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La nonviolenza e' in cammino. 841
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 841
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 15 Feb 2005 00:28:05 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 841 del 15 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Voci per Giuliana 2. Per una bibliografia sulla Shoah (parte ventunesima) 3. Uno sciagurato disegno di legge delega 4. Paolo Scarfi: Osservazioni in tema di riforma dell'ordinamento giudiziario militare 5. Enrico Peyretti: L'intollerabile 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. TESTIMONIANZE. VOCI PER GIULIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 febbraio 2005 riprendiamo alcune testimonianze di solidarieta' con Giuliana Sgrena. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] Cari amici, la nostra comunita' sta seguendo con trepidazione la vicenda del sequestro di Giuliana Sgrena. Ogni giorno Giuliana entra, talvolta inconsapevolmente, nell'invocazione dei credenti che chiedono all'Altissimo che allevi le pene degli oppressi, degli innocenti, di tutti coloro che sono mustadaifun, indeboliti sulla terra. E tra coloro che sono piu' coscienti non manca la preghiera affinche' sia trattata nel migliore dei modi e liberata quanto prima. La vicenda di Giuliana (come pure quella che coinvolse Simona Pari e Simona Torretta) ci interroga a partire da una positivita'. Se siamo riusciti, in un'assoluta emergenza, a realizzare dialogo e azione comune, a maggior ragione dovremmo riuscire a realizzare reti permanenti di comunicazione e iniziativa politica e culturale a favore di centinaia di milioni di uomini e donne e bambini di questo pianeta che ogni giorno sono privati dei loro diritti fondamentali, colpiti nella loro dignita' umana. Per proseguire in questo cammino saremo con voi nella manifestazione del 19 febbraio a Roma, nella speranza che sia per festeggiare il ritorno di Giuliana. Hamza Piccardo, segretario nazionale dell'Unione delle comunita' e organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii) * Ci saro' certamente alla grande manifestazione di sabato 19, c'ero in Campidoglio il 5 scorso, e la sera del 10 alla Casa internazionale delle donne. Questo e' il modo di testimoniare per Giuliana che mi riesce piu' naturale: esserci, una nel gran numero, e dire con gli altri la stessa speranza di riaverla prestissimo tra noi, e insieme lo stesso fermissimo ripudio della guerra, suo e di noi tutti. Carla Ravaioli * Nel momento in cui abbiamo appreso del rapimento di Giuliana, il nostro pensiero e' tornato immediatamente a quanto siamo state contente di ospitarla per la presentazione del suo libro Alla scuola dei taleban. Volevamo condividere cosi' il suo impegno quotidiano nel raccontare quello che succede laddove ci siano guerra, violazione di diritti, ingiustizia. Il lavoro di Giuliana sembra a noi indispensabile. Vogliamo sperare di rivederla presto al suo posto, quello di un impegno civile alto, svolto con grande professionalita' e sensibilita', con occhi e cuore di donna. La Libreria delle donne di Firenze * Saremo in piazza il 19 febbraio a Roma per riportare a casa Giuliana e Florence, per fermare la guerra in Iraq "senza se e senza ma", con tutte le donne e gli uomini che non si rassegnano alle politiche del meno peggio. Per una pace giusta che puo' partire solo dal ritiro di tutte le truppe occupanti. Marcia mondiale delle donne contro le violenze e la poverta' * Cari amici de "Il manifesto", ho appreso con preoccupazione del rapimento della vostra collega Giuliana Sgrena a Baghdad. "Il manifesto" e' da sempre amico dell'Irlanda e del suo popolo. Giuliana Sgrena e' una giornalista che ha sempre lottato per la pace. I suoi articoli hanno sempre espresso la sua opposizione all'invasione dell'Iraq e alla guerra. La maggioranza del popolo irlandese condivide questa opinione. Il Sinn Fein e' sempre stato esplicito nella sua critica all'invasione. Siamo convinti del diritto del popolo iracheno di decidere il proprio futuro. Faccio appello a chi ha rapito Giuliana Sgrena di rilasciarla. Gerry Adams, presidente del Sinn Fein 2. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE VENTUNESIMA) GEORGE L. MOSSE Illustre storico (1918-1999). Opere di George L. Mosse: tra molti altri testi segnaliamo particolarmente, per un avvio alla conoscenza, Il razzismo in Europa, Laterza, Bari, poi Mondadori, Milano. Un interessante saggio in cui Mosse riflette sulla sua vita e la sua opera e' nel volume La nazione, le masse e la "nuova politica", Di Renzo, Roma 1999 (in cui oltre al testo autobiografico di Mosse vi e' un ampio saggio di Giuseppe Galasso su di lui). EMMANUEL MOUNIER Nato nel 1905 a Grenoble, nel 1932 fondo' la rivista "Esprit", una delle voci piu' vive della cultura contemporanea e dell'impegno cristiano nella societa'. Mori' nel 1950. Intellettuale militante, cattolico in rottura con il "disordine costituito" ed in dialogo con la sinistra rivoluzionaria, la sua voce ci interpella ancora. Opere di Emmanuel Mounier: Che cos'e' il personalismo?, Einaudi; Rivoluzione personalista e comunitaria, Ecumenica; Il personalismo, Ave. L'Editrice Ecumenica sta pubblicando (e ripubblicando) le opere di Mounier in una specifica Collana "Emmanuel Mounier" diretta da Ada Lamacchia. Opere su Emmanuel Mounier: Jean Marie Domenach, Emmanuel Mounier, Ecumenica, Bari 1996. JEAN-MARIE MULLER Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Desobeir a' Vichy, Presses Universitaires de Nancy, Nancy 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004. ANDRZEJ MUNK Regista cinematografico tra i piu' grandi. Opere di Andrzej Munk: segnaliamo particolarmente il capolavoro incompiuto La passeggera, Polonia 1963. CESARE MUSATTI Nato nel 1897 (in quel 21 settembre in cui nasceva anche la sua "sorella gemella": la psicoanalisi), scomparso nel 1989. Ha curato per Boringhieri la monumentale edizione italiana delle Opere di Freud. Illustre studioso e cattedratico, vittima delle persecuzioni razziste, intellettuale di straordinaria vivacita' e bonomia, di fervido impegno democratico, i suoi libri sono altrettante lezioni di laicita' e di umanesimo. Opere di Cesare Musatti: Elementi di psicologia della testimonianza, Liviana, Padova 1931, 1989, Rizzoli, Milano 1991; Trattato di psicoanalisi, Einaudi, Torino 1949; Psicoanalisi e vita contemporanea, Boringhieri, Torino 1960; Riflessioni sul pensiero psicoanalitico, Boringhieri, Torino 1977; Mia sorella gemella la psicoanalisi, Editori Riuniti, Roma 1982; Chi ha paura del lupo cattivo?, Editori Riuniti, Roma 1987; Ebraismo e psicoanalisi, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1994. 