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La nonviolenza e' in cammino. 845
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 845
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 19 Feb 2005 00:33:05 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 845 del 19 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Giuliana 2. Per una bibliografia sulla Shoah (parte venticinquesima) 3. Luisa Muraro: Sulla vita umana 4. Adriana Cavarero: Una politica oltre il potere 5. Donatella Betti Baggio: Con Amma e Appa 6. Pedro Casaldaliga: Prospettiva 7. Rosangela Pesenti: Bertha von Suttner, la rimossa 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIULIANA [Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] Oggi a Roma, domani a Baghdad. Libera Giuliana, Libere e liberi tutte e tutti. Ne' guerre ne' dittature, ne' terrore ne' uccisioni. Una sola umanita'. 2. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE VENTICINQUESIMA) MICHELE RANCHETTI Illustre intellettuale, di profonda cultura, di grande sensibilita', Michele Ranchetti e' nato nel 1925; storico della chiesa (Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Einaudi, Torino 1963) e attento commentatore della recente evoluzione del cattolicesimo, sia in libri (Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo, Edizioni Cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1997) sia su giornali e riviste, studioso di Wittgenstein e Heidegger, insegna all'Universita' di Firenze. E' anche pittore e autore di due raccolte poetiche, La mente musicale (Garzanti, Milano 1988) e Verbale (Garzanti, Milano 2001). Nelle Edizioni di Storia e Letteratura ha pubblicato, in tre volumi, un'ampia raccolta dei suoi saggi: L'etica del testo (1999), Chiesa cattolica ed esperienza religiosa (2000), Lo spettro della psicoanalisi (2000). Di recente gli e' stato dedicato un volume monografico: Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti (Quodlibet, 1998). LOUIS RAPAPORT Storico israeliano. Opere di Louis Rapaport: La guerra di Stalin contro gli ebrei, Rizzoli, Milano 1991. ANTHONY READ Storico inglese. Opere di Anthony Read: L'abbraccio mortale, Rizzoli, Milano 1989; La notte dei cristalli, Rizzoli, Milano 1990; La caduta di Berlino, Mondadori, Milano 1995; tutti scritti in collaborazione con David Fisher. GERALD REITLINGER Storico. Opere di Gerald Reitlinger: La soluzione finale, Il Saggiatore, Milano 1962. ERICH MARIA REMARQUE Scrittore tedesco (1898-1970), combattente nella prima guerra mondiale, nella sua successiva opera letteraria fu costantemente impegnato a denunciare gli orrori della guerra, dei poteri violenti, delle strutture e delle pratiche della disumanizzazione; giornalista a Berlino, oppositore del nazismo e costretto all'esilio, nelle sue intense opere letterarie afferma i valori pacifisti, democratici, della solidarieta' umana. Opere di Erich Maria Remarque: il suo libro piu' noto e' Niente di nuovo sul fronte occidentale, Mondadori, Milano. MASSIMO RENDINA Antifascista, resistente, scrittore, storico. Tra le opere di Massimo Rendina: Italia 1943-1945, Newton Compton, Roma 1995; Dizionario della Resistenza italiana, Editori Riuniti, Roma 1995. JEAN RENOIR Nato a Parigi nel 1894 e deceduto a Beverly Hills nel 1979, figlio del grande pittore impressionista Auguste Renoir, regista cinematografico ed intellettuale democratico. Opere di Jean Renoir: segnaliamo particolarmente La grande illusione (1937), e La regola del gioco (1939). Opere su Jean Renoir: Carlo Felice Venegoni, Jean Renoir, Il Castoro Cinema, Milano. ALAIN RESNAIS Regista cinematografico francese, nato nel 1922. Opere di Alain Resnais: segnaliamo particolarmente tra i suoi film il documentario sui lager Notte e nebbia (1955); ed almeno Hiroshima mon amour (1959) su sceneggiatura di Marguerite Duras. Notevoli anche L'anno scorso a Marienbad (1961); Muriel, il tempo di un ritorno (1963); La guerra e' finita (1966); Providence (1977). Opere su Alain Resnais: Paolo Bertetto, Alain Resnais, Il Castoro Cinema, Milano. JUDITH REVEL Nata a Parigi nel 1966, filosofa, collaboratrice del "Centre Foucault", e' docente all'Universita' "La Sapienza" di Roma e collabora con l'Universita' di Cosenza; e' redattrice della rivista "Futuro anteriore" e della rivista internazionale "Multitudes". Tra le sue opere: Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996; Le vocabulaire de Foucault, Ellipses 2002; sta preparando un libro sulla genealogia del concetto di differenza in Francia dopo il 1945; ha curato il primo volume di Archivio Foucault, Feltrinelli, Milano 1996. MARCO REVELLI Docente di scienza della politica all'Universita' del Piemonte Orientale. Opere di Marco Revelli: Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; (con Giovanni De Luna), Fascismo/antifascismo, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1995; Le due destre, Bollati Boringhieri, Torino 1996; La sinistra sociale, Bollati Boringhieri, Torino 1997; Fuori luogo, Bollati Boringhieri, Torino 1999; Oltre il Novecento, Einaudi, Torino 2001; La politica perduta, Einaudi, Torino 2003; (con Fausto Bertinotti e Lidia Menapace), Nonviolenza. Le ragioni del pacifismo, Fazi, Roma 2004. Ha anche curato l'edizione italiana del libro di T. Ohno, Lo spirito Toyota, Einaudi, Torino 1993; un suo importante saggio e' in Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995. NUTO REVELLI Nato a Cuneo nel 1919, scomparso nel 2004, ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale. Opere di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, Le due guerre, tutti pubblicati presso Einaudi. Opere su Nuto Revelli: AA. VV., Memorie di vita e di Resistenza. Ricordi di Nuto Revelli 1919-2004, Nuova Iniziativa Editoriale - L'Unita', Roma 2004. 