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La domenica della nonviolenza. 9
- Subject: La domenica della nonviolenza. 9
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 Feb 2005 12:08:56 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 9 del 20 febbraio 2005 In questo numero: 1. Ogni vita umana, ogni umano corpo 2. Giuliana Sgrena: Torturatori di Ali Baba 3. Ida Dominijanni: Il buon soldato Graner 4. Luigi Cancrini: L'allegria dei torturatori 5. Giuliana Sgrena: Torturate ad Abu Ghraib 6. Lia Cigarini: Al mondo con amore e con onore 7. Severino Vardacampi: Alcuni minimi opportuni schiarimenti su resistenza, guerriglia, terrorismo 8. Paolo Tranchina: Breve storia dei "Fogli di informazione" 1. EDITORIALE. OGNI VITA UMANA, OGNI UMANO CORPO Ogni vita umana e' un valore infinito. Questo sanno tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche del mondo. Ogni umano corpo e' tempio e verita', inseparabile dalla scintilla che lo anima: una persona e' il suo corpo, e l'integrita' di quel corpo e' l'integrita' di quella persona. E cosi' chi attenta anche a una sola vita umana, chi attenta anche a un solo corpo umano, lacera l'umanita' intera, nelle sue stesse carni affonda lo strale, tutto distrugge, nulla mai potra' liberare, nulla mai riscattare, nessuna verita' e giustizia attingere. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita': questo concordi attestano le grandi tradizioni religiose e filosofiche del mondo, questo attesta il sentire di ogni essere umano esposto al dolore, al male, alla morte. 2. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: TORTURATORI DI ALI BABA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 gennaio 2005. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005] Prigionieri iracheni a terra, avvolti in una rete, presi a calci, calpestati, macchie di sangue sul pavimento. Altri uomini costretti a simulare atti sessuali, anali e orali, e poi ancora all'umiliazione di alzare il pollice, in segno di "tutto ok!". Un militare che sbeffeggia un iracheno costretto a portare una cassa in testa, mentre un altro uomo e' infilato su un montacarichi che si alza. Scene raccapriccianti quelle che compaiono nelle ventidue foto "souvenir" scattate dai militari inglesi a Camp Breadbasket ("cesto di pane", paradossalmente, perche' era un magazzino per aiuti "umanitari"), un centro che si trova vicino a Bassora, la citta' dell'Iraq meridionale sotto controllo britannico. Immagini scioccanti che ieri sono apparse sugli schermi delle tv inglesi in coincidenza con l'avvio in Germania, nella base di Osnabrueck, di un processo davanti alla corte marziale contro tre militari britannici del Royal Regiment of Fusiliers, accusati di abusi e umiliazioni sessuali commessi contro cittadini iracheni nel maggio del 2003. Il processo si svolge a Osnabrueck perche' i tre imputati si trovano di stanza in una base militare britannica nel nord della Germania. Le foto sono state presentate al processo come prova dall'accusa che le aveva avute da un laboratorio fotografico di Tamford (Staffordshire), dove era stato portato il rullino per lo sviluppo. L'addetto del laboratorio, che si era detto scioccato dalle immagini, aveva deciso di consegnare gli scatti alla polizia. Ieri, Nick Clapham, il tenente colonnello che rappresenta l'accusa, ha detto di non ritenere queste foto un "incidente" e ha definito le immagini "scioccanti e allucinanti". La galleria degli orrori non ha fine, proprio come, forse peggio, ma e' difficile fare una classifica tra tanti orrori, delle immagini che ci erano giunte da Abu Ghraib. Cambiano i carnefici, allora erano americani questa volta sono britannici, ma forse se ne scopriranno altri, ma le vittime sono sempre iracheni. Questa volta non sono sospettati di essere "ribelli" ma solo "Ali Baba", come vengono chiamati in Iraq i ladri. Quando il comandante del Camp Breadbasket aveva lanciato l'"operazione Ali Baba", lo scorso anno - dopo che Bush aveva gia' dichiarato finita la guerra - per cercare di catturare i ladri - l'inizio dell'occupazione era coincisa con i saccheggi -, aveva detto ai suoi uomini di "trattarli duramente". Un ordine che andava contro il rispetto delle convenzioni internazionali, ma gli uomini erano andati ben oltre, ha riferito Clapham alla corte marziale. Peraltro, probabilmente non c'erano grandi segreti da estorcere agli Ali Baba di turno, ma quello della tortura del cui abuso da parte degli eserciti e' ricca la storia, in Iraq non usa il sesso solo come punto debole per costringere il prigioniero a confessare, ma utilizza l'atto sessuale come strumento di umiliazione di un popolo sotto occupazione. Uno strumento in piu' nelle mani dei nuovi, anzi vecchi colonizzatori. Dei tre imputati - i caporalmaggiore Darren Larkin, Mark Cooley e il caporale Daniel Kenyon - davanti alla corte marziale solo il primo dei tre ha ammesso di aver aggredito e maltrattato ma solo un detenuto. Egli prova vergogna per il suo "comportamento inaccettabile", che "ha sporcato la reputazione del suo reggimento e della sua famiglia", ha riferito il suo avvocato. Il processo e' destinato a durare diverse settimane. Era stato preceduto la settimana scorsa da un altro processo contro un altro militare, Gary Bartlam, dello stesso reggimento, condannato. Ma della pena non si conosce l'entita', perche' il tutto era avvenuto in segreto davanti alla corte marziale britannica di Bergen, sempre in Germania. Soprattutto e' stato preceduto dalla condanna a dieci anni di Charles Graner, il soldato statunitense accusato di essere il capobanda dei torturatori di Abu Ghraib. Il capo di stato maggiore delle forze britanniche, generale Mike Jackson, non ha voluto commentare direttamente le foto, ma ha condannato ogni abuso, affermando di avere fiducia nel sistema investigativo e giudiziario. Ha voluto inoltre sottolineare che le accuse riguardano solo un piccolo numero tra i 65.000 militari britannici che hanno finora servito in Iraq. Un piccolo numero finora e per quanto si sa. Ma e' quanto basta non solo per coinvolgere anche i britannici nelle aberranti pratiche della tortura, ma anche per avvelenare ulteriormente la scandenza del 30 gennaio. Che per gli occupanti vorrebbe essere un primo passo nel processo di democratizzazione, di cui finora si sono visti solo soprusi, morti e torture, sempre piu' aberranti. Un nuovo colpo alla gia' deteriorata immagine di Tony Blair. 