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La nonviolenza e' in cammino. 831
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 831
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 5 Feb 2005 00:21:37 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 831 del 5 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Giuliana 2. Daniela Padoan: Donne nel cuore di tenebra 3. Daniela Coccolo e Sabina Baral: Giovani donne nei tempi bui 4. Per una bibliografia sulla Shoah (parte undicesima) 5. Enrico Peyretti: Iraq: tacciano le armi e cessi il dominio armato 6. Ali Rashid: La democrazia: un cammino di liberta' con al centro l'essere umano 7. Farid Adly: Le elezioni irachene sulla stampa araba 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. PERSONE. GIULIANA E' stata rapita in Iraq la nostra amica Giuliana Sgrena, persona buona, costruttrice di pace. Chiunque puo', faccia tutto il possibile affinche' torni libera, incolume, al piu' presto. 2. RIFLESSIONE. DANIELA PADOAN: DONNE NEL CUORE DI TENEBRA [Da "Via Dogana" n. 70 del settembre 2004 riprendiamo questo articolo di Daniela Padoan. Ringraziamo le amiche della Libreria delle donne di Milano per averci messo a disposizione testi che contengono riflessioni che sentiamo decisive. Per richiedere "Via Dogana" (rivista la cui lettura vivamente raccomandiamo) e per contattare la Libreria delle donne di Milano: e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it. Dalla stessa rivista riprendiamo la seguente breve nota di presentazione dell'autrice: "Daniela Padoan collabora con la televisione e la stampa, in particolare con "Il manifesto". Nel pensiero della differenza ha trovato un tassello mancante, degli elementi in piu' per la lettura di avvenimenti attuali e storici come la vicenda delle Madres de la Plaza de Mayo ("la lotta politica forse piu' radicale di questi decenni"), o la Shoah, che Daniela ha indagato, nel suo ultimo libro, attraverso tre conversazioni con donne sopravvissute ad Auschwitz (Come una rana d'inverno, Bompiani, Milano 2004)"] Nelle esistenze capitano rari momenti che squarciano il velo delle nostre certezze, che ci dicono non tanto della nostra fragilita', quanto dell'irrompere di una realta' che non avevamo previsto ma che pure c'era, che ci aveva dato segni inequivocabili e che tuttavia non avevamo voluto vedere. Momenti che, togliendoci il terreno sotto i piedi, ci danno la straordinaria possibilita' di rigiocare tutto quello che sappiamo, mettendo in discussione le nostre traiettorie. Momenti destabilizzanti e preziosi che subito richiudiamo, noi che, come diceva Rilke, sprechiamo i dolori. E un dolore ci e' entrato nel corpo, inaccettabile, vedendo quelle immagini di donne che dileggiano, che violano corpi di altri esseri umani. Pantomime di sesso sadico, piramidi umane, uomini al guinzaglio, feste nere, godimento del male inflitto. Che tra le figure spavaldamente in posa davanti ai cadaveri di prigionieri iracheni vi fossero anche delle donne, belle, giovani, sorridenti di uno di quei sorrisi che nelle pubblicita' degli anni Cinquanta si usavano per convincere a comprare un detersivo, e' cosi' sconcertante da lasciare muti, con uno stupore sordo che da' la misura del troppo, e che come ogni troppo si vorrebbe negare. Un sentimento soverchiante per una donna che in quel volto di donna si rispecchia. Quello che stiamo provando adesso e' il lutto di una retorica? Avevamo creduto di essere altro. Dobbiamo dunque dirci che non e' vero, che la realta' ci mostra di aver sognato? Perche' quelle immagini affermano che le donne non sono altro, quando si tratta del potere che viola i corpi. Basta aver visto l'inizio di Full Metal Jacket per sapere cosa il potere, nella sua perversa onnipotenza militare, fa degli individui: costruisce persone addestrate a vedere l'altro come cosa, come non-uomo, come Untermenschen. Nell'addestramento militare il sadismo, come manifestazione di potere e addirittura come educazione al potere, e' moneta corrente; passa per l'umiliazione del corpo delle reclute, proprio perche' a loro volta dovranno umiliare, e addirittura annientare il "nemico". Annientare e' un verbo terribile, che rimanda a un far essere niente che non e' prerogativa umana. Le donne, che invece fanno essere (qualcosa, una singola vita, non un assoluto) finora ne erano rimaste estranee. Pensavamo fosse piu' difficile non vedere il corpo dell'altro come proprio, per una donna che quel corpo genera. Eppure, in un rovesciamento paradossale, la soldatessa torturatrice torna negli Stati Uniti incinta. Dobbiamo allora abbandonare, come balocchi rotti, le parole di Virginia Woolf sull'estraneita', sulla resistenza passiva delle donne? Guardare con sospetto tutti i nostri discorsi sul materno, sulla differenza, sulla cura, e attagliarci, mute, a non avere piu' parole che ci aiutino a dipanare il mondo? Non credo. Credo pero' che dobbiamo chiederci che cosa ci e' successo attorno, mentre restavamo chiuse nei nostri discorsi e nelle nostre relazioni. Mentre parlavamo della differenza e praticavamo relazioni improntate dal sapere politico della differenza, il potere imparava a praticare l'uguaglianza, usando un femminismo dell'emancipazione e i suoi sviluppi post-femministi, che mettono in campo il desiderio di un guadagno per se', di forza, di potere, di rivalsa. * Le immagini di Abu Ghraib riconducono inesorabilmente al potere, e alla sessualita' connaturata al potere, come dominio dei corpi. Un dominio fallico. E' la prima volta che uso questo termine. Mi pareva abusato e desueto, e invece - proprio come il termine "imperialismo", un vecchio arnese concettuale che poi e' tornato necessario - mi pare adesso che contenga qualcosa di indispensabile per tentare di leggere il mondo. In particolare il nostro. La societa' fallica (e imperialista) ha fatto dello stupro la cifra del suo dominio: stupro di continenti, di