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La nonviolenza e' in cammino. 830
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 830
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 4 Feb 2005 01:22:02 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 830 del 4 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Per una bibliografia sulla Shoah (parte decima) 2. La legge istitutiva del Giorno della Memoria 3. Adriana Lotto: La deportazione femminile nella storiografia tedesca 4. Vandana Shiva: Il dono del cibo 5. Ida Dominijanni: Iraq, il colore viola 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE DECIMA) VITTORIO EMANUELE GIUNTELLA Nato nel 1913, dopo l'8 settembre 1943, tenente degli alpini, fu uno degli ufficiali italiani che rifiutarono di servire i nazifascisti e fu internato in Lager della Polonia e della Germania. Storico, docente di storia dell'eta' dell'illuminismo all'Universita' di Roma, costantemente impegnato per i diritti umani, e' stato tra i piu' autorevoli rappresentanti dell'Opera Nomadi. E' scomparso nel 1996. Opere di Vittorio Emanuele Giuntella: autorevolissimi i suoi studi sul '700 e quelli sulle vicende della seconda guerra mondiale, della deportazione e della Resistenza; fondamentale e' il suo volume Il nazismo e i Lager, Studium, Roma 1979. ADA GOBETTI Ada Gobetti, nata a Torino nel 1902, moglie e collaboratrice di Piero Gobetti, fortemente impegnata nella lotta antifascista, nel dopoguerra svolse un rilevante impegno come educatrice e per la democrazia, tra l'altro dirigendo le riviste "Educazione democratica" ed il "Giornale dei genitori". E' scomparsa nel 1968. Opere di Ada Gobetti: (a cura di), Samuel Johnson. Esperienza e vita morale, Laterza, Bari 1939, poi Garzanti, Milano; Storia del gallo Sebastiano, Garzanti, Milano 1940, poi Einaudi, Torino 1963; Alessandro Pope. Il poeta del razionalismo settecentesco, Laterza, Bari 1943; Cinque bambini e tre mondi, Aie, Torino 1953; Partigiani sulla frontiera, Anpi, Torino 1954; (a cura di), Donne piemontesi nella lotta di liberazione, Anpi, Torino 1954; Diario partigiano, Einaudi, Torino 1956; Non lasciamoli soli, La Cittadella, Torino 1958; Vivere insieme, Loescher, Torino 1967; (a cura di), Camilla Ravera. Vita in carcere e al confino, Guanda, Parma 1969; Educare per emancipare (Scritti pedagogici 1953-1968), Lacaita, Manduria 1982. ERVING GOFFMAN Nato nel 1922, e' scomparso nel 1982. Sociologo illustre. Opere di Erving Goffman: La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino; Asylums, Einaudi; Stigma, Laterza; Il comportamento in pubblico, Einaudi; Il rituale dell'interazione, Il Mulino; L'interazione strategica, Il Mulino; Relazioni in pubblico, Bompiani; Forme del parlare, Il Mulino. Opere su Erving Goffman: T. Burns, Erving Goffman, Il Mulino, Bologna 1997. DANIEL JONAH GOLDHAGEN Storico e docente universitario americano. Opere di Daniel Jonah Goldhagen: I volonterosi carnefici di Hitler, Mondadori, Milano 1997; Una questione morale, Mondadori, Milano 2003, 2004. MAURICE GOLDSTEIN Deportato ad Auschwitz, testimone della Shoah, medico, presidente del Comitato internazione di Auschwitz. HELMUT GOLLWITZER Teologo fortemente impegnato per la pace e i diritti umani. Opere di Helmut Gollwitzer: Vivere senza armi, Claudiana, Torino 1978; (et alii), Incontrarsi dopo Auschwitz. Ebrei e cristiani a confronto, Claudiana, Torino 1986. ANDRE' GORZ Nato a Vienna nel 1924, vive e lavora in Francia. Ha lavorato con Sartre a "Les Temps Modernes". Dal quotidiano "Il manifesto" riprendiamo la seguente scheda su Gorz: "Andre' Gorz nasce a Vienna nel 1924. Dopo l'annessione dell'Austria alla Germania di Hitler, la sua famiglia, di origine ebraica, lascia il paese per trasferirsi a Parigi. Una decisione che influenzera' molto la decisione di Gorz di scrivere in francese e di non recarsi mai piu' in Germania, anche quando il nazismo sara' sconfitto. Una decisione a cui Gorz rimarra' fedele fino agli anni Ottanta, quando sara' invitato per una serie di seminari da parte del sindacato tedesco dell'allora Germania occidentale. Laureato in ingegneria, Andre' Gorz partecipa attivamente ai primi anni di vita della rivista "Les Temps Modernes" fondata da Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il suo nome e' legato alla pubblicazione del libro Addio al proletariato (Edizioni lavoro), in cui viene prefigurata la fine della centralita' del lavoro industriale nelle societa' capitalistica come conseguenza della crescente automazione del processo lavorativo. Negli anni recenti la sua bibliografia si arricchisce ancora del libro La strada del paradiso (Edizioni lavoro), del pamphlet a favore della riduzione dell'orario di lavoro Il lavoro debole (Edizioni lavoro), del volume Capitalismo, socialismo e ecologia (Manifestolibri) in cui ipotizza l'incontro tra il movimento operaio e l'ambientalismo, della critica alle nuove forme di sfruttamento presente ne La metamorfosi del lavoro (Bollati Boringhieri) e in Miserie del presente, ricchezze del possibile (Manifestolibri)". Opere di Andre' Gorz: La morale della storia, Il Saggiatore; Il traditore, Il Saggiatore; Il socialismo difficile, Laterza; Critica al capitalismo di ogni giorno, Jaca Book; Sette tesi per cambiare la vita, Feltrinelli; Ecologia e politica, Cappelli; Addio al proletariato, Edizioni Lavoro; La strada del paradiso, Edizioni Lavoro; Capitalismo, socialismo, ecologia, Manifestolibri; Metamorfosi del lavoro, Bollati Boringhieri. JEAN GOSS E HILDEGARD GOSS-MAYR Jean Goss e' nato a Lione nel 1912 ed e' scomparso nel 1991; Hildegard Mayr e' nata a Vienna nel 1930 (il padre, Kaspar Mayr, e' stato uno dei fondatori del Movimento Internazionale per la Riconciliazione); marito e moglie, impegnati per la nonviolenza, segretari itineranti del Mir. Opere di Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr: insieme hanno pubblicato