3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: SULLA VITA UMANA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo intervento di Luisa Muraro. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] E' bene che ci poniamo anche noi, comuni mortali, gli interrogativi che vengono da una ricerca scientifica che avanza a modo suo (umanamente limitato, oltre che squilibrato dagli enormi interessi economici che ci sono di mezzo) sui confini della vita. Bene anche che si voglia ascoltare quello che hanno da dire "le femministe", alle quali si chiede, con un'impazienza insolita, di prendere posizione. Purche' si ascolti davvero, mi limito ad aggiungere. Io prendo la parola per dire una cosa soltanto, che si riferisce al pensiero femminista che ha accompagnato il dibattito intorno alla legge istitutiva e al referendum abrogativo dell'aborto, negli anni Settanta. Sembra a qualcuna che fu un pensiero rozzo, giudicato alla luce della nostra odierna sensibilita', s'intende. Altre sono intervenute a precisare che non e' vero e che l'unica rozzezza, semmai, e' in una certa ricostruzione del passato. Sono d'accordo con queste ultime, accettando pero' la sfida di un confronto sul tema di fondo, che e' la cultura della vita, ieri e oggi. Su questo tema il pensiero femminista ha dato un contributo che, a mio giudizio, resta valido anche oggi e che puo' estendersi, con le necessarie mediazioni, anche ai temi piu' recenti della procreazione assistita e della ricerca scientifica sulle cellule staminali. Non si tratta di una risposta, ma di un criterio, che pero' nelle cose umane, sempre relative e sempre in tensione fra gli estremi assoluti, ha il valore di un principio. Diro' "noi" facendo riferimento a quelle con cui ero in contatto, che vuol dire - nel movimento in espansione del pensiero attraverso una rete vastissima di rapporti - migliaia di donne e piu' ancora, molte piu' ancora, fuori dal numerabile. Noi dunque, in quegli anni ci siamo regolate, in primo luogo facendo tacere le ideologie e ascoltando le donne (noi stesse, in primis) in carne ed ossa, comportamenti, sentimenti, paure, desideri, vergogne, aspirazioni... Da questa pratica siamo arrivate alla conclusione che la cosa migliore sia regolarsi in tutto seguendo un semplice criterio e cioe' che la vita umana, vita di un essere senziente ma anche parlante, desiderante ma anche capace di regolarsi, ecc., questa vita arriva a questo mondo passando necessariamente attraverso l'accettazione di una donna che la accoglie, la coltiva per consegnarla al resto dell'umanita', rappresentata di solito da un gruppo sociale, e in primo luogo, se in questa vicenda lei ha avuto un compagno, a lui che, nelle nostre culture, e' di solito il padre della nuova creatura. Non siamo ancora nella sfera dei diritti-doveri, che viene dopo, tant'e' che noi, diversamente dai radicali, non abbiamo parlato di un diritto all'aborto e che, in campo legislativo, quello che abbiamo chiesto e' stata la sua depenalizzazione. Il passaggio della libera accettazione di una donna, noi lo abbiamo sentito come un criterio regolatore che esonera da domande del tipo oggi corrente e cosi' fuorvianti, come "ma l'embrione e' vita umana?". Ma attenzione che questo criterio vale come un principio, perche' piu' a monte c'e' altro, si', ma non si puo' andare ad indagare saltando quel passaggio, pena la caduta in quella mostruosita' che la cultura medico-scientifica, lasciata da sola, ha conosciuto e puo' tornare a conoscere, non dimentichiamolo. Vuol dire che, stando a questo criterio, si eviteranno sbagli, disordini e sofferenze ingiuste? Oh no, ci saranno abusi, ci sono stati, non faccio l'elenco perche' li conosciamo, ma due cose vorrei aggiungere: primo, che finora, da parte femminile questi abusi non sono stati molti ne' gravi; secondo, che i criteri umani non sono mai automatici e proprio nella loro fragilita' ci invitano a prendere la strada piu' sicura, che non e' una legislazione capillare ma una buona, sobria legislazione integrata da usi e costumi civili e da relazioni sociali non strumentali, insomma da quella che molte abbiamo imparato a chiamare politica prima. In ogni caso, la lotta contro gli abusi in questo campo, secondo me comincera' a dare risultati nel momento in cui quel criterio che e' piu' di un criterio, quel principio che non e' un principio, sara' entrato nella nostra civilta', definitivamente. Siamo ancora molto lontani da cio', non c'e' dubbio che molta scienza resta opera di uomini che sono in concorrenza rivale con le prerogative femminili nel campo della vita. 4. RIFLESSIONE. ADRIANA CAVARERO: UNA POLITICA OLTRE IL POTERE [Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 28 febbraio 2004. Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all'Università di Verona; dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech University (www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume: a) libri: Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984; L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento 1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990. (traduzione tedesca: Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure, Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei, Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997; Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980, pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp. 705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp. 173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991); "Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica, Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111; "Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp. 187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B. Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp. 15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994, pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp. 15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia Stoller und Helmuth Vetter, WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226; "Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino 1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225] Il dibattito seguito all'articolo di Pietro Ingrao ("Liberazione", 7 gennaio 2004) sulla necessita' di rilanciare una politica della pace in rapporto al nesso costitutivo - presente anche nell'immaginario comunista della rivoluzione armata - fra politica e guerra pone una questione davvero fondamentale. Tale questione riguarda precisamente la possibilita' di rompere questo nesso, ossia di pensare ad una politica che si sleghi da quella dimensione violenta della guerra in cui trova il suo stesso fondamento. Risulta facile, a questo proposto, citare la celebre sentenza di von Clausewitz sulla guerra come continuazione, con altri mezzi, della politica. Ma e' troppo poco. Tutta la tradizione delle dottrine politiche, da Platone ai giorni nostri, ma con un lucido rigore nella svolta della modernita', piu' che limitarsi a segnalare la continuita' fra politica e guerra, afferma infatti che e' la guerra a "generare" la politica. In questo senso, per lo meno sul piano concettuale, il Marx della violenza "come levatrice della storia" non e' molto distante dall'Hobbes che fa logicamente scaturire il potere sovrano dallo stato di guerra. E Locke, idolo delle democrazie liberali, con qualche correzione, fa parte della squadra. Ovviamente, il problema e' molto complesso e richiederebbe di essere calato nelle diverse epoche storiche, oltre che distinto nelle classiche categorie di guerra interna, guerra esterna, guerra di difesa, guerra di resistenza ecc. Ne' si potrebbe tacere di quella guerra preventiva, tanto cara a Bush, sulla cui anomalia giustamente insistono Ingrao e i suoi interlocutori. Rimane pero' il fatto che, ora come allora, il nesso fra guerra e politica continua a mostrasi come il modello primario di cui una molteplicita' di forme costituiscono, via via, le varianti. Detto altrimenti, la storia e le dottrine dell'Occidente non ci consentono di pensare separatamente guerra e politica. Tutt'al piu' ci permettono di discettare, e magari agire di conseguenza, sui casi nei quali queste due dimensioni inseparabili hanno a che fare con una giusta causa, con un atto necessario, in una parola, con il bene degli oppressi contro la tracotanza dei potenti. Non si tratta di un esercizio ozioso o eticamente indifferente. Anzi, anche a costo di cadere in stereotipi illuministi e denunciare cosi' un occidentalismo alquanto sospetto, potremmo dire che il lato migliore della nostra storia e' sempre scaturito da questo esercizio. Esso, tuttavia, non smentisce appunto la connessione strutturale fra politica e guerra o, se si vuole, fra politica e violenza. * La pace sta invece da un'altra parte. Soprattutto quando la si intenda, non come un periodo in cui cessa la guerra (proprio questa e' la pace secondo Hobbes), bensi' come una dimensione originale che aspira ad un legame costitutivo con la politica. Detto altrimenti, il problema di una politica pacifista e' assolutamente inaudito. Non solo perche', guardando alla storia dei concetti, non troviamo un'accezione di politica che sia scindibile da quella di guerra, ma anche perche', per evidenti e coerenti ragioni, e' la stessa accezione di pace ad inscriversi nel nesso pregiudiziale di guerra e politica. Inaudito dunque, gia' sul piano concettuale, e' pensare ad una politica che si leghi alla pace senza passare per la guerra. Scrive