3. ABU GHRAIB. IDA DOMINIJANNI: IL BUON SOLDATO GRANER [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 gennaio 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Il buon soldato Graner ha parlato per tre ore davanti alla corte marziale americana che lo ha processato e condannato a dieci anni di galera per le torture di Abu Ghraib. Ha parlato e ha riso, raccontando di quando massacrava i prigionieri, scattava foto e rideva. Perche' rideva allora, perche' ha riso adesso, gli hanno chiesto. Risposta: "Non ce n'era e non ce n'e' motivo. E' la nevrosi. A Abu Ghraib abbiamo fatto cose indicibili, sopportabili solo con l'assuefazione e con l'idea che ci fosse qualcosa di divertente". Il buon soldato Graner ha raccontato che a Abu Ghraib lui e i suoi compari dovevano pero' adoperarsi a far si' che l'assuefazione non colpisse i prigionieri. Loro no, non dovevano assuefarsi al dolore perche' il dolore doveva restare insopportabile e aumentare ogni volta: questa era l'unica regola da osservare. Un po' di fantasia insomma, per non rendere la sofferenza troppo routinier. Botte ovunque sul corpo; schiaffi in faccia; umiliazioni sessuali. A ripetizione, ma con quel tanto di imprevedibilita' da vincere ogni istinto di difesa dei detenuti. Trattamenti individualizzati: per ognuno una scheda personalizzata, come in palestra. "Gradi crescenti di privazione del sonno e del cibo, tecniche di pressione fisica e psicologica, uso mirato dell'isolamento notturno e diurno". Nudita' obbligatoria. Tempo massimo per mangiare cinque minuti, tempo minimo venti secondi. Il buon soldato Graner ha aggiunto che lui, e altri come lui, non erano stati addestrati adeguatamente per questi compiti, non erano preparati al meglio, e che per questo le cose sono degenerate. Con un po' di tecnica in piu', chissa', le cose sarebbero andate meglio: un buon sadico deve saper esercitare un perfetto controllo su quello che fa, altrimenti rischia di sbagliare le dosi. La preparazione tecnica invece era stata sostituita dall'imperativo di eseguire gli ordini senza discuterli, punto e basta. E quindi il buon soldato Graner li eseguiva. Aveva provato a obiettare qualcosa, col capitano Brenson, i sergenti Snyder e Ward, il tenente Phillabaum, il maggiore Rayder, ma gli fu detto di tacere e eseguire e lui tacque e esegui'. "Non c'era nulla di legale. Abbiamo commesso atti criminali. Ma per me, allora, erano ordini, anche se ne dubitavo". Che doveva fare allora il buon soldato Graner? Come ha detto sua madre in suo soccorso: "Lo state processando, ma anche se avesse disobbedito lo avreste processato". Che differenza fa? Obbedienza e disobbedienza indifferenti ai contenuti del comando. * Nel 1961, di fronte al tribunale di Gerusalemme che lo processava e lo condanno' a morte per lo sterminio degli ebrei, Adolf Eichmann non considero' sufficiente difendersi invocando l'ubbidienza agli ordini; rivendico' anche una piu' impegnativa obbedienza alla legge, improntata ai principi dell'etica kantiana, o meglio a cio' che di quei principi gli pareva di aver afferrato, di un'etica kantiana, come lui stesso disse, "a uso della povera gente". Hannah Arendt, raccontando il processo ne La banalita' del male, sottolinea l'importanza di questa distinzione dell'imputato: per fare scorrere la banalita' del male non basta darsi l'alibi di eseguire un comando altrui, bisogna interiorizzare quel comando, "identificare la propria volonta' col principio che sta dietro la legge, agire come se si fosse il legislatore che ha stilato la legge cui si obbedisce". Adolf Eichmann non eseguiva passivamente gli ordini di questo o quel superiore, aderiva attivamente all'ordine superiore della legge, che per lui si identificava con il Fuehrer. L'"obbedienza cadaverica", come lui stesso la defini' durante il processo, non si alimenta ne' di fanatismo ne' di automatismi, ma di una ligia e salda ancorche' perversa coscienza. Il buon soldato Graner non lo sa, o e' figlio di un'epoca, la nostra, in cui anche la banalita' del male si banalizza ulteriormente e come un automa risponde all'impulso automatico di superiori senza neanche l'aura dell'autorita' della legge? 4. ABU GHRAIB. LUIGI CANCRINI L'ALLEGRIA DEI TORTURATORI [Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo il seguente articolo gia' apparso sul quotidiano "L'unita'" del 18 maggio 2004. Luigi Cancrini, nato a Roma nel 1938, e' psichiatra e docente universitario, fondatore nel 1970 del Centro studi di terapia familiare e relazionale di Roma. Opere di Luigi Cancrini: (a cura di), Esperienze di una ricerca sulle tossicomanie giovanili in Italia, Mondadori, Milano; Bambini diversi a scuola, Boringhieri, Torino 1974; Quei temerari sulle macchine volanti, La nuova Italia scientifica, Roma 1982; Dialoghi col figlio, Editori Riuniti, Roma 1987; Psicoterapia: grammatica e sintassi, La nuova Italia scientifica, Roma 1987] La cosa che piu' mi aveva colpito delle fotografie scattate nel carcere di Abu Ghraib era, fin dall'inizio, il fatto che i torturatori si mettevano in posa. Che non pensavano di doversi vergognare di cio' che stavano facendo e che esibivano naturalmente la faccia trionfante di chi e' convinto di fare cose giuste. Si trattava di fotografie che non erano state scattate di nascosto ma con la partecipazione divertita dei protagonisti, ce lo conferma oggi Lynndie England che non aveva nessuna paura di essere scoperta e punita perche' stava soltanto eseguendo degli ordini: muovendosi all'interno di quelle che erano le sue (loro) "regole di ingaggio". Non si poteva non pensare fin dall'inizio, del resto, ai toni usati da Bush e dai suoi nel corso di questi ultimi terribili anni: parlando di impero del male, di male assoluto e di guerra da combattere nel nome di un bene altrettanto assoluto, quelle che venivano giustificate fin dall'inizio, difendendole senza riserve e senza scrupoli da tutte le proteste delle organizzazioni umanitarie, erano state prima le bombe poco intelligenti sganciate per errore (o per aumentare l'orrore) su obiettivi civili (i mercati e le scuole, gli ospedali le case) e poi Guantanamo, la strana prigione (o lager) in cui tutti i diritti erano sospesi perche' i nemici dell'armata che combatteva in nome del bene non meritavano per definizione (cosi' dicevano allora, con la stessa mancanza di pudore dei torturatori di oggi, i generali alleati) di essere considerati dei prigionieri di guerra. Alimentando, con le parole e coi fatti, una spirale di violenza che non poteva non determinare conseguenze del tipo di quelle di cui ci viene data testimonianza oggi. Si accusavano i pacifisti di essere "antioccidentali", allora, quando tentavano di denunciare questi aspetti inquietanti delle guerre preventive di Bush. Quello che si faceva finta di non vedere, tuttavia, era lo spaventoso insieme di conseguenze di quella che si profilava gia' allora come una ingiustificabile sospensione delle regole cui ci si dovrebbe attenere anche in tempo di guerra. * In un bellissimo murale di Rivera, a Citta' del Messico, i soldati spagnoli che massacrano le popolazioni azteche stuprando le donne e uccidendo bambini che hanno occhi terribilmente simili a