il libro Une autre révolution, Cerf, Paris 1969. In italiano di entrambi cfr. La nonviolenza evangelica, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Ba); di Hildegard è stato pubblicato Come i nemici diventano amici, Emi, Bologna 1997. Opere su Jean Goss e Hildegard Goss-Mayr: si veda il libro-intervista curato da Gerard Houver, Jean e Hildegard Goss. La nonviolenza e' la vita, Cittadella, Assisi 1984, nuova edizione accresciuta, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1994. GUENTER GRASS Scrittore tedesco, nato a Danzica nel 1927, premio Nobel per la letteratura nel 1999. Opere di Guenter Grass: Il tamburo di latta, Gatto e topo, Anni di cani, editi da Feltrinelli; Il rombo, La ratta, Il mio secolo, editi da Einaudi. Opere su Guenter Grass: Giulio Schiavoni, Guentter Grass, La Nuova Italia, Firenze 1980. GIUSEPPE GRASSANO Critico letterario, insegnante, saggista. Opere di Giuseppe Grassano: segnaliamo particolarmente Primo Levi, La nuova Italia, Firenze 1981. DOUGLAS GREENBERG Douglas Greenberg e' il principale collaboratore di Steven Spielberg nell'intrapresa della Shoah Foundation, che ha realizzato 52.000 videointerviste a superstiti della Shoah in 56 paesi e in 32 lingue; realizzata con gli incassi di Schindler's list, e' la piu' grande raccolta audiovisiva di testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah. JAN T. GROSS Storico e politologo, docente alla New York University. Opere di Jan T. Gross: I carnefici della porta accanto, Mondadori, Milano 2002, 2003. DAVID GROSSMAN Scrittore israeliano, nato a Gerusalemme nel 1954. Tra le opere di David Grossman: Vedi alla voce: amore (1986); Il libro della grammatica interiore (1991); Ci sono bambini a zigzag (1994); Che tu sia per me il coltello (1998); tutti presso Mondadori. Cfr. anche il libro-intervista curato da Matteo Bellinelli: David Grossman, La memoria della Shoah, Casagrande, Bellinzona 2000. VASILIJ GROSSMAN Scrittore sovietico (1905-1964). Opere di Vasilij Grossman: Vita e destino, Feltrinelli-Loescher, Milano-Torino 1985; (con Il'ja Erenburg), Il libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Mondadori, Milano 1999-2001. Opere su Vasilij Grossman: cfr. le pagine a lui dedicate da Tzevetan Todorov in Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano. ANNE GRYNBERG Storica e docente. Opere di Anne Grynberg: Shoah. Gli ebrei e la catastrofe, Electa-Gallimard, Milano 1995; Les camps de la honte, La Decouverte, Paris 1991. ROMANO GUARDINI Filosofo e teologo tedesco di origine italiana (Verona 1885 - Monaco 1968). Opere di Romano Guardini: presso l'editrice Morcelliana sono in corso di stampa le opere complete. Segnaliamo almeno un libriccino che raccoglie due discorsi commemorativi pronunciati da Guardini in memoria del gruppo dei giovani resistenti e martiri antinazisti di Monaco: La Rosa Bianca, Morcelliana, Brescia 1994. Opere su Romano Guardini: la piu' importante biografia e' quella di H.-B. Gerl, Romano Guardini. La vita e l'opera, Morcelliana, Brescia 1988. FRANCESCO GUCCINI Cantautore italiano, e meglio sarebbe dire narratore in versi con un sobrio accompagnamento musicale; ha dato le sue prove migliori in liriche intimiste, in alcune sfavillanti satire, ma soprattutto in canzoni che hanno costituito in Italia alcuni dei manifesti politici più belli della ribellione giovanile agli orrori del mondo (come Auschwitz, e Dio e' morto). BIANCA GUIDETTI SERRA Impegnata nella Resistenza, avvocato, parlamentare. Una delle figure piu' autorevoli della vita democratica italiana. Opere di Bianca Guidetti Serra: Felicita' nell'adozione; Il paese dei Celestini (con Francesco Santanera); Le schedature Fiat; segnaliamo particolarmente Compagne, 2 voll., Einaudi, Torino 1977; e Storie di giustizia, ingiustizia e galera, Linea d'ombra, Milano 1994. ISRAEL GUTMAN Sopravvissuto alla rivolta del ghetto di Varsavia ed ai campi di sterminio di Majdanek, Auschwitz e Mauthausen, docente di storia ebraica moderna, direttore del centro ricerche dello Yad Vashem. Opere di Israel Gutman: Storia del ghetto di Varsavia, Giuntina, Firenze 1996. JUERGEN HABERMAS sociologo e filosofo tedesco, nato nel 1929, e' attualmente tra i piu' influenti pensatori contemporanei. Opere di Juergen Habermas: nella sua enorme produzione segnaliamo almeno Conoscenza e interesse (1968, tr. it. Laterza); Teoria dell'agire comunicativo (1981, tr. it. Il Mulino); Etica del discorso (1983, tr. it. Laterza); Il discorso filosofico della modernita' (1984, tr. it. Laterza). Opere su Juergen Habermas: un'agile introduzione e' il volumetto di Walter Privitera, Il luogo della critica. Per leggere Habermas, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996; una recente assai utile monografia complessiva di taglio introduttivo e' quella di Stefano Petrucciani, Introduzione a Habermas, Laterza, Roma-Bari 2000. JIRI HAJEK Nato nel 1913, dal '39 al '45 in campo di concentramento, deputato, ambasciatore, ministro cecoslovacco; uomo della primavera di Praga, con la "normalizzazione" fu rimosso ed espulso dal partito; ha continuato il suo impegno con l'esperienza di "Charta 77". Opere di Jiri Hajek: Praga 1968, Editori Riuniti, Roma 1978. LEON E. HALKIN Nato a Liegi nel 1912, impegnato nella Resistenza e deportato in lager, professore di storia all'Universita di Liegi, presidente della Federation internationale de la Renaissance Opere di Leon E. Halkin: tra i suoi lavori di storico cfr. La Reforme en Belgique sous Charles Quint, Bruxelles 1957; Erasme et l'humanisme chretien, Paris 1969; Les Colloques d'Erasme, Bruxelles 1971; Initiation a' la critique historique, Paris e Quebec 1982; in edizione italiana cfr. Erasmo, Laterza, Roma-Bari 1989. Sulla sua esperienza di deportato nel campo di sterminio di Nordhausen: A' l'ombre de la mort, Tournai 1947 (terza edizione Gembloux 1985). Opere su Leon E. Halkin: J.