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La nonviolenza e' in cammino. 846
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 846
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 Feb 2005 00:24:54 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 846 del 20 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Alda Merini: Per Giuliana 2. Dalla parte delle vittime 3. Jagannathan: Una lettera aperta al Collector di Nagapattinam 4. Per una bibliografia sulla Shoah (parte ventiseesima) 5. Rosangela Pesenti: Lisistrata, l'ironica 6. Luisa Muraro: Il ripensamento femminista 7. Marco Roncalli ricorda Romana Guarnieri 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. ALDA MERINI: PER GIULIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 febbraio 2005. Alda Merini, nata a Milano nel 1931, e' una delle piu' conosciute ed intense voci poetiche nella lingua italiana. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] Tutte le donne italiane, tutte coloro che hanno subito violenza, si stringono intorno a te, amica cara, per dirti che il nostro cuore e' ancora acceso, talvolta vilmente acceso, perche' siamo stati tutti indeboliti dalla vita, ma la tua vita per noi e' valida piu' della nostra. Tu sei un canto, un canto che non sa piu' tacere, un canto che rompe anche le lacrime. 2. EDITORIALE. DALLA PARTE DELLE VITTIME Dalla parte delle vittime, la parte dell'umanita'. La parte di Giuliana, la parte delle donne, la parte del popolo iracheno oppresso. Contro tutte le guerre, le dittature, i terrorismi. Questo ci pare dicesse ieri la voce del cuore di Roma, questa verita' essenziale: tu non uccidere. Ogni vittima ha il volto di Abele. Nessun essere umano e' un'isola. 3. APPELLI. JAGANNATHAN: UNA LETTERA APERTA AL COLLECTOR DI NAGAPATTINAM [Ringraziamo Stefano Longagnani (per contatti: longagnani at yahoo.it) per averci inviato questo testo di Jagannathan. Jagannathan, novantaduenne discepolo di Gandhi, e' il marito di Krishnammal, fondatrice e segretaria generale dell'organizzazione sindacale nonviolenta Lafti (Land for Tillers' Freedom); insieme hanno condotto grandi lotte nonviolente che ultimamente sono contro le multinazionali dei gamberetti (le cui attivita' imprenditoriali hanno effetti distruttivi per l'ecosistema), e portano avanti il programma costruttivo del sarvodaya (soprattutto case, mucche, educazione dei bambini e degli adulti); in questo momento il Lafti e' fortemente impegnato nella solidarieta' con le vittime del maremoto. Su Jagannathan e Krishnammal cfr. il libro di Laura Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Per contatti, lettere di sostegno, contributi, richieste di informazioni, ospitalita', viaggi, etc. contattare in Italia l'ong Overseas di Spilamberto (Modena) all'indirizzo overseas at overseas-onlus.org, ovvero in India direttamente il Lafti all'indirizzo laftitngsm at yahoo.co.in. il Collector di un distretto (district) del Tamil Nadu e' qualcosa di simile ai nostri prefetti; un distretto e' in grande l'equivalente delle nostre province; Nagapattinam e' il nome sia del capoluogo sia del distretto, zona fortemente colpita dallo tsunami] Egregio signore, lo tsunami e' stato una sciagura ma al tempo stesso una benedizione soto false vesti in quanto si e' visto l'amore attraversare ogni frontiera, cancellare ogni nazionalita', fede e interesse per portare aiuto, e noi abbiamo potuto vivere l'esperienza dell'amore umano condiviso con chi soffre. Ma al tempo stesso abbiamo anche sentito la debolezza dell'uomo manifestarsi nell'egoismo e nell'avidita': gli industriali dei gamberetti non hanno ancora capito quello che e' l'orrore degli allevamenti di gamberetti, una delle maggiori cause di questa tragedia. Gli allevamenti di gamberetti non soltanto inquinano la nostra madre Terra e l'acqua potabile, ma contaminano anche l'acqua del mare attraverso lo scarico di sostanze chimiche dalle vasche in mare. Leggiamo sui giornali la sua dichiarazione di non volere allevamenti di gamberetti nel distretto di Nagapattinam. So pero' che in molte zone costiere l'avidita' degli industriali li spinge a ripristinare gli allevamenti. L'acquacoltura e' un vero male per tutta la societa'. Mi permetto di appellarmi a Lei affinche' vieti gli allevamenti di gamberetti nelle zone costiere del distretto di Nagapattinam. Tale divieto deve essere eseguito immediatamente prima che gli industriali dei gamberetti si lancino nuovamente nella loro malefica impresa. 4. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE VENTISEESIMA) ALICE RICCIARDI VON PLATEN Medico psichiatra, psicoanalista. Opere di Alice Ricciardi von Platen, Il nazismo e l'eutanasia dei malati di mente, Le Lettere, Firenze 2000. Ha scritto di lei su "L'Unita'" del 22 giugno 2000 Renzo Cassigoli presentando la riedizione del suo libro: "Nel 1946 la dottoressa Alice Ricciardi Von Platen, allora poco piu' che trentenne, partecipo' come osservatrice alla commissione di medici istituita dal tribunale americano di Norimberga per il processo a 23 medici tedeschi accusati di crimini contro l'umanita'. 