quelli di Hanan Matzud (uccisa dai soldati inglesi a Bassora) non si vergognano di quello che fanno. Ne sono fieri e agiscono con la faccia trionfante di chi e' convinto di fare cose giuste: cercando lo sguardo compiaciuto dei loro capi religiosi e militari. Cosi' come benedetti si sentono oggi i kamikaze e cosi' come benedetti dal sorriso dei loro capi si sentivano non molti anni fa i persecutori al servizio di Hitler, di Mussolini, di Stalin e di tanti altri uomini malati di odio e di fanatismo. Sono precedenti importanti, questi, per capire l'effetto che si determina ai livelli bassi delle gerarchie quando il clima ai livelli alti si ispira ad un fanatismo insano: un effetto che e' largamente indipendente dalla validita' dei principi cui ci si ispira o si crede di ispirarsi. L'allegria del torturatore che da' sfogo alle sue parti sadiche tormentando un nemico in carne ed ossa altro non e' che la realizzazione naturale, infatti, del pensiero malato di chi, dall'alto, esercita il suo sadismo senza sporcarsi le mani. Sta nell'intesa tacita fra un braccio e una mente animati da una medesima intenzione che sono state scritte le pagine piu' orrende della storia dell'uomo. Sta nel clima di odio e di intolleranza costruito ed imposto dall'alto la ragione piu' semplice del liberarsi di un numero impressionante di follie individuali. E' per questo motivo, credo, che risulta impossibile oggi credere a chi, in Italia, in Inghilterra, o negli Usa dice di non aver saputo mai nulla di quello che davvero accadeva nelle prigioni. Uomini del livello di Berlusconi che festeggiano il Milan mentre i nostri soldati combattono e muoiono a Nassirya sono talmente abituati a sottovalutare la gravita' di quello che accade a persone che per loro sono soltanto insetti da schiacciare o pedine da manovrare da non meritare, in fondo, nemmeno l'attenzione delle critiche. Le loro menzogne, tuttavia, vengono dette con una tranquillita' sempre meno convincente. Viviamo ancora in democrazia, negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Italia, ed e' possibile, infatti, mandare a casa un gruppo di responsabili politici malati di protagonismo e di una patologia grave del senso morale. Per utilizzare il voto, pero', che e' sicuramente l'arma piu' importante nelle mani dell'uomo moderno, quelle che sono necessarie sono prima di tutto la chiarezza e la coerenza delle posizioni contrapposte: allineando in questo caso le opposizioni, anche quelle che finora si sono dimostrate piu' incerte, sul rifiuto assoluto a portare avanti un coinvolgimento dei soldati italiani basato sulla subordinazione di fatto ad eserciti le cui "regole d'ingaggio" sono state dettate dalla follia sanguinaria di Bush e di Rumsfeld. Una follia di cui ci da' testimonianza diretta oggi la torturatrice di cui non sara' facile dimenticare il sorriso, il cinismo e la stupidita'. 5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: TORTURATE AD ABU GHRAIB [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 giugno 2004] "Lo scorso mese prigioniere del carcere di Abu Ghraib avevano fatto uscire dalla prigione dei volantini in cui denunciavano di essere state stuprate" (National public radio, 4 maggio 2004). Una donna dell'universita' di Baghdad, che lavora per Amnesty international, ha descritto l'abuso sessuale da lei subito a un posto di blocco: un soldato americano "mi ha puntato il laser al centro del petto e poi ha puntato il suo pene. E mi ha detto: vieni qui cagna, che ti...". Secondo la professoressa Huda Shaker "molte donne hanno subito violenze sessuali nel carcere di Abu Ghraib, compresa una ragazza che e' stata stuprata da un americano della polizia militare ed e' rimasta incinta" ("The Guardian", 12 maggio 2004). Anche l'ex ministro dei diritti umani iracheno, dimessosi in maggio, Abdel Bassat Turki, aveva denunciato il trattamento delle donne nel famigerato carcere: "Sono state negate loro cure mediche. Non hanno toilette adatte. E' stata fornita loro una sola coperta, anche d'inverno. E le loro famiglie non hanno avuto il permesso di visitarle" ("The Guardian", 12 maggio 2004). Il ministro non ha menzionato le violenze sessuali, forse per pudore. * Tra le molte immagini diffuse sulle torture nel carcere di Abu Ghraib non si vedono mai detenute, e degli abusi da loro subiti non si parla, o quasi. E non a caso. Innanzitutto e' una vergogna aver subito violenze sessuali, e poi si temono le conseguenze: per lavare l'onta le famiglie potrebbero anche ucciderle. L'avvocato di cinque detenute racconta che le donne gli hanno detto di essere state picchiate, ma non di essere state stuprate. "Avevano vergogna. Dicevano: non possiamo dirglielo. Abbiamo famiglia. Non possiamo raccontare cosa e' successo" ("Los Angeles times", 12 maggio 2004). E la ragazza che era rimasta incinta ora e' scomparsa. Huda Shaker e' andata a cercarla a casa sua, "ma i vicini hanno detto che la famiglia era andata via". E ci sono forti dubbi che la ragazza sia ancora viva. Il rischio che ragazze o donne stuprate non sopravvivano al "disonore" della famiglia e' infatti estremamente fondato. Per subire minacce e ricatti non e' nemmeno necessario che il fatto sia accaduto, basta il semplice sospetto. Che ricadra' anche sulle figlie. E' quanto teme una ragazza la cui madre e la zia sono rinchiuse ad Abu Ghraib. Sconosciuti hanno cominciato a infilare sotto la porta di casa sua giornali e foto false, tratte da riviste e siti pornografici, ma chi ci credera' che non sono vere? Poco importa se il colonnello Barry Johnson, portavoce del generale incaricato delle carceri, ha negato che le cinque donne ancora detenute - tre ad Abu Ghraib e due in altri luoghi - non hanno subito abusi. Chi puo' credergli? (e in questo caso a ragione). Anche perche' le donne, sebbene siano detenute in luogo separato dai maschi, si trovano proprio nel famoso blocco 1A, dove sono state scattate la maggior parte delle raccapriccianti foto delle torture. "Con le foto e i cd che sono circolati e' quasi irrilevante se sono state violentate o meno", sostiene Manal Omar, la coordinatrice irachena di Women for women. "Anche prima dello scandalo delle torture, circolavano voci sugli stupri delle donne in prigione. Con o senza le foto dei siti porno, le immagini circolate lo hanno fatto credere. Hanno trasformato le voci in fatti" ("Csmonitor", 28 maggio 2004). "Nella nostra cultura, se una donna e' stata in prigione, si pensa che sia stata violentata", aggiunge Yanar Mohammed, molto impegnata nella lotta per i diritti delle donne e direttrice del giornale "Almosawat" (Uguaglianza). * A sollevare la questione delle violenze sulle donne nelle carceri irachene e afghane e' anche la campagna "Ne' sangue, ne' stupri per il petrolio" sostenuta da Black women's rape action project (bwrap at dircon.co.uk) e Women against rape (war at womenagainstrape.net). Queste organizzazioni hanno scritto alle deputate dei paesi che fanno parte della coalizione (Stati Uniti e Gran Bretagna) per chiedere conto dei crimini e delle torture, stupri compresi, di cui si sono resi complici i rispettivi governi. "Non accettiamo che le autorita' possano semplicemente ignorare. C'e' una evidenza crescente che gli ordini di torturare, compreso lo stupro, sono venuti dai piu' alti comandi. Noi non accettiamo che il governo britannico neghi responsabilita' per le azioni commesse dalle truppe Usa e viceversa. Coalizione significa responsabilita' comune. Perche' nessuno che occupa posizioni di comando si e' dimesso? Lo chiederete ora, in modo che vengano processati?". 