3. APPELLI. UNO SCIAGURATO DISEGNO DI LEGGE DELEGA Nel n. 826 di questo foglio abbiamo riportato un'analisi dell'autorevole giurista e magistrato Domenico Gallo del disegno di legge delega al governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, nonche' per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare. Tale disegno di legge delega configura gravissime violazioni della legalita' costituzionale, reca profonde vulnerazioni allo stato di diritto e alla democrazia, introduce elementi che mutano la natura del nostro ordinamento giuridico travolgendolo verso l'abisso di uno sciagurato regime autoritario e bellicista. E' necessario ed urgente che questa ennesima scellerata turpitudine sia impedita. Ed a tal fine e' indispensabile che il movimento per la pace si impegni a informare e sensibilizzare tutti i parlamentari, i membri del Consiglio dei Ministri, il Capo dello Stato, affinche' la proposta sia rigettata. Per fare opera di informazione e sensibilizzazione adeguata e' ovviamente doveroso disporre di una precisa informazione sulla sciagurata proposta, sul quadro normativo vigente, sulle alternative possibili ed opportune. A tal fine dopo aver proposto l'intervento di Domenico Gallo, alla cui attenta lettura nuovamente invitiamo tutte le persone impegnate contro la guerra, proponiamo oggi l'intervento seguente del dottor Paolo Scarfi, membro della magistratura militare. E' infatti assolutamente indispensabile che il movimento per la pace esca dalle chiacchiere generiche e dalla propaganda astratta, ed eserciti invece un'azione persuasiva ed efficace (ed efficace perche' persuasiva, e persuasiva perche' persuasa), ed a tal fine occorre uscire dagli slogan (sovente fin autolesionisti) ed entrare nel merito con una conoscenza adeguata. Proprio perche' il nostro punto di vista e' rigorosamente antimilitarista e disarmista, vogliamo e dobbiamo entrare nel merito della legislazione in materia militare. Proprio perche' la nonviolenza puo' e deve fermare tutte le guerre, occorre che essa sappia intervenire concretamente ed efficacemente la' dove si fanno le leggi, che essa si confronti esplicitamente ed adeguatamente con le istituzioni e gli ordinamenti, e che essa diventi sempre piu', anche e decisivamente, giuriscostituente. 4. MATERIALI. PAOLO SCARFI: OSSERVAZIONI IN TEMA DI RIFORMA DELL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO MILITARE [Dal sito www.giuristidemocratici.it riprendiamo questa analisi. Il dottor Paolo Scarfi e' Procuratore Militare] Un intervento legislativo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, la ridefinizione dei limiti della giurisdizione militare e l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario e' senz'altro opportuno non solo per ridefinire la normativa sostanziale (eliminando fattispecie ormai anacronistiche, introducendone di nuove in considerazione delle mutate realta' operative ed internazionali, modificando la misura delle pene ed eliminando istituti ormai anacronistici quali la richiesta di procedimento) ed intervenire in materia processuale (introducendo ad es. il rito monocratico anche per i reati militari di minore gravita'), ma anche per riformare radicalmente gli organi giudiziari che le nuove norme saranno chiamati ad applicare, prendendo atto che la irrazionalita' attuale non e' appunto limitata alla sola normativa sostanziale o processuale, ma che forse ancor di piu' irrazionale e' la stessa esistenza di una struttura giudiziaria militare cosi' come oggi strutturata. Non e' infatti certamente tollerabile la attuale ripartizione della giurisdizione tra la autorita' giudiziaria ordinaria e la magistratura militare (in proposito si rinvia alle considerazioni del Procuratore Generale Militare presso la Corte Militare di Appello formulate in occasione della inaugurazione dell'anno giudiziario 2002), ma se ci si limitasse a modificare la normativa sostanziale, incrementando le fattispecie penali di competenza del giudice speciale, o addirittura reintroducendo (anche al di fuori del caso delle missioni all'estero) la categoria dei reati c.d. militarizzati (soppressa oltre quaranta anni fa), si giungerebbe al piu' ad un limitato recupero di produttivita' degli uffici giudiziari militari attualmente costituiti (il cui carico di lavoro, a seguito della abrogazione della leva obbligatoria, e' diminuito in maniera tale da non giustificarne piu' in alcun modo l'esistenza), ma non verrebbero certamente risolti i piu' gravi problemi strutturali. Detti problemi, come piu' innanzi illustrato, acquisterebbero anzi un ben maggiore e piu' generale rilievo ove, come previsto dal disegno di legge delega approvato lo scorso luglio dal Consiglio dei Ministri e recentemente presentato al Senato con il n. 2493, si chiamasse una struttura giudiziaria del tipo di quella esistente a giudicare in via normale reati di maggiore rilevanza ed allarme sociale: in definitiva si sacrificherebbero quelle esigenze di giustizia che qualunque intervento normativo in materia giudiziaria