'Fummo incaricati di osservare e riferire i fatti senza commenti o giudizi: solo i nudi fatti. E cosi' facemmo. Ma quando furono pubblicati, i testi sono improvvisamente spariti. Forse la nostra oggettiva documentazione aveva tanto scioccato o, forse, aveva anche provocato tanta vergogna, che furono fatti sparire. Quando, pero', il documento finalmente usci' nel 1961 ebbe un grande successo'. Alice Ricciardi Von Platen ha presentato a Firenze Il nazismo e l'eutanasia dei malati di mente (Le Lettere edizioni), giunto alla seconda edizione. Fondatrice di istituzioni per la formazione di gruppo-analisi in Germania, Ucraina e Italia, da anni la dottoressa Ricciardi Von Platen lavora a Roma e a Cortona come psicoterapeuta individuale e di gruppo. Il suo libro non e' solo una preziosa testimonianza storica ma ci offre una lezione di grande attualita'. L'assassinio di settantamila malati di mente su una popolazione di 70 milioni di abitanti, scrive la dottoressa Von Platen nel libro, 'dimostra che una volta intrapresa la strada dell'annientamento delle cosiddette "vite indegne" non ci sono piu' limiti. E breve sara' poi il passo verso Auschwitz'. Gli orrori del nazismo ci fanno pero' anche riflettere su temi che oggi tornano a mordere la nostra coscienza: dalla pulizia etnica ai rigurgiti xenofobi per i diversi, gli immigrati, i poveri che bussano alle porte del nostro mondo opulento, alle manipolazioni genetiche che offrono a chi ha denaro figli di una razza 'superiore'. Quel processo, racconta la dottoressa Von Platen, si concluse con sette condanne a morte, altri furono condannati alla prigione, qualcuno ando' assolto. Molti dei medici che burocraticamente si occupava della eutanasia erano molto mediocri. I migliori o erano casi patologici o non hanno accettato o si sono ritirati. Il responsabile della commissione eutanasia, Karl Brandt, medico, ad esempio, non ebbe alcun ripensamento. In una intervista prima della morte disse: 'Non mi sento colpevole. Era una scelta giusta. Avrei agito allo stesso modo anche conoscendo le conseguenze'. Le teorie del revisioniamo storico, alla Irving, quando non arrivano a mettere in dubbio la Shoah, sostengono che Hitler non avesse firmato un ordine scritto. Una teoria sconfessata, almeno in questo caso, dal libro della dottoressa Von Platen che riporta un documento firmato di pugno da Hitler che autorizza l'uccisione dei malati di mente. Ma nel libro si afferma anche che bastava l'opinione espressa dal Fuehrer durante una semplice conversazione perche' si trasformasse in un ordine da eseguire ferocemente. E' vero - soggiunge l'autrice - si e' verificato qualcosa di molto strano: alcuni si ritirarono non per ragioni di coscienza ma perche' non c'era una legge, per altri, invece la volonta' del Fuehrer era sufficiente. Valga per tutte la risposta di Goering ai giudici di Norimberga: 'La mia coscienza era Adolf Hitler'. Una conferma terribile dell'abisso che da sempre separa le leggi dalla giustizia: quello spazio di liberta' che consente alla coscienza di dire no. Ma la coscienza individuale non esisteva sotto il nazismo. Non esisteva la possibilita', ma nemmeno la volonta' di dire "no" dal momento in cui la dottrina e la volonta' di Hitler si era fatta coscienza collettiva. E questo non era piu' tema di riflessione filosofica o di educazione scolastica, ma di educazione umana. La stessa schizofrenia dei medici nei campi di concentramento. L'ospedale del campo era perfetto anche per curare, poi si praticavano gli esperimenti piu' atroci e accanto c'erano le camere a gas. Bisogna riflettere su cio' che e' accaduto perche' la storia puo' anche ripetersi, magari non allo stesso modo. Continua l'autrice: 'Mi e' stato chiesto quali effetti spero dal mio libro. I documenti esistono e devono essere conosciuti. Io spero facciano riflettere'". PAUL RICOEUR Filosofo francese nato nel 1913. Amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filsofiche rirpendiamo questa breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913. Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956 Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente e' direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo i suoi libri Karl Jaspers et la philosophie de l'existence (con Mikel Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Le temps present; Filosofia della volonta' I. Il volontario e l'involontario, Marietti; Storia e verita', Marco; Finitudine e colpa I. L'uomo fallibile, Il Mulino; Finitudine e colpa II. La simbolica del male, Il Mulino; Della interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il Melangolo; Entretiens Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e racconto I, Jaca Book; Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Jaca Book; Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca Book; Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana; A l'ecole de la fenomenologie, Vrin; Se' come un altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du politique, Seuil; Lectures 2. La contree des philosophes, Seuil; Lectures 3. Aux frontieres de la philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite. Autobiographie intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui con Francois Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre: Kierkegaard. La filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o alternativa, Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni, Edizioni cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo particolarmente la recente monografia di Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999. VOLKER RIESS Volker Riess, storico, nato nel 1957, ha studiato storia e germanistica. Opere di Volker Riess: con Ernest Klee, Willi Dressen, "Bei tempi". Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l'ha eseguito e da chi stava a guardare, Giuntina, Firenze 1990; Chiesa e nazismo, Einaudi, Torino 1993. MARIO RIGONI STERN Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago nel 1921, e' uno dei massimi scrittori italiani del Novecento, testimone dell'orrore della guerra, impegnato per la pace, la dignita' delle persone e la solidarieta' tra i popoli. Opere di Mario Rigoni Stern: ne Il sergente nella neve (il suo capolavoro, edito da Einaudi, Torino 1953) ha narrato la tragedia della ritirata della spedizione militare italiana in Russia nella seconda guerra mondiale; tra gli altri suoi libri segnaliamo Il bosco degli urogalli (1962); La guerra della naia alpina (1967); Quota Albania (1967); Ritorno sul Don (1973); Storia di Toenle (1978); L'anno della vittoria (1985); Amore di confine (1986); Il libro degli animali (1990); Arboreto selvatico (1991); Le stagioni di Giacomo (1995). EMMANUEL RINGELBLUM Emmanuel Ringelblum (1900-1944), storico, animatore della Resistenza del ghetto di Varsavia, promotore e coordinatore del salvataggio della memoria con la realizzazione degli archivi del ghetto di Varsavia. Opere di Emmanuel Ringelblum: Sepolti a Varsavia. Appunti dal ghetto, Mondadori, Milano 1962. GHIANNIS RITSOS Poeta greco contemporaneo (1909-1990), per il suo impegno politico dalla parte degli oppressi ha subito durissime persecuzioni. Opere di Ghiannis Ritsos: molte raccolte di Ritsos sono state tradotte in italiano, con fine sensibilita', da Crocetti, Pontani, Sangiglio. Opere su Ghiannis Ritsos: Crescenzio Sangiglio, Jannis Ritsos, La Nuova Italia, Firenze 1975. ANNAMARIA RIVERA Docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003. ARMIDO RIZZI Nato nel 1933, teologo, docente, animatore di comunita', collabora a varie riviste. Opere di Armido Rizzi: Differenza e responsabilita', Marietti, Casale Monferrato 1983; Infinito e persona, Ianua, Roma 1984; Scandalo e beatitudine della poverta', Cittadella, Assisi 1987; Esodo, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1990; L'Europa e l'altro, Paoline, Cinisello Balsamo 1991; (a cura di), La solidarieta' andina, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1993; Pensare la carita', Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1995. Opere su Armido Rizzi: si veda la parte a lui dedicata in AA. VV., Etiche della mondialita', Cittadella, Assisi 1996. MARTHE ROBERT Studiosa francese, esperta di letteratura tedesca, traduttrice di Kafka, autrice di fondamentali saggi sulla letteratura moderna e sulla psicoanalisi. Opere di Marthe Robert: L'antico e il nuovo, Rizzoli, Milano 1969; Da Edipo a Mose', Sansoni, Firenze 1981; Solo come Kafka, Editori Riuniti, Roma 1982. GIORGIO ROCHAT Storico, docente universitario, esperto di storia militare. Dal sito della Societa' italiana per lo studio della storia contemporanea riprendiamo il seguente profilo di Giorgio Rochat: "Nato a Pavia nel 1936. Ivi laureato in lettere nel 1959. Servizio di leva come ufficiale degli alpini. Libera docenza in Storia contemporanea nel 1969. Professore incaricato di Storia dei partiti presso l'Universita' di Milano, facolta' di scienze politiche, dal 1969 al 1976. Professore straordinario di Storia contemporanea presso l'Universita' di Ferrara, Facolta' di Magistero, dal 1976 al 1980. Professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Universita' di Torino, facolta' di scienze politiche, dal 1980 al 1996, poi di Storia delle istituzioni militari. Incaricato dal 1993 del corso di storia militare (sotto varie denominazioni) presso la Scuola di applicazione di Torino, oggi corso di laurea interfacolta' in scienze strategiche. Fuori ruolo dal primo novembre 2002. Cariche principali: Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Milano), membro del direttivo 1978-'96, presidente l996-2000. Societa' di studi valdesi (Torre Pellice), presidente 1990-1999. "Rivista di storia contemporanea" (Torino), membro del direttivo 1972-'95. Primo presidente 1981-1989 (oggi vicepresidente) del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari (Universita' di Torino, Padova, Pisa, Pavia, Milano cattolica). Campo di studi: storia militare, coloniale e politica dell'Italia dall'Unita' alla seconda guerra mondiale. Pubblicazioni (solo i volumi, si omettono qualche diecina di articoli e qualche centinaio di recensioni): L'esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini 1919-1925, Laterza, Bari 1967; (Insmli), Militari e politici nella preparazione della campagna d'Etiopia. Studio e documenti 1932-1936, Angeli, Milano 1971; (Insmli), (a cura di G. R.), Atti del Comando generale del Corpo volontari della liberta', Angeli, Milano 1972; (Insmli), Il colonialismo italiano. Documenti, Loescher, Torino 1973, 1988; L'antimilitarismo oggi in Italia, Claudiana, Torino 1973; (con Piero Pieri), Pietro Badoglio, Utet, Torino 1974, Mondadori, Milano 2002; (a cura di Enzo Collotti e G. R.), Ferruccio Parri: Scritti 1915-1975, Feltrinelli, Milano 1976; (Insmli) L'Italia nella prima guerra mondiale. Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca, Feltrinelli, Milano 1976; (con la collaborazione di Giulio Massobrio), Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943, Einaudi, Torino 1978; Italo Balbo aviatore e ministro dell'aeronautica 1926-1933, Bovolenta-Zanichelli, Ferrara 1989; (con Lidia Spano e Gaetano Sateriale), La casa in Italia 1945-1980. Alle radici del potere democristiano, Zanichelli, Bologna 1980; Gli arditi della grande guerra. Origini, battaglie e miti, Feltrinelli, Milano 1981, Editrice Goriziana, Gorizia l990, 2002; Italo Balbo, Utet, Torino 1986, 2003; Piero Pieri, La prima guerra mondiale 1914-1948. Problemi di storia militare, nuova edizione a cura (e con introduzione) di G. R., Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, Roma 1986, nuova edizione ridotta, Gaspari, Udine 1998; Regime fascista e chiese evangeliche, Claudiana, Torino, 1990; Guerre italiane in Libia e in Etiopia 1921-1939, Pagus, Paese (Tv) 1991, traduzione francese: Service historique de l'armee de l'air, Vincennes 1993; L'esercito italiano in pace e in guerra. Studi di storia militare, Rara, Milano 1991; (a cura di Andrea Curami e G. R.), Giulio Douhet: Scritti 1901-1905, Ufficio storico dell'Aeronautica, Roma 1993; (a cura di G. R. e M. Venturi), La divisione Acqui a Cefalonia, settembre 1943, Mursia, Milano 1993; (a cura di G. R.), La guerra e la spada. I cappellani italiani nelle due guerre mondiali. Atti del convegno di Torre Pellice, 28-30 agosto 1994, "Bollettino della Societa' di studi valdesi", n. 176, 1995; (con Mario Isnenghi), La Grande Guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 2000; (Insmli), Ufficiali e soldati. L'esercito italiano dalla prima alla seconda guerra mondiale, Gaspari, Udine 2000; Duecento sentenze nel bene e nel male. I tribunali militari della guerra 1940-1943, Gaspari, Udine 2002". MATHIAS ROESCH Nato a Monaco di Baviera nel 1966, storico, dal 2000 direttore della Fondazione della Rosa Bianca, dal 2003 direttore della DenkstaetteWeisse Rose di Monaco. LALLA ROMANO Lalla Romano (1906-2001), pittrice, poetessa, scrittrice di grande valore e finezza, e' stata una delle voci piu' vive della cultura italiana del Novecento. Varie sue opere sono state recentemente ristampate nella collana dei Tascabili Einaudi; una edizione complessiva delle opere letterarie (a cura di Cesare Segre) e' Opere, due volumi, Mondadori, Milano 1991 e 1992. Su Lalla Romano cfr. Fiora Vincenti, Lalla Romano, La Nuova Italia, Firenze 1974; A. Catalucci, Invito alla lettura di Lalla Romano, Mursia, Milano 1980; A. Ria (a cura di), Intorno a Lalla Romano. Saggi critici e testimonianze, Mondadori, Milano 1996. LA ROSA BIANCA Tra il 1942 ed il 1943 un gruppo di studenti ed un professore di Monaco realizzarono e diffusero una serie di sei volantini clandestini antinazisti. I primi quattro volantini si aprivano col titolo "Fogli volanti della Rosa bianca" ed erano diffusi in poche centinaia di copie; gli ultimi due intitolati "Fogli volanti del movimento di Resistenza in Germania" ciclostilati in qualche migliaia di copie. Scoperti, furono condannati a morte e decapitati gli studenti Hans Scholl, Sophie Scholl, Christoph Probst, Willi Graf, Alexander Schmorell ed il professor Kurt Huber. Opere sulla Rosa Bianca: Inge Scholl, La Rosa Bianca, La Nuova Italia, Firenze, 1966, rist. 1978 (scritto dalla sorella di Hans e Sophie Scholl, il volume - la cui traduzione italiana e' parziale - contiene anche i testi dei volantini diffusi clandestinamente dalla Rosa Bianca); Klaus Vielhaber, Hubert Hanisch, Anneliese Knoop-Graf (a cura di), Violenza e coscienza. Willi Graf e la Rosa Bianca, La nuova Europa, Firenze 1978; Paolo Ghezzi, La Rosa Bianca. Un gruppo di resistenza al nazismo in nome della liberta', Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1993; Romano Guardini, La Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1994; Paolo Ghezzi, Sophie Scholl e la Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 2003. 5. RIFLESSIONE. ROSANGELA PESENTI: LISISTRATA, L'IRONICA [Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio apparso nel bel libro di Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003, pp. 83-88 (per richiedere il libro alla casa editrice: e-mail: awander at tin.it, sito: www.intramoenia.it). Rosangela Pesenti e' una delle figure piu' autorevoli e prestigiose del movimento delle donne in Italia. Cogliamo l'occasione per segnalare la bella nuova edizione a cura di Benedetto Marzullo di Aristofane, Le commedie, Newton, Roma 2003; su Aristofane cfr. per un avvio alla conoscenza Giuseppe Mastromarco, Introduzione a Aristofane, Laterza, Roma-Bari 1994] Sfrontata, e poi intelligente, ironica, spregiudicata, lungimirante, concreta e immaginosa, appassionata e lucida, solidale e sferzante: cosi' l'ha pensata il suo autore e cosi' giunge fino a noi, tutta contenuta nella concitazione dei dialoghi e quindi nell'inesauribile possibilita' della messa in scena a cui si presta il teatro. Lisistrata e' una creatura di Aristofane, ci assicurano le fonti, ma come ogni personaggio e' certo frutto di un tempo e di un mondo che si e' depositato nell'immaginario dell'autore chiedendo a lui quella rivelazione di vita, quel di piu' di verita' che sempre racchiude l'opera d'arte, proprio nel suo sottrarsi al puro e semplice rispecchiamento della realta'. Di quel mondo, che perfino nella datazione giunge a noi capovolto dallo spartiacque dell'anno zero che abbiamo conficcato nel tempo come un'asta visibile a cui legare un capo di quella matassa delle nostre vite che e' sempre fin troppo difficile sbrogliare, sono giunti fino a noi testi, frammenti e titoli di opere perdute. Delle commedie di Aristofane, alcune delle quali appunto, purtroppo, perdute, Lisistrata, rappresentata per la prima volta nel 411 a. C., affronta insieme il problema della pace, gia' presente in una commedia precedente, e la questione della posizione delle donne nella citta', ripresa ancora nelle commedie La festa delle donne, contemporanea e forse rappresentata prima di Lisistrata, e Le donne a parlamento, scritta piu' tardi ad evocare un'ipotesi di potere femminile che si realizza nell'abolizione della proprieta' privata e soprattutto di quella sessuale. Il testo e' quindi espressione di un passaggio importante dell'analisi politica del giovane autore (era a quel tempo sui trentacinque anni) la cui originalita' inventiva segnala anche la maturita' artistica. * I tempi sono quelli tragici delle guerre del Peloponneso, le violenze fratricide che segneranno la rovina della