6. RIFLESSIONE. LIA CIGARINI: AL MONDO CON AMORE E CON ONORE [Da "Via Dogana" n. 70 del settembre 2004 riprendiamo questo articolo di Lia Cigarini. Ringraziamo le amiche della Libreria delle donne di Milano per averci messo a disposizione questo ed altri testi che contengono riflessioni che sentiamo decisive. Per richiedere "Via Dogana" (rivista la cui lettura vivamente raccomandiamo) e per contattare la Libreria delle donne di Milano: e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it. Lia Cigarini e' una delle figure piu' vive del pensiero e dell'agire delle donne, di molte e di molti maestra] Vorrei fare alcune annotazioni al mio articolo apparso sul precedente numero di "Via Dogana", Insopportabile [riprodotto anche nel n. 814 de "La nonviolenza e' in cammino"], perche' non sono del tutto contenta di quello che ho scritto. Ho scritto che guardando le fotografie delle soldate americane con i prigionieri iracheni umiliati e torturati, non vedevo delle donne bensi' dei manichini fallici. Non c'e' niente di consolatorio in questa affermazione. Anzi: registravo il radicale annientamento, in quel contesto di guerra, del simbolico delle donne, simbolico che ruota intorno alla potenzialita' del corpo femminile di essere due, di accogliere, nutrire, parlare all'altro. Per me e altre questa potenzialita' pensa e agisce nella e attraverso la relazione duale, antidoto sia all'io ossessivo e solitario che ad ogni identita' collettiva. Marco Bascetta, sull'ultimo numero di "Leggendaria" dedicato all'analisi di quello che e' successo in Iraq, mi rassicura: nei corpi militari ogni differenza deve essere sacrificata, non resta che la diserzione, e richiama il grande esodo delle femministe dai gruppi extraparlamentari in guerra con lo Stato, esodo, dice, che segno' un limite, apri' una contraddizione senza "fondare un ordine nuovo e un nuovo principio di trascendenza in cui la molteplicita' dei singoli e' destinata a confluire". In effetti, il movimento delle donne in nessun paese si e' dato un'organizzazione, un'ideologia comune, un apparato, neppure delle portavoce; e' costituito invece da tanti piccoli gruppi, da tante pratiche differenti, da tante voci diverse, ecc.. Percio' alcune dicono: erano pochissime quelle che si sono arruolate nella lotta armata, sono poche quelle negli eserciti, saranno sempre una minoranza, non c'e' da preoccuparsi troppo... Tuttavia se guardo verso quello che succede intorno a me, lasciando l'Iraq e le soldate americane al loro inevitabile destino unisex, continua l'ansia per la fragilita' della nostra pratica politica. So che con questa fragilita' abbiamo sempre convissuto, avendo rinunciato a tutti i mezzi elaborati fin qui per rafforzare la propria politica, collocandoci in contesti piu' piccoli, piu' vicini alle relazioni quotidiane. Sono consapevole che sempre piu' pensatori della politica di sinistra (vedi da ultimo Miguel Benasayag) si accostano alla pratica di relazione come la piu' consona al momento storico. Ma, se allargo lo sguardo al mondo del lavoro ed ai luoghi decisionali della societa' (tribunali, industrie, professioni, universita', polizia, ecc.) dove le donne stanno affluendo in massa, quello che vedo sono sempre piu' donne in trappola, fatte a pezzi simbolicamente. E cosi' la differenza femminile diventa un filo sottile che si spezza in piu' punti, in piu' contesti. Non solo nei corpi militari e di polizia. Nel "Sottosopra" sulla fine del patriarcato e, recentemente, a Diotima, e' stato sottolineato che il patriarcato, anche se in modo perverso e oppressivo, preservava la differenza femminile. Ora, e con verita', questa e' nelle nostre mani. Le donne sono in trappola (cosi' non e' stato per la mia generazione) perche' tutto spinge ad essere come gli uomini, a reclamare la spartizione del potere. I media, in maniera ossessiva, ogni giorno contano i posti conquistati o non conquistati, sfornano statistiche sulla poca presenza delle donne nei posti di comando. Sul "Corriere della Sera" del 19 luglio scorso, e' apparsa un'inchiesta che mette sotto accusa la predilezione femminile per le facolta' umanistiche, chiamate con disprezzo ginecei, e sotto accusa sono anche le madri e le insegnanti che le spingono a questa scelta. Nel testo, che da' conto di una ricerca, qualsiasi asimmetria tra i sessi - che e' uno dei modi con i quali si esprime la differenza sessuale - e' condannata e deve essere corretta. Tra poco anche la predilezione femminile per la lettura sara' considerata tempo perso, sottratto alla lotta per conquistare posti di comando e soldi: gli uomini semianalfabeti ma bravi in informatica sembrano essere l'unico modello per questi ricercatori, donne e uomini che siano. E' in corso una specie di campagna per la riduzione ad uno, dei sessi e del simbolico. In prima fila in questa battaglia c'e' il femminismo della parita' con ampio codazzo di sociologhe, esperte del lavoro e di economia, che martella proponendo obiettivi, carriere e chiedendo ossessivamente leggi di parita'. E' sicuramente necessario controbattere con maggior energia a queste posizioni che sono diventate la lingua corrente dei mass-media e del femminismo piu' realista del re. Non sono pero' per seguire quest'unica strada, anche se la condivido. C'e' una spinta delle donne all'indipendenza economica e al prestigio sociale che le porta ad occupare, comunque, posizioni e luoghi regolati dalla competizione, dalla gerarchia, dalle tattiche e strategie del potere maschile. Milagros Rivera, in un recentissimo testo intitolato La mediazione femminile, sostiene che in quei contesti non si riesce in alcun modo a fare passare la sessualita' femminile se non la sua parte fallica. Non si trovano i "sentieri" e "camminamenti" che pure alcune donne eccezionali in passato hanno scoperto e, quindi, si e' strette in una contraddizione lacerante che porta a separare vita e lavoro, relazione (amore lo chiama Milagros) e prestigio sociale. Molte donne, soprattutto ai livelli direzionali, si adattano alle regole del "tra