popolazioni, di ecosistemi e di esseri umani. Un dominio violentemente maschile che il femminismo della differenza ha nominato con chiarezza e a cui adesso, invece, il femminismo della parita' sembra aderire. Nel potere americano, l'"altro" e' sempre piu' chiamato a omologarsi alle logiche del potere: a incarnarle o, specularmente, a fare da "carne da cannone", in una dimensione che anche semanticamente ha a che fare con il corpo. Nel primo caso, Colin Powell e Condolezza Rice, donna e nera; nel secondo, la green card offerta agli ispanoamericani per andare a morire in Iraq. L'emancipazione delle donne sembra andare in questa direzione, eppure, nonostante le consigliere di Bush, nonostante le soldatesse torturatrici, il numero delle donne implicate in azioni di guerra e' straordinariamente basso. In fin dei conti c'e' da stupirsi che siano ancora cosi' poche, e forse c'e' da pensare che le donne continuino a custodire quell'estraneita' che finora le ha tenute lontane dai luoghi dove si esercita davvero, pienamente, il potere. Lontane anche dall'emancipazione. Un'estraneita', un riserbo, che viene prima del fatto che il potere abbia finora tenuto chiuse le sue porte. Un non voler avere a che fare, piu' che una resistenza. Persino durante il nazismo, le donne SS erano poche. Ce n'erano, invece, e molte, nella "zona grigia", tra quelli che non hanno preso posizione, che hanno accettato supinamente, tra i conniventi; ma non erano tra i gerarchi, non erano tra chi pianificava lo sterminio. Le pochissime donne che, nella storia del secolo appena trascorso, hanno preso parte ad azioni militari, hanno prodotto nell'immaginario comune un alone di sabba. Marina Rossi ha scritto un libro in cui ricostruisce la storia delle aviatrici russe del 588esimo reggimento da bombardamento che nel 1943 assedio' la Wehrmacht dal cielo di Stalingrado. Si intitola Le streghe della notte, ed e' infatti cosi' che le chiamavano i tedeschi, con disprezzo misto ad ammirazione. Erano volontarie provenienti dagli aeroclub del tempo di pace, equiparate agli uomini e impiegate "alla pari" su tutti i fronti dal 1941 al 1945. E' solo una suggestione, ma vedere in sequenza le "streghe della notte" sovietiche, Lady Macbeth che invoca gli spiriti della notte per istigare il marito a uccidere il re Duncan, e il giocoso slogan del femminismo "le streghe son tornate", produce un rovesciamento simile a quello a cui ci costringe la torturatrice incinta. Perche', se e' vero che le femministe degli anni Settanta avevano trovato nella strega la figura della donna "altra", messa al bando, bruciata in roghi sacrificali, e' anche vero che l'immaginario legato alla strega e' connotato dal far paura, dall'usare un potere piu' potente di quello umano. Credo che l'immagine della donna torturatrice sia la manifestazione piu' estrema, piu' visibile, ma per cio' stesso piu' icastica, del potere; che ne sia la sua migliore rappresentazione. Il potere ha reso simile a se stesso chi ne era piu' lontano, dimostrandosi con cio' enormemente potente. Siamo abituati a pensare che, a torturare, siano i regimi, e che siano gli uomini. Ma cosa cambia quando sono le democrazie, e quando sono le donne? Eduardo Galeano - in un articolo pubblicato da "Il Manifesto" con il titolo La confessione del torturatore - sostiene che la tortura non dice del torturato, che e' indotto dal dolore a raccontare qualsiasi cosa, vera e non vera, ma dice molto del torturatore. Se il sistema del potere confessa la sua vera identita' attraverso le torture che infligge, il fatto che le torture siano state in parte agite da donne ci dice - piu' che delle donne - del potere e del modo in cui le donne ne fanno parte. Forse il femminismo, se ha senso usare questa parola, dovrebbe andare nel senso di un ripensamento del dominio occidentale, ovvero del capitalismo, e della presenza delle donne nelle sue pieghe, ed essere antagonista (uso questo termine, rischioso, nel senso in cui lo fanno le Madri argentine di Plaza de Mayo, del contendere al potere la scena simbolica, forti del loro essere radicalmente altro) assumendo un'estraneita' detta fino in fondo alla cultura dominante, proprio nel momento in cui ci apre le porte. Torno alle Madri di Plaza de Mayo non per fissazione, ma perche' mi pare che li' ci sia un'indicazione su come usare l'autorita', la capacita' di ordine materno, per far diventare il proprio essere donna qualcosa che, mantenendosi estraneo al potere, indica una possibilita' di rapporti segnati non da una cultura di prevaricazione, di dominio sui corpi, ma piuttosto da un'assunzione di responsabilita' in cui la politica si declina come amore dell'altro. Nei giorni in cui alle immagini delle torture si sono succedute le immagini dei prigionieri sgozzati, c'e' stato un fiorire di discorsi che avevano due parole ricorrenti: civilta' e barbarie. Dopo la decapitazione del prigioniero americano, Bush ha dichiarato: "e' barbarie". Da dove parlava? Cosa e' barbarie, e cosa e' il suo opposto, civilta'? Dove siamo noi? E' una domanda banale. Tutti noi ce la siamo gia' posta, e abbiamo gia' le risposte. Eppure, a volte, ripercorrere le domande delle quali abbiamo gia' archiviato le risposte fa l'effetto che capita quando si rilegge un libro amato, convinti di saperne ogni riga, ma che improvvisamente ci dice dell'altro, perche' nel frattempo anche noi siamo diventati, in parte, altro. * E' quello che mi e' capitato con Cuore di tenebra, di Joseph Conrad. Un titolo molto citato, in questo periodo, e la maggior parte delle volte a sproposito. Ma uno sproposito del tutto parlante. Cuore di tenebra era il titolo, per esempio, di un articolo di Vittorio Zucconi pubblicato in prima pagina da "La Repubblica", dove il riferimento veniva preso a metafora della "guerra insensata" che sta producendo le sue devastazioni in Iraq. "L'abominio delle torture americane scatena il rilancio bestiale