dovrebbe tendere a soddisfare. * Sarebbe di contro estremamente auspicabile un intervento radicale sull'ordinamento giudiziario militare, con soppressione del ruolo dei magistrati militari, attribuzione delle residue competenze in materia di reati commessi in patria ed in tempo di pace dagli appartenenti alle forze armate alla magistratura ordinaria, lasciando eventualmente un unico tribunale militare di primo e secondo grado, composto di giudici ordinari specializzati chiamati a giudicare i reati commessi in occasione delle missioni all'estero (per i quali soli sembrerebbe giustificarsi - in armonia con i principi di diritto internazionale - una specifica nozione di reato militare), ed al piu' prevedendo sezioni di alcuni tribunali ordinari per gli altri reati commessi da appartenenti alle forze armate per i quali cio' venisse ritenuto opportuno. A sostegno di tale indicazione (peraltro in parte coincidente con quelle cui alcuni anni fa pervenne la apposita commissione ministeriale presieduta dal prof. Zappala') si riportano le considerazioni che seguono, frutto di riflessione da parte di soggetti che dal di dentro conoscono la struttura giudiziaria interessata. * 1. Impossibilita' di una soddisfacente amministrazione della giustizia penale da parte di un ruolo cosi' esiguo, ed in particolare estrema difficolta' di applicare regole di ordinamento giudiziario comune (le uniche accettabili per una moderna giustizia penale) in una realta' di dimensioni tanto esigue, con conseguenti tensioni anche gravi all'interno dei vari uffici. L'ordinamento giudiziario che sarebbe chiamato ad applicare le nuove disposizioni, sia per quanto riguarda il tempo di pace che per quanto concerne le missioni all'estero, risente gravemente ed irrimediabilmente della difficolta' di amministrazione di un cosi' esiguo ruolo di magistrati (103 a fronte degli oltre 8.000 magistrati ordinari), per i quali risulta estremamente difficile applicare le norme dell'ordinamento giudiziario comune. A tale proposito si ricorda che il Consiglio della Magistratura Militare, con delibera del 3 dicembre 1996, sottolineava come "poiche' il potere giurisdizionale si caratterizza come potere diffuso, in cui ciascun magistrato risulta essere totalmente autonomo nell'esercizio delle funzioni... e' evidente che le ristrette dimensioni degli organici determinano un inevitabile eccesso di personalizzazione delle decisioni con conseguente elevato rischio di dissidi e tensioni spesso insuperabili data la ristrettezza dei singoli ambienti di lavoro e le difficolta' di soluzioni alternative... quali il cambiamento di sede o di funzioni da parte di taluno degli interessati" con evidenti conseguenze negative "sul sereno svolgimento della attivita' giudiziaria ". A conferma di tali considerazioni l'organo di autogoverno menzionava gravi situazioni creatisi presso alcuni uffici (ben tre sedi su nove), situazioni che in un caso (a distanza di quasi sei anni) non avevano ancora trovato soluzione definitiva (e che invero, ove risolte in tempo successivo, sono state poi "degnamente" sostituite da altre altrettanto gravi createsi presso altre sedi). Nella stessa delibera veniva poi richiamato come lo svolgimento delle attivita' istituzionali proprie del Consiglio risenta in modo negativo della ristrettezza strutturale della giustizia militare, in quanto per l'esiguo numero di magistrati militari "ogni provvedimento di trasferimento o di conferimento di funzioni... (ha) effetti prevedibili, diretti o indiretti, su tutta una serie di altri magistrati militari, ivi compresi i componenti "togati" del Consiglio... (che) permanendo in ruolo, continuano ad esercitare le funzioni e ad essere, pertanto, a loro volta potenzialmente interessati". Il Consiglio prendeva quindi atto "da un lato che l'ordinamento giudiziario militare... non puo' che conformarsi strettamente all'ordinamento giudiziario ordinario, dall'altro che le regole 'pensate' per una realta' tanto piu' vasta, calate in una realta' di dimensioni tanto esigue e non sempre adattabili in via interpretativa, perdono in concreto la loro validita' e comportano l'insorgere di gravi e insormontabili inconvenienti". In considerazione di tutto cio' lo stesso organo di autogoverno riteneva che "in sede di una riforma della giustizia militare... non si possa prescindere dal considerare anche i gravi inconvenienti che, in via di fatto, derivano dalla strutturale inidoneita' di una autonoma organizzazione giudiziaria di dimensioni troppo esigue", e quindi di "esprimere l'avviso che una riforma della giustizia militare debba necessariamente prevedere come irrinunciabile opzione la confluenza dei magistrati militari nel ruolo dei magistrati ordinari con conseguente soppressione di un separato organo di autogoverno e passaggio delle competenze ministeriali al dicastero di Grazia e Giustizia" in quanto solo in tal modo si creeranno "i presupposti perche' le caratteristiche proprie del potere giudiziario non soffrano (o non siano causa) di anomalie connaturate ad un ordinamento numericamente troppo esiguo". E' comunque di estrema evidenza l'irrazionalita' del mantenimento di un ruolo separato di magistrati cosi' esiguo (per di piu' con un proprio organo di autogoverno, al quale nel corso della propria carriera ciascun magistrato militare ha buona probabilita' di fare parte quale componente elettivo) nel quale l'attivita' disciplinare, paradisciplinare ed ogni provvedimento in materia di status, quanto meno potenzialmente, possono essere interpretati come estrinsecazioni di logiche basate su amicizia o pregressi contrasti: a titolo di esempio ci si permette di sottolineare come - in un ambiente cosi' piccolo - ben difficilmente determinati rapporti di amicizia potrebbero anche in futuro consentire l'esercizio di poteri disciplinari che per di piu', secondo recente delibera del Consiglio