La nonviolenza e' in cammino. 830



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 830 del 4 febbraio 2005

Sommario di questo numero:
1. Per una bibliografia sulla Shoah (parte decima)
2. La legge istitutiva del Giorno della Memoria
3. Adriana Lotto: La deportazione femminile nella storiografia tedesca
4. Vandana Shiva: Il dono del cibo
5. Ida Dominijanni: Iraq, il colore viola
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE DECIMA)

VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA
Nato nel 1913, dopo l'8 settembre 1943, tenente degli alpini, fu uno degli
ufficiali italiani che rifiutarono di servire i nazifascisti e fu internato
in Lager della Polonia e della Germania. Storico, docente di storia
dell'eta' dell'illuminismo all'Universita' di Roma, costantemente impegnato
per i diritti umani, e' stato tra i piu' autorevoli rappresentanti
dell'Opera Nomadi. E' scomparso nel 1996. Opere di Vittorio Emanuele
Giuntella: autorevolissimi i suoi studi sul '700 e quelli sulle vicende
della seconda guerra mondiale, della deportazione e della Resistenza;
fondamentale e' il suo volume Il nazismo e i Lager, Studium, Roma 1979.

ADA GOBETTI
Ada Gobetti, nata a Torino nel 1902, moglie e collaboratrice di Piero
Gobetti, fortemente impegnata nella lotta antifascista, nel dopoguerra
svolse un rilevante impegno come educatrice e per la democrazia, tra l'altro
dirigendo le riviste "Educazione democratica" ed il "Giornale dei genitori".
E' scomparsa nel 1968. Opere di Ada Gobetti: (a cura di), Samuel Johnson.
Esperienza e vita morale, Laterza, Bari 1939, poi Garzanti, Milano; Storia
del gallo Sebastiano, Garzanti, Milano 1940, poi Einaudi, Torino 1963;
Alessandro Pope. Il poeta del razionalismo settecentesco, Laterza, Bari
1943; Cinque bambini e tre mondi, Aie, Torino 1953; Partigiani sulla
frontiera, Anpi, Torino 1954; (a cura di), Donne piemontesi nella lotta di
liberazione, Anpi, Torino 1954; Diario partigiano, Einaudi, Torino 1956; Non
lasciamoli soli, La Cittadella, Torino 1958; Vivere insieme, Loescher,
Torino 1967; (a cura di), Camilla Ravera. Vita in carcere e al confino,
Guanda, Parma 1969; Educare per emancipare (Scritti pedagogici 1953-1968),
Lacaita, Manduria 1982.

ERVING GOFFMAN
Nato nel 1922, e' scomparso nel 1982. Sociologo illustre. Opere di Erving
Goffman: La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino; Asylums,
Einaudi; Stigma, Laterza; Il comportamento in pubblico, Einaudi; Il rituale
dell'interazione, Il Mulino; L'interazione strategica, Il Mulino; Relazioni
in pubblico, Bompiani; Forme del parlare, Il Mulino. Opere su Erving
Goffman: T. Burns, Erving Goffman, Il Mulino, Bologna 1997.

DANIEL JONAH GOLDHAGEN
Storico e docente universitario americano. Opere di Daniel Jonah Goldhagen:
I volonterosi carnefici di Hitler, Mondadori, Milano 1997; Una questione
morale, Mondadori, Milano 2003, 2004.

MAURICE GOLDSTEIN
Deportato ad Auschwitz, testimone della Shoah, medico, presidente del
Comitato internazione di Auschwitz.

HELMUT GOLLWITZER
Teologo fortemente impegnato per la pace e i diritti umani. Opere di Helmut
Gollwitzer: Vivere senza armi, Claudiana, Torino 1978; (et alii),
Incontrarsi dopo Auschwitz. Ebrei e cristiani a confronto, Claudiana, Torino
1986.

ANDRE' GORZ
Nato a Vienna nel 1924, vive e lavora in Francia. Ha lavorato con Sartre a
"Les Temps Modernes". Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo la seguente
scheda su Gorz: "Andre' Gorz nasce a Vienna nel 1924. Dopo l'annessione
dell'Austria alla Germania di Hitler, la sua famiglia, di origine ebraica,
lascia il paese per trasferirsi a Parigi. Una decisione che influenzera'
molto la decisione di Gorz di scrivere in francese e di non recarsi mai piu'
in Germania, anche quando il nazismo sara' sconfitto. Una decisione a cui
Gorz rimarra' fedele fino agli anni Ottanta, quando sara' invitato per una
serie di seminari da parte del sindacato tedesco dell'allora Germania
occidentale. Laureato in ingegneria, Andre' Gorz partecipa attivamente ai
primi anni di vita della rivista "Les Temps Modernes" fondata da Jean Paul
Sartre e Simone de Beauvoir. Il suo nome e' legato alla pubblicazione del
libro Addio al proletariato (Edizioni lavoro), in cui viene prefigurata la
fine della centralita' del lavoro industriale nelle societa' capitalistica
come conseguenza della crescente automazione del processo lavorativo. Negli
anni recenti la sua bibliografia si arricchisce ancora del libro La strada
del paradiso (Edizioni lavoro), del pamphlet a favore della riduzione
dell'orario di lavoro Il lavoro debole (Edizioni lavoro), del volume
Capitalismo, socialismo e ecologia (Manifestolibri) in cui ipotizza
l'incontro tra il movimento operaio e l'ambientalismo, della critica alle
nuove forme di sfruttamento presente ne La metamorfosi del lavoro (Bollati
Boringhieri) e in Miserie del presente, ricchezze del possibile
(Manifestolibri)". Opere di Andre' Gorz: La morale della storia, Il
Saggiatore; Il traditore, Il Saggiatore; Il socialismo difficile, Laterza;
Critica al capitalismo di ogni giorno, Jaca Book; Sette tesi per cambiare la
vita, Feltrinelli; Ecologia e politica, Cappelli; Addio al proletariato,
Edizioni Lavoro; La strada del paradiso, Edizioni Lavoro; Capitalismo,
socialismo, ecologia, Manifestolibri; Metamorfosi del lavoro, Bollati
Boringhieri.