civilta' dell'Ellade, come temeva appunto Aristofane; l'azione si svolge sull'Acropoli di Atene, dove Lisistrata chiama a raccolta le donne per organizzare lo sciopero piu' incredibile della storia, quello del sesso, per costringere gli uomini a fare la pace. Il testo disegna un'azione breve, concitata e incalzante, eppure i personaggi, appena tratteggiati dalla brevita' delle frasi, non sono mai superficiali, non ci sono figure evanescenti, ogni parola illumina insieme una condizione e un pensiero. Il timore iniziale di Lisistrata, il dubbio che le donne possano ritrarsi, non rispondere alla sua chiamata, si scioglie con ogni nuova arrivata in uno scambio di parola che segnala a un tempo la confidenza fisica affettuosa e ironica, propria di un tessuto di socialita' femminile che supera ogni astratto confine politico. Lisistrata non e' sola, sin dall'inizio condivide con Calonice il dubbio: "Mi angustio per noi donne, che' gli uomini ci pensano capaci di ogni cosa (...) poi quella volta che gli raccomandi di discutere assieme un grosso affare se la dormono e non ne vedi una", e ignora le parole dell'amica che le ricorda la difficolta' di uscir di casa per le donne: "una ha il marito che la sbatte; l'altra lo schiavo ha da svegliare; l'altra ancora mettere il bimbo a letto, o lavarlo, o dargli la pappina...", e la incalza: "Ma e' possibile che non abbiano cose piu' importanti?". L'attesa delle donne, che arrivano poi alla spicciolata da Sparta, da Tebe, da Corinto, dalla Beozia, affannate per il viaggio e la perentoria convocazione, e' breve nella finzione scenica, eppure riesce a darci la dimensione di una comunita' femminile che esiste solo per condizione comune, ma che e' gia' protagonista, nelle intenzioni di Lisistrata. Le donne si guardano tra loro, conoscono i desideri del corpo e dei pensieri, e il linguaggio esplicito e scurrile e' un codice comunicativo che rassicura sulla condivisione delle storie che riguardano i passaggi dell'eta' sui corpi piu' che i confini fittizi elevati dalle mura e dalle guerre intorno alle citta'. Per questo i personaggi, queste donne che non hanno neppure il nome, la ragazza di Corinto, la ragazza di Beozia, sono chiamate, ci appaiono cosi' vive, ancora oggi, nelle parole usuali che segnalano a noi la sopravvivenza di un modo di stare tra donne che ancora possiamo sperimentare, per quella capacita' di intrecciare con leggerezza vissuto quotidiano e proposta politica. Nel fitto intersecarsi dei dialoghi per le donne la guerra invece e' semplicemente la guerra, senza aggettivi o motivazioni, espressione di una stupidita' degli uomini che bisogna fermare, prima che trascini con se' anche quella vita concreta e profonda della polis di cui le donne riunite sanno di essere le piu' attive e affidabili custodi. Per questo, mentre illustra alle compagne la sua proposta, Lisistrata ha gia' messo al sicuro il tesoro della Lega Attica, accumulato ad Atene per far fronte alle spese belliche, facendo occupare dalle anziane l'Acropoli. * Due sono quindi le azioni avviate che segnalano i due nodi critici del rapporto tra donne e uomini: da un lato il sesso, cardine della relazione piu' intima, dall'altro le risorse, terreno concreto su cui si misura la sfera pubblica che definisce le condizioni della cittadinanza oltre che quelle dell'esistenza. Duemila anni di storia non ci hanno allontanate molto dalla scena abitata dalle nostre antenate greche. Ancora poverta' e ricchezza hanno un pesante connotato di genere per la maggioranza della popolazione mondiale e perfino nei paesi piu' ricchi il complesso rapporto tra patrimonio e matrimonio disegna ancora oggi inedite subalternita', riducendo nei fatti gli spazi di cittadinanza che le leggi assicurano. Nello scambio informale costruito dalla condivisione di quel sapere di cura e gestione del quotidiano in cui le donne sperimentano responsabilita' e socialita', Lisistrata mette al centro il corpo, luogo della confidenza, di una conoscenza reciproca che fonda la possibilita' della fiducia, ma insieme, nella condizione comune della relazione tra i sessi, patrimonio oculatamente amministrato nei confronti di quell'eterno mercante che e' l'uomo. Le donne mostrano di rinunciare a fatica a quel piacere dello scambio sessuale in cui il desiderio rivela piu' da vicino l'essere due della specie umana, ma ne conoscono anche il potere contrattuale che puo' sostenere l'ardire dell'essersi impadronite del tesoro custodito nell'Acropoli. Un'azione non puo' esistere senza l'altra e Lisistrata puo' enunciare con piu' vigore il suo fine: "io credo che un giorno dagli elleni avremo nome Lisimache: distruttrici della guerra". Un patto quindi che prefigura un intero programma politico, nel quale quello che in tempi piu' vicini e' stato denigrato come disfattismo, non e' piu' tradimento bensi' nuova virtu' politica. Un patto che richiede anche un nuovo rito del giuramento che rinunci al tradizionale sacrificio animale rendendo visibile, anche sul piano simbolico, il capovolgimento dei valori sotteso all'azione delle donne. Non si giura tra donne sullo scudo e nemmeno su un animale sgozzato, ma su un orcio di vino pregiato, versato, dissipato, come quel piacere a cui si rinuncia, prima che la guerra lo renda comunque impossibile, perche' e' la guerra la vera dissipazione, la perdita di tutte le vite. * Dopo il giuramento l'azione e' veloce, le donne raggiungono le compagne chiuse nell'Acropoli, arrivano gli uomini, il confronto e' serrato e le donne vincono. La conclusione esprime la speranza dell'autore, ma ai dialoghi, giunti alla logica conseguenza, forse non e' estraneo il disincanto