della Magistratura Militare, sarebbero personali del Procuratore Generale Militare di Cassazione, e come tali non delegabili, neppure in caso di astensione. * 2. Estrema difficolta' a gestire i procedimenti applicando le vigenti disposizioni del c.p.p. (e tra esse quelle in materia di incompatibilita') da parte di uffici giudiziari di dimensioni cosi' ridotte. I nove uffici giudiziari militari di primo grado attualmente istituiti hanno un organico (teorico) di magistrati giudicanti tra quattro e sei (ove presente la sezione del riesame) e di pubblici ministeri tra tre e cinque. Le relative tabelle organiche sono state di recente modificate, in considerazione delle incompatibilita' tra le funzioni di gip e quelle di gup, introdotte nel codice di rito dal comma 2-bis dell'art. 34, incrementando il numero dei giudicanti: tale innovazione ha peraltro costretto a rivedere in diminuzione la dotazione di magistrati del pubblico ministero. E' inutile rammentare come tali dotazioni siano del tutto teoriche, non potendosi certo ipotizzare una copertura integrale di tutti i posti, e tra essi specie di quelli requirenti, tradizionalmente non graditi particolarmente nella magistratura militare, a causa dell'esiguo numero di sedi e della conseguente frequenza dei casi nei quali le citta' di residenza dei magistrati sono diverse e distanti da quelle di servizio. Accreditate indicazioni dottrinali quantificano peraltro in almeno 20-25 il numero di magistrati giudicanti addetto ad un ufficio giudiziario per un razionale funzionamento. Il numero di giudici attualmente previsto per ogni tribunale militare, determinato al fine di assicurare che per ogni procedimento sia possibile nominare un gip, un gup e due giudici dibattimentali, e' nella maggior parte dei casi assolutamente sproporzionato all'esiguo carico di lavoro del singolo tribunale, essendo appunto parametrato non al numero dei procedimenti ma alle norma sulle incompatibilita', con conseguente sottoccupazione dei magistrati interessati. Tali organici, peraltro, non sono neppure sufficienti ad ovviare alle incompatibilita' stesse, bastando un periodo di ferie del gip titolare per "bruciare" un altro magistrato (chiamato in sostituzione per un determinato atto) e, nei tribunali cui sono addetti solo quattro giudici, costringere ad una supplenza esterna o eventualmente alla rimessione del procedimento. Il numero di magistrati militari requirenti concretamente presenti nei vari uffici e' di contro, gia' in considerazione delle attuali esigue competenze, spesso insufficiente per garantire, oltre alla partecipazione alle udienze, una efficace direzione delle indagini, ed anche quelle attivita' di ricerca della notizia di reato che il codice tuttora attribuisce al pubblico ministero: gli uffici giudicanti, potenziati come innanzi descritto, rischiano quindi di vedere ulteriormente diminuito il proprio carico di lavoro, mancando quei requirenti che possano efficacemente svolgere le indagini ed istruire i procedimenti da portare a giudizio. Lo spreco di risorse umane ed il danno alle esigenze di giustizia non richiedono alcun ulteriore commento. * 3. Impossibilita', in giurisdizioni territoriali cosi' vaste, di intervenire nei piu' gravi fenomeni criminosi anche in considerazione della brevita' dei termini processuali. La magistratura militare, strutturata su soli nove uffici di primo grado, ha circoscrizioni territoriali vastissime, che talvolta impediscono addirittura di raggiungere in giornata determinate zone del territorio di competenza: si pensi alla provincia di Imperia o di Sondrio per il Tribunale Militare di Torino, alle localita' insulari piu' discoste dalle sedi di Cagliari o Palermo, ma anche alle altre province piu' lontane da tutte le altre sedi. Solo una giurisdizione cosi' limitata come la attuale, con una o due misure cautelari ogni anno in tutto il territorio nazionale, ed ancor di piu' con un numero di arresti in flagranza che, in tutta Italia, nei tredici anni passati dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale si contano sulle dita di una sola mano, ha potuto applicare una normativa processuale che prevede, specie in materia di liberta' personale, termini brevissimi e rigorosi, anche di poche ore, ad esempio perche' l'indagato compaia dinanzi al(l'unico) giudice per le indagini preliminari. Anche sotto questo profilo attribuire alla Autorita' Giudiziaria Militare competenze a procedere per reati di maggiore gravita' comporterebbe una estrema difficolta', per degli uffici giudiziari cosi' distanti tra loro e dal luogo ove i fatti potrebbero essere commessi, oltre che con organici cosi' ridotti, di intervenire tempestivamente nei casi richiesti: si pensi alla difficolta' di chiedere e celebrare l'udienza di convalida entro il termine di cui all'art. 390, co. l e 2, c. p. p. La vastita' delle giurisdizioni territoriali degli uffici del pubblico ministero rende comunque gia' adesso estremamente difficoltoso, per i pochi magistrati ad essi addetti, di seguire con efficacia le indagini sulle condotte criminose che si siano verificate al di fuori della sede, comportando una grave discriminazione tra i reparti militari piu' vicini e quelli appunto ove, causa la distanza dalla procura militare competente, il controllo giurisdizionale e' gia' adesso estremamente ridotto (in particolar modo per quei reati che vedono coinvolti o comunque compiacenti i rispettivi comandanti, e che quindi non sono oggetto di autonoma comunicazione di notizia di reato): tale discriminazione sarebbe fortemente accentuata ove non fosse piu' in una certa misura limitata dalla competenza in qualche modo concorrente del giudice ordinario. * 4. Irrazionalita', dopo l'abolizione del servizio di leva, del mantenimento anche in tempo di pace ed al di fuori del caso di operazioni all'estero, di un separato sistema giurisdizionale