La nonviolenza e' in cammino. 820



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 820 del 25 gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Movimento Internazionale della Riconciliazione e Movimento Nonviolento
del Piemonte e della Valle d'Aosta: Prendere le distanze
2. Enrico Peyretti: Orrore e pieta'
3. Giulio Vittorangeli: Della memoria
4. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte quindicesima)
5. Ileana Montini: Rossana e le altre
6. Letture: Flora De Musso, Luisangela Lanzavecchia (a cura di), Liberta'
femminile nel '600
7. A Viterbo e a Verona con l'Operazione Colomba
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. APPELLI. MOVIMENTO INTERNAZIONALE DELLA RICONCILIAZIONE E MOVIMENTO
NONVIOLENTO DEL PIEMONTE E DELLA VALLE D'AOSTA: PRENDERE LE DISTANZE
[Dagli amici del Movimento Internazionale della Riconciliazione e del
Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta (per contatti: via
Garibaldi 13, Torino, tel. 011532824) riceviamo e volentieri diffondiamo
questo documento. Lo proponiamo come una utile base di riflessione e
discussione, e come una qualificata proposta di iniziativa nonviolenta, pur
avendo su alcuni punti di esso qualche perplessita', come e' ovvio
trattandosi di un testo assai denso, articolato e complesso]

Prendere le distanze
Come ci si puo' e ci si deve opporre a una guerra di aggressione priva di
sbocchi
E' in atto, su una rete telematica internazionale del movimento per la pace,
una campagna per l'astensione dall'acquisto di prodotti americani e inglesi
come forma di pressione sui due paesi che hanno mosso guerra allo stato
iracheno. In Italia e' stata avviata una campagna analoga promossa dalla
Rete Lilliput e sostenuta da varie associazioni.
*
Le conseguenze della guerra irachena
Gli Stati Uniti, insieme alla Gran Bretagna e a pochi altri paesi (che hanno
messo a disposizione piccoli contingenti di truppe), sono impegnati in una
guerra molto sanguinosa e dispendiosa in Iraq, che ha gia' causato
gravissimi danni in tutto il paese (alcune citta' sono state praticamente
distrutte) e ucciso, secondo una statistica pubblicata di recente nella
rivista inglese "The Lancet", circa centomila civili (in gran parte vittime
dei bombardamenti e delle battaglie che si svolgono nelle strade). Ai morti
bisogna aggiungere i feriti, che stanno, in generale, in un rapporto da 5 a
10 volte superiore rispetto ai primi.
*
Le perdite americane
Le perdite americane sono molto inferiori, ma ascendono tuttavia anch'esse a
1.300 morti e a una cifra da 5 a 10 volte superiore di feriti.
*
I falsi scopi o pretesti della guerra
Lo stesso governo americano ha ammesso che le armi di distruzione di massa
che sarebbero state in possesso di Saddam Hussein non esistevano affatto e
che tutti i responsabili dell'attacco alle Torri Gemelle di New York
provenivano da altri paesi arabi (in gran parte dall'Arabia Saudita) e non
avevano nulla a che fare con l'Iraq.
*
Le vere ragioni sono altre
Gli scopi dell'aggressione angloamericana a uno stato che era stato tenuto
sotto sorveglianza per dodici anni e che non poteva certo costituire un
pericolo per la popolazione degli stati aggressori erano ben diversi, e si
possono suddividere, salvo ulteriori precisazioni, in due gruppi principali
di fattori.
*
Il controllo delle risorse petrolifere
Il primo e' rappresentato dalle ingenti risorse petrolifere contenute nel
sottosuolo iracheno e che possono essere di importanza vitale per un paese
letteralmente assetato di benzina e di altre specie di idrocarburi come gli
Stati Uniti d'America.