del sacrificio umano", vi si leggeva. Credo che scegliere proprio l'aggettivo "bestiale" per dire l'orrore davanti allo scatenamento delle ritorsioni, implichi l'accettazione logica di un crinale in cui dall'altra parte c'e' comunque l'umano, per quanto segnato dall'"abominio". Cosi' come usare la categoria della "barbarie" implica il convincimento che vi sia una civilta' positiva a cui fare riferimento. Ma la capacita' di Conrad e' stata proprio quella di additarci nel "cuore di tenebra" la cifra per comprendere il mondo che Kurtz - lo spietato protagonista del libro, simbolo dell'Europa, della brama di possesso insita nella sua Kultur - rappresenta. Conrad, nel 1902, usa quell'immagine per dire che alla fine del viaggio di Marlow lungo il fiume Congo, l'oscurita' della natura selvaggia, della wilderness che la "civilizzazione" vuole illuminare, si rivela come l'ombra, il rimosso del buio, della darkness che sta dentro la civilta' stessa, e che da li' si espande sull'altro da se', distruggendolo. La tenebra appartiene alla civilta' e nulla, in essa, si puo' salvare; ne' la sua pretesa di dominio, ne' la sua copertura ideologica, ne', infine, il suo linguaggio. Per quanto scritto un secolo fa, questo libro continua a parlare della sorda volonta' di stupro della civilta' alla quale apparteniamo, rendendo l'elemento fallico del potere la chiave di comprensione dell'espansione violenta sull'altro da se'. "Marlow (Conrad)", scrive Giuseppe Sertoli nella nota introduttiva voluta da Calvino per l'edizione Einaudi del 1984, "incomincia a compiere un atto di conoscenza che pone in crisi la 'luce' della civilta', mostrando come dietro il potere economico e politico stia qualcosa che non solo l'ideologia giustificatrice di tale potere, ma il potere stesso nelle sue espressioni piu' dirette, non riconosce: la sessualita'. (...) Marlow (Conrad) scopre che la volonta' di potenza economica e politica e' una 'trasformazione' della volonta' di potenza sessuale". C'e', si', una realta' sordida e brutale del guadagno, ma dietro c'e' la realta', ancor piu' brutale e sordida per un uomo dell'Ottocento, del sesso, inteso come cruda volonta' di potenza sui corpi. "Ecco quanto Heart of Darkness denuncia contro la sua medesima cultura. Nella forma che tale cultura consente e anzi esalta, esso fa vedere che si ricerca e si pratica proprio cio' che, invece, quella cultura non consente e anzi proibisce. Il potere e' ammesso dalla civilta', ma il potere persegue occultamente cio' che la civilta' vieta. (...) La civilta' e', e si vuole, copertura - rimozione - della sua propria verita'. Kurtz invece e' tale verita'". Trascrivo cosi' abbondantemente queste frasi perche' mi hanno colpito nella loro attualita' (non c'e' anche oggi un dominio sessuale che continua a corrispondere a un rimosso?) e nel loro indicare che vent'anni fa correvano pensieri condivisi da uomini ma pensati dalle donne, e che questi pensieri si sono arenati, non hanno condotto alle conseguenze che essi stessi promettevano. A quei pensieri sento la necessita' di ritornare, in un sapere femminile della differenza che e' prima di tutto differenza dal potere. Quella realta' - brutale e sordida non solo per un uomo dell'Ottocento, ma anche per un uomo (per una donna) del nuovo millennio - sembra invocare nuove forme di rimozione, nella sovrabbondanza di immagini e di emozioni che alla fine si elidono portando alla saturazione, all'indifferenza, come segno di resa al senso di impotenza. Quando l'occultamento e' svelato, gli autori dell'"ignominia" vengono respinti dalla stessa civilta' che li ha generati e che essi hanno servito: i torturatori diventano "mele marce", le donne sono altro dalla nostra immagine delle donne; come Kurtz, destinato a divenire un outcast, un reietto, un rimosso, per non vedere che egli incarna la verita' del potere. Marlow, invece, che scopre che la "degradazione" e l'"orrore" sono dentro di se', deve riconoscere nel gesto di Kurtz il proprio gesto come integralmente parte della civilta' di cui condivide la cultura e il linguaggio. Cosi', credo, guardando quelle immagini di torture, e quelle donne ilari, sventate, capaci in altre foto di abbracciare maternamente un bambino iracheno, dobbiamo rivolgere lo sguardo a noi, al nostro mondo, e domandarci che cosa e' la civilta' che condividiamo, e fino a che punto ne siamo, in qualche modo, solidali. 3. RIFLESSIONE. DANIELA COCCOLO E SABINA BARAL: GIOVANI DONNE NEI TEMPI BUI [Da "Via Dogana" n. 69 del giugno 2004 riprendiamo questo intervento di Daniela Coccolo e Sabina Baral. Ringraziamo le amiche della Libreria delle donne di Milano per averci messo a disposizione testi che contengono riflessioni che sentiamo decisive. Per richiedere "Via Dogana" (rivista la cui lettura vivamente raccomandiamo) e per contattare la Libreria delle donne di Milano: e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it. Dalla stessa rivista riprendiamo la seguente breve nota di presentazione delle autrici: "Sabina Baral e Daniela Coccolo sono due giovani donne di Torino. Sabina e' laureata in lingue e letterature straniere e attualmente lavora per la segreteria del Moderatore della Tavola Valdese, mentre Daniela, prossima alla laurea in lettere, sta svolgendo uno stage presso la Fondazione Grinzane Cavour. Eredi "consapevoli" del femminismo, si stanno interrogando attivamente sulla loro collocazione rispetto all'eredita' ricevuta e sulle difficolta' del tradurre pratiche, pensieri e percorsi"] "Guerra preventiva", "scontro di civilta'", "la forza della ragione"... La narrazione del mondo torna a fondarsi sull'opposizione binaria amico/nemico e per farlo piega il linguaggio con violenza semplificatoria e paradossale, generando inaudibili mostri, pronti a far leva sulle angosce e sulle nevrosi dell'occidente post-11 settembre. Si moltiplicano i dibattiti, i confronti/scontri, le ricostruzioni, le