chiamato a giudicare su fattispecie identiche ad altre che in ogni caso resterebbero di competenza dell'autorita' giudiziaria ordinaria. Il passaggio ad un esercito su base volontaria comportera' (fenomeno in gran parte gia' riscontrato) la scomparsa pressoche' totale dei reati di mancanza alla chiamata e di diserzione, fattispecie che, benche' con disvalore sociale sempre minore, comunque rappresentavano la maggior parte della attivita' dei tribunali militari. Alla giustizia militare resteranno da giudicare i reati cosiddetti di carattere (o comunque diversi da quelli di assenza), che fino a qualche anno fa rappresentavano parte minoritaria dei processi. La giustizia militare e' restata cosi' (solamente) a giudicare ad esempio su condotte poste in essere da appartenenti all'Arma dei Carabinieri o alla Guardia di Finanza con modalita' ed in situazioni del tutto identiche a quelle che, ove si trattasse di appartenenti alla Polizia di Stato (i quali godono di identico trattamento economico, ed hanno analoghi obblighi di servizio e progressioni di carriera) sarebbero riconducibili a fattispecie comuni di competenza del giudice ordinario (o addirittura prive di rilevanza penale). L'ipotizzato aumento di reati attribuiti al giudice speciale non farebbe altro che aggravare la irrazionalita' del sistema, in quanto non potrebbe che concretizzarsi con un incremento del numero dei reati cosiddetti non esclusivamente militari, ovvero delle fattispecie di reato militare assolutamente identiche a quelle previste dal codice penale comune e da esse differenziate solo per la condizione militare del soggetto attivo. Nessuna giustificazione puo' infatti essere oggigiorno trovata all'attribuire ad un giudice speciale una piu' o meno lunga serie di reati identici a quelli comuni, commessi nelle medesime circostanze di fatto e, come prima illustrato, magari da soggetti con rapporto di servizio identici ad altri che tale "privilegio" non hanno: in sintesi, perche' il peculato o la violenza privata del funzionario di polizia deve essere conosciuta dal giudice ordinario e quella dell'ufficiale dei carabinieri da quello speciale? * 5. Irrazionalita' ed antieconomicita' di mantenere un autonomo ordinamento giudiziario con nove tribunali e nove procure di primo grado, autonomi uffici di appello e di cassazione e proprio organo di autogoverno, per esercitare la giurisdizione su un numero di appartenenti alle forze armate che a parte carabinieri e finanza, con il nuovo modello di difesa, sara' di appena 170.000 unita'. Un autonomo ordine giudiziario cosi' come oggi concepito e' assolutamente sovradimensionato rispetto al numero previsto di appartenenti alle forze armate: ciascun ufficio giudiziario di primo grado, infatti, e' destinato ad avere un numero di "utenti" ben al di sotto di quello delle piu' piccole preture, non a caso soppresse. A tale proposito si rammenta come il costo del sistema giustizia militare vada ben al di la' di quello contabilizzato negli specifici capitoli di bilancio ministeriali, non essendo in essi ricompresi ne' il personale extratabellare (attualmente la maggioranza di quello addetto ai vari uffici) ne' tutta una serie di altre spese che, per come e' redatto il bilancio dello Stato, non risultano imputate allo specifico servizio. * 6. Danno alla celerita' e speditezza di indagini e processi nel caso di soggetti civili concorrenti. La reintroduzione dei cosiddetti reati militarizzati non eliminerebbe le incongruenze del sistema ed anzi comporterebbe ulteriori duplicazione di indagini e di processi per il caso dei soggetti civili concorrenti, con danno alla speditezza ed alla economia dei medesimi. Gia' allo stato attuale della normativa particolari difficolta' comportano quei casi in cui i tribunali militari ed i relativi uffici del pubblico ministero sono chiamati a procedere per condotte poste in essere in concorso tra loro da appartenenti alle forze armate ed estranei alle medesime; si pensi tra tutti ai casi di peculato o truffa militare consumati utilizzando fatture false emesse da imprenditori compiacenti: chi ha un minimo di esperienza in uffici di pubblico ministero militare e' bene al corrente di come sia difficile gia' dalla fase delle indagini muoversi in casi del genere, in presenza di testi-imputati di reato connesso (ma anche di semplici testimoni estranei alle forze armate) nei cui confronti la struttura giudiziaria che conduce le indagini non ha alcuna competenza. Le stesse difficolta' peraltro permangono nelle fasi successive del procedimento, essendo i diversi soggetti responsabili del medesimo fatto, a seconda del loro stato personale, chiamati in giudizio davanti al giudice comune o a quello militare, con intuibili conseguenze anche paradossali, potendosi finanche giungere a contrasto di giudicati (o quanto meno a determinazioni di pena clamorosamente sproporzionate tra loro). Un intervento di riforma che introducesse un congruo numero di reati "militarizzati", riconducendo alla giurisdizione militare ad esempio il reato di corruzione o di abuso di ufficio, non farebbe che generalizzare il fenomeno, rendendo sempre piu' frequente il caso di duplicazione di processi per lo stesso fatto, in un contesto storico in cui la legislazione tende sempre piu' ed eliminare le barriere ordinamentali che impediscono al giudice penale di conoscere una sola volta e nel suo complesso ciascun fenomeno illecito. * 7. Limiti costituzionali e di sistema all'attribuzione ai tribunali militari di competenza su tutti i reati commessi da appartenenti alle Forze Armate nell'espletamento del proprio servizio. Nel tentativo di dare una qualche razionalita' e fondamento all'esistenza (ed alla sopravvivenza) di un autonomo ordinamento giudiziario militare si propone da parte di taluni di estendere la nozione di reato militare (e quindi la competenza del giudice