uomini" perche' pensano di essere prese per pazze se marcano la relazione come orientativa nella vita lavorativa. Questo e' il punto dunque: trovare il sentiero. Discutendo con Luisa Muraro dicevamo: la strada non puo' che partire dal rafforzamento dei rapporti tra donne in qualsiasi luogo: e' stata la strada mia e sua e di tante altre, non siamo cadute in alcuna trappola, ci siamo mosse con liberta' nel mondo senza rinunciare a stare al mondo con "amore" e "onore". In questo senso vanno le madri e insegnanti "sessantottine" deprecate dalla ricerca riportata dal "Corriere", che indicano alle figlie di seguire il loro piacere nelle scelte anziche' i soldi, in questo senso va l'intervista, pure apparsa sul "Corriere della Sera" all'attrice americana Meryl Streep la quale, tra altre cose interessanti, dice: "sono grata alle donne che dirigono gli studios, come Sherry Lansing... come Amy Pascal, alla guida della Columbia. E' un aspetto della storia di oggi di Hollywood che un giorno sara' scritto. Avere donne in consigli decisionali degli studios ha portato ruoli non solo alle ragazze giovani e belle". Quindi ci sono donne potenti e con prestigio sociale che non rinunciano all'amore per le proprie simili e per se stesse dando lavoro ad attrici bravissime ma anziane e nel contempo attraverso i film combattono la schiavitu' femminile propria dell'Occidente: la pelle necessariamente liscia e la taglia 42. Questa e' un'eccellente mediazione femminile. Si tratta, dunque, di lottare e pretendere dalle sociologhe, economiste, lavoriste, giornaliste e via dicendo, che, invece di accanirsi contro l'asimmetria tra i sessi nel lavoro (che e' conflitto, dialettica, piu' liberta'), ci diano l'analisi dello stato dei rapporti tra donne, tra donne e uomini, e dei rispettivi punti di vista sull'altro sesso, nonche' del disagio o dell'agio femminile, di come lavorano donne e uomini, dei conflitti e delle mediazioni. Insomma dobbiamo pretendere piu' rispetto per le scelte femminili. A me sembra ovvio che, se le donne per secoli hanno umanizzato la vita curando figli, case, uomini, feriti, ecc., oggi vogliano umanizzare il lavoro, contro il macchinismo tecnologico maschile e scelgano quindi le facolta' umanistiche. Tuttavia il trauma iracheno e la consapevolezza di uno stato di guerra che e' mondiale e permanente ha messo in discussione i contesti piccoli del nostro agire relazionale e ci spinge a disegnare un orizzonte piu' ampio. Il bisogno di fare ordine simbolico - che e' tanta parte della politica delle donne - a fronte di accadimenti sempre piu' rapidi e sovrastanti, non puo' che allargare il contesto del nostro pensare e agire. Secondo me, non ha piu' senso dire: la pratica di relazione la agisco li' dove sono, non ha senso perche' in realta' siamo qui e siamo altrove. Non la penso come un'operazione intellettuale bensi' come un'esposizione di me stessa, della mia pratica di relazione duale in momenti e luoghi lontani dall'epicentro della mia attivita'. Certo, con il rischio di esporre agli occhi di tutti la fragilita' della mia pratica di relazione. Ma qui si tratta di rendere viva la differenza femminile e non di custodirla con arte. Mi diceva di recente Ida Dominjanni: bisogna che l'amore smetta di essere, in politica, un indicibile, noi non possiamo parlare di amore come delle piccole illuministe. Sono d'accordo e credo che sia il modo di toccare (o rianimare, direbbe qualcuna) il desiderio maschile di uscire dalla corazza che lo imprigiona e dalle sue pulsioni distruttive nei confronti delle donne. Se la differenza sessuale e' il cuore della libido e del desiderio, come penso, ci potrebbe essere un interesse maschile affinche' sia viva. Puo' essere questo un sentiero da percorrere per fare si' che la mediazione femminile sia mediazione vivente per donne e uomini? 7. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNI MINIMI OPPORTUNI SCHIARIMENTI SU RESISTENZA, GUERRIGLIA, TERRORISMO [Severino Vardacampi e' uno dei principali collaboratori del Centro di ricerca per la pace di Viterbo] Sara' forse opportuno tentare di contribuire a fare un po' di luce su un groviglio di questioni la cui disamina chiara e distinta e' assolutamente necessaria. Resistenza, guerriglia e terrorismo sono tre concetti ed oggetti diversi, ma che possono avere contatti ed intrecci profondi tra loro. Ma si puo' dire anche altrimenti: questi tre oggetti e concetti possono essere variamente connessi, ma non sono affatto una stessa ed unica cosa. * Per resistenza nel linguaggio storiografico e politologico si intende in sostanza il soggetto e l'azione dell'opporsi a un regime oppressivo: in quanto tale essa trova legittimita' nell'estensione del principio giuridico della legittima difesa, e sempre in quanto tale essa puo' estrinsecarsi in forme assai diversificate: la forma piu' rigorosa, coerente, limpida e intransigente di resistenza e' senza dubbio la resistenza nonviolenta, poiche' essa si oppone nel modo piu' nitido e concreto alla violenza dell'oppressione, ripudiando finanche e anzitutto di riprodurla sia pure in parte nel proprio agire. * Per guerriglia si intende in sostanza un'attivita' di tipo militare, quindi fondata sull'uccidere persone, che si oppone a un potere oppressivo che dispone di un apparato militare superiore tale da precludere al soggetto che pratica la guerriglia la possibilita' di contrapporglisi in battaglia in campo aperto nelle forme di un esercito regolare e di una guerra condotta "simmetricamente", ovvero con modalita' speculari. La guerriglia puo' anche essere una delle forme attraverso cui si esercita una attivita' di resistenza, ma non e' ne' l'unica, ne' la principale. Inoltre la guerriglia puo' essere praticata anche da soggetti che non stanno resistendo a un'oppressione, ma che un'oppressione vogliono instaurare, o che vogliono semplicemente rovesciare un ordinamento giuridico, anche legittimo e democratico. Il nocciolo della questione a noi pare che sia il seguente: la guerriglia e' comunque un'attivita' militare, fondata quindi sull'uccidere esseri umani; in quanto tale essa riproduce la violenza degli eserciti e della guerra, e' schiava del male dell'uccidere. Possono essersi date nel corso della storia situazioni tali per cui a persone di volonta' buona si impose la terribile necessita' di essere disposti ad uccidere (oltre che ad essere uccise), ma si tratta appunto di una coazione: uccidere resta sempre un male. Le migliori intenzioni non mutano il fatto che quando una persona viene uccisa, e' stata privata del diritto fondamentale senza del quale nessun altro diritto si da', il diritto a vivere, inerente a tutti gli esseri umani; quando si accetta di uccidere anche una sola persona, si viola l'unico principio che fonda l'umana convivenza: tu non uccidere, poiche' tutti - come