-P. Massaut, A. Williot, Bio-bibliographie de Leon-E. Halkin, in "Bulletin de l'Institut Historique Belge de Rome", fasc. LV-LVI, 1985-1986. ROBERT HAVEMANN Scienziato e filosofo, nato a Monaco nel 1910, nel 1933 fu condannato a morte per aver partecipato alla fondazione di un gruppo di opposizione al regime nazista ma la sentenza non venne eseguita. Dopo la guerra fu docente universitario di chimica. Su posizioni di sinistra, perseguitato, e' stato tra i piu' noti dissidenti della Germania Orientale. Opere di Robert Havemann: Dialettica senza dogma, Einaudi; Domande Risposte Domande, Einaudi; Contro il dogmatismo, Feltrinelli; Un comunista tedesco, Einaudi. 2. MATERIALI. LA LEGGE ISTITUTIVA DEL GIORNO DELLA MEMORIA Legge 20 luglio 2000, n. 211: Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177, 31 luglio 2000). Art. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonche' coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Art. 2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto e' accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinche' simili eventi non possano mai piu' accadere. 3. MEMORIA. ADRIANA LOTTO: LA DEPORTAZIONE FEMMINILE NELLA STORIOGRAFIA TEDESCA [Dal sito di "DEP - Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile" (venus.unive.it/rtsmf). Adriana Lotto e' presidente dell'"Associazione culturale Tina Merlin"] Dopo il silenzio degli anni Cinquanta, piu' tardi interpretato come "l'amnesia di una generazione colpevole" (Michael Geyer, La politica della memoria nella Germania contemporanea, in Leonardo Paggi, a cura di, La memoria del nazismo nell'Europa di oggi, La Nuova Italia, 1997, p. 265), di tanto in tanto interrotto dalle voci isolate dei sopravvissuti e delle sopravvissute, alla fine degli anni Sessanta il disagio forte della nuova generazione dinanzi a padri e madri assenti, l'infittirsi di adunate neo-naziste, segno di una continuita' sotterranea col passato regime, nonche' la proliferante pubblicistica della Ddr tesa a segnare confini netti tra un passato nazista e un presente-futuro socialista contribuirono, assieme ad altri fattori, ad alimentare una politica della memoria che denunciando il passato valesse per l'oggi: desse, cioe', alla Germania, rimpossessatasi di quel passato, una nuova identita' e con essa la certezza che quel che era stato non sarebbe mai piu' tornato. Fu cosi' che i tedeschi uscirono dalla loro smemoratezza, tanto che negli anni Settanta la storia del Terzo Reich divento' oggetto pressante e frequente dell'indagine storiografica. Sulla base delle memorie dei prigionieri, che subito dopo essere stati liberati avevano raccontato la loro prigionia, e dei documenti salvati dalla distruzione operata dagli stessi nazisti, sorse una vasta letteratura sulla storia di alcuni campi di concentramento, sulle condizioni di vita e di lavoro dei prigionieri e sulla loro resistenza al sistema di annientamento; una resistenza che spesso traeva forza dalla difesa di se', dal voler mantenere a tutti i costi la propria dignita' di persona. Lavori come quello di Eugen Kogon, Der SS-Staat. Das System der deutschen Konzentrationslager (Monaco 1977), o quello di Hermann Langbein, Menschen in Auschwitz, uscito per la prima volta a Vienna nel 1972, e dello stesso autore, ...nicht wie die Schafe zur Shlachtbank. Widerstand in den nazionalsozialistischen Konzentrationslagern 1938-1945 (Francoforte 1980) furono fondamentali; tuttavia, nello sforzo di spiegare le persecuzioni come funzionali ad un sistema di terrore pianificato, finirono coll'equiparare l'esperienza delle donne a quelle degli uomini o col parlare di esperienza dei campi in generale, senza cioe' distinzione di sesso. Limitazione questa di cui soffrono ancora talune pubblicazioni recenti. Ad esempio il volume di Falk Pingel uscito ad Amburgo nel 1978 sotto il titolo Haeftlinge unter SS-Herrschaft. Widerstand, Selbstbehauptung und Vernichtung im Konzentrationslager, oppure quello di Johannes Tuchel, Konzentrationslager. Organisationsgeschichte und Funktion der Inspektion der Konzentrationslager (Boppard sul Reno 1991), e di Wolfang Sofsky, Die Ordnung des Terrors: das Konzentrationslager, apparso a Francoforte nel 1993 e tradotto in italiano da Laterza nel 1995 col titolo L'ordine del terrore. Nessuno dei lavori sopracitati perdeva di vista la sofferenza umana pur avendo, soprattutto l'ultimo, lo scopo di dare razionalita' all'irrazionalita'; ma ancora una volta usando il termine neutro Haeftlinge, prigionieri, si trascuravano di fatto le differenze di genere di fronte alla violenza e ai suoi meccanismi di produzione. * A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta apparvero lavori di ricerca condotti da donne e aventi come oggetto la resistenza attiva di donne contro il nazismo, documentata altresi' dagli atti ufficiali della Gestapo e delle SS. Volumi come Frauen in deutschen Widerstand 1933-1945 (Francoforte 1978) di Hanna Elling, e Frauen leisten Widerstand: 1933-1945. Lebengeschichten nach Interviews und Dokumenten, pubblicato a Francoforte nel 1983 da Gerda Szepansky, raccoglievano storie di vita di donne politicamente attive, che avevano avuto un certo ruolo nella resistenza al nazismo. Una resistenza che nei territori occupati era armata, come racconta Ingrid Strobel nel suo "Sag nie, du gehst den letzten Weg". Frauenwiderstand gegen Faschismus und deutsche Besatzung (Francoforte 1989). In questi lavori, pero', nel mentre si poneva l'accento sull'attivita' antinazista, si taceva delle sofferenze e della morte di innumerevoli altre donne, donne comuni e pertanto sconosciute. Dall'altra parte, alla fine degli anni Settanta, si cominciava a studiare la posizione delle donne dentro il nazismo e a concentrare l'attenzione su coloro che non erano state perseguitate, cosi' che, all'inizio del decennio seguente, apparve una serie di ricerche sulla politica nazista del