Mario Tronti ("Il manifesto", 10 gennaio 2004), interloquendo con Ingrao, che "quando si marcia per la pace, bisogna avere in testa, chiara, questa consapevolezza: che non stai fermando, come si diceva una volta, la mano dell'aggressore, stai esprimendo, al meglio, un'altra idea di mondo e di essere umano". Precisamente questo e' il punto. Porsi sul serio, come ci invita a fare Ingrao, il problema della connessione fra pace e politica significa pensare un'antropologia radicalmente altra da quella della tradizione politica occidentale. E' appunto un'idea diversa di mondo e di essere umano ad entrare in gioco. Non si tratta, semplicemente, di superare Hobbes e i suoi epigoni. Ossia, per cosi' dire, di passare da un'antropologia pessimistica ad una ottimistica. Bisogna ripensare, alla radice, l'essere umano e il suo condividere il mondo. Bisogna ricominciare dal senso dell'essere insieme degli umani in quanto vengono al mondo. Sintomaticamente, per quanto sia inaudita rispetto al lessico tradizionale della politica, la questione e' molto famigliare alla teoria e alla pratica femminista. Non solo per via della celebre tesi pacifista espressa da Virginia Woolf ne Le tre ghinee. Ne', tanto meno, per il solito stereotipo che vuole le donne estranee alla politica e, percio', alla guerra o viceversa. C'e' ben altro. Anzi, c'e' precisamente un'idea anomala di politica che affonda le sue radici in una concezione inaudita, relazionale invece che individualista, dell'essere umano. C'e', insomma, un'antropologia genuinamente altra che consente di declinare diversamente i vari termini del vocabolario del potere, spezzando cosi' alla radice il nesso malefico fra politica e guerra. * Non e' del resto un caso che sia stato proprio il femminismo, nella sua critica ormai classica all'ordine simbolico patriarcale, a fornire gli strumenti teorici piu' atti a smascherare il fondamento violento del potere. Questo pero' riguarda solo il versante decostruttivo della teoria femminista. Assai piu' cruciale e' invece il versante che ha appunto a che fare con la costruzione di un'antropologia - sarebbe meglio chiamarla ontologia - dove l'essere in relazione, singolarmente e contestualmente, mediante i corpi e le parole, costituisce la misura di ogni politica. E' qui, infatti, che la pace si ritaglia una dimensione originale perche' non piu' riducibile ad una guerra di cui rappresenterebbe un periodo di intermittenza. E' qui, insomma, che si rende pensabile, fuori dalla gabbia tradizionale dei concetti, il legame costitutivo fra pace e politica. Si accusa da piu' parti il femminismo, soprattutto quello della differenza, di parlare un linguaggio astruso che, invece di adattarsi al lessico dell'eguaglianza e dell'emancipazione, insiste sulla nascita, sul partire da se' e sulla relazione. Non puo' del resto che sembrare astruso un linguaggio che rompe con la tradizione incentrata su quelli che Hannah Arendt definisce "enti fittizi" (l'Uomo, l'individuo, il soggetto) per parlare dell'unicita' incarnata, fragile e bisognosa di senso, di ogni essere umano che in quanto nato da madre viene al mondo. Avere a cuore la pace, piuttosto che la semplice cessazione della guerra, ripensare una politica che si sleghi dalla necessita' della violenza, comporta anche una rivoluzione lessicale. Proprio questo, nell'immaginario femminista che non ha forse mai sognato "l'assalto armato al palazzo d'Inverno", e' il significato della parola rivoluzione. 5. TESTIMONIANZE. DONATELLA BETTI BAGGIO: CON AMMA E APPA [Ringraziamo Stefano Longagnani (per contatti: longagnani at yahoo.it) per averci inviato questa lettera di Donatella Betti Baggio. Donatella Betti Baggio, fiorentina, e' un'amica di Krishnammal e Jagannathan; si trova nella sede del Lafti, in India, dal 7 febbraio per circa un mese. Jagannathan, novantaduenne discepolo di Gandhi, e' il marito di Krishnammal, fondatrice e segretaria generale dell'organizzazione sindacale nonviolenta Lafti (Land for Tillers' Freedom); insieme hanno condotto grandi lotte nonviolente che ultimamente sono contro le multinazionali dei gamberetti, e portano avanti il programma costruttivo del sarvodaya (soprattutto case, mucche, educazione dei bambini e degli adulti); in questo momento il Lafti e' fortemente impegnato nella solidarieta' con le vittime del maremoto. Amma (mamma) e Appa (babbo) sono i nomignoli affettuosi con cui le persone amiche chiamano Krishnammal e Jagannathan. Su Jagannathan e Krishnammal cfr. il libro di Laura Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Per contatti, lettere di sostegno, contributi, richieste di informazioni, ospitalita', viaggi, etc. contattare in Italia l'ong Overseas di Spilamberto (Modena) all'indirizzo overseas at overseas-onlus.org, ovvero in India direttamente il Lafti all'indirizzo laftitngsm at yahoo.co.in] Oggi, 9 febbraio 2005, Amma, Appa, alcuni operatori del Lafti ed io ci siamo recati nel luogo dove tra breve iniziera' la fabbricazione di mattoni, secondo il progetto sviluppato dal Lafti. Dopo aver percorso qualche chilometro lungo una stradina che si snoda