te - hanno diritto a vivere. * Per terrorismo si intendono atti ordinati a terrorizzare qualcuno per annientarne la volonta', per annichilirne la liberta', per cancellarne la dignita' Al repertorio degli atti di terrorismo hanno attinto ed attingono tuttora a piene mani stati, istituzioni, movimenti, gruppi organizzati di varia natura e finalita', e naturalmente anche singoli (anch'essi con identita', status e caratteristiche diversificatissime: dall'imprenditore che assolda il sicario che uccidera' Chico Mendes, al suicida che compie una strage su un autobus). Soggetti diversissimi, e in nessun modo omologabili, hanno fatto uso del terrorismo. E' terrorista il regime giacobino; e' terrorista il regime hitleriano e quello staliniano; e' terrorista il bombardamento di Dresda e la bomba di Hiroshima; e' terrorista il comandante partigiano quando fa fucilare il partigiano che ha commesso un crimine; e' terrorista il soldato dell'esercito israeliano quando spezza le braccia dei ragazzi palestinesi della prima intifada; e' terrorista il combattente suicida-stragista palestinese o ceceno; e' terrorista il militare dell'esercito americano torturatore e stragista ad Abu Ghraib e a Falluja; sono terroristi i tagliagole del fondamentalismo islamico; sono terroristi gli stragisti dell'11 settembre 2001; sono terroristi gli assassini di Quattrocchi e di Baldoni; e' terrorista la mafia; sono terroristi i dipendenti dello stato italiano che hanno commesso le torture a Bolzaneto; e' terrorista un ordinamento giuridico quando prevede ed irroga la sanzione della pena capitale; e' terrorista il pater familias che picchia coniuge e figli. E' evidente che questi soggetti sono tutti diversissimi l'uno dall'altro, non omologabili, e che le loro azioni vanno anche interpretate muovendo da un'analisi contestuale, ricostruendo le eziologie, anzi le genealogie e le costellazioni di eventi, discernendo, comprendendo tutto senza nulla giustificare. E' evidente che la Resistenza al nazifascismo restera' sempre cosa buona e giusta anche se nel corso di essa, nel contesto della ferocia e della barbarie della guerra dal nazifascismo scatenata, possono essersi dati singoli episodi finanche di atrocita'; e che la condanna morale, dolorosa, netta e ineludibile di quegli episodi non inficia il valore globale, assoluto e complessivo, della Resistenza. Cosi' come e' evidente che il fatto che uno stato democratico possa commettere in alcuni apparati e situazioni e momenti atti terroristici non lo rende affatto terrorista tout court, e che la condanna di quegli atti di terrorismo non implica che quello stato in quanto tale possa essere equiparato a una dittatura. Cosi' come e' evidente che chi per legittima difesa di se' e di molti di fronte all'aggressore assassino si trova ad uccidere quell'aggressore assassino non avendo saputo o potuto trovare alternative per difendere come e' suo diritto la vita sua e quella di molti, non e' ipso facto un criminale anche se, uccidendo, un crimine - il piu' orribile dei crimini - ha commesso. Nell'interpretazione degli eventi sempre e' necessario l'esercizio delle facolta' di analisi e di sintesi, la capacita' di saper distinguere e la capacita' di saper riassumere e contestualizzare. E nella riflessione politica e morale sempre e' necessario quell'atteggiamento che Simone Weil chiamava attenzione, e che in un indimenticabile luogo del Chisciotte in cui si tratta di cosa sia giustizia e di come la si debba amministrare viene chiamato misericordia. Quella misericordia che possa sempre ispirare i nostri atti ed i nostri giudizi. Ma resta il fatto che un atto di terrorismo e' un atto di terrorismo, e le vittime restano vittime, i carnefici carnefici, gli assassini assassini, e tanto l'umanita' delle vittime quanto quella dei carnefici e degli assassini ne viene vulnerata, e con esse l'umanita' intera. Mai il terrorismo puo' essere ammesso. Mai. Ove e' il terrorismo, l'umanita' muore tra le sofferenze piu' atroci. Ove e' il terrorismo non vi e' gia' piu' piena e limpida e forte resistenza, poiche' una resistenza autentica, veritiera e verificante, e' sempre resistenza contro l'inumano in nome della comune umanita'. E' ben vero che pure esso terrorismo ha avuto fin nel capolavoro di Hegel la sua oscena magnificazione - in quelle tremende pagine, certo "splendide di forza e di genio", della Fenomenologia dello spirito in cui si analizza la dialettica servo-padrone e con essa le dinamiche della morte e della paura e dell'asservimento -, e che quindi nella cultura moderna esso ha costituito non solo una diffusa prassi criminale di poteri sia criminali che legittimi, ma finanche un referente accettato e un criterio introiettato da tante "anime belle" che non riflettono mai sulle conseguenze empiriche dei ragionamenti astratti e cosi' diventano complici e serve - e sovente altresi' mandanti e mentori - degli assassini. E' ben vero che esso ha una sua perversa efficacia, di cui si fanno forti non solo i sostenitori di tutti i totalitarismi, i razzismi, le dittature di sesso, di casta e di classe; ma anche tutti gli assertori di regimi e ideologie fondate sulla supina accettazione del criterio che esseri umani debbano essere asserviti ad altri, che esseri umani debbano essere ridotti a merce e cosa e funzione in pro di altri, che esseri umani debbano accettare una diminuzione di se' perche' altri possano godere di un surplus di beni e servizi. E' ben vero che esso sembra essere lo strumento principe di regolazione delle relazioni internazionali nel disordine costituito oggi dominante. Ma e' pur vero che tanta ingiustizia, tanta vilta', tanti sofismi, debbono pur essere affrontati, smascherati e vinti, se vogliamo che l'umanita' trovi una via di scampo dalla distretta presente. Mai il terrorismo puo' essere ammesso. Mai. Ove e' il terrorismo, l'umanita' muore tra le sofferenze piu' atroci. Ove e' il terrorismo l'umanita' e' annientata, tutto cio' per cui vale la pena lottare e' distrutto per sempre nello strazio e nell'orrore. * E' giunto il momento di riassumere. 1. Talvolta una resistenza puo' essere anche guerrigliera, ma non necessariamente; dal punto di vista del diritto oggi vigente sul piano interno ed internazionale, essendo la resistenza un'estensione della legittima difesa, essa puo' essere legittima anche estrinsecandosi in forma militare; ma dal punto di vista della nonviolenza la guerriglia consistendo dell'uccidere persone rientra nell'ambito dell'attivita' militare, cioe' dell'uccidere, e come tale va ripudiata sempre, come vanno ripudiati tutti gli eserciti e tutte le guerre. Sempre. Talvolta una resistenza, pur legittima, puo' essere anche - in alcune circostanze e fasi - terrorista; ed e' un male sempre, un male assoluto, un male che distrugge la qualita' e corrode la legittimita' stessa di quella resistenza. Una resistenza puo' ben essere giusta (e sovente, quasi sempre, le resistenze lo sono; e sempre lo sono in quanto e nella misura in cui si oppongono in nome dell'umanita' a un'oppressione inumana), ma occorre che essa pratichi anche la coerenza tra i mezzi e i fini, e quella coerenza di tutte le coerenze che e' il rispetto della vita e dell'incolumita' e dignita' delle persone, senza di cui crolla la possibilita' stessa dell'umana convivenza, senza di cui non si da' liberazione dall'oppressione. 