lavoro femminile che poneva l'accento sulla specifica strumentalizzazione delle donne sia nella riproduzione che nella produzione. In questo modo pero' tutte le donne venivano considerate vittime di una politica di genere dominata dai maschi e che non era prerogativa del nazismo ma anche del periodo antecedente. Fu il "Frauengruppe Faschismusforschung" nel suo Mutterkreuz und Arbeitsbuch. Zur Geschichte der Frauen in der Weimarer Republik und im Nationalsozialismus (Francoforte 1981) a indagare il comportamento politico e sociale delle donne nella Repubblica di Weimar e durante il nazismo. Altri studi presero invece in esame le organizzazioni nazionalsocialiste delle donne e delle ragazze, le modalita' di reclutamento, le attivita' che svolgevano e l'influenza che esercitavano. In questo modo emerse la questione della responsabilita', ossia del collaborazionismo e dell'attivismo, bene analizzata nel contributo di Dagmar Reese e Carola Sachse, Frauenforschung zum Nationalsozialismus. Eine Bilanz, apparso nel volume curato da Lerke Gravenhorst e Carmen Tatschmurat, Toechter-Fragen. NS-Frauen-Geschichte (Freiburg 1990). * Fu proprio a partire da queste tematiche che si sviluppo' in tempi piu' recenti tra le ricercatrici un dibattito serrato. Ad essere criticate furono le premesse e gli obiettivi della ricerca, troppo a lungo, si disse, e troppo marcatamente condizionati o addirittura appiattiti sulle "congiunture" del movimento femminista. Secondo Lerke Gravenhorst questo fece si' che le ricercatrici assumessero la storia del nazismo come la loro identita' negativa. La discussione fu promossa soprattutto dalla tesi di Claudia Koonz ( Muetter in Vaterland. Frauen im Dritten Reich, Freiburg 1991, tradotto in italiano da Giunti nel 1996 col titolo Donne del Terzo Reich), secondo la quale le donne avrebbero collaborato col nazismo anche e proprio nella loro funzione apolitica di massaie e madri. L'intreccio razzismo/sessismo avrebbe fatto si', nel suo profondo radicamento sociale, che da un lato la donna "ariana" fosse considerata mero strumento di riproduzione della "razza germanica", dall'altro che l'istinto materno fosse il piu' grande peccato contro natura e "femminili" venissero etichettati i popoli da sottomettere o da eliminare. Anche Gisela Bock (Zwangssterilisation im Nationalsozialismus: Studien zur Rassenpolitik und Frauenpolitik, Opladen 1986) esaminando il contributo delle donne comuni tedesche al nazismo come infermiere e funzionarie, sottolineava la loro responsabilita' nella politica demografica del regime, mirante attraverso una riproduzione controllata e aborti coatti a selezionare il patrimonio genetico nazionale. Tuttavia anche se questo dibattito - denominato Historikerinnenstreit - riportava l'attenzione sulla responsabilita' delle donne nel nazismo, esso continuava a occuparsi prevalentemente di tedesche borghesi o casalinghe. Donne ebree, di colore, appartenenti alle minoranze etniche misero subito in evidenza che la ricerca sulle donne non poteva limitarsi solo al loro ruolo nel nazismo. Occorreva condurre ricerche scientifiche sulla sorte delle donne perseguitate dal nazismo, la cui mancanza era legata tanto alla rimozione della responsabilita' femminile nel nazismo, dettata dal generale senso di colpa e di vergogna, quanto alla presa di distanza critica delle cosiddette minoranze. * La discrepanza tra la carente produzione storiografica sulle donne nei campi di concentramento e il bisogno delle donne allora internate di raccontare la loro esperienza e' significativa dell'abbondanza di pubblicazioni autobiografiche di cui si occupo' Rolf Krause nel suo Autobiografisches Schreiben als Spaeform der Baewaltigung der Verfolgung (Hannover 1989). Dei circa 450 titoli che uscirono in lingua tedesca, Il 25% comparve negli anni tra il 1945 e il 1950, mentre dal 1979 al 1988 vide la luce un terzo di tutti i testi elaborati da donne. Tuttavia questa letteratura non era ancora "tipica". Perche' lo diventasse occorreva che memorie e ricerca storica si incontrassero. E cio' avvenne negli anni Novanta. Sul piano generale, in un quadro di responsabilita' collettiva e insieme di assunzione della prospettiva delle vittime, questo significo' non solo cogliere appieno la natura distruttiva e la portata devastante del nazismo, ma, proprio per questo, impedire che esso, incasellato in un continuum storico, scomparisse dentro la storia nazionale, venisse archiviato e sottratto al giudizio morale. Dal punto di vista di genere si introdusse un'ottica complementare, non certo di confronto. La ricerca si oriento' sui campi prevalentemente femminili come Ravenbrueck e Bergen Belsen, ne ricostrui' la storia, l'organizzazione, il sistema di sorveglianza, con particolare attenzione ai rapporti interni a quella comunita' e alle condizioni di vita. In altre parole, nel volume curato da Claus Fuellberg-Stolberg - Martina Jung - Renate Riebe - Martina Scheitenberger, Frauen in Konzentrationslagern. Bergen-Belsen. Ravensbrueck (Brema, 1994), ci si comincio' a chiedere che cosa avesse significato essere internata come donna; se c'erano state forme di resistenza femminile, strategie di conservazione di se' e di sopravvivenza, se le donne erano state umiliate e prostrate in modo particolare proprio in quanto donne. Questioni come queste, avvertivano i curatori, non intendevano in nessun caso misurare il dolore delle donne e degli uomini e dire magari che le prime avevano sofferto di piu'. Si trattava piuttosto, nella ricerca sui campi di concentramento nei quali si opero' una sistematica disumanizzazione delle vittime, di assumere la categoria di genere e di far uscire le donne dall'anonimato che si celava dietro la parola "prigioniero". Il "potere assoluto" delle SS privava i prigionieri dell'orientamento nel tempo e dello spazio cosi' come di qualsiasi relazione sociale e le assoggettava a un regime