*
... e una strategia intesa ad affermare la propria supremazia su tutto il
pianeta
Il secondo e' di natura geopolitica e si collega alla politica americana di
espansione militare in Asia e piu' in generale in tutto il mondo. Le forze
aeronavali americane sono disseminate in tutti i continenti e nella maggior
parte dei paesi del mondo. Esse costituiscono, nel loro insieme, una rete
che permette alle forze armate e alle agenzie spionistiche americane di
tenere sotto il loro controllo la maggior parte dei paesi del mondo. L'Iraq,
che e' situato al centro della regione medio-orientale, presenta un
interesse particolare da questo punto di vista.
*
La democrazia internazionale e la pace
Questa politica di espansione territoriale deve essere contrastata, con
mezzi esclusivamente pacifici, e cioe' nonviolenti, da tutti i paesi e in
tutte le parti del mondo. E cio' per due ragioni fondamentali: che essa
minaccia la liberta' e l'indipendenza politica delle nazioni e costituisce
un focolaio permanente di guerre che minacciano la pace del mondo.
*
La necessita' di una presa di distanza
Per indurre il governo americano a recedere da questa politica avventurosa e
potenzialmente gravida di pericoli per tutti i paesi del mondo, puo' essere
necessario, in determinate circostanze (e questa e' certamente una di esse),
ricorrere a mezzi che, pur essendo del tutto non violenti, possono
esercitare una certa pressione sul governo e sul popolo americano con quella
che si potrebbe chiamare una "presa di distanza" da parte di tutti gli altri
paesi e popoli del mondo.
*
... che dovrebbe assumere la forma di un boicottaggio delle merci americane
Essa dovrebbe assumere, in particolare, la forma di un'astensione la piu'
larga possibile dagli acquisti di prodotti di marche americane, come pure di
prodotti finanziari emessi dal tesoro americano o da ditte americane e
reperibili sulle borse di tutto il mondo.
*
La nostra gratitudine nei confronti degli Stati Uniti
Noi siamo amici degli Stati Uniti, che sono un grande paese, che ha
preceduto tutti gli altri, nel corso dell'eta' moderna, sulla via delle
istituzioni democratiche e repubblicane, e a cui dobbiamo, almeno in parte
(poiche' non sono stati i soli a sconfiggere i demoni della follia nel corso
della seconda guerra mondiale), la possibilita' di vivere in liberta' e di
usufruire di tutta una serie di altri vantaggi.
*
... che si trovano pero', attualmente, su una strada sbagliata
Ma riteniamo che essi si trovino attualmente, in seguito agli errori
commessi dal loro governo, e, in parte, anche da quelli che lo avevano
preceduto, su una strada fondamentalmente sbagliata, che sfigura la loro
immagine agli occhi del mondo, e ci proponiamo di aiutarli a ritrovare, al
piu' presto possibile, quella giusta, o comunque compatibile con le esigenze
di tutti gli altri paesi, tirando, da parte nostra, tutte le conseguenze
possibili e necessarie da cio' che stanno facendo, e dando loro un esempio
del modo in cui si possono usare mezzi pacifici in vista del conseguimento
di obbiettivi ugualmente pacifici, nell'interesse comune di tutti i popoli
del mondo.
*
L'impegno delle Ong umanitarie
Molte organizzazioni non governative, alcune delle quali partecipano a
questa campagna, sono impegnate in diverse parti del mondo, nel tentativo di
portare soccorso a popolazioni decimate dalla fame, dalle malattie, dalla
mancanza di mezzi e di risorse, e spesso anche dalle conseguenze delle
guerre che imperversano nei loro paesi.
*
Il mercato delle armi
Spesso queste guerre sono alimentate dalle grandi potenze industriali, che
non si peritano di esportare, a fini di lucro, grandi quantita' di armi e di
forniture militari in tutti gli altri paesi del mondo. Gli Stati Uniti
occupano il primo posto fra questi "mercanti di morte", ma molti altri
stati, come l'Inghilterra, la Francia, la Russia e (seppure in misura piu'
limitata) anche il nostro paese, partecipano a questo genere di commercio
che non e' meno, ma forse ancora piu' pericoloso di quello delle droghe e di
altre sostanze nocive alla salute degli esseri umani.