2. Una guerriglia puo' anche avere validi motivi, ed essere pienamente legittima dal punto di vista giuridico. Ma in quanto attivita' militare, quindi ordinata all'uccidere, essa giammai e' giustificabile dal punto di vista della nonviolenza laddove vi sia la possibilita' - e vi e' sempre la possibilita' - di scegliere la lotta nonviolenta per opporsi alla violenza. 3. Il terrorismo e' un crimine scellerato e sciagurata un'infamia sempre. Il terrorismo e' nella sua essenza non altro che guerra senza piu' limiti. E la guerra e' nella sua essenza non altro che terrorismo dispiegato nelle forme piu' massive. Il terrorismo e' nemico dell'umana convivenza, esso e' la morte incistata in una vita che gia' non e' piu' vita; solo la nonviolenza si oppone in modo adeguato al terrorismo; solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 4. Certo, la storia e' il regno del relativo, e il giudizio morale appunto consiste nella capacita' di cogliere le relazioni, le dialettiche, i nessi, le condizioni e le costellazioni entro cui l'agire si colloca, si forma (e si deforma, si trasforma). Per i borbonici i garibaldini non erano gli eroi che sono per noi; chi volesse ridurre la vicenda storica del cristianesimo alle atrocita' dell'inquisizione e dei roghi commetterebbe duplice un misfatto pur denunciando una fattuale verita'. Nel giudicare degli eventi e delle loro interazioni occorre umilta', saggezza, misericordia. Ma appunto occorre misericordia: ripudio assoluto della violenza assassina, ripudio assoluto della sua riproduzione indipendentemente dalle maschere con cui si presenta. Scegliamo la nonviolenza poiche' solo chi e' senza peccato potrebbe scagliare la pietra che infrange il volto dell'altra e dell'altro: e nessuno di noi e' senza peccato, e se qualcuna o qualcuno di noi fosse senza peccato per cio' stesso a maggior ragione rifiuterebbe di scagliare la pietra, che e' commissione di male, peccato quindi - se questo termine ci e' lecito qui usare. Scegliamo la nonviolenza perche' solo con la nonviolenza si salva il volto dell'altra e dell'altro, che nella sua infinita differenza, nella sua assoluta preziosa unicita', e' il nostro stesso volto, la nostra stessa domanda, la nostra stessa speranza di vivere, di non essere uccisi, di essere riconosciuti esseri umani. 5. Chiamiamo nonviolenza la via che si oppone a tutte la uccisioni, a tutti i terrorismi, a tutte le guerre, a tutte le oppressioni. Chiamiamo nonviolenza la scelta di restituire tutta l'umanita' a tutti gli esseri umani, ovvero di restituire tutti gli esseri umani a tutta l'umanita'. 8. STRUMENTI: PAOLO TRANCHINA: BREVE STORIA DEI "FOGLI DI INFORMAZIONE" [Dal sito www.retesociale.it riprendiamo questo testo di Paolo Tranchina. Paolo Tranchina (per contatti: tranteo at cosmos.it), prestigioso intellettuale e psicoterapeuta, e' da decenni una delle figure piu' vive del movimento di psichiatria democratica; psicologo analista, ha lavorato a Milano, Arezzo, Firenze, Torino, ha insegnato all'universita' di Verona, dirige la rivista "Fogli di informazione". Tra le opere di Paolo Tranchina: Norma e antinorma, 1978; Il segreto delle pallottole d'argento, 1984; Psicoanalista senza muri, 1989; Portolano di psicologia, 1994] La rivista "Fogli di Informazione", edita dal Centro di Documentazione di Pistoia, diretta da me e da Agostino Pirella, ha pubblicato, dopo 35 anni di vita, il duecentesimo fascicolo: Poetiche e politiche di salute mentale, esattamente cento numeri dopo le Conferenze brasiliane, di Franco Basaglia, venti anni fa, recentemente ripubblicato da Raffaello Cortina Editore. La nascita dei "Fogli" e' il risultato dell'insolito incontro tra psicoanalisi e psichiatria alternativa italiana: infatti, mentre stavo specializzandomi in psicologia analitica all'Istituto Jung di Zurigo, ero stato con Franco Basaglia a Londra nel 1969, per un servizio della Rai Tv - mai andato in onda - su Ronald Laing e David Cooper e sui festeggiamenti a Maxwell Jones, che lasciava la Scozia per tornare in America. Ho cosi' avuto l'opportunita' di visitare le esperienze piu' avanzate del tempo, come Kingsley Hall, la prima casa-famiglia dell'antipsichiatria inglese, e il Dingleton Hospital, a Melrose, vicino a Edimburgo, una delle prime comunita' terapeutiche, visitata anche da Franca Ongaro Basaglia. Affascinato dalla ricchezza critica e emozionale di quella esperienza, ero andato all'ospedale psichiatrico di Gorizia, allora diretto, dopo Basaglia, da Agostino Pirella, dove ero stato profondamente colpito dal protagonismo dei pazienti, dalla intensita' dei rapporti terapeutici e dalla disponibilita' degli operatori. Con Agostino ci eravamo interrogati su come dare seguito al nostro incontro, e insieme avevano deciso di discutere le esperienze antistituzionali in un contesto allargato e ricco di fermenti tecnico-politici come era Milano in quegli anni, dove lavoravo come analista privato e come psicoterapeuta alla scuola media sperimentale della Societa' Umanitaria. Si e' cosi' formato un sodalizio, un momento appassionato, ricco, di verifica, discussione, elaborazione tra l'e'quipe di Gorizia e giovani psichiatri e analisti, riuniti nel Collettivo di intervento nelle istituzioni, che avevo fondato con alcuni colleghi, come Guido Medri, nell'ambito del Centro di psicoterapia di piazza S. Ambrogio, diretto da Pierfrancesco Galli. Mese dopo mese, alla Casa della cultura di Milano, si sono susseguiti accesi dibattiti che hanno investito la deistituzionalizzazione, l'handicap, la scuola, gli istituti per minori, la psicoanalisi nelle istituzioni, i rapporti tra tecnica, politica e potere. Nascono cosi' tredici numeri ciclostilati, pubblicati per il convegno di Psichiatria Democratica di Vico Equense (novembre 2000) in un volume di 360 pagine, col titolo di Matrici. Il testo e' arricchito da una introduzione che racconta la nascita dei "Fogli", il primo incontro con Basaglia e Pirella, (pp. 15-34) e da una bibliografia di "Psichiatria Democratica e dintorni" di circa 500 titoli di libri, con un accurato indice analitico. La rivista stampata nasce nel 1972. La copertina in carta da pacchi, col numero grande in alto a destra, e' di Vittorio Gregotti e Luca Petrella. La serie dura fino al n. 70 del 