testimonianze, ma la sensazione e' quella di un inutile accumulo di immagini e di discorsi che maldestramente nascondono un'opprimente senso di afasia e di paralisi. Eppure sento che "bisogna avere parole", trovando il coraggio di raccontare come patiamo e come sopravviviamo (o resistiamo) a questa palude del presente. Sono questi tempi in cui il "trovare parole", operare le giuste distinzioni che sfuggano alla logica dicotomica su cui si sta costruendo la narrazione del presente e che raccontino un diverso modo di stare al mondo, rappresentano un irrinunciabile atto politico. Rendere diversamente narrabile il presente e' un modo per restituire quella complessita' perduta in slogan guerrafondai che ci costringono, spalle al muro, a schierarci e a contrapporci. Narrare, dunque, come pratica della contiguita', dell'ascolto, per fare spazio ad altro, all'altro/a. Una diversa narrazione del mondo si configura, allora, come presupposto all'atto di responsabilita' di cui Sabina parla e che io condivido. Abitare responsabilmente i contesti e le relazioni che viviamo e' sicuramente oggi piu' che mai necessario... ma sento che non mi basta. Pur riconoscendo l'urgenza e l'ineluttabilita' del "rispondere a..." sento, in qualche modo, di doverla anche trascendere per arrivare in prossimita' dell'altro/a. Gli strumenti e le pratiche per tentare di andare oltre all'atto di responsabilita', mi sono ben chiari perche' altre donne, molto prima e molto meglio di me, li hanno nominati ed agiti, pagando, spesso, per questo, un tributo molto alto. Penso ad Edith Stein, la quale, indicandoci nell'empatia l'atto che "costruisce l'esperienza ontologica dell'alterita'", rese liberamente evidente una pratica oggi piu' che mai conflittuale con il codice culturale dominante: l'esperienza di essere in relazione con altro da se', in contiguita', facendo del "patire" la vita altrui e la propria un potenziale strumento di comprensione ma soprattutto di autentica relazione tra gli individui. Credo, allora, che le parole da trovare siano parole di compassione per gli/le altri/e e per noi stessi/e; parole di pieta' per il nudo fatto di stare in vita e ancor piu' per il fatto di starci in tempi cosi' dolorosi. Pietas non gia' come virtu', ovvero come un dover essere, ma semmai come sentimento che ci riconduce ad una dimensione relazionale e di reciprocita'. Non possono esserci, infatti, parole di pieta' che non vogliano essere ascoltate, gesti di compassione che non vogliano essere ricevuti. La pieta', allora, laddove si configuri come "saper trattare adeguatamente con l'altro" (Maria Zambrano) diventa misura della convivenza, strumento di mediazione, cifra di uno diverso modo di stare al mondo, segnato dall'effettivo riconoscimento dell'alterita' e dalla com-partecipazione nella libera differenza. (Daniela Coccolo) * Viviamo tempi bui, segnati dalla guerra, dalla brutalita' delle armi, dal sentimento di vendetta. Cio' tende a farmi sentire fortemente impotente minacciando l'efficacia della mia politica di donna fatta di parole e gesti spesso invisibili, di pratiche che nel loro piccolo tentano di smascherare la violenza di chi sceglie la morte come metodo di azione, di chi fonda la sua identita' sulla soppressione dell'altro. Davvero ogni tanto mi chiedo se sono in grado di sopportare, di reggere conflitti in cui una parte adopera il registro della forza mentre l'altra (la mia) continua a tessere con una certa fatica legami tra il personale e il politico. Eppure riconosco che la politica delle relazioni con la sua capacita' di reinventarsi ogni volta, di produrre sempre nuovi atti e parole per risignificare se stessi e il mondo e' l'unica strada che mi sento di percorrere. L'unica via per accedere a un orizzonte di senso riappropriandomi del mio sguardo sul mondo, per trasformare veramente la realta' in un momento di palude della politica, di tremenda miseria simbolica o (non so cosa sia peggio) di forte disordine simbolico. In questa crisi, in questo vuoto di senso, mi sento piu' di altre volte chiamata a lavorare affinche' narrazioni differenti permeino il mondo, indagando i linguaggi e le categorie concettuali che lo imbrigliano, provando a sgretolare le astrazioni mortifere con spazi di relazione e vita. Mi sento chiamata a sporcarmi le mani non solo con la lingua corrente ma anche con le figurazioni, gli schematismi facili della realta' corrente. Questo perche' spesso vengo chiamata in causa con la mia politica di donna e preferirei rispondere in prima persona, senza che fossero altri a pretendere di spiegarmi come dalle donne che fanno politica ci sia molto da imparare. Secondariamente perche', pur portando, come donna, uno sguardo trasversale s ul mondo, pur distanziandomi criticamente dal patriarcato impazzito, non mi ritengo del tutto innocente. Per molti versi, infatti, mi sento figlia di queste nostre democrazie difettose e delle aberrazioni prodotte dall'occidente capitalistico. L'estraneita', insomma, mi e' concessa quel poco che basta per guadagnarmi un pensiero autonomo. E in effetti quell'atopicita' che ci ha sempre caratterizzate come donne, piu' che condurmi a sentirmi o ritenermi "fuori da" (da un luogo, da un sistema, da un modo di pensare...), piu' che spingermi alla sottrazione di me, si e' sempre manifestata come uno stare ai margini, un saggiare i confini tra le cose, tra le esperienze, tra il dentro e il fuori, dove la semplificazione e l'ideologia difficilmente trovano posto. In ultimo perche' la mia identita' protestante mi chiama proprio ad abitare quei luoghi in cui le contraddizioni sono piu' accese per provare a comprendere cosa sono chiamata a fare nel mondo oggi e domani. Questo senso di responsabilita' non va confuso con l'ansia dell'azione facile o del protagonismo a tutti i costi. Sono infatti consapevole che le mie non saranno mai parole ultime, conosco l'importanza di una perdita di controllo