e la figurina della pace, di cui gli uomini sembrano burlarsi con gli apprezzamenti per la sua giovane bellezza, ci restituisce al teatro e ai nostri ruoli di spettatori e spettatrici ancora oggi impotenti. Se la pace e' una fanciulla di cui gli uomini si burlano ed e' fin troppo simile alle scene quotidiane conosciute la cura con cui le donne cercano di dare indicazioni utili per costruire la pace: con gentilezza, consultando gli alleati, rimandando il divertimento, rinunciando alle rivendicazioni, cosi' che non possiamo fare a meno di pensare che forse chiede ancora altri gesti la realizzazione di quel sogno, e' all'inizio della contrattazione che Lisistrata ci indica la strada, e se il suo autore non ha potuto spingersi oltre, noi potremmo comunque provare a improvvisarci attrici e attori di quel bel finale. Di fronte al Commissario, irritato dall'impudenza delle donne che vogliono occuparsi della guerra, Lisistrata non arretra, e dopo averlo coperto con lo scialle, che lui aveva indicato come segno femminile del dovere di tacere, enuncia il suo programma di governo. "Se aveste un po' di testa, la citta' governereste come noi la lana. (...) Come si fa coi bioccoli: un bel bagno e il lerciume va via dalla citta', e poi, batti e ribatti sopra un piano, i furfanti e i cialtroni eliminiamo. Poi diamo una robusta spelazzata alle cricche degli arraffacariche tagliando bene i capi. In un paniere cardiamo poi ogni buona volonta', il meteco mischiando al forestiero che ti sia amico, e chi paga le tasse all'erario. Quanto all'altre citta', che son colonie della nostra terra, cercate di capire che son fiocchi di lana, da riunire tutti insieme in un grosso gomitolo, da tesserci un mantello ben fatto per il popolo". La lingua, il discorso, diventano cosi' il luogo di un passaggio, della costruzione di un sistema metaforico nuovo, dove il tessuto e le abilita' connesse alla sua produzione, diventano forma nuova del testo e insieme della concreta possibilita' che fonda un onesto patto di governo tra donne e uomini per il bene comune. Dalla rinuncia alla violenza, nel rito simbolico del giuramento, alle parole che dicono possibili forme pacifiche di governo dell'esistenza umana, perche' fondate nel sapere di quelle arti che sostengono la vita e non la distruggono, Lisistrata ci indica, col fascino di un'azione semplice ed estrema, non cio' che sono le donne, ma quella parte migliore di noi che possiamo sempre decidere di agire se lo vogliamo. Forse anche oggi la storia ci chiede di essere spregiudicate e concrete, lungimiranti e solidali, di ricordare la fragilita' del corpo nella potenza del piacere e della nascita e la finitudine del tempo, l'essere insieme, donne e uomini, abitanti occasionali di un piccolo acciaccato pianeta che naviga nell'ignoto, come un tempo una piccola terra civile ai confini del Mediterraneo. 6. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: IL RIPENSAMENTO FEMMINISTA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento di Luisa Muraro. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] "L'aborto, una risposta violenta e mortifera" (documento femminista del 1975) * Quelle e quelli che parlano di un ripensamento femminista sull'aborto (e che poi lamentano che non abbiamo il coraggio di sostenerlo), rispetto alle posizioni degli anni Settanta, fanno un madornale errore: confondono la battaglia impostata dai radicali (fra i quali spiccava Emma Bonino) per il diritto d'aborto, con il movimento femminista, che non aveva questa impostazione individualistica e liberistica. Non c'e' dubbio che la battaglia dei radicali sia stata sostenuta anche da molte femministe, specialmente a Roma, ma, primo, cio' non vuol dire che quelle femministe ne condividessero l'ideologia, secondo, il pensiero politico femminista, quando si e' espresso con documenti suoi, non era d'accordo perche' vedeva nell'aborto, legale o illegale che fosse, una conseguenza di una sessualita' femminile subordinata a quella maschile e lavorava intanto perche' la questione trovasse risposta in una piu' ampia concezione della liberta' femminile. Cito da un documento del 1971: "Una procreazione coatta e ripetitiva ha consegnato la specie femminile nelle mani dell'uomo di cui ha costituito la prima base di potere. Ma oggi anche una procreazione 'per libera scelta', quale contenuto liberatorio puo' avere in un mondo dove la cultura incarna esclusivamente il punto di vista maschile sull'esistenza?" (Rivolta femminile). E da un documento del 1973: "Per gli uomini l'aborto e' questione di legge, di scienza, di morale, per noi donne e' questione di violenza e sofferenza. Mentre chiediamo l'abrogazione di tutte le leggi punitive dell'aborto e la realizzazione di strutture dove sostenerlo in condizioni ottimali, ci rifiutiamo di considerare questo problema separatamente da tutti gli altri nostri problemi, dalla sessualita', maternita', socializzazione dei bambini, ecc." (Collettivo di Via Cherubini). Lo stesso collettivo, in un documento del 1975, intitolato "Noi sull'aborto facciamo un lavoro politico diverso" (sottinteso: da quello che fanno i radicali con le manifestazioni di piazza), scrivera' che "l'aborto di massa negli ospedali non rappresenta una conquista di civilta' perche' e' una risposta violenta e mortifera al problema della gravidanza e, per di piu', colpevolizza ulteriormente il corpo della donna". Smetto di citare; per un racconto piu' dettagliato si puo' leggere il capitolo secondo di Non credere di avere dei diritti della Libreria delle donne di Milano (Rosenberg e Sellier, 1987, 1998). Puo' bastare, credo, a far capire il senso della