di terrore. Scopo di questo sistema era anche livellare la differenza di sesso. Molte donne raccontano che dopo lo shock ebbero la sensazione di non essere piu' donne. Il Lager come "istituzione totale" e la violenza delle SS avevano come scopo la distruzione dell'identita' personale e con essa anche quella di genere. Questo valeva per tutti gli internati, ma per le donne assunse forme specifiche e su di esse ebbe altre ripercussioni che sugli gli uomini. Da un lato le SS volevano ridurre le prigioniere a vittime senza genere, ma nello stesso tempo sfruttarono il genere femminile con la piu' alta scrupolosita'. Le defatiganti procedure di entrata nel campo e la documentata prostituzione coatta nei campi dimostravano che la violenza sessuale nei campi era ben presente. Questa ambivalenza indicava che era importante includere nella ricerca sull'internamento la categoria genere accanto a quelle di religione, nazionalita', appartenenza etnica. Significativo e' a tal proposito sia il volume di Christa Paul sulla prostituzione coatta (Zwangsprostitution: Staatlich errichtete Bordelle im Nationalsozialismus, Berlin 1994), che quello di Martina Dietrich sul lavoro coatto, Zwangsarbeit in Genshagen, Brandenburgo 1996. Negli anni Novanta, la ricerca prese dunque una nuova direzione, tenendo ben presente che indagare e descrivere i comportamenti delle donne non significava relativizzare, bensi' rispondere in maniera articolata all'immagine "totale" che dei campi di concentramento era stata data. Significava mettere in luce che la decisione di "resistere" non sempre derivava da "virtu' eroica", magari ideologicamente marcata, ma da spinte incontenibili che dimostravano come il valore della vita, la dignita' degli essere umani erano infinitamente superiori a qualsiasi tentativo di annichilirli. * Nel corso degli ultimi anni la ricerca si e' articolata sulle biografie, ovvero sulle storie di vita delle sopravvissute, con particolare attenzione al momento della liberazione e al dopo. Anche la nazionalita' ha costituito un criterio di ulteriore articolazione dell'esperienza concentrazionaria soprattutto in riferimento alle donne russe e slovene. In altre parole, la ricerca ha, da un lato, abbandonato il discorso generico sulle donne, scavando dentro le diverse esperienze ed esistenze, dall'altro ha colmato un vuoto pubblicistico di memorie di donne vissute nei regimi comunisti. 4. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: IL DONO DEL CIBO [Dal sito "Z-Net.it" (www.zmag.org/italy) riprendiamo questo intervento di Vandana Shiva (traduzione di Silvia Magi). Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003] Il commercio oggi non riguarda piu' lo scambio di cose di cui abbiamo bisogno e che non possiamo produrre da soli ma ci obbliga ad adeguarci a un mondo in cui profitto e avidita' sono i principi regolatori: quanto maggiore e' il profitto, tanto piu' aumentano fame, malattie, distruzione della natura, del suolo, dell'acqua, della biodiversita'. La prima cosa da ammettere riguardo al cibo e' che esso costituisce la base della vita. Il cibo e' vivo: non consiste solo in carboidrati, proteine e sostanze nutritive, ma e' un essere, un essere sacro. E non solo il cibo e' sacro, non solo e' vivente, ma e' il Creatore stesso, quindi e' per questo che persino nella piu' povera delle capanne indiane si puo' assistere all'adorazione della piccola stufa di terracotta; il primo pezzo di pane viene dato alla mucca, poi occorre vedere chi altro ha fame la' intorno. Per usare le parole dei testi sacri dell'India: "Chi dona cibo dona la vita", e in realta' dona anche tutto il resto. Quindi, colui che desidera la prosperita' in questo mondo e nell'altro dovrebbe sforzarsi in maniera particolare di donare il cibo. Dato che il cibo costituisce la base della creazione, esso e' la creazione e anche il Creatore. Ci sono doveri e doveri che dovremmo compiere riguardo al cibo: se le persone hanno di che mangiare, e' proprio perche' la societa' non ha dimenticato questi doveri; se le persone hanno fame, allora la societa' ha respinto i doveri etici legati all'alimentazione. L'intrinseca possibilita' della nostra sopravvivenza e' basata sull'esistenza di ogni genere di esseri che ci hanno preceduto - i nostri genitori, la terra, il verme - ed ecco perche' nel pensiero indiano l'atto di donare cibo e' stato considerato come sacrificio di ogni giorno che dobbiamo compiere. E' un rituale incarnato in ogni pasto, che riflette la consapevolezza della donazione come condizione essenziale del nostro essere: donare non e' un extra, noi doniamo per la nostra interdipendenza con la totalita' della vita. Una delle mie immagini preferite dell'India e' il kolam, un motivo decorativo che le donne realizzano di fronte alla propria casa. Nei giorni di Pongal, che e' la festa del raccolto del riso nell'India meridionale, ho visto donne alzarsi prima dell'alba per creare una meravigliosa opera d'arte, sempre fatta con il riso, fuori dalle loro case. In realta', questo lavoro viene realizzato allo scopo di nutrire le formiche, ma e' anche una bellissima espressione artistica che si e' tramandata da madre a figlia e, nel periodo della festa, ognuno cerca di fare il miglior kolam a titolo di offerta. In questo modo, cibo per le formiche e opera d'arte diventano una cosa sola. La patria della varieta' di riso Indica e' una zona tribale chiamata Chattisgarth, in India. Devo esserci andata per la prima volta circa quindici anni fa. Le persone del posto intessono bellissimi motivi fatti con il riso, che poi appendono fuori dalle proprie case. Pensavo che dovesse essere legato a una ricorrenza particolare, e chiesi quindi: "Per quale festa e'?". Dissero: "No, no, e' per la stagione in cui gli uccelli non possono prendersi i chicchi di riso nei campi". Stavano preparando il riso per altre specie viventi, in forma di bellissime