanti altri paesi del mondo, sta diventando ogni giorno piu' insicura, a causa di questo terrorismo di ribellione (che e' strettamente collegato al terrorismo di stato degli Usa e degli altri paesi ricchi che usano la violenza strutturale per mantenere i propri privilegi a danno degli altri). Ed anche se questi paesi, come stanno effettivamente facendo, aumentano anno per anno le loro spese militari, questo non portera' sicurezza alle loro popolazioni, ma anzi le rendera' sempre piu' insicure ed incerte del proprio futuro. Per queste ragioni anche questo modello di sviluppo non e' affatto una via di uscita, non avra' una vita lunga, e probabilmente tra qualche anno cadra' in una crisi economica, politica, sociale molto grande. In questa situazione il modello di sviluppo gandhiano, con la valorizzazione delle energie alternative (sole, vento, biogas, ecc.),.basato sul principio di solidarieta' e non della competizione, e con un grande ruolo attribuito al decentramento economico, politico, sociale, sta diventando la sola possibilita' di un valido futuro per l'umanita', per uno sviluppo sostenibile, piu' giusto ed equo, piu' legato ai reali bisogni della popolazione. Si veda, su questo, L. Coppo, E.Camino, G. Barbiero (a cura di), L'insegnamento di Gandhi per un futuro equo e sostenibile, Centro Studi Sereno Regis, Torino 1999; si veda anche, per una buona illustrazione di un diverso modello di sviluppo, basato su idee ispirate alla nonviolenza ed alla convivialita', il libro di uno dei piu' importanti pianificatori internazionali, John Friedmann, Empowerment: a politics for an alternative development, Blackwell Publishers, Usa, sesta ristampa 2006, la cui traduzione italiana e' stata da me curata: Empowerment: verso il "potere di tutti". Una politica per lo sviluppo alternativo, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004. * I nostri compiti attuali Ambedue questi impegni, da una parte il cambiamento dell'attuale modello di sviluppo in uno piu' valido, dall'altra una buona organizzazione di Corpi Civili di Pace efficaci a livello internazionale, sono reciprocamente correlati. Non si puo' infatti avere un Corpo nonviolento di pace per difendere un modello di sviluppo ingiusto e basato sulla violenza strutturale dei paesi ricchi. Ma per portare avanti questi due compiti c'e' bisogno di grossi sforzi dalla base e specialmente da parte dei movimenti che si ispirano alla nonviolenza ed alla pace. Questi devono infatti coordinare meglio i loro sforzi, organizzarsi meglio, come in parte stanno gia' facendo attraverso i vari forum per una alternativa, ed elaborare un piano strategico comune. Se questo avviene, e se questi movimenti riescono, dal basso, a modificare il modello di sviluppo, e ad incidere anche a livello istituzionale verso i propri governi, per avere dei corpi civili di pace validi e ben funzionanti, a disposizione anche delle Nazioni Unite per interventi di prevenzione dei conflitti armati, di interposizione, di difesa nonviolenta e di riconciliazione, la speranza di un futuro senza guerra potrebbe essere non solo una bella utopia ma una cosa piu' concreta e realistica. 3. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 4. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 847 del 21 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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