speciale) a tutti reati commessi da appartenenti alle Forze Armate ed in qualche modo collegati al servizio militare: a parte tutte le (decisive) ragioni di opportunita' fin qui illustrate, occorre comunque ricordare che, quanto meno per il tempo di pace, sarebbe assolutamente inopportuno (e forse anche contrario ai principi costituzionali) qualificare reati militari quelle fattispecie che vedono quali parte offesa soggetti estranei alle Forze Armate, come accadrebbe ad esempio attribuendo al giudice speciale la competenza per tutti i casi di concussione commessi da appartenenti alle Forze Armate. Sarebbe infatti senz'altro inaccettabile costringere l'estraneo alle Forze Armate offeso dalla condotta criminosa a difendere le proprie ragioni in sede penale (eventualmente quale parte civile) dinanzi ad un giudice speciale, ed in particolare ad un collegio giudicante del quale fa parte, con voto a volte determinante, un ufficiale "collega" dell'imputato (addirittura con lo stesso grado dell'imputato, ove questi sia appunto un ufficiale). In proposito si potrebbe anzi fondatamente dubitare che un reato commesso da militare nell'ambito del proprio servizio, ma a danno di un estraneo alle Forze Armate possa qualificarsi quale reato militare (in senso sostanziale), e quindi della compatibilita' con l'art. 103 della Costituzione di attribuire un reato del genere alla giurisdizione militare di pace. * 8. Scarsa funzionalita' dei collegi giudicanti presso i tribunali militari. Ci si permette da ultimo di sottolineare come possa contrastare con la attuale sensibilita' in materia di affidabilita' ed indipendenza del giudice, specie ove si volesse attribuire ai tribunali militari competenze piu' rilevanti, la composizione dei collegi cosi' come prevista dalle norme vigenti. In particolare, presso i singoli tribunali militari, i dibattimenti vengono celebrati dinanzi ad un collegio formato dal presidente del tribunale, da un magistrato giudice a latere, generalmente piu' giovane di eta' e di ruolo, e da un ufficiale giudice estratto a sorte tra quelli in servizio nella circoscrizione del singolo ufficio giudiziario. Quanto meno all'apparenza, potrebbe da piu' parti dubitarsi della effettiva collegialita' delle (piu' delicate) deliberazioni adottate, in quanto e' presumibile che, in caso di contrasto tra i due componenti togati, il voto decisivo del giudice non togato, chiamato a pronunciarsi a favore o contro la opinione del presidente (presidente del collegio, ma anche capo dell'ufficio giudiziario), possa maturare non da convinzioni giuridiche (del quale egli e' invero nella maggior parte dei casi del tutto privo), ma dalla propria mentalita' militare (abituata a riconoscere forte peso alla gerarchia ed all'autorita' del contraddittore). Considerazioni del genere potrebbero far ritenere che in realta' il provvedimento giudiziario corrisponda quasi sempre all'opinione del presidente, o quanto meno risenta in maniera decisiva di questa, e sono ancor piu' decisive, stante anche le scarse dimensioni della struttura giudiziaria militare, nel caso dei tribunali cosiddetti della liberta': tutti i provvedimenti cautelari de libertate che vengano adottati in Italia sono, ex art. 5, co. l del D. L. 553/96, oggetto di riesame dinanzi a tre soli collegi, i quali, se si dovesse riconoscere rilievo alle osservazioni precedenti, risentirebbero del voto decisivo dei tre presidenti: tre persone chiamate quindi a indirizzare tutta la giustizia militare italiana in un punto cosi' delicato. * Osservazioni specifiche sul disegno di legge n. 2483 Il progetto di riforma predisposto dalla apposita Commissione Ministeriale e successivamente approvato dal Governo, di contro, mostra di procedere in direzione affatto diversa da quella auspicata nelle osservazioni di cui sopra, intervenendo in maniera estremamente limitata sulle norme di ordinamento giudiziario militare, mantenendo un autonomo ruolo di magistrati militari dipendenti dal Ministero della Difesa e con un proprio organo di autogoverno, ed attribuendo invece alla competenza dei medesimi gravi fattispecie di reato fin qui di competenza del giudice ordinario, e tra essi anche reati che di militare hanno ben poco, riguardando condotte tenute all'esterno della istituzione in armi e che - se tenute da altri pubblici dipendenti in situazioni simili - sono efficacemente perseguite dal giudice ordinario. Ci si riferisce in particolare alla "militarizzazione" di tutti i reati contro la pubblica amministrazione commessi da militari (art. 3, co. 1, lett m, n. 1 del ddl), a seguito della quale i tribunali militari, che fin qui - se si prescinde da qualche caso di peculato militare o truffa a danno dell'amministrazione militare - si sono occupati principalmente di reati di assenza o comunque di violazioni di scarso rilievo ascrivibili per lo piu' a militari di leva, avrebbero competenza esclusiva ad esempio anche per fatti di corruzione o concussione (o anche per reati contro la fede pubblica e addirittura in materia di sicurezza del lavoro) commessi ad esempio da carabinieri o finanzieri. E' opportuno chiedersi quale sia la finalita' concreta di un intervento legislativo a seguito del quale, comportamenti concussivi commessi a danno di estranei alle forze armate, se ascrivibili ad appartenenti alla Polizia di Stato siano perseguiti da magistrati ordinari appartenenti ad uffici giudiziari ordinari capillarmente diffusi sul territorio e spesso con grande specifica esperienza, mentre se commessi da carabinieri o finanzieri dovrebbero aspettare l'intervento di magistrati militari spesso territorialmente distanti, appartenenti a piccoli uffici e fino ad ora privi di una qualsiasi esperienza in materia. Una irrazionalita' (ingiustizia) del genere non puo' neppure ipoteticamente trovare giustificazione in pretese esigenze di ricondurre tutte le determinate