JEAN GOSS E HILDEGARD GOSS-MAYR
Jean Goss e' nato a Lione nel 1912 ed e' scomparso nel 1991; Hildegard Mayr
e' nata a Vienna nel 1930 (il padre, Kaspar Mayr, e' stato uno dei fondatori
del Movimento Internazionale per la Riconciliazione); marito e moglie,
impegnati per la nonviolenza, segretari itineranti del Mir. Opere di Jean
Goss e Hildegard Goss-Mayr: insieme hanno pubblicato il libro Une autre
révolution, Cerf, Paris 1969. In italiano di entrambi cfr. La nonviolenza
evangelica, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Ba); di Hildegard è stato
pubblicato Come i nemici diventano amici, Emi, Bologna 1997. Opere su Jean
Goss e Hildegard Goss-Mayr: si veda il libro-intervista curato da Gerard
Houver, Jean e Hildegard Goss. La nonviolenza e' la vita, Cittadella, Assisi
1984, nuova edizione accresciuta, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq)
1994.

GUENTER GRASS
Scrittore tedesco, nato a Danzica nel 1927, premio Nobel per la letteratura
nel 1999. Opere di Guenter Grass: Il tamburo di latta, Gatto e topo, Anni di
cani, editi da Feltrinelli; Il rombo, La ratta, Il mio secolo, editi da
Einaudi. Opere su Guenter Grass: Giulio Schiavoni, Guentter Grass, La Nuova
Italia, Firenze 1980.

GIUSEPPE GRASSANO
Critico letterario, insegnante, saggista. Opere di Giuseppe Grassano:
segnaliamo particolarmente Primo Levi, La nuova Italia, Firenze 1981.

DOUGLAS GREENBERG
Douglas Greenberg e' il principale collaboratore di Steven Spielberg
nell'intrapresa della Shoah Foundation, che ha realizzato 52.000
videointerviste a superstiti della Shoah  in 56 paesi e in 32 lingue;
realizzata con gli incassi di Schindler's list, e' la piu' grande raccolta
audiovisiva di testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah.

JAN T. GROSS
Storico e politologo, docente alla New York University. Opere di Jan T.
Gross: I carnefici della porta accanto, Mondadori, Milano 2002, 2003.

DAVID GROSSMAN
Scrittore israeliano, nato a Gerusalemme nel 1954. Tra le opere di David
Grossman: Vedi alla voce: amore (1986); Il libro della grammatica interiore
(1991); Ci sono bambini a zigzag (1994); Che tu sia per me il coltello
(1998); tutti presso Mondadori. Cfr. anche il libro-intervista curato da
Matteo Bellinelli: David Grossman, La memoria della Shoah, Casagrande,
Bellinzona 2000.

VASILIJ GROSSMAN
Scrittore sovietico (1905-1964). Opere di Vasilij Grossman: Vita e destino,
Feltrinelli-Loescher, Milano-Torino 1985; (con Il'ja Erenburg), Il libro
nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Mondadori,
Milano 1999-2001. Opere su Vasilij Grossman: cfr. le pagine a lui dedicate
da Tzevetan Todorov in Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti,
Milano.

ANNE GRYNBERG
Storica e docente. Opere di Anne Grynberg: Shoah. Gli ebrei e la catastrofe,
Electa-Gallimard, Milano 1995; Les camps de la honte, La Decouverte, Paris
1991.

ROMANO GUARDINI
Filosofo e teologo tedesco di origine italiana (Verona 1885 - Monaco 1968).
Opere di Romano Guardini: presso l'editrice Morcelliana sono in corso di
stampa le opere complete. Segnaliamo almeno un libriccino che raccoglie due
discorsi commemorativi pronunciati da Guardini in memoria del gruppo dei
giovani resistenti e martiri antinazisti di Monaco: La Rosa Bianca,
Morcelliana, Brescia 1994. Opere su Romano Guardini: la piu' importante
biografia e' quella di H.-B. Gerl, Romano Guardini. La vita e l'opera,
Morcelliana, Brescia 1988.

FRANCESCO GUCCINI
Cantautore italiano, e meglio sarebbe dire narratore in versi con un sobrio
accompagnamento musicale; ha dato le sue prove migliori in liriche
intimiste, in alcune sfavillanti satire, ma soprattutto in canzoni che hanno
costituito in Italia alcuni dei manifesti politici più belli della
ribellione giovanile agli orrori del mondo (come Auschwitz, e Dio e' morto).

BIANCA GUIDETTI SERRA
Impegnata nella Resistenza, avvocato, parlamentare. Una delle figure piu'
autorevoli della vita democratica italiana. Opere di Bianca Guidetti Serra:
Felicita' nell'adozione; Il paese dei Celestini (con Francesco Santanera);
Le schedature Fiat; segnaliamo particolarmente Compagne, 2 voll., Einaudi,
Torino 1977; e Storie di giustizia, ingiustizia e galera, Linea d'ombra,
Milano 1994.

ISRAEL GUTMAN
Sopravvissuto alla rivolta del ghetto di Varsavia ed ai campi di sterminio
di Majdanek, Auschwitz e Mauthausen, docente di storia ebraica moderna,
direttore del centro ricerche dello Yad Vashem. Opere di Israel Gutman:
Storia del ghetto di Varsavia, Giuntina, Firenze 1996.

JUERGEN HABERMAS
sociologo e filosofo tedesco, nato nel 1929, e' attualmente tra i piu'
influenti pensatori contemporanei. Opere di Juergen Habermas: nella sua
enorme produzione segnaliamo almeno Conoscenza e interesse (1968, tr. it.
Laterza); Teoria dell'agire comunicativo (1981, tr. it. Il Mulino); Etica
del discorso (1983, tr. it. Laterza); Il discorso filosofico della
modernita' (1984, tr. it. Laterza). Opere su Juergen Habermas: un'agile
introduzione e' il volumetto di Walter Privitera, Il luogo della critica.
Per leggere Habermas, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996; una recente assai
utile monografia complessiva di taglio introduttivo e' quella di Stefano
Petrucciani, Introduzione a Habermas, Laterza, Roma-Bari 2000.

JIRI HAJEK
Nato nel 1913, dal  '39 al '45 in campo di concentramento, deputato,
ambasciatore, ministro cecoslovacco; uomo della primavera di Praga, con la
"normalizzazione" fu rimosso ed espulso dal partito; ha continuato il suo
impegno con l'esperienza di "Charta 77". Opere di Jiri Hajek: Praga 1968,
Editori Riuniti, Roma 1978.