attraverso risaie e stagni abbiamo raggiunto una vasta area, vicinissima al fiume Cauvery (il fiume che e' esondato lo scorso novembre) - un luogo incantevole e pieno di pace dove Krishnammal era solita venire a meditare, come mi ha detto quando siamo arrivati. Qui un centinaio di persone erano intente a liberare il terreno da arbusti e sterpaglia per far posto a quella che tra breve sara' la fabbrica di mattoni. L'acqua verra' pompata dal vicino fiume e condotta al sito attraverso una tubatura. Dopo avere intonato un canto, accompagnato dal battere delle mani, Amma per prima e poi Appa - che nel frattempo se ne stava seduto a filare - hanno pronunciato un ampio discorso per spronare tutti a unire le forze e fabbricare i mattoni che poi utilizzeranno per costruire case piu' solide e sicure per se stessi e le proprie famiglie. In ogni villaggio, mi ha spiegato Krishnammal, esistono una gran quantita' di partiti politici, ciascuno dei quail cerca di attirare la gente con vari programmi e promesse, creando cosi' soltanto divisione e conflitti, senza portare alcun vero sviluppo. Il progetto del Lafti intende unire la gente dei villaggi dando loro un programma e un obiettivo - come pure un impiego nei mesi estivi quando non c'e' lavoro nei campi - con l'intento di diffondere al tempo stesso consapevolezza e responsabilita' per il proprio futuro. Come ulteriore stimolo ad unirsi all'"Army of Compassion", il Lafti fornira' a chi vi partecipa un'uniforme da indossare durante il lavoro e soprattutto nel cammino verso il luogo di lavoro, come segno di identificazione con il proprio ruolo e la propria missione e di ispirazione per altra gente a seguire l' esempio. Stasera uomini e donne di altri villaggi si presenteranno all'ufficio del Lafti per ricevere istruzioni ed essere "arruolati". Tra un paio di giorni, quando il sito sara' pronto e fornito di condotta per l'acqua, avra' inizio la fabbricazione di mattoni che verranno poi trasportati nei vari villaggi per costruire le case. Dopo le appassionate parole di Amma e Appa, si e' svolta una pooja, con la preghiera rituale e la condivisione delle offerte. Dopodiche' le stuoie sono state riarrotolate e ciascuno e' tornato al lavoro mentre Amma, Appa ed io abbiamo fatto ritorno al Vinoba Ashram (la sede principale del Lafti, nel distretto di Nagapattinam). Nei prossimi giorni ci recheremo ancora alla "fabbrica di mattoni" - dove affluira' gente da altri villaggi - per sostenere e incoraggiare la volonta' dei partecipanti al progetto a portarlo avanti con impegno e determinazione per il loro proprio bene e per costruirsi un futuro migliore. Il progetto "Army of Compassion" si pone come obiettivo quello di far si' che i braccianti non vivano piu' in misere ed insalubri capanne di fango. 6. POESIA E VERITA'. PEDRO CASALDALIGA: PROSPETTIVA [Da Pedro Casaldaliga, Fuoco e cenere al vento, Cittadella editrice, Assisi 1985, p. 49. Pedro Casaldaliga, nato in Catalogna nel 1928, nel 1968 ando' missionario nel Mato Grosso brasiliano. Vescovo, ora emerito, di Sao Felix de Araguaia. Opere di Pedro Casaldaliga: Credo nella giustizia e nella speranza, Asal, Roma 1976; Fuoco e cenere al vento, Cittadella, Assisi 1985; Il volo del quetzal, La Piccola, Celleno 1989; In cerca di giustizia e liberta', Emi, Bologna; La morte che da' senso al mio credo, Cittadella, Ass isi 1979; Nella fedelta' ribelle, Cittadella, Assisi 1985; (con Jose' Maria Vigil), Spiritualita' della liberazione, Cittadella, Assisi. Opere su Pedro Casaldaliga: Teofilo Cabestrero, La lotta per la pace. Le cause di Pedro Casaldaliga, La Piccola, Celleno 1992] Da lontano, ogni montagna e' azzurra. Da vicino, ogni persona e' umana. 7. MEMORIA. ROSANGELA PESENTI: BERTHA VON SUTTNER, LA RIMOSSA [Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio apparso nel bel libro di Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003, pp. 109-117 (per richiedere il libro alla casa editrice: e-mail: awander at tin.it, sito: www.intramoenia.it). Rosangela Pesenti e' una delle figure piu' autorevoli e prestigiose del movimento delle donne in Italia. Bertha von Suttner, 1843-1914, scrittrice, straordinaria militante pacifista, premio Nobel per la pace nel 1905. Opere di Bertha von Suttner: Giu' le armi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989; Abbasso le armi! Storia di una vita, Centro stampa Cavallermaggiore (Torino) 1996. Opere su Bertha von Suttner: Nicola Sinopoli, Una donna per la pace, Fratelli Palombi, Roma 1986] "Giu' le armi!": il perentorio, appassionato invito, incisivo ed esplicito come uno slogan, e' il titolo del suo romanzo piu' famoso, pubblicato nel 1889, che non solo le valse fama internazionale, ma rappresento' uno stimolo importante per la realizzazione di iniziative concrete a favore della pace. Sono gli anni in cui in Europa il dibattito sulla pace si fa via via piu' intenso e controbatte punto per punto le argomentazioni del nazionalismo e militarismo dilaganti. Anni in cui la pace sembra una strada ancora concretamente praticabile prima che l'Europa piombi negli orrori della prima guerra