fattispecie criminose commesse da militari al giudice speciale e superare il fenomeno dei "doppi processi" ove si pensi, ad esempio, come di frequente comportamenti concussivi o corruttivi da parte di appartenenti alle forze di polizia siano connessi a lesioni a danno di privati (estranei alle forze armate) ovvero ad altri reati contro l'amministrazione della giustizia (ordinaria) non ricondotti (ne' riconducibili) alla competenza del giudice speciale neppure dal progetto di legge in questione. Assolutamente preferibile sarebbe stato razionalizzare la normativa penale militare, limitando la competenza dei tribunale militari (composti da magistrati ordinari e di volta in volta opportunamente integrati con militari - giudici non togati, sulla falsariga dei tribunali dei minorenni) al tempo di guerra ed alle operazioni militari all'estero in genere ed al massimo alla vita interna della istituzione in armi (cosi' superando anche le obiettive difficolta' di indagine connesse al coinvolgimenti di soggetti estranei) ovvero ai (piu' gravi) casi di lesione allo specifico servizio delle forze armate (con esclusione di quello affidato ai carabinieri ed alla guardia di finanza in materia di polizia giudiziaria e tributaria) e quindi alle (piu' gravi) disobbedienze e ai (piu' gravi) comportamenti contro la persona commessi tra militari per motivi connessi al servizio in armi. * L'articolato predisposto dal Governo presta infine il fianco ad altre gravi considerazioni critiche, che ben piu' autorevolmente possono essere approfondite da esperti e giuristi indipendentemente dalla conoscenza specifica dell'ordinamento giudiziario che si vorrebbe chiamare ad applicarle, e che pertanto solo succintamente e non esaurientemente vengono di seguito elencate: 1. quanto meno originale risulta il riferimento al fine (esclusivo) di assicurare "la piena funzionalita'" delle Forze Armate assegnato all'intervento legislativo (art. 1 del ddl); 2. eccessivamente generici appaiono i criteri fissati per l'esercizio della delega in una materia di riserva di legge come quella del diritto penale (ancorche' militare) (vedi ad esempio: art. 2 del ddl, ove non si precisa come debbano essere "riesaminati" "riveduti" "riordinati" i vari aspetti della normativa]; * per quanto riguarda specificamente le modifiche al codice penale militare di pace: 3. antistorica e contrastante con il principio di sussidiarieta' richiamato nello stesso disegno di legge appare la conferma di fattispecie di danneggiamento colposo, con introduzione addirittura della punibilita' del danneggiamento colposo di oggetti di equipaggiamento militare (anche cinte e camicie?) non perseguito dal legislatore del 1941 (e per scelta razionale, non per mera dimenticanza, come invece riportato nella relazione al ddl!) (art. 3, co. 1, lett h del ddl); 4. non risponde ai principi costituzionali sanzionare penalmente anche la sola partecipazione a sottoscrizioni di protesta in materia di servizio (art. 3, co. 1, lett l del ddl); 5. e' ingiustificato attribuire al giudice militare i reati in materia di sicurezza e prevenzione infortuni nei luoghi di lavoro (anche per il caso che siano presenti dipendenti civili?), fin qui perseguiti da magistrati ordinari esperti nel particolare campo (art. 3, co. 1, lett o del ddl); 6. e' irrazionale il mantenimento della richiesta di procedimento quale condizione di procedibilita' (anche se in alternativa alla querela) anche per fatti di ingiuria tra militari di pari grado, la cui lesivita' non puo' che essere riservata alle (esclusive) valutazioni della parte offesa (art. 3, co. 1, lett u del ddl), cosi' come ingiustificato il mantenimento - dopo l'abolizione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale - della procedibilita' d'ufficio ed incondizionata dei fatti di ingiuria tra militari di grado diverso; 7. l'arresto in flagranza per i reati di assenza dal servizio, in tempo di pace e senza collegamento con missioni all'estero, non piu' vigente da quasi quindici anni e' ancor meno giustificato nella nuova compagine di reclutamento esclusivamente su base volontaria (art. 3, co. 1, lett u del ddl); 8. prevedendo per i reati militari di minore gravita' la citazione diretta davanti al giudice collegiale (e non ad un monocratico) si giungerebbe all'assurdita' di far celebrare per quelli il giudizio abbreviato (ed il patteggiamento), restando di contro le analoghe competenze per i reati militari piu' gravi riservate al giudice (singolo) per l'udienza preliminare (chi giudicherebbe poi i concorrenti nel reato che vogliono il giudizio ordinario, quando l'organico di sette uffici giudiziari militari su nove non prevede un sufficiente numero di magistrati?) (art. 3, co. 1, lett u del ddl); * per quanto riguarda specificamente le modifiche al codice penale di guerra: 9. quanto meno pericoloso, e di dubbia legittimita' costituzionale, appare prevedere la applicazione della legge penale militare di guerra, indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra, anche per il caso dei "conflitti interni prolungati tra le Forze armate dello stato e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi" (art. 4, co. 1, lett i, n. 1 del ddl), e cio' oltretutto subordinando la punibilita' di tutti i reati militari connessi all'esercizio di funzioni di comando in tempo di guerra, con la sola esclusione dei crimini di guerra, alla richiesta di procedimento del Ministro della Difesa (art. 4, co. 1, lett l, n. 7 del ddl); * per quanto riguarda specificamente le modifiche all'ordinamento giudiziario militare: 10. e' estremamente generica l'indicazione dei principi cui dovrebbe attenersi il legislatore delegato nel modificare la normativa in materia di giudici non togati (art. 5, co. 1, lett b del ddl); 11. la conferma dell'unicita' della Corte Militare di Appello mantiene ed esalta la verticalizzazione della