su cio' che ci circonda capace di favorire l'ascolto, di lasciare che la vita accada; ho sempre trovato profondamente liberanti le ultime righe de La passione secondo G. H., quando Clarice Lispector scrive "il mondo indipendeva da me", evidenziando un'accettazione serena che non e' rassegnazione ma capacita' di lasciare spazio all'imprevisto, al non ancora dato. Eppure qui vorrei provare ad insinuarmi tra le lievi sfumature di significato che attribuisco alla parola responsabilita', la quale ha prima di tutto a che fare con l'atto del rispondere mettendo in moto il nostro essere e il nostro esserci. Una responsabilita' che e' in primis una responsabilita' verso se stessi e non verso principi assoluti, premessa fondamentale per avere "uno sguardo semplice e saggio" sul mondo come scriveva Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e filosofo vittima del nazismo. Questo atteggiamento responsabile mi sembra capace sia di rifuggire l'entusiasmo dei fanatismi sia il rischio di abbandonarsi all'individualismo o al relativismo politico. In qualche modo esso permette di non soccombere di fronte alla brutalita' dei fatti ne' di cedere ad imprese prometeiche, volte a rovesciare le sorti del mondo; semplicemente suggerisce di restare ancorati alle situazioni concrete abitandole e trovando in esse spazi di senso e di azione. Quegli stessi spazi in cui noi donne intessiamo legami significativi con cose, persone, poteri in modo fluido e mai concluso, riscrivendoli ogni volta, prestando ascolto al contesto, alla parzialita' della realta' data. Madri, figlie, cittadine impegnate a costruire legami autentici e non strumentali, situati all'interno di una genealogia contro il presente del tutto subito, ipnotico e persuasivo come le parole e le immagini accattivanti che adopera per fare presa sugli individui. Donne responsabili che provano a fare chiarezza riguardo al proprio io per acquisire maggiore chiarezza anche rispetto alla loro storia, strappandola alla fragilita' dell'improvvisazione insensata. E allora credo che la responsabilita' di cui sopra possa facilmente accordarsi con la politica delle donne. Il radicamento nella concretezza dei nostri vissuti e dei nostri tessuti di relazione ci permettono di appartenere veramente a noi stesse e al mondo senza tentare facili fughe da esso o, peggio ancora, senza guardare ad esso con lenti ideologiche, con l'astrazione dei paradigmi o delle appartenenze a tutto tondo che non fanno che alimentare guerre e fondamentalismi. (Sabina Baral) 4. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE UNDICESIMA) AGNES HELLER Agnes Heller, filosofa ungherese, nata a Budapest nel 1929, allieva e collaboratrice di Lukacs, allontanata dall'Ungheria, ha poi insegnato in Australia e in America. In Italia e' particolarmente nota per la "teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro paese un notevole dibattito anche con riferimento ai movimenti degli anni '70. Su posizioni democratiche radicali, e' una interlocutrice preziosa anche laddove non se ne condividessero alcuni impianti ed esiti teorici. Opere di Agnes Heller: nella sua vastissima ed articolata produzione segnaliamo almeno La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli; Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti; Teoria della storia, Editori Riuniti; Etica generale, Il Mulino; cfr. anche Apocalisse atomica (con F. Feher), Sugarco; ed il volume-intervista Morale e rivoluzione, Savelli. Opere su Agnes Heller: la rivista filosofica italiana "aut aut" ha spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in particolare gli studi di Laura Boella. GUSTAW HERLING Scrittore e testimone della dignita' umana, nato in Polonia nel 1919, deceduto a Napoli nel luglio 2000. Critico letterario in Polonia alla fine degli anni trenta, fu arrestato dai sovietici nel 1939 mentre cercava di espatriare in Francia per combattere contro i tedeschi. Deportato in un gulag sul Mar Baltico, fu liberato nel 1942 e si uni' alle truppe polacche del generale Anders che combatterono, assieme agli inglesi, nel Norafrica e in Italia. Dal 1950 si trasferisce a Napoli. Ha collaborato con riviste e quotidiani, ha scritto saggi e opere narrative. I suoi libri, per molti anni vietati in Polonia, sono oggi tradotti e pubblicati con successo nelle principali lingue. Opere di Gustaw Herling: Diario scritto di notte, Feltrinelli, Milano 1992; Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 1994, 2003; Ritratto veneziano e altri racconti, Feltrinelli, Milano 1995; Don Ildebrando, Feltrinelli, Milano 1999. WERNER HERZOG Nato a Monaco nel 1942, inquieto viaggiatore, regista cinematografico, personalita' controversa, ha realizzato opere abbaglianti per profondita' ed enigmaticita' di sguardo, con cui ha sondato dolori abissali. Opere di Werner Herzog: sulla follia della guerra, del potere, del colonialismo, del militarismo cfr. almeno Aguirre, furore di Dio (1972), Woyzeck (1978), Apocalisse nel deserto (1991-92); sulla violenza del potere, e sulle condizioni di vita di esclusione ed emarginazione molti film di Herzog apportano descrizioni ed analisi fin terribili. Taluni suoi film sono sguardi e rappresentazioni di una violenza e di un dolore intollerabili, tali che crediamo che sarebbe stato giusto non realizzare simili opere. Opere su Werner Herzog: Fabrizio Grosoli, Elfi Reiter, Werner Herzog, Il Castoro Cinema. ABRAHAM JOSHUA HESCHEL Nato a Varsavia nel 1907, scomparso a New York nel 1972, teologo illustre, successore di Buber alla cattedra di Francoforte, deportato dai nazisti a Varsavia, riusci' a mettersi in salvo emigrando dapprima a Londra e poi in America dove fu per molti anni docente di etica e misticismo ebraico. Opere di Abraham Joshua Heschel:in traduzione italiana si vedano almeno Chi e' l'uomo, Rusconi, Milano 1971; L'uomo alla ricerca di Dio, Qiqajon, Comunita' di Bose 1995; L'uomo non