LEON E. HALKIN
Nato a Liegi nel 1912, impegnato nella Resistenza e deportato in lager,
professore di storia all'Universita di Liegi, presidente della Federation
internationale de la Renaissance Opere di Leon E. Halkin: tra i suoi lavori
di storico cfr. La Reforme en Belgique sous Charles Quint, Bruxelles 1957;
Erasme et l'humanisme chretien, Paris 1969; Les Colloques d'Erasme,
Bruxelles 1971; Initiation a' la critique historique, Paris e Quebec 1982;
in edizione italiana cfr. Erasmo, Laterza, Roma-Bari 1989. Sulla sua
esperienza di deportato nel campo di sterminio di Nordhausen: A' l'ombre de
la mort, Tournai 1947 (terza edizione Gembloux 1985). Opere su Leon E.
Halkin: J.-P. Massaut, A. Williot, Bio-bibliographie de Leon-E. Halkin, in
"Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome", fasc. LV-LVI, 1985-1986.

ROBERT HAVEMANN
Scienziato e filosofo, nato a Monaco nel 1910, nel 1933 fu condannato a
morte per aver partecipato alla fondazione di un gruppo di opposizione al
regime nazista ma la sentenza non venne eseguita. Dopo la guerra fu docente
universitario di chimica. Su posizioni di sinistra, perseguitato, e' stato
tra i piu' noti dissidenti della Germania Orientale. Opere di Robert
Havemann: Dialettica senza dogma, Einaudi; Domande Risposte Domande,
Einaudi; Contro il dogmatismo, Feltrinelli; Un comunista tedesco, Einaudi.

2. MATERIALI. LA LEGGE ISTITUTIVA DEL GIORNO DELLA MEMORIA
Legge 20 luglio 2000, n. 211: Istituzione del Giorno della Memoria in
ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei
deportati militari e politici italiani nei campi nazisti (pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 177, 31 luglio 2000).
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data
dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine
di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la
persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la
deportazione, la prigionia, la morte, nonche' coloro che, anche in campi e
schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio
della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2.
In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono
organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione
dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine
e grado, su quanto e' accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e
politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro
dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel
nostro Paese e in Europa, e affinche' simili eventi non possano mai piu'
accadere.

3. MEMORIA. ADRIANA LOTTO: LA DEPORTAZIONE FEMMINILE NELLA STORIOGRAFIA
TEDESCA
[Dal sito di "DEP - Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi
sulla memoria femminile" (venus.unive.it/rtsmf). Adriana Lotto e' presidente
dell'"Associazione culturale Tina Merlin"]