*
La resistenza alle guerre di aggressione
Ma ancora piu' perniciose del commercio delle armi, in quanto non colpiscono
solo la vita e la salute degli esseri umani, ma minacciano direttamente
anche l'indipendenza dei loro paesi d'origine, a cui essi tengono, a volte,
piu' ancora che alla vita stessa, sono le guerre di aggressione condotte in
prima persona dalle grandi potenze, in aperta violazione della Carta
dell'Onu (come e' avvenuto per l'appunto in questa occasione), a cui esse
dovrebbero attenersi strettamente, se non altro per dare l'esempio, come e
piu' ancora delle piccole.
*
I compiti dei movimenti nonviolenti
Il Movimento Internazionale della Riconciliazione e Il Movimento Nonviolento
del piemonte e della Valle d'Aosta, che si propongono di limitare e di
ridurre al minimo tutti gli inconvenienti che sono stati elencati in questo
volantino, sentono il dovere di impegnarsi anche, e in primo luogo, negli
sforzi intesi a contrastare, con mezzi esclusivamente pacifici, le azioni
dirette ad assoggettare altri popoli e a privarli della loro liberta' e
delle risorse materiali di cui essi possono disporre.
*
Un appello al popolo americano
Invitiamo quindi tutti i nostri connazionali, a prescindere dalle loro
affiliazioni politiche e religiose, ad aderire alla campagna a cui abbiamo
dato vita, insieme ad altre associazioni italiane, e che e' stata promossa
con argomenti impeccabili anche in altri paesi, con cui ci proponiamo di
indurre il popolo americano, i suoi operai e i suoi studenti, i suoi
intellettuali e i suoi tecnici, i suoi uomini e le sue donne, a dissociarsi
dalla politica guerrafondaia del loro governo, e a fare in modo che esso
ritiri al piu' presto le sue truppe dall'Iraq, lasciando che i cittadini di
quel paese risolvano fra loro, in uno spirito di unita' e di concordia, e
con l'aiuto disinteressato degli operatori umanitari di altri paesi, che
sono al corrente delle sofferenze a cui sono stati sottoposti da molti anni
a questa parte, i problemi che li riguardano.
*
Un elenco provvisorio delle merci da boicottare
L'elenco che forniamo di alcuni dei prodotti americani e inglesi che si
trovano piu' facilmente nei nostri supermercati, che e' stato redatto dal
"Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano (Pisa), collegato alla Rete
Lilliput, ha un carattere puramente indicativo, e sara' integrato quanto
prima da un repertorio piu' completo e piu' dettagliato, che potra' servire
da strumento di consultazione a tutti coloro che sentono il bisogno e
comprendono la necessita' di aderire a questa campagna. Essa non e' fine a
se stessa e non intende colpire in nessun modo questa o quella ditta
particolare, che puo', ma potrebbe anche non essere coinvolta direttamente
nelle colpe del proprio governo. Essa, inoltre, avra' termine, non appena
l'ultimo soldato americano avra' lasciato l'Iraq, in cui si e' stabilito, in
modo del tutto illegittimo, come forza di occupazione straniera, per
ritornarvi magari domani, in abiti civili, come ospite o pellegrino, dopo
avere chiesto perdono a quel popolo martoriato e al governo che, come si
puo' sperare, esso si sara' dato liberamente in questo frattempo (cio' che
non potra' certo avvenire nelle elezioni che dovrebbero tenersi alla fine di
gennaio).
*
Un esempio per l'avvenire
La campagna irachena, con le distruzioni immani che ha operato, e con le
decine di migliaia di morti e le centinaia di migliaia di feriti che ha
causato nella popolazione civile, dovra' servire da esempio, per tutto
l'avvenire (a cominciare, naturalmente, dagli Stati Uniti d'America e dai
loro alleati, ma anche a tutti gli altri paesi e popoli del mondo), del modo
in cui non ci si deve comportare nelle relazioni internazionali; e segnare,
coi suoi effetti, una svolta decisiva nella storia del nostro mondo, come
una soglia che non dovra' mai, in nessuna circostanza, essere oltrepassata e
come un limite insuperabile alle ambizioni e alle prepotenze a cui le grandi
nazioni sono state spesso, e potranno ancora essere, tentate di indulgere, e
su cui dovra' vigilare, d'ora in avanti, l'attenzione costante e rigorosa di
tutta l'umanita' non violenta.