e' solo, Rusconi, Milano 1970; Il Sabato, Rusconi, Milano 1972; I profeti, Borla, Roma 1972; Passione di verita', Rusconi, Milano 1977. Opere su Abraham Joshua Heschel: F. A. Rothschild (a cura di), Between God and Man: an interpretation of judaism from the writings of Abraham J. Heschel, 1965. RAUL HILBERG Nato a Vienna nel 1926, esule negli Stati Uniti con la famiglia dal 1939, nel 1944 come volontario nell'esercito americano combatte' in Europa nella guerra contro il nazismo. Allievo di Franz Neumann, docente universitario, storico, e' il piu' autorevole studioso dello sterminio degli ebrei compiuto dai nazisti. Opere di Raul Hilberg: la sua opera fondamentale e' La distruzione degli Ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995, un libro che e' indispensabile leggere. Cfr. anche Carnefici, vittime, spettatori, Mondadori, Milano 1994. ETTY HILLESUM Nata nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002. ERIC J. HOBSBAWM Storico inglese, nato ad Alessandria d'Egitto nel 1917, docente, intellettuale impegnato per la democrazia. Ha dedicato libri fondamentali alla rivoluzione industriale, alle rivoluzioni borghesi, all'età dell' imperialismo e del colonialismo, al movimento operaio, alla storia del Novecento. Opere di Eric J. Hobsbawm: segnaliamo particolarmente le tre vivaci raccolte di saggi su I banditi, I ribelli, I rivoluzionari, edite in italiano da Einaudi, Torino; le grandi ricostruzioni Le rivoluzioni borghesi, L'eta' degli imperi, Il trionfo della borghesia, edite in italiano da Laterza, Roma-Bari; ed i più recenti Nazioni e nazionalismo, Einaudi, Torino; Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1997, 2000; De historia, Rizzoli, Milano 1997; Intervista sul nuovo secolo, Laterza, Roma-Bari 1999; l'autobiografia Anni interessanti, Rizzoli, Milano 2002, 2004. PETER HOFFMANN Storico e docente universitario, docente di storia alla McGill University di Montreal, specialista di storia della Resistenza tedesca. Opere di Peter Hoffmann: Tedeschi contro il nazismo. La Resistenza in Germania, Il Mulino, Bologna 1994. HELENE HOLZMAN Helene Holzman (1891-1968), pittrice, libraia, insegnante di storia dell'arte e di tedesco. Subito dopo la guerra scrisse in piu' di 700 pagine, raccolte in tre quaderni, tutto cio' che le accadde e che dovette subire in uno dei luoghi piu' bui dell'Olocausto: Kaunas, in Lituania. Opere di Helene Holzman: Questa bambina deve vivere, Marsilio, Venezia. MAX HORKHEIMER Filosofo nato a Stoccarda nel 1895, direttore dell'"Istituto per la ricerca sociale" di Francoforte, esule antinazista, muore nel 1973. E' una delle figure di spicco della "scuola di Francoforte". Opere di Max Horkheimer: tra esse segnaliamo Crepuscolo, Dialettica dell'illuminismo (con Adorno), Eclisse della ragione, e gli studi raccolti in Teoria critica, tutti presso Einaudi, Torino. Opere su Max Horkheimer: Antonio Ponsetto, Max Horkheimer, Il Mulino, Bologna; Alfred Schmidt, Oltre il materialismo storico, Laterza, Bari; sulla scuola di Francoforte si vedano le monografie introduttive di Assoun (Lucarini), Bedeschi (Laterza), Jay (Einaudi), Rusconi (Il Mulino), Therborn (Laterza), Zima (Rizzoli). DANIELE HUILLET Nata a Parigi nel 1936, cineasta francese, autrice in collaborazione col marito Jean-Marie Straub di film imprescindibili. Opere di Daniele Huillet e Jean-Marie Straub: tra i film: Machorka-Muff, 1962-63; Non riconciliati, 1964-65; Lezioni di storia, 1972; Mose' e Aronne, 1974-75; Fortini/Cani, 1976; Dalla nube alla Resistenza, 1978; Rapporti di classe, 1983; Sicilia!, 1998. In volume: Testi cinematografici, Editori Riuniti, Roma 1992. JOHAN HUIZINGA Illustre storico olandese, nato nel 1872 a Groninga, docente a Groninga e Leida, nel 1942 fu imprigionato dai nazisti, e dal 1943 confinato come ostaggio a de Steeg, dove mori' il primo febbraio 1945. Opere di Johan Huizinga: cfr. almeno L'autunno del Medio Evo, Sansoni, Firenze; Crisi della civilta'; Homo ludens; Erasmo; La civilta' olandese del Seicento; tutti presso Einaudi, Torino; La mia via alla storia e altri saggi, Laterza, Bari. EDMUND HUSSERL Edmund Husserl (1859-1938) e' il grande filosofo fondatore della scuola fenomenologica. Opere di Edmund Husserl: a nostro avviso occorre leggere almeno Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino, e La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano. Opere su Edmund Husserl: alcune agili introduzioni sono Renzo Raggiunti, Introduzione a Husserl, Laterza, Roma-Bari 1970; Stefano Poggi, Husserl e la fenomenologia, Sansoni, Firenze 1973; Renato Cristin, Invito al pensiero di Husserl, Mursia, Milano 2002 (a questa recente monografia si rinvia anche per una bibliografia aggiornata). Ovviamente sono fondamentali gli studi husserliani di Enzo Paci. JULES ISAACS Opere di Jules Isaacs: L'antisemitisme a-t-il des racines chretiennes?, Paris 1960; L'enseignement du mepris, Paris 1962; Verita' e mito. Il dramma ebraico al vaglio della storia, Roma 1965; Gesu' e Israele, Firenze 1976; Genese de l'antisemitisme. Essai historique, Paris 1985. 5. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: IRAQ: TACCIANO LE ARMI E CESSI IL DOMINIO ARMATO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Sicuramente, e' un vero bene che un popolo possa votare. Non e' bene dimenticare in quali limiti e condizioni hanno votato gli iracheni. Di fronte alle violenze e minacce contro candidati ed elettori, da parte dei terroristi e dei fanatici demonizzatori della democrazia (diversi dai legittimi resistenti), il popolo ha avuto coraggio. La domenica del voto in Iraq dimostra, come gia' in vari casi precedenti, che il coraggio e una certa unita' del popolo pu' battere il terrorismo, o almeno sottrargli spazio, molto meglio della violenza oppressiva e repressiva, che causa e imita il terrorismo stesso, in un rapporto di nemici-complici. In un paese occupato militarmente, governato dai delegati degli occupanti, sotto stretto controllo di questi, le elezioni non sono quella esperienza di liberta' a cui inneggiano gli occupanti e i loro complici. Quante liste e candidati potevano proporre il pronto ritiro degli americani e alleati? O rivendicare all'Iraq il petrolio dell'Iraq? O escludere basi americane in Iraq? O annullare le privatizzazioni a tappeto e l'invasione economica dell'Iraq subito compiuta dalle corporations statunitensi? Scriviamo questo primo commento a due giorni dal voto. Quanto sono vere le percentuali sbandierate? L'assenza totale di osservatori indipendenti e la mancanza di contraddittorio tra i partecipanti non consente di accertarne la veridicita'. Nelle prime ore, le agenzie internazionali e le televisioni davano il 72% di affluenza: strano, era questa esattamente la previsione fatta da Bush una settimana prima del voto. Rimane il fatto positivo che gli iracheni votanti sono stati comunque tanti, in quelle condizioni. Rimane anche la diversissima partecipazione di sciiti e sunniti, grave problema. L'informazione piu' corriva parla di vittoria di Bush. L'espressione era gia' risuonata quando, abbattuta la solitaria statua di Saddam, stava per cominciare il peggio per l'Iraq. Semmai, e' un parziale iniziale rimedio al crimine di Bush, senza alcun rimedio dei dolori e dei danni inflitti all'Iraq. Vittoria, semmai, della volonta' popolare di vita e liberta', nonostante le condizioni ristrette. La stampa di destra infierisce su chi non esalta la giornata elettorale, come ostinati nemici della democrazia portata dai cingoli dei carriarmati. Anche le piu' perfette elezioni democratiche non cancellerebbero il crimine di questa guerra. Abbattere un dittatore con la dittatura delle armi e' una sostituzione, che invoca ancora una vera liberazione. Oggi il compito fondamentale per chi ama la pace giusta in Iraq e' - come scrive con buone ragioni un comunicato di "Un Ponte per..." - la ricerca del dialogo tra le componenti della societa', della conciliazione e dell'unita' del paese nelle sue molteplici componenti, che scongiuri la guerra civile e permetta all'Iraq di riconquistare la sua indipendenza nella comunita' dei popoli. Sapra' la piccola e pavida Europa farsi carico di questo compito, contro gli interessi strategici della guerra e dell'economia bellica di Bush? Sapra' l'America civile orientare cosi' il suo rapporto col mondo? Sapra' l'Islam genuino resistere civilmente, culturalmente, spiritualmente alla barbarie capitalista? Nulla esclude che anche l'Iraq, domani, ceda (come altri paesi "liberati") al tipo di democrazia liberista, centrato sulla violenta liberta' di possesso privato, antisolidale. Che tacciano anzitutto le armi, e il dominio armato, e si potra' e dovra' discuterne, come dappertutto. 6. RIFLESSIONE. ALI RASHID: LA DEMOCRAZIA: UN CAMMINO DI LIBERTA' CON AL CENTRO L'ESSERE UMANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 febbraio 2005. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Non vorrei sorprendere negativamente chi mi legge, ma sbaglia chi riduce l'importanza dell'esito positivo delle elezioni in Iraq. Non basterebbe un articolo per mettere in luce la loro portata, ma non bisogna lasciarsi confondere dal disperato grido di vittoria lanciato a squarciagola dall'amministrazione americana e dei suoi partners della "Coalizione dei volenterosi". Questo successo e' un esclusivo merito degli iracheni che vorrebbero vivere finalmente in democrazia e liberarsi, dopo la dittatura, anche dagli americani. La vera lotta inizia adesso e sigillera' il definitivo fallimento della spedizione americana partita alla ricerca di materie prime, mercati, risorse da saccheggiare e popoli da schiavizzare. Da queste elezioni nascera' un'Assemblea generale, che deve dare vita ad una Costituzione, un governo transitorio ed un assetto definitivo del paese che ancora e' tutto da scrivere e da fare. Ma oggi gli amici degli eserciti d'occupazione sono una esigua minoranza, e forse saranno costretti a partire ancora prima dei soldati stranieri. Insieme al loro tramonto, tramonteranno anche i progetti di privatizzazione del petrolio, di dominio statunitense sul destino della regione. Di loro rimarra' solo uno sgradevole ricordo: le stragi d'innocenti, la "liberazione" di Falluja e le lezioni di "democrazia" di Abu Ghraib sono ben presenti nella nostra coscienza collettiva di popoli del vicino oriente che piano piano stanno trovando la loro via per l'emancipazione. Questione di settimane e quelli che si erano opposti alla resistenza armata contro l'occupazione, insieme a Moqtada al Sadr ed a tutti i sunniti, saranno compatti nel chiedere la partenza degli americani dall'Iraq dove la lotta per la liberta' e' appena iniziata. Bush sta cercando ancora conseguenze storiche dell'elezione, mentre Blair parla di un colpo inferto al cuore del terrorismo. Anche io sono d'accordo che e' un colpo al cuore del terrorismo, quel terrorismo che hanno fomentato, che insieme a loro sara' sconfitto per mano di milioni di donne e uomini che con la scheda elettorale si sentono padroni del loro destino. * Il "fatto storico" invece e' gia' avvenuto in Palestina con le ultime elezioni che stanno creando un vero terremoto nei paesi limitrofi ed incoraggiando molti a rivendicare i loro diritti di cittadinanza, e di liberta' dalla corruzione e dal dominio americano e dalla prepotenza israeliana nella regione. Queste elezioni danno un sbocco democratico alla questione del ruolo e della presenza delle forze islamiche nelle societa', non solo come presunti o potenziali forze terroristiche. Uno sbocco che sta avvenendo in Palestina ed ha un valore storico che va al di la' della Palestina stessa. La democrazia e' ormai un processo inarrestabile, e non mancheranno tra non molto i segni di non tollerabilita' a questo processo da parte di chi ha voluto strumentalizzarla per giustificare