offerte nate dal lavoro artistico. Dato che siamo debitori per le nostre condizioni di vita a tutti gli altri esseri viventi e alle altre creature, l'atto del donare - alle specie umane e non umane - ha ispirato l'annadana, il dono del cibo. Tutti gli altri accordi etici nella societa' vengono onorati se ognuno si impegna quotidianamente nell'annadana. Secondo un antico detto indiano: "Non c'e' regalo piu' grande dell'annadana, l'atto di donare il cibo". O ancora, nelle parole dei testi sacri: "Non congedare nessuno che arriva alla tua porta senza offrire a lui o a lei cibo e ospitalita'. Questa e' la disciplina inviolabile del genere umano, percio' conserva grande abbondanza di cibo, adoperati in ogni modo allo scopo di assicurare tale ricchezza e annuncia al mondo che questa abbondanza di cibo e' pronta per essere condivisa da tutti". In questo modo, dalla cultura del dono si ottengono le condizioni per l'abbondanza e la condivisione di ognuno. * Se guardiamo attentamente a cio' che sta accadendo nel mondo, sembra che noi abbiamo sempre piu' cibo in eccesso, mentre 820 milioni di persone ancora soffrono la fame ogni giorno. Da ecologista, vedo questi surplus come pseudo-surplus, che sono tali perche' le abbondantissime scorte e gli scaffali stracolmi dei supermercati sono il risultato di sistemi di produzione e distribuzione che sottraggono cibo ai deboli e agli emarginati, oltre che alle specie non umane. L'altro giorno sono passata per il reparto alimentare di Marks & Spencer e sono rimasta stordita nel vedere tutto il cibo che c'e' li', perche' sapevo che, per esempio, un campo di riso di un contadino avrebbe dovuto essere convertito in una piantagione di banane per ricavare succulenti frutti per i mercati mondiali. Ogni volta che vedo un supermercato, vedo come la capacita' di ogni comunita' ed ecosistema di venire incontro ai suoi bisogni di cibo sia continuamente minata, poiche' poche persone al mondo possono fare esperienza di "surplus" alimentari. Si tratta tuttavia di pseudo-surplus, che porta ad avere 820 milioni di persone malnutrite, mentre molte altre mangiano troppo e diventano malate oppure obese. * Vediamo come viene prodotto il cibo. Per avere riserve di cibo sostenibili e' necessario che i nostri terreni funzionino come sistemi viventi: abbiamo bisogno di tutti quei milioni di organismi del suolo che lo rendono fertile, e che la fertilita' ci dia alimenti salutari. Nelle culture industriali dimentichiamo che e' il verme a creare la fertilita' del terreno; crediamo invece che questa possa venire dai nitrati (il surplus delle fabbriche di esplosivi), che il controllo degli insetti nocivi non derivi dall'equilibrio di diverse colture che ospitano diverse specie, ma dai veleni. Quando si ha invece il giusto equilibrio, gli organismi non diventano mai nocivi: coesistono tutti, e nessuno di loro distrugge il raccolto. Il rapporto della Fao, recentemente pubblicato, mostra come abbiamo aumentato la produttivita' alimentare nell'ultimo secolo. Tuttavia, cio' che in realta' gli esperti hanno calcolato e' il dislocamento della forza lavoro, guardando solo alla produttivita' lavorativa - elementi come quanto cibo puo' produrre un essere umano usando tecnologie che causano dislocamento del lavoro, dislocamento delle specie e distruzione delle risorse. Non significa che avremo piu' cibo prodotto per acro; non significa che avremo piu' cibo per unita' d'acqua consumata; non significa che avremo piu' cibo per tutte le altre specie che hanno bisogno di cibo. Tutti questi bisogni diversificati vengono distrutti via via che definiamo la produttivita' sulla base della produzione alimentare per unita' lavorativa. Noi lavoriamo sulle tecnologie, basate sull'ingegneria genetica, che accelerano questa violenza verso altri esseri. Durante un mio recente viaggio nel Punjab, sono rimasta incredibilmente colpita dal fatto che la' non hanno piu' impollinatori. Quelle persone, tecnologicamente ossessionate, stanno manipolando le colture per inserire geni della tossina Bt (il batterio del terreno Bacillus thuringiensis) nelle piante, in modo che queste rilascino tossine in ogni momento e in ogni cellula: nelle foglie, nelle radici, nel polline. Queste tossine vengono mangiate da coccinelle e farfalle, che quindi muoiono. Noi non vediamo il tessuto della vita che stiamo distruggendo; possiamo solo vederne le interconnessioni, se abbiamo la sensibilita' per coglierle. E quando ne siamo consapevoli, ci rendiamo immediatamente conto di cio' che dobbiamo agli altri esseri: agli impollinatori, ai coltivatori che hanno prodotto gli alimenti e alle persone che ci hanno nutrito quando non potevamo farlo da soli. * L'atto di donare il cibo e' legato all'idea che ognuno di noi nasca debitore nei confronti degli altri esseri umani, e proprio la condizione intrinseca della nostra nascita dipende da questo debito. Cosi' arriviamo nel mondo con un debito e per il resto delle nostre vite non facciamo che ripagarlo: nei confronti delle api e delle farfalle che impollinano le nostre piante, dei vermi, dei funghi, dei microbi, dei batteri del terreno che lavorano costantemente per creare la fertilita' che i nostri fertilizzanti chimici non potranno mai, mai recuperare. Nasciamo e viviamo in debito con tutta la Creazione, e diventa nostro dovere ammettere tutto questo. Il dono del cibo e' semplicemente un riconoscimento del bisogno di restituire costantemente quell'obbligo, quella responsabilita'. E' semplicemente una questione di accettazione e sforzo, per ripagare i nostri debiti nei confronti della Creazione e delle comunita' delle quali facciamo parte. Ed e' per questo motivo che gran parte delle culture che intendono l'ecologia come un sacro dovere hanno sempre parlato di responsabilita'. I diritti derivano naturalmente dalla responsabilita': una volta assicuratami che tutti quelli della mia sfera