mondiale da cui comincera' ad uscire solo trent'anni piu' tardi. Quei pochi decenni, segnati da guerre, violenze, restrizioni della liberta', discriminazioni e persecuzioni, basteranno pero' perche' il nome di Bertha von Suttner scompaia dai libri come dalla memoria, insieme a quello di donne e uomini che alla causa pacifista avevano dedicato l'intera vita. Figlia postuma dell'imperial-regio tesoriere e feldmaresciallo Franz Joseph, che muore a 78 anni pochi mesi prima della sua nascita nel 1843 a Praga, e di Sophia Wilhelmine, di 28 anni, Bertha cresce nella Vienna asburgica secondo i dettami che la "buona societa'" del tempo prescrive per una ragazza, godendo dei benefici culturali che le offre il suo ambiente e delle opportunita' di viaggiare al seguito della madre, accanita giocatrice. La capacita' critica affinata dagli studi le sara' utile quando l'assottigliarsi del patrimonio familiare, causato dalla passione materna, la costringera' a cercarsi un lavoro. L'eta', aveva ormai trent'anni, e la mancanza di una dote, precludono nel suo ambiente la strada del matrimonio, ma Bertha, probabilmente sensibile agli stimoli emancipazionisti che respira la sua generazione, non sembra scoraggiarsi. Diventa cosi' insegnante e accompagnatrice delle figlie della famiglia von Suttner dove s'innamora, ricambiata, del figlio Arthur, di sette anni piu' giovane. La relazione non e' ben vista dai genitori del ragazzo che preferiscono rinunciare ad una buona insegnante per le figlie e invitano Bertha a cercare un altro lavoro offrendole l'opportunita' di rispondere ad un'offerta apparsa su un giornale. L'inserzione era di Alfred Nobel che cercava una segretaria privata che sapesse parlare diverse lingue, in grado anche di svolgere le mansioni di governante della sua casa. Bertha resta appena una settimana a Parigi, al servizio di Nobel, perche' l'amore porta lei ed Arthur a sposarsi segretamente e fuggire in Caucasia, ma e' sufficiente per costruire con l'inventore, gia' famoso per la scoperta della dinamite, un legame profondo, testimoniato dalla fitta corrispondenza che proseguira' negli anni successivi. Nobel, che cercava di accreditarsi come pacifista agli occhi di Bertha, sosteneva in quegli anni, ingenuamente, che la potenza degli armamenti poteva diventare un buon deterrente e convincere i governi dell'insensatezza della guerra. Ma se oggi per noi Nobel e' sinonimo di pace e cultura e' proprio grazie all'influenza di Bertha von Suttner che esortera' l'inventore della dinamite a devolvere una parte dei proventi guadagnati con la sua scoperta a favore di un premio per la pace. A lei il premio venne assegnato solo nel 1905, con un ritardo deplorato in tutti gli ambienti pacifisti che ben conoscevano la sua opera, tanto che molti ritenevano dovesse essere la prima vincitrice, perche' probabilmente la Commissione considerava degradante assegnare un premio tanto prestigioso ad una donna. Bertha appariva certamente, agli occhi dei suoi contemporanei, come una donna straordinaria, ma la passione dell'intelligenza che aveva affascinato Nobel da subito, non mancava di suscitare in molti i piu' bassi e meschini sentimenti misogini. Il matrimonio, vissuto nei primi tempi nelle ristrettezze economiche (vivevano dando lezioni private, lui di tedesco e lei di musica) diventa da subito l'occasione di sperimentare la condivisione delle convinzioni pacifiste, attraverso l'aiuto per le vittime della guerra tra la Russia e la Turchia. Arthur trova poi lavoro scrivendo sulla guerra per i giornali austriaci e Bertha non vuole essere da meno: non le si addice il ruolo ambiguo di angelo del focolare all'ombra e a sostegno dell'uomo amato. Il suo amore per Arthur puo' vivere felicemente solo nella completa parita', che si esprime gia' di fatto nella condivisione delle vita come delle idee: Bertha percio' comincia a scrivere romanzi e articoli usando diversi pseudonimi per non vedersi precludere il successo a causa del sessismo della cultura in cui vive. * Sara' proprio il successo dei suoi romanzi, prima L'era delle macchine, all'inizio del 1899, che contiene gia' la critica all'esasperato nazionalismo e la corsa agli armamenti, e Giu' le armi!, alla fine dello stesso anno, che la spingera' ad intervenire in pubblico, esperienza poco co nsueta per una donna di quel tempo, e ad impegnarsi direttamente a sostegno delle iniziative a favore della pace sia in Europa che negli Stati Uniti fino alla fine della sua vita. Il suo primo intervento, tenuto a Roma in Campidoglio, in occasione della terza Conferenza per la pace nel 1891, viene accolto con calore dal pubblico in sala, anche se non manca poi l'acredine nei commenti dei giornali romani per quella donna che osa esporsi come oratrice e su un tema come la guerra considerato lontano dall'esperienza femminile. La guerra infatti e' ancora considerata banco di prova della virilita', che il nazionalismo sposta dalle virtu' individuali all'ambito di quelle patriottiche, unendo l'esaltazione della forza ai miti contemporanei del progresso tecnico e scientifico. Alle critiche Bertha era comunque