*
Ecco la lista dei 16 prodotti che invitiamo a non acquistare
Questo elenco e' stato stilato dal "Centro nuovo modello di sviluppo"
(autore del libro Guida al consumo critico edito dalla Emi di Bologna)
Si indicano in sequenza il prodotto, la marca e la multinazionale
Banane Del Monte Fresh Del Monte
Banane Dole
Maionese e salse Liebig Campbell
Tonno e sardine Mare Blu Heinz
Sottilette e formaggi Kraft Altria (ex Philip Morris)
Cereali Kellogg's Kellogg
Cioccolatini M&M Mars
Bibite Coca Cola
Bibite Gatorade PepsiCo
Carta assorbente Scottex Kimberly-Clark
Carta assorbente Tenderly Georgia Pacific
Anitra WC Johnson Wax
Detersivo Soflan Colgate Palmolive
Bagnoschiuma Badedas Sara Lee
Assorbenti Lines Procter & Gamble
Assorbenti Carefree Johnson & Johnson

2. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: ORRORE E PIETA'
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e'
nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di
questo notiziario]

Foto della camera ardente del povero maresciallo Cola, a Nassiriya: sullo
sfondo l'altare, una grande croce  (e altre tre piu' piccole), l'icona della
Trinita' di Rublev; attorno alla bara quattro rambo dall'occhio fisso, la
tuta mimetica, cinturoni (anche alle gambe) con - pare - pistole e coltelli,
e, su tutto, mitra spianato. La scena gronda guerra per un soldato ammazzato
in "missione di pace". Mescolanza di religione ed esercito, davanti al
patibolo su cui Cristo mori' disarmato perche' finissero queste cose. La
retorica rivela nuda la verita' che vuole falsificare. La guerra usa le
proprie vittime per santificarsi. Orrore. Pieta'.

3. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: DELLA MEMORIA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Il Parlamento italiano, cinque anni fa, ha istituito la Giornata della
memoria per ricordare la catastrofe della Shoah e le vittime di tutti i
totalitarismi. "Al fine di ricordare lo sterminio del popolo ebreo e la
persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la
deportazione, la prigionia, la morte, nonche' coloro, che, in campi e
schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e a rischio
della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".
La data del 27 gennaio e' stata scelta perche' e' l'anniversario (quest'anno
il sessantesimo) dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz. Sono proprio
la' le tanto sbandierate radici dell'Europa.
Ma non vogliamo parlare della Shoah, sono piu' che sufficienti gli ampi
stralci del libro di Bruno Segre pubblicati su questo foglio, quanto provare
a fare una breve riflessione sul passato e la memoria.
E' stato giustamente sottolineato che non esistono popoli senza memoria, e
che se non esistesse il passato, non esisterebbe nemmeno il presente e al
futuro mancherebbe la possibilita' di proiettarsi. Del resto, nessuno
possiede la chiave della storia, per sapere come avverra' la trasformazione
della societa'. Ma tutti abbiamo un patrimonio prezioso, le esperienze del
passato e, soprattutto, gli errori del passato; che non va condannato in
blocco, solo perche' passato e carico di rughe e ferite. Invece, quanto piu'
le persone conoscono le esperienze del passato, piu' sono vaccinate dal
commettere gli stessi errori in futuro. E' evidente che commetteremo altri
errori, ma non quelli che gia' sono stati commessi.
Per questo dobbiamo lottare per ricatturare la realta' del passato. Solo
riacciuffando il passato possiamo capire il presente e costruire il futuro.