1980. In seguito le riunioni si alternano tra Milano e Arezzo, dove avevo cominciato a lavorare nell'ospedale psichiatrico, diretto da Pirella, e poi diventano itineranti in tutta Italia: Roma, Trieste, Napoli, Terni, Gemona in Friuli... In questi anni i "Fogli di Informazione" sono stati uno strumento di lotta, partecipazione, elaborazione pratico-teorica, coinvolgimento collettivo che ha costituito una base culturale e politica diffusa e capillare che ha favorito e sostenuto vigorosamente il movimento di Psichiatria Democratica. Gli abbonamenti, arrivano in questo periodo a sfiorare i 2.000, in certi anni vengono stampati 9 numeri, rispetto al ritmo attuale di quattro. Seguono, dall'anno 1980, dopo la morte di Franco Basaglia, altri numeri, fino all'attuale, con il bordo superiore colorato e il labirinto: e' la seconda serie, la grafica e' di Giovanni Troni. Nel 1984 comincia la Collana dei "Fogli di Informazione", che da allora ha stampato 32 libri, riprendendo i testi monografici piu' importanti della rivista. La grafica, a grandi bande colorate, e' di Giovanni Anceschi. Tra i libri pubblicati mi piace ricordare: Psicoanalista senza muri sulla mia esperienza dell'OP di Arezzo, del 1989; Psichiatria e nazismo, a cura di Bruno Norcio e Lorenzo Toresini, del 1993; Psicoterapia Concreta I, con testi di Marzi, Salvi, Rogialli, Fanali, Corrente e altri, del 1994; Il problema psichiatrico, di Agostino Pirella , del 1999; e, nello stesso anno, Anticipazione, curato da Vieri Marzi e Laura dalla Ragione, che fa il punto su formazione e psicoterapia delle psicosi; Salute mentale e qualita' della vita nell'area del Mediterraneo, del 2001; Forme di Vita, del 2002, una raccolta di mie supervisioni nei servizi; e, infine, Psichiatria Democratica. Trent'anni, del 2003, in collaborazione con Maria Pia Teodori, che riporta importanti episodi della storia del movimento e una accurata bibliografia, di 40 pagine, con 200 parole chiave. In questi anni i "Fogli di Informazione" sono stati un importante strumento di documentazione, riflessione collettiva, ricerca pratico-teorica sul lavoro di rinnovamento della salute mentale, di valutazione critica della operativita' dei servizi, di verifica dell'applicazione della nuova legislazione psichiatrica, della deistituzionalizzazione, dei nuovi contesti epistemologici e scientifici della riforma. In particolare con le sue assemblee, la rivista e' stata un momento fondamentale di collegamento e verifica tra gli operatori, sostenendo il movimento antistituzionale italiano, specialmente chi lavorava in contesti isolati e con meno potere, favorendo l'affermarsi di quella cultura alternativa che ha portato alla legge 180 e alla sua applicazione. Dall'ospedale psichiatrico al territorio, il campo si e' allargato, in un'ottica spesso internazionale, alla psicologia, la psicoanalisi, la psicoterapia, l'handicap, la scuola, l'impresa sociale, la riabilitazione, la prevenzione della nocivita' psichica sul posto di lavoro. Nella elaborazione dei rapporti tra psichismo e contesto, soggettivita' e quotidianita', tra individuo e societa', come si diceva allora, l'attenzione per la sofferenza individuale si e' embricata con l'analisi istituzionale, la storia, la passione politica. I "Fogli di Informazione" hanno sempre difeso la loro liberta' critica, la loro indipendenza culturale, vivendo esclusivamente dell'autofinanziamento proveniente dai lettori, e, per alcuni numeri speciali, dal finanziamento di atti di convegni, cosa che ha permesso di offrire una quantita' maggiore di numeri annui. La loro imponente raccolta rappresenta un tesoro di riflessione, informazione, documentazione senza il quale non si puo' scrivere la storia della psichiatria italiana. I loro testi sono il tessuto culturale, vivo, del movimento, la base teorica da elaborare progressivamente per rinnovarsi, approfondire, riflettere su nuovi modelli, nuove teorie. Per il venticinquesimo anno della rivista e' stato elaborato il cd-rom "Psiconet Fogli di Informazione", con 2.000 documenti, corredati di abstract, spesso anche in inglese, e parole chiave, oltre al thesaurus di tutti i termini usati. Il cd e', a tutti gli effetti, una banca dati informatica interattiva in grado di offrire indicazioni bibliografiche su ciascuno dei 1.200 termini controllati, ovviamente incrociabili tra loro. Esso indica non solo la ricchezza enciclopedica della nostra impresa editoriale, ma anche lo sforzo di modernizzazione in atto. Per il trentennale abbiamo fatto coniare una medaglia con inciso il primo numero, direzione e editore. I colori della copertina sono stati per tutto l'anno dorati. In questa impresa, il Centro di Documentazione di Pistoia, in particolare Giorgio Lima e Lucia Innocenti, dopo l'incontro iniziale con Giuliano Capecchi, ha garantito la stampa e la distribuzione della rivista, con l'impegno militante, che ha caratterizzato tutto il lavoro editoriale, permettendo di contenere le spese e offrendo in termini costi/benefici, un prodotto sempre di alto livello. Per i prossimi anni intendiamo migliorare i "Fogli" per adeguarci alle nuove pratiche territoriali, alle nuove problematiche che si fanno avanti, alle nuove forme di controllo e neo-istituzionalizzazione, ma anche sui problemi dello stato sociale ai tempi della globalizzazione. Stiamo pensando anche a una diffusione informatica, e a un apposito portale su internet, il cui embrione e' gia' presente all'interno del sito www.centrodopistoia.it. Proprio per questo abbiamo formato la nuova redazione con Sandro Ricci di Verona, Maria Pia Teodori di Firenze, Marcello Lattanzi di Venezia, Caterina Corbascio di Torino, Marco Colucci e Nico Pitrelli di Trieste, Salvatore di Fede e Renato Donisi di Napoli, Pierangelo Di Vittorio e Mariella Genchi di Bari, Ilario Volpi, Stefano Arena di Roma, e con Vanni Pecchioli come segretario di redazione. un saluto affettuoso, Paolo Tranchina * Per ulteriori informazioni: direzione: via dell'Agnolo 37, tel. 055570842, e-mail: tranteo at cosmos.it. Amministrazione: Centro di documentazione, via degli Orafi 29, 51100 Pistoia, tel. e fax 0573977353, e-mail: giorlima at tin.it Abbonamento annuo: privati, euro 26; istituzioni, euro 36; paesi extraeuropei, euro 50 (spedizione via aerea): conto corrente postale 12386512 intestato al Centro di Documentazione di Pistoia, oppure: bonifico bancario sul conto corrente bancario 324969.00 presso la Banca Caript, Sede Centrale, via Roma, 5100 Pistoia, ABI 6260.4, CAB 13800.8. Proposta speciale: raccolta completa dei "Fogli" (1970-2005), numeri 1-200, Portolano di psicologia, cd-rom "Psiconet Fogli di Informazione", medaglia del trentennale: euro 300. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 9 del 20 febbraio 2005
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