Dopo il silenzio degli anni Cinquanta, piu' tardi interpretato come
"l'amnesia di una generazione colpevole" (Michael Geyer, La politica della
memoria nella Germania contemporanea, in Leonardo Paggi, a cura di, La
memoria del nazismo nell'Europa di oggi, La Nuova Italia, 1997, p. 265), di
tanto in tanto interrotto dalle voci isolate dei sopravvissuti e delle
sopravvissute, alla fine degli anni Sessanta il disagio forte della nuova
generazione dinanzi a padri e madri assenti, l'infittirsi di adunate
neo-naziste, segno di una continuita' sotterranea col passato regime,
nonche' la proliferante pubblicistica della Ddr tesa a segnare confini netti
tra un passato nazista e un presente-futuro socialista contribuirono,
assieme ad altri fattori, ad alimentare una politica della memoria che
denunciando il passato valesse per l'oggi: desse, cioe', alla Germania,
rimpossessatasi di quel passato, una nuova identita' e con essa la certezza
che quel che era stato non sarebbe mai piu' tornato. Fu cosi' che i tedeschi
uscirono dalla loro smemoratezza, tanto che negli anni Settanta la storia
del Terzo Reich divento' oggetto pressante e frequente dell'indagine
storiografica.
Sulla base delle memorie dei prigionieri, che subito dopo essere stati
liberati avevano raccontato la loro prigionia, e dei documenti salvati dalla
distruzione operata dagli stessi nazisti, sorse una vasta letteratura sulla
storia di alcuni campi di concentramento, sulle condizioni di vita e di
lavoro dei prigionieri e sulla loro resistenza al sistema di annientamento;
una resistenza che spesso traeva forza dalla difesa di se', dal voler
mantenere a tutti i costi la propria dignita' di persona. Lavori come quello
di Eugen Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutschen Konzentrationslager
(Monaco 1977), o quello di Hermann Langbein, Menschen in Auschwitz, uscito
per la prima volta a Vienna nel 1972, e dello stesso autore, ...nicht wie
die Schafe zur Shlachtbank. Widerstand in den nazionalsozialistischen
Konzentrationslagern 1938-1945 (Francoforte 1980) furono fondamentali;
tuttavia, nello sforzo di spiegare le persecuzioni come funzionali ad un
sistema di terrore pianificato, finirono coll'equiparare l'esperienza delle
donne a quelle degli uomini o col parlare di esperienza dei campi in
generale, senza cioe' distinzione di sesso. Limitazione questa di cui
soffrono ancora talune pubblicazioni recenti. Ad esempio il volume di Falk
Pingel uscito ad Amburgo nel 1978 sotto il titolo Haeftlinge unter
SS-Herrschaft. Widerstand, Selbstbehauptung und Vernichtung im
Konzentrationslager, oppure quello di Johannes Tuchel, Konzentrationslager.
Organisationsgeschichte und Funktion der Inspektion der Konzentrationslager
(Boppard sul Reno 1991), e di Wolfang Sofsky, Die Ordnung des Terrors: das
Konzentrationslager, apparso a Francoforte nel 1993 e tradotto in italiano
da Laterza nel 1995 col titolo L'ordine del terrore. Nessuno dei lavori
sopracitati perdeva di vista la sofferenza umana pur avendo, soprattutto
l'ultimo, lo scopo di dare razionalita' all'irrazionalita'; ma ancora una
volta usando il termine neutro Haeftlinge, prigionieri, si trascuravano di
fatto le differenze di genere di fronte alla violenza e ai suoi meccanismi
di produzione.
*
A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta apparvero lavori di ricerca
condotti da donne e aventi come oggetto la resistenza attiva di donne contro
il nazismo, documentata altresi' dagli atti ufficiali della Gestapo e delle
SS. Volumi come Frauen in deutschen Widerstand 1933-1945 (Francoforte 1978)
di Hanna Elling, e Frauen leisten Widerstand: 1933-1945. Lebengeschichten
nach Interviews und Dokumenten, pubblicato a Francoforte nel 1983 da Gerda
Szepansky, raccoglievano storie di vita di donne politicamente attive, che
avevano avuto un certo ruolo nella resistenza al nazismo. Una resistenza che
nei territori occupati era armata, come racconta Ingrid Strobel nel suo "Sag
nie, du gehst den letzten Weg". Frauenwiderstand gegen Faschismus und
deutsche Besatzung (Francoforte 1989).
In questi lavori, pero', nel mentre si poneva l'accento sull'attivita'
antinazista, si taceva delle sofferenze e della morte di innumerevoli altre
donne, donne comuni e pertanto sconosciute. Dall'altra parte, alla fine
degli anni Settanta, si cominciava a studiare la posizione delle donne
dentro il nazismo e a concentrare l'attenzione su coloro che non erano state
perseguitate, cosi' che, all'inizio del decennio seguente, apparve una serie
di ricerche sulla politica nazista del lavoro femminile che poneva l'accento
sulla specifica strumentalizzazione delle donne sia nella riproduzione che
nella produzione. In questo modo pero' tutte le donne venivano considerate
vittime di una politica di genere dominata dai maschi e che non era
prerogativa del nazismo ma anche del periodo antecedente. Fu il
"Frauengruppe Faschismusforschung" nel suo Mutterkreuz und Arbeitsbuch. Zur
Geschichte der Frauen in der Weimarer Republik und im Nationalsozialismus
(Francoforte 1981) a indagare il comportamento politico e sociale delle
donne nella Repubblica di Weimar e durante il nazismo. Altri studi presero
invece in esame le organizzazioni nazionalsocialiste delle donne e delle
ragazze, le modalita' di reclutamento, le attivita' che svolgevano e
l'influenza che esercitavano. In questo modo emerse la questione della
responsabilita', ossia del collaborazionismo e dell'attivismo, bene
analizzata nel contributo di Dagmar Reese e Carola Sachse, Frauenforschung
zum Nationalsozialismus. Eine Bilanz, apparso nel volume curato da Lerke
Gravenhorst e Carmen Tatschmurat, Toechter-Fragen. NS-Frauen-Geschichte
(Freiburg 1990).
*
Fu proprio a partire da queste tematiche che si sviluppo' in tempi piu'
recenti tra le ricercatrici un dibattito serrato. Ad essere criticate furono
le premesse e gli obiettivi della ricerca, troppo a lungo, si disse, e
troppo marcatamente condizionati o addirittura appiattiti sulle
"congiunture" del movimento femminista. Secondo Lerke Gravenhorst questo
fece si' che le ricercatrici assumessero la storia del nazismo come la loro
identita' negativa. La discussione fu promossa soprattutto dalla tesi di
Claudia Koonz ( Muetter in Vaterland. Frauen im Dritten Reich, Freiburg
1991, tradotto in italiano da Giunti nel 1996 col titolo Donne del Terzo
Reich), secondo la quale le donne avrebbero collaborato col nazismo anche e