di influenza sono nutriti, so gia' che qualcuno in quella stessa sfera si sta a sua volta assicurando che io sia nutrita. Quando lasciai l'insegnamento universitario nel 1982, tutti mi dissero: "Come farai senza uno stipendio?". Io risposi dicendo che se il 90% dell'India riesce a cavarsela senza salario, tutto cio' che devo fare e' affidare la mia vita al tipo di rapporti di fiducia in cui essi vivono. Se tu dai, allora riceverai. Non si deve calcolare quanto si riceve: cio' di cui bisogna essere consapevoli e' l'atto del donare. Nei moderni sistemi economici abbiamo anche debiti, ma si tratta di debiti finanziari. Un bambino nato in qualsiasi paese del terzo mondo ha gia' sul collo milioni di debito con la Banca Mondiale, che detiene ogni potere per dire a voi e al vostro paese che non dovreste produrre cibo per i vermi e gli uccelli, o persino per la gente che vive della terra: dovreste far crescere gamberetti e fiori per l'esportazione, perche' fanno guadagnare soldi. E neppure tanti. Ho fatto alcuni calcoli che dimostrano che un dollaro ottenuto dagli scambi commerciali delle imprese internazionali, in termini di profitto, comporta 10 dollari di distruzione ecologica ed economica negli ecosistemi locali. Ora, se per ogni dollaro che viene scambiato abbiamo 10 dollari di costi-ombra in termini di vero e proprio furto di cibo a coloro che ne hanno piu' bisogno, possiamo intuire perche', via via che la crescita si incrementa e il commercio internazionale diventa piu' "produttivo" c'e', inevitabilmente, piu' fame. Le persone che avevano maggiormente bisogno di quel cibo sono proprio quelle a cui questo nuovo sistema di scambi impedisce di procurarselo: il cosiddetto libero commercio li sta privando di ogni possibilita' di occuparsi dei bisogni altrui, o dei propri. * Le persone mi chiedono: "Come possiamo proteggere la biodiversita' se dobbiamo far fronte ai crescenti bisogni umani?". La mia risposta e' che l'unica maniera di venire incontro ai crescenti bisogni umani e' proprio la protezione della biodiversita', perche' finche' non ci occuperemo dei vermi, degli uccelli e delle farfalle non saremo neppure in grado di occuparci delle persone. Questa idea in base alla quale la specie umana puo' venire incontro alle proprie necessita' solo eliminando tutte le altre e' un assunto sbagliato: si basa sul non voler vedere come il tessuto della vita ci unisca tutti, e quanto viviamo in interazione e interdipendenza. Le monocolture producono piu' monocolture, ma non producono piu' nutrizione. Se si prende un campo e lo si semina con venti tipi di piante, si otterra' una grande produzione alimentare, ma se ognuno di quei raccolti individuali (di granturco o frumento, diciamo) viene misurato e paragonato a quello di una monocoltura, ovviamente si otterra' meno, perche' il campo non e' tutto coltivato a granturco. Cosi', passando semplicemente da un sistema basato sulla diversita' a una monocoltura sostenuta industrialmente con sostanze chimiche e macchinari, automaticamente si definisce quest'ultima come piu' produttiva, anche se in realta' si ottiene meno. Meno specie, meno alimentazione, meno coltivatori, meno cibo, meno nutrimento. Eppure, ci e' stato fatto un completo lavaggio del cervello per farci credere che quando produciamo meno, produciamo di piu': e' un'illusione della peggior specie. * Il commercio oggi non riguarda piu' lo scambio di cose di cui abbiamo bisogno e che non possiamo produrre da soli. Il commercio ci obbliga a smettere di produrre cio' che ci serve, a smettere di occuparci gli uni degli altri e a comprare da qualche altra parte. Nel mercato oggi ci sono quattro colossi dei cereali: il maggiore, la Cargill, controlla il 70% del cibo scambiato nel mondo, e con tutti gli altri giganti determinano i prezzi. Vendono gli input agricoli, dicono ai coltivatori cosa coltivare, comprano a poco dal contadino, poi rivendono a prezzi alti ai consumatori: facendo questo, avvelenano ogni anello della catena alimentare. Invece di dare, pensano a come poter asportare persino quell'ultimo pezzetto rimasto, dagli ecosistemi, da altre specie, dai poveri, dal terzo mondo. All'inizio degli anni '90, la Cargill disse: "Oh, questi contadini indiani sono stupidi. Non capiscono che i nostri semi sono intelligenti: abbiamo scoperto nuove tecnologie che impediscono alle api di di impossessarsi del polline". Ora, il concetto del "dono del cibo" ci dice che il polline e' proprio il dono che dobbiamo conservare per gli impollinatori, e che quindi dobbiamo coltivare raccolti che api e farfalle possano impollinare liberamente. Questo e' il loro cibo ed e' il loro spazio ecologico, e noi dobbiamo fare in modo di non mangiare nel loro spazio. Invece, la Cargill dice che le api si "impossessano" del polline, perche' la Cargill ha stabilito che ogni parte di polline e' di sua proprieta'. E, in una maniera simile, la Monsanto afferma: "Grazie all'uso di Roundup impediamo alle erbacce di rubare il sole". L'intero pianeta trae energia dalla forza vivificante del sole, e ora la Monsanto ha in pratica detto di essere l'unica sul pianeta, insieme ai contadini che sono sotto suo contratto, a detenere diritti sulla luce del sole - in tutti gli altri casi, si tratta di furto. Quindi, cio' che otteniamo e' un mondo che e' assolutamente il contrario del "donare", ma consiste invece nell'appropriarsi di cibo dalla catena alimentare e dal tessuto della vita; invece del dono, abbiamo profitto e avidita' come massimi principi regolatori. Purtroppo, quanto maggiore e' il profitto, tanto piu' aumentano fame, malattia, distruzione della natura, del suolo, dell'acqua, della biodiversita', e tanto meno diventano sostenibili i nostri sistemi alimentari. Allora veniamo realmente circondati da un debito sempre piu' incolmabile: non il debito ecologico con la natura, la terra e le altre specie, ma il debito finanziario