la sua avventura imperialistica. Siamo ormai giunti ad imboccare una via autentica che fa emergere, finalmente, un'idea di sovranita' assoluta, libera dai vincoli soffocanti delle religioni, nel quadro di un'idea dell'ordine politico integralmente umana. La scomparsa del presedente Arafat, la guerra dell'Iraq, porteranno effetti inimmaginabili, che sono l'esatto opposto di quelli sperati da chi ha voluto la sua scomparsa ed ha fatto quella guerra sciagurata. E' un risultato inevitabile, perche' se chi ha il monopolio della macchina di guerra ha dimostrato la sua capacita' incontrastata di distruzione, ha reso evidente a tutti la totale incapacita' di gestione e di dominio. E' un quadro inedito, dove anche le religioni potranno iniettare valori, di liberta' e non di dominio, che la politica ha smarrito, una sorta di teologia di liberazione islamica, che non e' estranea ai concetti dell' Islam sciita. E' una sfida difficile, entusiasmante, che avra' esiti positivi se si mettera' al centro dell'attenzione la centralita' dell'essere umano e del suo futuro in questo trapasso che deve portare l'umanita' oltre la modernita'. Dalla Terra Santa, dalla grande Siria e dalla Mesopotamia si riprendera' il cammino, e nessuno dira' grazie agli americani. 7. DOCUMENTAZIONE. FARID ADLY: LE ELEZIONI IRACHENE SULLA STAMPA ARABA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 febbraio 2005. Farid Adly (per contatti: anbamed at katamail.com), autorevole giornalista e prestigioso militante per i diritti umani, e' direttore di "Anbamed, notizie dal Mediterraneo"] La stampa araba si e' divisa sulle elezioni irachene, non sulla loro piu' o meno legittimita' - questione scontata, dal momento che per molti regimi arabi il voto e' soltanto una fastidiosa "rogna". La maggior parte degli editoriali si e' concentrata invece sugli effetti che avranno i risultati sul futuro assetto dell'Iraq e di tutta la regione. I dibattiti in diretta su Al Jazeera hanno ospitato interventi di esponenti iracheni ed arabi di diverse posizioni. Il filo conduttore degli interventi pero' e' quello di respingere la divisione etnico-confessionale kurdi/arabi - sunniti/sciiti. Mohammed Addoury, ex rappresentante dell'Iraq all'Onu, ha affermato: "Non possiamo non notare le interferenze esterne dai paesi vicini, in particolare l'Iran. L'insicurezza e' figlia dell'occupazione e il paese sara' sicuro soltanto quando le truppe straniere se ne saranno andate. Non ci sono pero' prospettive per una richiesta del ritiro delle truppe da parte del futuro governo. Gli americani si sono assicurati la vittoria di un gruppo dirigente a loro favorevole. Altrimenti non avrebbero permesso le elezioni. In tutte le dichiarazioni ufficiali Bush, Rice e Rumsfeld sostengono che il ritiro delle truppe avverra' nel 2006, soltanto quando il paese sara' sicuro, ma aggiungono che loro sono sicuri che gli iracheni chiederanno loro di rimanere ancora. Gli americani hanno speso centinaia di miliardi di dollari in questa guerra per garantire i loro interessi strategici e non lasceranno militarmente l'Iraq". Su "Al Hayat" un editoriale di Sharbal: "Queste elezioni hanno la loro importanza al di la' dei confini dell'Iraq. Porteranno ad un Iraq nel quale la componente sciita arriva al potere politico con il voto democratico: si pongono questioni di democratizzare i paesi della regione da una parte, ma anche di dover convivere con un governo molto vicino a Tehran. Reggera' l'Iraq la nuova situazione interna o si trasformera' in una scintilla di guerra civile che rischia di divampare in tutta la regione?". Su "Al Watan" del Qatar: "Le elezioni irachene rischiano di aprire la strada alla secessione. Le premesse di queste elezioni non danno la sicurezza di un epilogo felice. La costituzione federalista e il diritto di veto garantiti ai kurdi hanno aperto la strada alle rivendicazioni confessionali. Come quelle avanzate da Ahmed Chalabi che vorrebbe una entita' autonoma per gli sciiti nel Sud... Se lo sbocco e' lo smembramento dell'Iraq, queste elezioni saranno state un evento nefasto". "Ad-dostur" di Amman e' piu' cauto: "Ci chiediamo sinceramente: quali possibili sbocchi politici avrebbe avuto la situazione irachena se non ci fossero state queste elezioni? Quale salvezza del paese da una guerra civile se non ci fosse stato il ricorso allo strumento del voto? Gli iracheni hanno fatto la loro parte, adesso tocca anche agli arabi dare loro una mano per mantenere l'unita' del loro paese, per mettere fine all'occupazione straniera, per ricostruire il paese e difendere la sua integrita' da interventi e mire espansioniste". L'autorevole "As-safir" di Beirut in un editoriale del direttore e fondatore Talal Salman: "Sarebbe facile ironizzare su questa democrazia importata sui cannoni dell'occupazione. Sarebbe facile criticare la retorica di coloro che strillano sul 'nuovo e luminoso Iraq'. Ma non possiamo non riconoscere che queste elezioni hanno segnato un punto a favore dell'occupazione americana. Il carro armato e' diventato, in questi nostri tempi duri, l'urna dove i nostri cittadini, privati per decenni dai loro diritti elementari, vanno ad esprimere la loro volonta', anche quella di dire no alla dittatura... Queste elezioni non cambieranno il fatto oggettivo che l'Iraq e' sotto occupazione straniera. Potrebbero anche aprire la strada alla secessione ed alla guerra civile. Nessuno potra' pero' negare che queste elezioni rappresenteranno per gli iracheni, provati da anni di repressione della dittatura che li ha ridotti al silenzio o cacciati in esilio, uno sviluppo peculiare di valori che li immette in un processo politico, che non tardera' a lasciare le sue impronte anche su altre realta' del mondo arabo". 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 831 del 5 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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