Ricordare il passato per guardare al futuro.
*
Resta percio' di preoccupante attualita' il monito che Francisco Goya, con
un suo disegno, lancio' circa duecento anni fa: "Il sonno della ragione
genera mostri". E il sonno della ragione si vince con la lotta della memoria
contro l'oblio, si vince con la memoria costante; una memoria che sappia
mantenere bene evidente, pur nella pieta' che deve accomunare nel ricordo
ogni caduto, la linea di demarcazione tra chi lotto' per la vita e per la
liberta' e coloro che invece erano da parte della tirannide e della morte.
Invece il passato viene facilmente giudicato alla luce di convenienze
politiche momentanee, quando dovrebbe essere criticato con equanimita' e
rigore. Cosi' sono state allestite vergognose "revisioni" in cui le vittime
si confondono coi carnefici, le colpe si compensano e chi ha fatto le scelte
giuste vale quanto chi si e' schierato dalla parte sbagliata...
Alla fine si e' persa ogni bussola; ed oggi si puo' dire fascista o
comunista allo stesso modo, a mo' di insulto. Si e' chiesta Rossana
Rossanda: "Perche' la sinistra ha permesso che questo miliardario, della cui
fortuna nessuno conosce le origini, usasse la parola 'comunista' come se
fosse un marchio d'infamia? Perche' non gli ha replicato che il Partito
Comunista in Italia ha salvato le istituzioni repubblicane in piu' di
un'occasione, e che se un marchio d'infamia l'Italia lo ha verso se stessa e
con tutta l'Europa e' il fascismo mussoliniano che si alleo' con i nazisti
portando l'Italia al macello e morte e distruzione nel mondo? Perche' la
sinistra ha lasciato che i nazifascisti di Salo', mercenari anch'essi al
soldo di fascisti stagionati, fossero graziosamente rivalutati col nome di
'ragazzi di Salo''?".
Gia', perche'?

4. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE QUINDICESIMA)
[Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci
permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo
libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente
raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note,
ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali
ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno
Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di
sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del
Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del
Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano;
dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat
al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet"
(e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno
Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore,
Milano 1998, 2003]

Un epilogo
Quasi sei decenni ci separano dai giorni in cui le armate alleate
raggiunsero i campi di sterminio nazisti restituendo la liberta' ai pochi
prigionieri scampati al massacro: da allora la memoria della Shoah
rappresenta un elemento costitutivo dell'identita' per una parte cospicua
degli ebrei. Ormai la generazione dei testimoni diretti (su entrambi i
versanti: quello delle vittime e quello dei persecutori) va estinguendosi.
Ma anche gli ebrei della nuova generazione, apparentemente estranei alla
paura, affrancati - tanto nella diaspora quanto in Israele - dalle ansie
degli antenati, continuano a confrontarsi con la memoria della Shoah,
condannati a ritornarvi lungo la propria cronistoria, nelle proprie
associazioni mentali, nelle proprie decisioni morali, nei codici di
comportamento.
"Una mia amica, sopravvissuta come me alla Shoah - scriveva Doris Papier in
una lettera da Herzliya (Israele) al "Jerusalem Post" nel dicembre 1990 -,
ha visitato recentemente la localita' nella quale erano vissuti e dove
vennero assassinati i miei  famigliari. Il luogo non e' lontano da  Rovno,
in Ucraina. Mentre si trovava la', la mia amica registro' con una cinepresa
la boscaglia in cui migliaia di ebrei furono passati per le armi". E
soggiungeva: "Quando vidi il filmato rimasi inorridita nell'osservare che un
po' ovunque, sul terreno, affioravano le ossa delle vittime e, inoltre, che
la popolazione del luogo andava frugando fra i resti umani alla ricerca di
denti d'oro e di oggetti di valore". (...) "Trovo quasi incredibile che per
tutto questo tempo nulla sia stato fatto dalle autorita' sovietiche e/o
ucraine  per porre rimedio a tale situazione".