verso i prestatori di denaro e i rappresentanti di fertilizzanti chimici e sementi. Il debito ecologico e' in pratica sostituito da questo debito finanziario: il dono del nutrimento e del cibo e' rimpiazzato dalla realizzazione di profitti sempre maggiori. Cio' che e' necessario fare ora e' trovare un modo di distaccarci da questi atteggiamenti distruttivi. Non si tratta solo di sostituire il libero commercio con il commercio equo: a meno che non ci rendiamo conto di come l'intero sistema stia portando all'avvelenamento e all'inquinamento del nostro stesso essere, della nostra stessa coscienza, non saremo in grado di realizzare quei profondi cambiamenti che ci permetterebbero di creare nuovamente l'abbondanza. Portando via tutto dalla natura, senza dare nulla, non creiamo abbondanza, creiamo penuria. La fame mondiale rientra in questa penuria, e anche il numero di malattie legate alla ricchezza e' parte di questa scarsita'. Se ci ricollochiamo nuovamente nella cornice del sacro dovere dell'ecologia e ammettiamo il nostro debito nei confronti di tutti gli esseri umani e non umani, allora la protezione dei diritti di tutte le specie diventa semplicemente parte delle nostre regole e dei nostri doveri etici. E di conseguenza coloro che sono legati agli altri perche' li nutrono e portano loro del cibo otterranno a loro volta la giusta quantita' di cibo e la giusta quantita' di nutrimento. Cosi', se inizieremo con l'alimentare il tessuto della vita, risolveremo in realta' la crisi agricola delle piccole fattorie, la crisi sanitaria dei consumatori e la crisi economica della poverta' nel terzo mondo. 5. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IRAQ, IL COLORE VIOLA [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2005. Ida Dominijanni, giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Il colore viola sul dito degli elettori iracheni diventera' d'ora in poi il simbolo del trionfo della democrazia in Iraq e della sua esportabilita' (armata) ovunque nel mondo? Realisticamente credo che dovremmo rispondere di si', unendoci a gran voce al coro dei cantori della vittoria politica e simbolica dell'amministrazione Bush. Di questo trionfo siamo soddisfatti, ne sentiamo nutrito l'orgoglio di appartenere a quel pezzo di mondo che si chiama Occidente e che alla democrazia ha dato i natali e l'ambizione universalista? Realisticamente credo che dovremmo rispondere di no, separandoci nettamente da quel coro. Come stiano assieme questo si' e questo no, e' un paradosso che non e' ascrivibile allo "scetticismo" che gli entusiati del voto di domenica rimproverano ai pacifisti e a quanti hanno contestato l'occupazione dell'Iraq, la strategia della guerra preventiva e l'esportazione armata della democrazia. E' ascrivibile invece e purtroppo allo stato in cui versa la democrazia: in Occidente dov'e' radicata, prima che in Iraq dov'e' stata violentemente impiantata. I cronisti della storica giornata elettorale e chi conosce bene la situazione irachena avranno modo di analizzare minutamente le percentuali promettenti di partecipazione al voto, le fratture politiche, etniche e religiose che tuttavia sottostanno ad esse, i conflitti che inevitabilmente continueranno a imperversare, l'altola' che le urne sembrano aver dato al terrorismo, le piegature che l'occupazione dei "volenterosi" prendera' da qui in avanti. A noialtri resta il compito di interrogarci sulla forbice che divide la fiducia nel rito elettorale di quegli otto milioni di iracheni, donne e uomini, dalla sfiducia che lo contrassegna nelle democrazie occidentali. E non e' sopportabile il paternalismo di alcuni commenti della prima ora, che ci invitano a sciacquare il disincanto apatico e spesso astensionista delle democrazie mature nell'acqua fresca del neonato senso civico iracheno, e accusano di razzismo chi ha osato dubitare che la democrazia possa essere esportata a viva forza laddove non c'e' ancora. Come sempre, sono accuse che vanno rovesciate sull'ipocrisia di chi le fa. Non era della ricettivita' democratica, per cosi' dire, degli iracheni che dubitavamo; era, ed e', della qualita' della merce esportata e dei suoi venditori. Gli iracheni hanno tutte le ragioni per riporre fiducia, speranza ed entusiasmo in un atto che comunque offre a una societa' sofferente e segnata dalla dittatura e dalla guerra una possibilita' di espressione e di scelta. Ma noi avremmo tutte le ragioni, e qualche dovere, per interrogarci sul peso e l'efficacia effettiva di quell'atto in quelle condizioni; e sull'immagine della democrazia in Occidente che, come in uno specchio, l'Iraq di domenica ci rimanda. Fahmi Hweidi, firma autorevole del quotidiano egiziano "Al Ahram" e di altre testate del mondo arabo, in un articolo pubblicato ieri dal "Corriere della Sera" ha acutamente evidenziato le contraddizioni insite in democrazie che vengono impiantate su terreni privi di liberta', e in "libere elezioni" che si svolgono in assenza di libere opinioni pubbliche. Ma non e' solo questo il punto. Il punto e' che l'Occidente esporta un'idea e una pratica di democrazia ridotta al solo rito elettorale, e a un rito elettorale tutt'altro che trasparente, prima che a Baghdad, in casa nostra: dove fra ogni testa e ogni voto si frappone una montagna di opacita' fatta di potentati economici e manipolazione massmediatica, la frequentazione delle urne non contrasta la crisi verticale della rappresentanza e della partecipazione, la liberta' di voto non compensa la caduta della liberta' politica. E' questa la democrazia che esportiamo con le armi, e che ha bisogno delle armi per essere esportata; e' questa la democrazia che trionfa, e del cui trionfo c'e' poco da gioire. E' di noi che parla l'Iraq. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 830 del 4 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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