gia' abituata perche' al successo del suo libro si erano accompagnati non pochi inviti a tacere ed occuparsi di cose da donne, ma lei aveva prontamente risposto ad un suo denigratore: "Le donne non staranno zitte, professor Dahn. Noi scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo. Le donne cambieranno la societa' e loro stesse", dimostrando quanto forte fosse la consapevolezza di essere lei stessa testimone prima di tutto del proprio cambiamento rispetto all'educazione ricevuta e all'appartenenza di classe. Sono infatti le pur scarne notizie sulla sua biografia che rivelano l'intreccio tra vita e pensiero, la coscienza, espressa senza reticenze, di essere a un tempo donna e pacifista, e il profondo nesso politico che lega questi due termini in un momento in cui la richiesta del diritto di voto da parte delle donne ripropone il dibattito sui fondamenti della cittadinanza. * Proprio il coinvolgimento personale, la capacita' di misurare continuamente la propria esistenza con le condizioni storiche in cui si trova a vivere, la spingono ad indagare ogni aspetto, ad occuparsi di ogni evento che rappresenti un sostegno alla guerra, ed e' proprio perche' donna che Bertha coglie la pervasivita' della cultura militarista che cresce in ogni ambiente e la pericolosita' dei discorsi che altri tendono a sottovalutare. A proposito di un Congresso medico internazionale, ad esempio, Bertha coglie molto acutamente la contraddizione tra le relazioni sulle malattie, che riguardano la ricerca di rimedi efficaci, e quella sulle ferite procurate dalle nuove armi da guerra, denunciando esplicitamente come complicita' il silenzio sull'unica possibilita' di rimedio, la pace. Proprio attraverso il silenzio la ricerca scientifica si rende complice della guerra, cosi' come l'economia, che non puo' essere considerata neutrale se investe negli armamenti. La guerra non nasce da se', in modo "naturale" come qualcuno sostiene, e Bertha non si limita a denunciare l'aumento della produzione di armi, ma stigmatizza con ironia il mercato internazionale delle armi stesse, per cui le nazioni si faranno guerra utilizzando armi prodotte addirittura dalle medesime ditte fabbricanti e verranno uccisi come soldati gli operai che hanno prodotto le armi per il nemico. Appaiono in questo senso particolarmente odiose le forme di connivenza dei governi e Bertha trova che l'uso della frase di origine latina "se vuoi la pace prepara la guerra" da parte di uomini politici liberali, per giustificare la corsa agli armamenti pretendendo di presentarsi contemporaneamente come sostenitori della pace, va smascherata nella sua intrinseca ipocrisia che rischia di diffondere una legittimazione del militarismo. L'equilibrio del terrore non puo' essere contrabbandato per una politica a favore della pace, perche' si fonda sulla costruzione dell'altro come nemico, incitando "all'odio per l'estraneo, al desiderio di conquista, all'ambizione per le promozioni" scrive Bertha. Lei segue con grande attenzione l'enfasi con cui vengono annunciate le nuove armi, come i proiettili di cui ha richiesto il brevetto l'inventore della melinite o l'invenzione del dirigibile e dell'aeroplano, dei quali e' stato immediatamente pensato l'uso bellico, e proprio in occasione dell'annuncio del volo di un dirigibile sottolinea l'insensatezza del ricondurre alla guerra ogni nuova invenzione perche' "Seguendo questa logica, uno stato potrebbe anche porre l'interdetto sulla scoperta di un siero; giacche' anche la salute si annovera fra quelle qualita' che fanno un esercito piu' pronto al combattimento; sarebbe percio' antipatriottico rendere accessibile questo prodotto ad eserciti stranieri". Per questo, insieme all'industria bellica, Bertha non manca di denunciare il ruolo della stampa nella formazione di un'opinione pubblica favorevole al conflitto armato: sono i due potenti gruppi che lavorano a sostegno degli ambienti militari. "Anche la cosiddetta stampa liberale, moderata, favorisce il sistema militarista, in modo piu' passivo, ma non per questo meno efficace. (...) questa specie di stampa evita, si', di aizzare direttamente alla guerra e di pronunciarsi apertamente a favore del potenziamento degli armamenti, ma tratta tutto il vigente sistema della pace armata come qualcosa di immutabile, di naturale...", scrive Bertha ancora nel 1909, e osserva con amarezza come sia censurata con disprezzo ogni voce che si leva a favore della pace da parte di singoli o associazioni, e venga costruito un clima di sospetto se realistiche proposte di pace vengono da altri governi, come nel caso delle proposte inglesi di moratoria degli armamenti o l'appello dello zar che promuove la prima Conferenza internazionale tenuta all'Aia nel 1899. Non manca sulla stampa, che fornisce sulle associazioni pacifiste rare quanto distorte e svalutanti informazioni, un improvviso interesse nell'imminenza dei conflitti, e Bertha ne sa cogliere bene la malafede: "Cosa fanno le associazioni per la pace? Cosa dicono i pacifisti? Questi interrogativi imperversano intorno a noi (...) Ci vogliono incoraggiare, con