giurisdizione militare di merito, ove tutti i magistrati militari giudicanti sono soggetti alla sorveglianza di un solo presidente di corte di appello (art. 5, co. 1, lett c del ddl); 12. e' ingiustificata e forse incostituzionale la previsione di una difesa affidata (anche d'ufficio?) ad ufficiali con abilitazione alla professione di avvocato, ovviamente non iscritti all'ordine e pertanto non tutelati ne' soggetti alla relativa disciplina (art. 5, co. 1, lett f del ddl). * E' auspicabile di contro una riforma in materia di diritto penale militare maggiormente aderente ai principi costituzionali ed ai tempi, e che altresi' incida profondamente nell'ordinamento giudiziario militare, sopprimendo il ruolo separato dei magistrati militari ed attribuendo le relative competenze eventualmente a sezioni specializzate della magistratura ordinaria, cosi' ponendo davvero fine alle irrazionalita' ed alle diseconomie che l'attuale struttura comporta. A tale proposito va sottolineato come soluzioni molto piu' accettabili siano contenute nelle proposte di legge tuttora pendenti in materia in entrambi i rami del parlamento (vedi ad esempio ddl 2807 del Senato, 534 della Camera dei Deputati), che non contrastano con l'attuale formulazione dell'art. 103 della Costituzione in quanto (anche a respingere l'opinione per la quale essa costituirebbe un limite massimo per la competenza degli organi giudiziari militari in tempo di pace, ma non ne garantirebbe la sopravvivenza) tale disposizione comunque prevede l'esistenza dei tribunali militari, ma non un separato ruolo di magistrati, e sono quindi compatibili anche con l'attribuzione della relativa giurisdizione a sezioni specializzate composti da giudici ordinari. 5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: L'INTOLLERABILE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Un amico prezioso mi fa un'osservazione sulla quale sto meditando. Parliamo dell'Iraq, io mi indigno per certe posizioni che, in nome del realismo, dei semi di democrazia, dell'aiuto concreto a quel popolo, invitano a superare le divisioni che, sulla guerra voluta dal governo Usa, avevano duramente opposto persone, partiti italiani e paesi europei. Mi fa notare, l'amico, attivo in un partito politico, che a me e' facile sostenere posizioni intransigenti, perche' non ho alcun compito decisionale e quindi non ho da fare alcuna mediazione. E' vero: io posso parlare affermando le mie sincere convinzioni, quando sono abbastanza chiare. Le conseguenze delle mie parole sono soltanto proposte fatte a chi mi ascolta, non incidono e non determinano direttamente nulla nella realta', se non molto alla lunga e alla lontana, se mai faranno corpo con l'analoga convinzione di molti altri. E' giusto che chi ha la possibilita' di elaborare giudizi e proporli all'opinione pubblica tenga conto di questa differenza di ruoli, rispettando la minore "purezza" delle decisioni operative rispetto alle idee chiare. Un altro amico, che ha gestito responsabilita' amministrative, diceva un giorno: "In politica, come in famiglia, bisogna volere anche qualcosa che non si vuole". E' vero. Eppure. Eppure, sono i criteri di valore che devono giudicare le azioni. Queste possono avvicinarsi piu' o meno al valore, ma non possono decidere del valore. E' la morale che giudica le azioni, la storia, la cultura, e non viceversa (Levinas, Umanesimo dell'altro uomo, p. 84). Ognuno fa quello che puo', e certo non di piu', ma non puo' mai dire che il possibile e' l'ideale e il giusto. Se non si mantiene viva questa tensione, tutto e' perduto, perche' vale solo la forza che decide. Il rischio di chi pensa e' di dimenticare il limite, il rischio di chi opera e' di affogare nel limite. L'uno ha bisogno dell'altro. Ma l'occhio deve essere libero dall'inciampo del piede, per aiutare il piede a non inciampare. Ora, nel caso della nostra discussione, bisogna sicuramente considerare la concreta realta' dell'Iraq di oggi, con le 100.000 vittime civili della guerra (secondo "The Lancet", la prestigiosa rivista inglese), dolore moltiplicato per almeno dieci persone ogni vittima, con la fame popolare di pace e di liberta' dall'occupazione, con le divisioni religiose, con il cancro oscuro e devastante del terrorismo risucchiato dalla guerra, con le stragi occultate come Falluja (su cui i vescovi italiani si ostinano nel silenzio, mentre scompaiono i giornalisti che indagano), con l'integralismo che si affaccia e la riduzione dei diritti delle donne, col bisogno di uscire in qualche modo dalla maledizione portata dalla guerra: tutto questo va considerato con realismo e chi deve decidere deve fare cio' che e' possibile, imperfettamente, per ridurre tutti quei mali. Ma se, per fare questo, si mettesse tra parentesi e si tollerasse il crimine di una guerra fondata sul falso, scatenata da Bush senza alcun amore per la liberta' dell'Iraq, ma solo per superevidenti ragioni di strategia e di rapina economica, che ogni occhio sano e onesto vede; se il governo italiano continuasse a tenere bordone militare all'occupante, chiamando pace la guerra; se il giudizio del mondo tacesse sul crimine, accettando il fatto compiuto, tutto cio' tradirebbe i diritti dell'Iraq, di ogni altro popolo esposto alla prepotenza, i diritti dell'intera umanita' e le regole umane per convivere in un minimo di giustizia. Se tutte le voci cessassero di dire che l'intollerabile e' intollerabile, l'offesa alle vittime e al diritto sarebbe ribadita e ripetuta. Se esitano e si affievoliscono le voci piu' forti, la piu' debole non tacera', che qualcuno la senta o non la senta. Una voce non cambia il mondo. Ma che importa? E questa e' la piu' importante delle decisioni pratiche. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 841 del 15 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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