proprio nella loro funzione apolitica di massaie e madri. L'intreccio
razzismo/sessismo avrebbe fatto si', nel suo profondo radicamento sociale,
che da un lato la donna "ariana" fosse considerata mero strumento di
riproduzione della "razza germanica", dall'altro che l'istinto materno fosse
il piu' grande peccato contro natura e "femminili" venissero etichettati i
popoli da sottomettere o da eliminare. Anche Gisela Bock
(Zwangssterilisation im Nationalsozialismus: Studien zur Rassenpolitik und
Frauenpolitik, Opladen 1986) esaminando il contributo delle donne comuni
tedesche al nazismo come infermiere e funzionarie, sottolineava la loro
responsabilita' nella politica demografica del regime, mirante attraverso
una riproduzione controllata e aborti coatti a selezionare il patrimonio
genetico nazionale. Tuttavia anche se questo dibattito - denominato
Historikerinnenstreit - riportava l'attenzione sulla responsabilita' delle
donne nel nazismo, esso continuava a occuparsi prevalentemente di tedesche
borghesi o casalinghe. Donne ebree, di colore, appartenenti alle minoranze
etniche misero subito in evidenza che la ricerca sulle donne non poteva
limitarsi solo al loro ruolo nel nazismo. Occorreva condurre ricerche
scientifiche sulla sorte delle donne perseguitate dal nazismo, la cui
mancanza era legata tanto alla rimozione della responsabilita' femminile nel
nazismo, dettata dal generale senso di colpa e di vergogna, quanto alla
presa di distanza critica delle cosiddette minoranze.
*
La discrepanza tra la carente produzione storiografica sulle donne nei campi
di concentramento e il bisogno delle donne allora internate di raccontare la
loro esperienza e' significativa dell'abbondanza di pubblicazioni
autobiografiche di cui si occupo' Rolf Krause nel suo Autobiografisches
Schreiben als Spaeform der Baewaltigung der Verfolgung (Hannover 1989). Dei
circa 450 titoli che uscirono in lingua tedesca, Il 25% comparve negli anni
tra il 1945 e il 1950, mentre dal 1979 al 1988 vide la luce un terzo di
tutti i testi elaborati da donne.
Tuttavia questa letteratura non era ancora "tipica". Perche' lo diventasse
occorreva che memorie e ricerca storica si incontrassero. E cio' avvenne
negli anni Novanta. Sul piano generale, in un quadro di responsabilita'
collettiva e insieme di assunzione della prospettiva delle vittime, questo
significo' non solo cogliere appieno la natura distruttiva e la portata
devastante del nazismo, ma, proprio per questo, impedire che esso,
incasellato in un continuum storico, scomparisse dentro la storia nazionale,
venisse archiviato e sottratto al giudizio morale. Dal punto di vista di
genere si introdusse un'ottica complementare, non certo di confronto.
La ricerca si oriento' sui campi prevalentemente femminili come Ravenbrueck
e Bergen Belsen, ne ricostrui' la storia, l'organizzazione, il sistema di
sorveglianza, con particolare attenzione ai rapporti interni a quella
comunita' e alle condizioni di vita. In altre parole, nel volume curato da
Claus Fuellberg-Stolberg - Martina Jung - Renate Riebe - Martina
Scheitenberger, Frauen in Konzentrationslagern. Bergen-Belsen. Ravensbrueck
(Brema, 1994), ci si comincio' a chiedere che cosa avesse significato essere
internata come donna; se c'erano state forme di resistenza femminile,
strategie di conservazione di se' e di sopravvivenza, se le donne erano
state umiliate e prostrate in modo particolare proprio in quanto donne.
Questioni come queste, avvertivano i curatori, non intendevano in nessun
caso misurare il dolore delle donne e degli uomini e dire magari che le
prime avevano sofferto di piu'. Si trattava piuttosto, nella ricerca sui
campi di concentramento nei quali si opero' una sistematica disumanizzazione
delle vittime, di assumere la categoria di genere e di far uscire le donne
dall'anonimato che si celava dietro la parola "prigioniero".
Il "potere assoluto" delle SS privava i prigionieri dell'orientamento nel
tempo e dello spazio cosi' come di qualsiasi relazione sociale e le
assoggettava a un regime di terrore. Scopo di questo sistema era anche
livellare la differenza di sesso. Molte donne raccontano che dopo lo shock
ebbero la sensazione di non essere piu' donne. Il Lager come "istituzione
totale" e la violenza delle SS avevano come scopo la distruzione
dell'identita' personale e con essa anche quella di genere. Questo valeva
per tutti gli internati, ma per le donne assunse forme specifiche e su di
esse ebbe altre ripercussioni che sugli gli uomini.
Da un lato le SS volevano ridurre le prigioniere a vittime senza genere, ma
nello stesso tempo sfruttarono il genere femminile con la piu' alta
scrupolosita'. Le defatiganti procedure di entrata nel campo e la
documentata prostituzione coatta nei campi dimostravano che la violenza
sessuale nei campi era ben presente. Questa ambivalenza indicava che era
importante includere nella ricerca sull'internamento la categoria genere
accanto a quelle di religione, nazionalita', appartenenza etnica.
Significativo e' a tal proposito sia il volume di Christa Paul sulla
prostituzione coatta (Zwangsprostitution: Staatlich errichtete Bordelle im
Nationalsozialismus, Berlin 1994), che quello di Martina Dietrich sul lavoro
coatto, Zwangsarbeit in Genshagen, Brandenburgo 1996.
Negli anni Novanta, la ricerca prese dunque una nuova direzione, tenendo ben
presente che indagare e descrivere i comportamenti delle donne non
significava relativizzare, bensi' rispondere in maniera articolata
all'immagine "totale" che dei campi di concentramento era stata data.
Significava mettere in luce che la decisione di "resistere" non sempre
derivava da "virtu' eroica", magari ideologicamente marcata, ma da spinte
incontenibili che dimostravano come il valore della vita, la dignita' degli
essere umani erano infinitamente superiori a qualsiasi tentativo di
annichilirli.
*
Nel corso degli ultimi anni la ricerca si e' articolata sulle biografie,
ovvero sulle storie di vita delle sopravvissute, con particolare attenzione
al momento della liberazione e al dopo. Anche la nazionalita' ha costituito
un criterio di ulteriore articolazione dell'esperienza concentrazionaria
soprattutto in riferimento alle donne russe e slovene. In altre parole, la
ricerca ha, da un lato, abbandonato il discorso generico sulle donne,
scavando dentro le diverse esperienze ed esistenze, dall'altro ha colmato un
vuoto pubblicistico di memorie di donne vissute nei regimi comunisti.

4. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: IL DONO DEL CIBO
[Dal sito "Z-Net.it" (www.zmag.org/italy) riprendiamo questo intervento di
Vandana Shiva (traduzione di Silvia Magi). Vandana Shiva, scienziata e
filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente
nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come
studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture
native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti
ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli
di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e
programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere
di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990;
Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria,
Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma
2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo
sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre
dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003]

Il commercio oggi non riguarda piu' lo scambio di cose di cui abbiamo
bisogno e che non possiamo produrre da soli ma ci obbliga ad adeguarci a un
mondo in cui profitto e avidita' sono i principi regolatori: quanto maggiore
e' il profitto, tanto piu' aumentano fame, malattie, distruzione della
natura, del suolo, dell'acqua, della biodiversita'.
La prima cosa da ammettere riguardo al cibo e' che esso costituisce la base
della vita. Il cibo e' vivo: non consiste solo in carboidrati, proteine e
sostanze nutritive, ma e' un essere, un essere sacro. E non solo il cibo e'
sacro, non solo e' vivente, ma e' il Creatore stesso, quindi e' per questo
che persino nella piu' povera delle capanne indiane si puo' assistere
all'adorazione della piccola stufa di terracotta; il primo pezzo di pane
viene dato alla mucca, poi occorre vedere chi altro ha fame la' intorno. Per
usare le parole dei testi sacri dell'India: "Chi dona cibo dona la vita", e
in realta' dona anche tutto il resto. Quindi, colui che desidera la
prosperita' in questo mondo e nell'altro dovrebbe sforzarsi in maniera
particolare di donare il cibo.
Dato che il cibo costituisce la base della creazione, esso e' la creazione e
anche il Creatore. Ci sono doveri e doveri che dovremmo compiere riguardo al
cibo: se le persone hanno di che mangiare, e' proprio perche' la societa'
non ha dimenticato questi doveri; se le persone hanno fame, allora la
societa' ha respinto i doveri etici legati all'alimentazione.
L'intrinseca possibilita' della nostra sopravvivenza e' basata
sull'esistenza di ogni genere di esseri che ci hanno preceduto - i nostri
genitori, la terra, il verme - ed ecco perche' nel pensiero indiano l'atto
di donare cibo e' stato considerato come sacrificio di ogni giorno che
dobbiamo compiere. E' un rituale incarnato in ogni pasto, che riflette la
consapevolezza della donazione come condizione essenziale del nostro essere:
donare non e' un extra, noi doniamo per la nostra interdipendenza con la
totalita' della vita.
Una delle mie immagini preferite dell'India e' il kolam, un motivo
decorativo che le donne realizzano di fronte alla propria casa. Nei giorni
di Pongal, che e' la festa del raccolto del riso nell'India meridionale, ho
visto donne alzarsi prima dell'alba per creare una meravigliosa opera
d'arte, sempre fatta con il riso, fuori dalle loro case. In realta', questo
lavoro viene realizzato allo scopo di nutrire le formiche, ma e' anche una
bellissima espressione artistica che si e' tramandata da madre a figlia e,
nel periodo della festa, ognuno cerca di fare il miglior kolam a titolo di
offerta. In questo modo, cibo per le formiche e opera d'arte diventano una
cosa sola.
La patria della varieta' di riso Indica e' una zona tribale chiamata
Chattisgarth, in India. Devo esserci andata per la prima volta circa
quindici anni fa. Le persone del posto intessono bellissimi motivi fatti con
il riso, che poi appendono fuori dalle proprie case. Pensavo che dovesse
essere legato a una ricorrenza particolare, e chiesi quindi: "Per quale
festa e'?". Dissero: "No, no, e' per la stagione in cui gli uccelli non
possono prendersi i chicchi di riso nei campi". Stavano preparando il riso
per altre specie viventi, in forma di bellissime offerte nate dal lavoro
artistico.
Dato che siamo debitori per le nostre condizioni di vita a tutti gli altri
esseri viventi e alle altre creature, l'atto del donare - alle specie umane
e non umane - ha ispirato l'annadana, il dono del cibo. Tutti gli altri
accordi etici nella societa' vengono onorati se ognuno si impegna
quotidianamente nell'annadana. Secondo un antico detto indiano: "Non c'e'
regalo piu' grande dell'annadana, l'atto di donare il cibo". O ancora, nelle
parole dei testi sacri: "Non congedare nessuno che arriva alla tua porta
senza offrire a lui o a lei cibo e ospitalita'. Questa e' la disciplina
inviolabile del genere umano, percio' conserva grande abbondanza di cibo,
adoperati in ogni modo allo scopo di assicurare tale ricchezza e annuncia al
mondo che questa abbondanza di cibo e' pronta per essere condivisa da
tutti".
In questo modo, dalla cultura del dono si ottengono le condizioni per
l'abbondanza e la condivisione di ognuno.
*
Se guardiamo attentamente a cio' che sta accadendo nel mondo, sembra che noi
abbiamo sempre piu' cibo in eccesso, mentre 820 milioni di persone ancora
soffrono la fame ogni giorno. Da ecologista, vedo questi surplus come
pseudo-surplus, che sono tali perche' le abbondantissime scorte e gli
scaffali stracolmi dei supermercati sono il risultato di sistemi di
produzione e distribuzione che sottraggono cibo ai deboli e agli emarginati,
oltre che alle specie non umane.
L'altro giorno sono passata per il reparto alimentare di Marks & Spencer e
sono rimasta stordita nel vedere tutto il cibo che c'e' li', perche' sapevo
che, per esempio, un campo di riso di un contadino avrebbe dovuto essere
convertito in una piantagione di banane per ricavare succulenti frutti per i
mercati mondiali. Ogni volta che vedo un supermercato, vedo come la
capacita' di ogni comunita' ed ecosistema di venire incontro ai suoi bisogni
di cibo sia continuamente minata, poiche' poche persone al mondo possono
fare esperienza di "surplus" alimentari.
Si tratta tuttavia di pseudo-surplus, che porta ad avere 820 milioni di
persone malnutrite, mentre molte altre mangiano troppo e diventano malate
oppure obese.
*
Vediamo come viene prodotto il cibo. Per avere riserve di cibo sostenibili
e' necessario che i nostri terreni funzionino come sistemi viventi: abbiamo
bisogno di tutti quei milioni di organismi del suolo che lo rendono fertile,
e che la fertilita' ci dia alimenti salutari. Nelle culture industriali
dimentichiamo che e' il verme a creare la fertilita' del terreno; crediamo
invece che questa possa venire dai nitrati (il surplus delle fabbriche di
esplosivi), che il controllo degli insetti nocivi non derivi dall'equilibrio
di diverse colture che ospitano diverse specie, ma dai veleni. Quando si ha
invece il giusto equilibrio, gli organismi non diventano mai nocivi:
coesistono tutti, e nessuno di loro distrugge il raccolto.
Il rapporto della Fao, recentemente pubblicato, mostra come abbiamo
aumentato la produttivita' alimentare nell'ultimo secolo. Tuttavia, cio' che
in realta' gli esperti hanno calcolato e' il dislocamento della forza
lavoro, guardando solo alla produttivita' lavorativa - elementi come quanto
cibo puo' produrre un essere umano usando tecnologie che causano
dislocamento del lavoro, dislocamento delle specie e distruzione delle
risorse. Non significa che avremo piu' cibo prodotto per acro; non significa
che avremo piu' cibo per unita' d'acqua consumata; non significa che avremo
piu' cibo per tutte le altre specie che hanno bisogno di cibo. Tutti questi
bisogni diversificati vengono distrutti via via che definiamo la
produttivita' sulla base della produzione alimentare per unita' lavorativa.
Noi lavoriamo sulle tecnologie, basate sull'ingegneria genetica, che
accelerano questa violenza verso altri esseri. Durante un mio recente
viaggio nel Punjab, sono rimasta incredibilmente colpita dal fatto che la'
non hanno piu' impollinatori. Quelle persone, tecnologicamente ossessionate,
stanno manipolando le colture per inserire geni della tossina Bt (il
batterio del terreno Bacillus thuringiensis) nelle piante, in modo che
queste rilascino tossine in ogni momento e in ogni cellula: nelle foglie,
nelle radici, nel polline. Queste tossine vengono mangiate da coccinelle e
farfalle, che quindi muoiono.
Noi non vediamo il tessuto della vita che stiamo distruggendo; possiamo solo
vederne le interconnessioni, se abbiamo la sensibilita' per coglierle. E
quando ne siamo consapevoli, ci rendiamo immediatamente conto di cio' che
dobbiamo agli altri esseri: agli impollinatori, ai coltivatori che hanno