queste domande, ad azioni di salvezza, o ci vogliono semplicemente schernire? Tutte e due le cose sono fuori luogo. Dal momento che azioni incisive nelle quotidiane controversie politiche sono al di fuori della nostra sfera giuridica". Allora come oggi le concrete proposte dei pacifisti per dare "un altro fondamento all'intero sistema di rapporti fra i popoli" vengono ignorate e si chiede loro un'azione concreta quando i governi hanno gia' scelto la guerra. * Se Bertha in ogni suo testo e' capace di cogliere con straordinaria incisivita' l'errore nell'argomentazione dell'avversario, di denunciare con estremo coraggio ogni passo avanti fatto in direzione della guerra, e' proprio nel romanzo Giu' le armi! che trova la forma piu' efficace per sottolineare la rete di complicita' che indirizza tutta la societa', a partire dall'educazione di bambini e bambine, verso l'esaltazione della guerra. Dai giochi, che riempiono il tempo libero dei bambini di soldatini non innocenti, alle parate dove i giovani maschi mettono in scena il passaggio dall'infanzia all'adolescenza in un rito collettivo in cui sperimentano il protagonismo individuale nella dimensione della sicurezza insita nella condivisione collettiva, si costruisce abilmente il mito di una virilita' che solo nella guerra sembra trovare il compimento naturale della propria maturita'. Le ragazze invece non devono sapere niente, e l'appassionata protagonista del romanzo, in cui s'identifica certo l'autrice, scandalizza la famiglia intervenendo con veemenza: "Per accadere possono accadere tutte le atrocita', ma non e' lecito discorrerne. Di sangue e di escrementi le delicate donne non devono sapere niente, e niente dire, ma i nastri della bandiera che svolazzeranno sul bagno di sangue, quelli si', li ricamano; le ragazze non hanno il permesso di sapere niente di questo, di come i loro fidanzati possono diventare impotenti di ricevere la ricompensa del loro amore, ma questa ricompensa esse la devono promettere loro per incitarli alla guerra. Morte e uccisione non hanno nulla di scostumato per voi, voi, damine bene educate - ma al puro e semplice rammentare le cose che sono le fonti della vita che si trasmette, dovete guardare altrove arrossendo. E' una ben triste morale, la vostra, lo sapete? Triste e vigliacca! Questo guardare altrove - con occhi del corpo e della mente - questo fatto e' responsabile del persistere di cosi' tanta miseria e ingiustizia!". In poche righe, nell'efficacia dei personaggi e dei dialoghi, l'opera di Bertha illustra con semplicita' il legame tra guerra, poverta' e ruoli di genere costruiti sugli stereotipi di femminilita' e virilita'. * Non a caso la biografia di Bertha insieme con i suoi scritti ci consente di ricostruire una parte della storia di quel movimento pacifista che comincia ad organizzarsi nella seconda meta' dell'ottocento intrecciando attivita' e dibattito con gli altri due grandi movimenti portatori di istanze pacifiche di cambiamento della societa': quello operaio organizzato nella prima e soprattutto nella seconda Internazionale socialista, e soprattutto quello delle donne espresso dal fitto attivismo delle associazioni emancipazioniste. Un legame non semplice, soprattutto quello con il movimento operaio, una parte del quale guarda con diffidenza alla presenza borghese nel movimento per la pace e con altrettanta diffidenza al protagonismo delle donne. Non a caso si afferma con fatica anche il saldo antimilitarismo di Rosa Luxemburg, l'economista piu' lungimirante e la dirigente politica piu' generosa della seconda Internazionale. Nei confronti di Bertha sono molte le invidie e le diffidenze, e sara' usata anche l'arma del ridicolo per costruire un muro di ironia intorno a quella sua voce schietta che non smettera' fino alla fine di parlare a favore della pace. In un tempo in cui molti lacci imprigionavano il corpo e la mente delle donne Bertha ha saputo muoversi con passo lieve e deciso, senza arretrare, senza scoraggiarsi, mostrando sempre e ovunque, al fondo della sua lucida denuncia del presente, un fiducia nel futuro che giunge affettuosa fino a noi e ci commuove. Quando le operaie di Vienna nel 1911 organizzano una gigantesca manifestazione per il voto alle donne e chiedono la fine degli armamenti e una destinazione civile per i fondi destinati alle spese militari, Bertha scrive: "Politica femminile? No: politica per l'umanita'. E il contributo iniziale della meta' finora diseredata del genere umano e' soltanto uno dei sintomi del fatto che si avvicina il tempo in cui il bene e i diritti dell'umanita' saranno considerati come massimo criterio per la politica". Protagonista del suo tempo, degna di memoria per il nostro, muore nel giugno del 1914 poco prima che su quell'Europa, che sognava democratica e unita, si abbattesse la tragedia che ancora oggi continua e continua e continua, toccando e sperperando, una ad una, ancora, le nostre vite. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 845 del 19 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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