reazione di molte femministe alla tesi del "ripensamento": nessuna di noi nega che, con i cambiamenti di cultura in corso, possa esserci e anzi debba esserci un arricchimento del pensiero femminista. Ma nel senso di una ripresa e di un approfondimento, unicamente. * C'e' un problema a monte di questo fasullo "ripensamento", che forse e' venuto il momento di affrontare. Ed e' che il pensiero politico delle donne ha interessato - ed e' stato registrato, dalla cultura ufficiale, sia politica sia giornalistica - nella misura in cui stava dentro al quadro che questa cultura aveva gia' presente. Dicevamo: l'aborto esorbita dalle cose che il diritto puo' regolare, per tutto quello che chiama in causa della sessualita' umana e per tutto quello che significa nell'esperienza femminile. Ma questa posizione non interessava ne' i sostenitori di una legge sull'aborto ne' il fronte contrapposto dei sostenitori di una legge contro l'aborto. E cosi' si e' continuato a discutere a forza di contrapposizioni e con ripetute semplificazioni, attraverso gli anni Ottanta e Novanta. Adesso, quelle nostre parole sull'aborto "risposta violenta e mortifera", che ho dissepolto dall'ignoranza storica dei piu', tornerebbero buone, buonissime, ad alcuni di questi piu', ma solo per usarle dentro un altro schieramento, e siamo daccapo con l'operazione di tacitare esperienza e pensiero di donne. Dicendo questo, rovescio in parte la posizione di Lucetta Scaraffia (sul "Corriere della sera" del 6 febbraio): secondo lei ci sarebbe stato un conformismo della parola pubblica femminista che ha occultato la complessita' del pensiero che certo gruppi portavano avanti. A me risulta che l'opera di semplificazione non sia venuta dal femminismo, ma al contrario da chi del femminismo conosceva poco e capiva meno ancora. A me risulta, per esempio, che gli intellettuali, con qualche eccezione, gli hanno prestato scarsa attenzione, che i giornali e la televisione lo hanno divulgato secondo stereotipi pigri e qualche volta stupidi, e che la politica ufficiale, quella delle scadenze elettorali, lo ha assimilato in una versione semplificata e direi quasi mutilata. E' successo cosi' che e' mancato, alla cultura politica generale, un incontro e confronto fecondo con il pensiero che il movimento delle donne ha prodotto. Per tre quarti, lo dico senza esagerare, e' una questione di linguaggio: quello che le donne hanno da dire a questo tipo di civilta', e che, bene o male, hanno cominciato a dire, sporge fuori dai suoi quadri. E non si puo' scrivere sugli striscioni, come vorrebbe una simpatica giornalista del "Foglio": bisogna farsi l'orecchio per intenderlo. Non si dimentichi che, se noi femministe abbiamo detto qualcosa, lo abbiamo potuto dire grazie ad un ascolto fine di noi stesse e delle altre. E che molto resta nel silenzio. Ora ci chiediamo, e da almeno vent'anni cerchiamo risposte, se e come quella capacita' di ascolto e quel qualcosa che siamo riuscite a formulare, possano diventare un'eredita' per le nuove generazioni, che rischiano altrimenti di ereditare il femminismo ultrasemplificato che sta dentro al quadro del consumismo e delle "facilita'" di una societa' opulenta. Il dibattito in corso puo' essere visto come il segnale che qualcosa sta cambiando? Si', mi sento di rispondere, purche' migliori nettamente la qualita' dell'ascolto degli uomini nei confronti della parola delle donne: la parola delle femministe, per cominciare, ma anche quella piu' corrente delle donne che essi incontrano nei luoghi della vita lavorativa e familiare. Siamo ancora distanti da cio'. Un esempio? Nell'intervista sul "Corriere della sera" del 10 febbraio, l'on. Martinazzoli, che ha fama di attento e riflessivo, ha creduto di leggere un ripensamento femminista sull'aborto ("non un'abiura, ma piu' prudenza, piu' dubbi"), che e' parecchio distante da quello che e' venuto invece fuori dal dibattito, il presunto ripensamento essendo comunque moneta buona, per lui, da spendere nella prossima campagna referendaria. * Torna insomma ad agire il quadro dentro il quale dovremmo esprimerci per esserci e contare, lasciando fuori un certo numero di "cose". Fuori dal quadro del "pensiero cattolico", per esempio, restano quelle femministe cattoliche che hanno parlato e scritto in favore della legge 194. Fuori dal quadro resta, per fare un altro esempio, il fatto che alcune femministe si sono espresse contro il ricorso allo strumento referendario per cambiare o migliorare l'attuale legge sulla procreazione assistita. Fuori dal quadro resta la nostra consapevolezza che in queste materie la macchina politica degli schieramenti contrapposti e' deleteria. Fuori dal quadro restano le pratiche che abbiamo inventato. Fuori dal quadro continua in sostanza a restare la differenza femminile. 