prodotto gli alimenti e alle persone che ci hanno nutrito quando non
potevamo farlo da soli.
*
L'atto di donare il cibo e' legato all'idea che ognuno di noi nasca debitore
nei confronti degli altri esseri umani, e proprio la condizione intrinseca
della nostra nascita dipende da questo debito. Cosi' arriviamo nel mondo con
un debito e per il resto delle nostre vite non facciamo che ripagarlo: nei
confronti delle api e delle farfalle che impollinano le nostre piante, dei
vermi, dei funghi, dei microbi, dei batteri del terreno che lavorano
costantemente per creare la fertilita' che i nostri fertilizzanti chimici
non potranno mai, mai recuperare.
Nasciamo e viviamo in debito con tutta la Creazione, e diventa nostro dovere
ammettere tutto questo. Il dono del cibo e' semplicemente un riconoscimento
del bisogno di restituire costantemente quell'obbligo, quella
responsabilita'. E' semplicemente una questione di accettazione e sforzo,
per ripagare i nostri debiti nei confronti della Creazione e delle comunita'
delle quali facciamo parte. Ed e' per questo motivo che gran parte delle
culture che intendono l'ecologia come un sacro dovere hanno sempre parlato
di responsabilita'. I diritti derivano naturalmente dalla responsabilita':
una volta assicuratami che tutti quelli della mia sfera di influenza sono
nutriti, so gia' che qualcuno in quella stessa sfera si sta a sua volta
assicurando che io sia nutrita.
Quando lasciai l'insegnamento universitario nel 1982, tutti mi dissero:
"Come farai senza uno stipendio?". Io risposi dicendo che se il 90%
dell'India riesce a cavarsela senza salario, tutto cio' che devo fare e'
affidare la mia vita al tipo di rapporti di fiducia in cui essi vivono. Se
tu dai, allora riceverai. Non si deve calcolare quanto si riceve: cio' di
cui bisogna essere consapevoli e' l'atto del donare.
Nei moderni sistemi economici abbiamo anche debiti, ma si tratta di debiti
finanziari. Un bambino nato in qualsiasi paese del terzo mondo ha gia' sul
collo milioni di debito con la Banca Mondiale, che detiene ogni potere per
dire a voi e al vostro paese che non dovreste produrre cibo per i vermi e
gli uccelli, o persino per la gente che vive della terra: dovreste far
crescere gamberetti e fiori per l'esportazione, perche' fanno guadagnare
soldi. E neppure tanti. Ho fatto alcuni calcoli che dimostrano che un
dollaro ottenuto dagli scambi commerciali delle imprese internazionali, in
termini di profitto, comporta 10 dollari di distruzione ecologica ed
economica negli ecosistemi locali. Ora, se per ogni dollaro che viene
scambiato abbiamo 10 dollari di costi-ombra in termini di vero e proprio
furto di cibo a coloro che ne hanno piu' bisogno, possiamo intuire perche',
via via che la crescita si incrementa e il commercio internazionale diventa
piu' "produttivo" c'e', inevitabilmente, piu' fame. Le persone che avevano
maggiormente bisogno di quel cibo sono proprio quelle a cui questo nuovo
sistema di scambi impedisce di procurarselo: il cosiddetto libero commercio
li sta privando di ogni possibilita' di occuparsi dei bisogni altrui, o dei
propri.
*
Le persone mi chiedono: "Come possiamo proteggere la biodiversita' se
dobbiamo far fronte ai crescenti bisogni umani?". La mia risposta e' che
l'unica maniera di venire incontro ai crescenti bisogni umani e' proprio la
protezione della biodiversita', perche' finche' non ci occuperemo dei vermi,
degli uccelli e delle farfalle non saremo neppure in grado di occuparci
delle persone. Questa idea in base alla quale la specie umana puo' venire
incontro alle proprie necessita' solo eliminando tutte le altre e' un
assunto sbagliato: si basa sul non voler vedere come il tessuto della vita
ci unisca tutti, e quanto viviamo in interazione e interdipendenza.
Le monocolture producono piu' monocolture, ma non producono piu' nutrizione.
Se si prende un campo e lo si semina con venti tipi di piante, si otterra'
una grande produzione alimentare, ma se ognuno di quei raccolti individuali
(di granturco o frumento, diciamo) viene misurato e paragonato a quello di
una monocoltura, ovviamente si otterra' meno, perche' il campo non e' tutto
coltivato a granturco. Cosi', passando semplicemente da un sistema basato
sulla diversita' a una monocoltura sostenuta industrialmente con sostanze
chimiche e macchinari, automaticamente si definisce quest'ultima come piu'
produttiva, anche se in realta' si ottiene meno. Meno specie, meno
alimentazione, meno coltivatori, meno cibo, meno nutrimento. Eppure, ci e'
stato fatto un completo lavaggio del cervello per farci credere che quando
produciamo meno, produciamo di piu': e' un'illusione della peggior specie.
*
Il commercio oggi non riguarda piu' lo scambio di cose di cui abbiamo
bisogno e che non possiamo produrre da soli. Il commercio ci obbliga a
smettere di produrre cio' che ci serve, a smettere di occuparci gli uni
degli altri e a comprare da qualche altra parte.
Nel mercato oggi ci sono quattro colossi dei cereali: il maggiore, la
Cargill, controlla il 70% del cibo scambiato nel mondo, e con tutti gli
altri giganti determinano i prezzi. Vendono gli input agricoli, dicono ai
coltivatori cosa coltivare, comprano a poco dal contadino, poi rivendono a
prezzi alti ai consumatori: facendo questo, avvelenano ogni anello della
catena alimentare. Invece di dare, pensano a come poter asportare persino
quell'ultimo pezzetto rimasto, dagli ecosistemi, da altre specie, dai
poveri, dal terzo mondo.
All'inizio degli anni '90, la Cargill disse: "Oh, questi contadini indiani
sono stupidi. Non capiscono che i nostri semi sono intelligenti: abbiamo
scoperto nuove tecnologie che impediscono alle api di di impossessarsi del
polline". Ora, il concetto del "dono del cibo" ci dice che il polline e'
proprio il dono che dobbiamo conservare per gli impollinatori, e che quindi
dobbiamo coltivare raccolti che api e farfalle possano impollinare
liberamente. Questo e' il loro cibo ed e' il loro spazio ecologico, e noi
dobbiamo fare in modo di non mangiare nel loro spazio.
Invece, la Cargill dice che le api si "impossessano" del polline, perche' la
Cargill ha stabilito che ogni parte di polline e' di sua proprieta'. E, in
una maniera simile, la Monsanto afferma: "Grazie all'uso di Roundup
impediamo alle erbacce di rubare il sole". L'intero pianeta trae energia
dalla forza vivificante del sole, e ora la Monsanto ha in pratica detto di
essere l'unica sul pianeta, insieme ai contadini che sono sotto suo
contratto, a detenere diritti sulla luce del sole - in tutti gli altri casi,
si tratta di furto.
Quindi, cio' che otteniamo e' un mondo che e' assolutamente il contrario del
"donare", ma consiste invece nell'appropriarsi di cibo dalla catena
alimentare e dal tessuto della vita; invece del dono, abbiamo profitto e
avidita' come massimi principi regolatori. Purtroppo, quanto maggiore e' il
profitto, tanto piu' aumentano fame, malattia, distruzione della natura, del
suolo, dell'acqua, della biodiversita', e tanto meno diventano sostenibili i
nostri sistemi alimentari. Allora veniamo realmente circondati da un debito
sempre piu' incolmabile: non il debito ecologico con la natura, la terra e
le altre specie, ma il debito finanziario verso i prestatori di denaro e i
rappresentanti di fertilizzanti chimici e sementi. Il debito ecologico e' in
pratica sostituito da questo debito finanziario: il dono del nutrimento e
del cibo e' rimpiazzato dalla realizzazione di profitti sempre maggiori.
Cio'  che e' necessario fare ora e' trovare un modo di distaccarci da questi
atteggiamenti distruttivi. Non si tratta solo di sostituire il libero
commercio con il commercio equo: a meno che non ci rendiamo conto di come
l'intero sistema stia portando all'avvelenamento e all'inquinamento del
nostro stesso essere, della nostra stessa coscienza, non saremo in grado di
realizzare quei profondi cambiamenti che ci permetterebbero di creare
nuovamente l'abbondanza. Portando via tutto dalla natura, senza dare nulla,
non creiamo abbondanza, creiamo penuria.
La fame mondiale rientra in questa penuria, e anche il numero di malattie
legate alla ricchezza e' parte di questa scarsita'. Se ci ricollochiamo
nuovamente nella cornice del sacro dovere dell'ecologia e ammettiamo il
nostro debito nei confronti di tutti gli esseri umani e non umani, allora la
protezione dei diritti di tutte le specie diventa semplicemente parte delle
nostre regole e dei nostri doveri etici. E di conseguenza coloro che sono
legati agli altri perche' li nutrono e portano loro del cibo otterranno a
loro volta la giusta quantita' di cibo e la giusta quantita' di nutrimento.
Cosi', se inizieremo con l'alimentare il tessuto della vita, risolveremo in
realta' la crisi agricola delle piccole fattorie, la crisi sanitaria dei
consumatori e la crisi economica della poverta' nel terzo mondo.

5. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IRAQ, IL COLORE VIOLA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2005. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista]

Il colore viola sul dito degli elettori iracheni diventera' d'ora in poi il
simbolo del trionfo della democrazia in Iraq e della sua esportabilita'
(armata) ovunque nel mondo? Realisticamente credo che dovremmo rispondere di
si', unendoci a gran voce al coro dei cantori della vittoria politica e
simbolica dell'amministrazione Bush. Di questo trionfo siamo soddisfatti, ne
sentiamo nutrito l'orgoglio di appartenere a quel pezzo di mondo che si
chiama Occidente e che alla democrazia ha dato i natali e l'ambizione
universalista? Realisticamente credo che dovremmo rispondere di no,
separandoci nettamente da quel coro. Come stiano assieme questo si' e questo
no, e' un paradosso che non e' ascrivibile allo "scetticismo" che gli
entusiati del voto di domenica rimproverano ai pacifisti e a quanti hanno
contestato l'occupazione dell'Iraq, la strategia della guerra preventiva e
l'esportazione armata della democrazia. E' ascrivibile invece e purtroppo
allo stato in cui versa la democrazia: in Occidente dov'e' radicata, prima
che in Iraq dov'e' stata violentemente impiantata.
I cronisti della storica giornata elettorale e chi conosce bene la
situazione irachena avranno modo di analizzare minutamente le percentuali
promettenti di partecipazione al voto, le fratture politiche, etniche e
religiose che tuttavia sottostanno ad esse, i conflitti che inevitabilmente
continueranno a imperversare, l'altola' che le urne sembrano aver dato al
terrorismo, le piegature che l'occupazione dei "volenterosi" prendera' da
qui in avanti. A noialtri resta il compito di interrogarci sulla forbice che
divide la fiducia nel rito elettorale di quegli otto milioni di iracheni,
donne e uomini, dalla sfiducia che lo contrassegna nelle democrazie
occidentali. E non e' sopportabile il paternalismo di alcuni commenti della
prima ora, che ci invitano a sciacquare il disincanto apatico e spesso
astensionista delle democrazie mature nell'acqua fresca del neonato senso
civico iracheno, e accusano di razzismo chi ha osato dubitare che la
democrazia possa essere esportata a viva forza laddove non c'e' ancora. Come
sempre, sono accuse che vanno rovesciate sull'ipocrisia di chi le fa. Non
era della ricettivita' democratica, per cosi' dire, degli iracheni che
dubitavamo; era, ed e', della qualita' della merce esportata e dei suoi
venditori.
Gli iracheni hanno tutte le ragioni per riporre fiducia, speranza ed
entusiasmo in un atto che comunque offre a una societa' sofferente e segnata
dalla dittatura e dalla guerra una possibilita' di espressione e di scelta.
Ma noi avremmo tutte le ragioni, e qualche dovere, per interrogarci sul peso
e l'efficacia effettiva di quell'atto in quelle condizioni; e sull'immagine
della democrazia in Occidente che, come in uno specchio, l'Iraq di domenica
ci rimanda. Fahmi Hweidi, firma autorevole del quotidiano egiziano "Al
Ahram" e di altre testate del mondo arabo, in un articolo pubblicato ieri
dal "Corriere della Sera" ha acutamente evidenziato le contraddizioni insite
in democrazie che vengono impiantate su terreni privi di liberta', e in
"libere elezioni" che si svolgono in assenza di libere opinioni pubbliche.
Ma non e' solo questo il punto.
Il punto e' che l'Occidente esporta un'idea e una pratica di democrazia
ridotta al solo rito elettorale, e a un rito elettorale tutt'altro che
trasparente, prima che a Baghdad, in casa nostra: dove fra ogni testa e ogni
voto si frappone una montagna di opacita' fatta di potentati economici e
manipolazione massmediatica, la frequentazione delle urne non contrasta la
crisi verticale della rappresentanza e della partecipazione, la liberta' di
voto non compensa la caduta della liberta' politica. E' questa la democrazia
che esportiamo con le armi, e che ha bisogno delle armi per essere
esportata; e' questa la democrazia che trionfa, e del cui trionfo c'e' poco
da gioire. E' di noi che parla l'Iraq.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 830 del 4 febbraio 2005

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