7. MEMORIA. MARCO RONCALLI RICORDA ROMANA GUARNIERI [Dal sito di "Avvenire on line" (www.db.avvenire.it) riprendiamo questo articolo del 24 dicembre 2004. Marco Roncalli (Bergamo 1959), laureato in giurisprudenza, giornalista e saggista, collabora alle pagine culturali di varie testate ed e' autore di volumi sulla storia della Chiesa e il papato (con diverse opere su Giovanni XXIII), sulla cultura del primo Novecento in Italia (indagato con l'edizione d'importanti carteggi inediti), sul tema del viaggio e del pellegrinaggio. Romana Guarnieri, discepola di don Giuseppe De Luca, e' stata una delle massime studiose italiane di storia della pieta' e della mistica medievale. Nata a L'Aia, in Olanda, nel 1913, si trasferi' a Roma nel 1925 e qui si laureo' in lingua e letteratura tedesca. Nel 1938 conobbe don Giuseppe e sotto la sua direzione si dedico' alla ricerca storico-filologica. Dopo il 1940 collaboro' alla fondazione delle Edizioni di storia e letteratura, dedicandosi in particolare all'"Archivio italiano per la storia della pieta'", di cui assunse la direzione alla morte di don De Luca. Fu autrice di numerosi saggi sul "Movimento del Libero Spirito" e sulle protagoniste della mistica femminile. E' scomparsa nel dicembre 2004] Dopo aver speso una lunga vita consacrata - da laica - al servizio della Chiesa e della cultura nella ricerca disinteressata della verita', l'ultima grande "beghina" del Novecento, Romana Guarnieri, si e' spenta ieri notte in un ospedale romano, all'eta' di novantuno anni. Sino a due settimane prima aveva continuato a lavorare scrivendo al computer, sommersa da libri e carte, circondata dai suoi gatti, dai suoi fiori, e dagli ospiti dello Sri Lanka ai quali aveva aperto la sua casa "troppo grande per una persona sola". Alle sue spalle quasi sette decenni dedicati agli studiosi e agli studi altrui, oltre che ai suoi, largamente inseriti nella storia della pieta', e soprattutto, un incontro fecondo, importante: quel sodalizio umano e spirituale con don Giuseppe De Luca, che nemmeno la morte del prete romano il 19 marzo 1962 riusci' di fatto a spezzare. * Una vita straordinaria quella di questa donna nata a L'Aja, in Olanda, nel 1913, poi scesa in Italia al seguito del padre Romano, e che, dopo aver conosciuto don De Luca - nel 1938 - era approdata al cattolicesimo scoraggiata dai suoi: "Da dove vi approdavo? Dal protestantesimo? No: dal nulla, dal vuoto. Poi di Gesu' t'innamori, poi lo ami. Come si fa a spiegarlo?", ci aveva detto in un'intervista pubblicata su "Avvenire" un anno fa. E aggiungeva: "Non esibisco croci al collo, non vado gridando il mio vivere cristiano. E' questione di pudore. Proprio perche' ci credo davvero. Allo stesso modo mi comporto quando scrivo e lo faccio laicamente anche quando affronto problematiche teologiche. Non nego pero' che la mia esistenza e' tutta segnata dall'incontro personale con Gesu': e' stato don Giuseppe a mandarmi da Lui". Accanto al celebre sacerdote apostolo "in partibus infidelium" per un impegno preso "per tutta la vita", testimone discreta di tante relazioni intellettuali, politiche, ecclesiastiche, coprotagonista nella fondazione e nella direzione delle Edizioni di Storia e Letteratura, quindi dell'Archivio italiano per la Storia della Pieta', da lei diretto a partire dal '62, ma che aveva origini lontane (il progetto deluchiano era stato avviato gia' nel 1943, nella Roma occupata), Romana Guarnieri ha fatto tesoro degli insegnamenti del suo maestro applicandosi sin da giovane agli studi storico-umanistici e collaborando alle battaglie culturali deluchiane per innalzare ponti tra le piu' svariate discipline: filologia, poesia, storia, arti figurative, per "far cadere vecchie barriere e muri divisori", specie quelli innalzati tra cultura laica e cattolica. Sua poi la scoperta eccezionale nella Biblioteca Vaticana dell'inedito testo duecentesco di Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici, dal quale era derivata l'utopia eretica definita del "Libero spirito", capolavoro di un'autrice letterata e teologa, beghina mendica e girovaga non per necessita', ma per libera scelta, che grazie a Romana Guarnieri apparve per la prima volta nel 1962 e da allora gode di una continua riscoperta. Ma insieme alla Porete occorrerebbe ricordare un lungo elenco di figure da lei approfondite come Angela da Foligno, Chiara da Montefalco, Rosa da Viterbo, eccetera. E faremmo torto a Romana dimenticando anche tanti suoi interventi di attualita' ospitati su testate assai diverse, dall'"Osservatore Romano" all'"Unita'" e a "Liberal". * "Riflettere e' quel che ho fatto in tutta la mia vita. Anche sul presente. Il fatto di studiare il passato non mi ha mai confinato tra libri e carte antiche. Certamente ha comportato far tesoro di buone letture e interlocutori di livello, di relazioni con testimoni del nostro tempo, che hanno arricchito le mie riflessioni. E con liberta' totale", ci diceva Romana tempo fa. In tutta la sua vita pero' la Guarnieri ha sperimentato soprattutto stile e contenuti propri delle beghine del '200 e del '300 tanto studiate: una vita consacrata in casa propria, fatta di libero studio vissuto come ascesi, di preghiera spontanea, di isolamento, fatta di servizio personale agli altri e alla Chiesa, e negli ultimi sei-sette anni di sofferenza (era inchiodata alla sua carrozzina e neppure riusciva piu' a riposare su un letto). Nonostante queste condizioni, non rinunciava alla sua consumata ironia e autoironia, e ad una certa baldanza mostrata anche nei confronti di quanti, credenti e non, sentiva spesso, o a coloro che poteva solo seguire abbracciando il Cupolone stagliato ai suoi orizzonti quotidiani oltre la vetrata davanti al tavolo di lavoro. Quel tavolo che da ieri reclama la sua presenza. Quella scrivania coperta di faldoni, di antiche inedite corrispondenze, di libri nuovi e antichi, davanti alla quale piu' d'una volta (anche quindici giorni fa), mi ha spiegato il senso di tutto il suo lavoro di "beghina" - cosi' affettuosamente anch'io la chiamavo. "Essere beghina oggi e' continuare questa scelta di vita, stare nella Chiesa in un angolino senza farsi vedere. Vivere nel mondo, senza essere del mondo. Essere di tutti e di nessuno. O meglio essere di Uno solo: ma Lui - ricordatelo - e' la liberta' assoluta". 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 846 del 20 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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