*
Oswiecim, in Polonia ("Auschwitz" in tedesco). Qui, nell'agosto 2000, viene
inaugurata la discoteca "System", nella quale ogni fine settimana si danno
appuntamento centinaia di giovani. La nascita della discoteca innesca
l'ultima di una lunga serie di diatribe che, per tutto il secondo
dopoguerra, hanno avvelenato i rapporti tra polacchi ed ebrei: la malcelata
invidia dei primi, che non si sono sentiti abbastanza considerati nel ruolo
di vittime del nazismo, l'antisemitismo strisciante dei governi comunisti di
Varsavia, l'atteggiamento a volte ostile verso gli ebrei della Chiesa
cattolica di Polonia e, soprattutto, il destino di Auschwitz, l'uso e la
tutela di un luogo che la tragedia della Shoah ha inscritto per sempre nella
storia degli ebrei e nella coscienza del mondo. La "pista da ballo sopra le
tombe" - come viene definita la discoteca dai suoi critici -  riaccende la
guerra per la memoria della Shoah: una vicenda conflittuale fatta di
simboli, di controversie religiose e strumentalizzazioni politiche, le cui
radici vanno cercate  nelle pieghe profonde della storia d'Europa, recente e
meno recente.
Gia' negli anni Ottanta un convento di carmelitane, che si era insediato
entro il perimetro dell'ex campo di sterminio, fu trasferito al di fuori dei
fili spinati in seguito alle proteste delle comunita' ebraiche. Nel 1996,
gruppi di pressione ebraici ottennero che fosse annullato il progetto di
costruzione di un centro commerciale, mentre nel 1998 vennero rimosse
trecento croci in legno piantate ad Auschwitz dagli attivisti del "Movimento
per la salvezza del popolo polacco", un gruppuscolo ultranazionalista che fa
dell'antisemitismo e del radicalismo religioso il proprio cavallo di
battaglia. Nel 2000, a chiedere l'immediata chiusura della discoteca
"System" scese in campo nientemeno che il Centro Wiesenthal di Vienna.
Spesso gli ebrei vengono rimproverati di fare di Auschwitz, della Shoah un
mito, un monumento. A ben vedere le cose non stanno esattamente cosi'. Per i
sopravvissuti e per i loro eredi la Shoah, assai piu' che un monumento
rappresenta il ricordo incancellabile di un disastro, di una vicenda di
rovinosa umiliazione, di impotenza e solitudine.
Innanzitutto e' impossibile dimenticare che la Shoah ha inghiottito sei o
sette milioni di persone: approssimativamente la meta' degli ebrei europei,
ossia circa un terzo degli ebrei del mondo, fra i quali un milione e mezzo
di bambini. Ma soprattutto, nella Shoah e' andata distrutta una civilta',
quella degli ebrei dell'Europa centro-orientale. Dell'antico scenario fisico
entro il quale si mossero e fiorirono numerose comunita' estremamente vitali
e creative, oggi non rimangono che i muri delle sinagoghe, i cimiteri, i
libri, gli oggetti rituali e d'uso quotidiano, le carte: documenti di una
storia durata poco meno d'un millennio. Pagine della storia degli ebrei,
certamente, ma anche, a pieno titolo, della storia d'Europa e - vorrei
aggiungere - della storia dell'intera umanita'.
*
Come ha scritto Yosef Hayim Yerushalmi, docente alla Columbia University di
New York, la necessita' di ricordare e' divenuta piu' urgente da quando
hanno alzato la voce "coloro che fanno a brandelli i documenti, gli
assassini della memoria e i revisori delle enciclopedie, i cospiratori del
silenzio, coloro che, come nella bellissima immagine di Kundera, possono
cancellare un uomo da una fotografia in modo che ne rimanga solo il
cappello". Quella che ci risulta intollerabile e' l'idea che persino i
crimini piu' atroci possano cadere nell'oblio. In sostanza, il bisogno di
ricordare riguarda il male.
Da piu' parti si sostiene che, in quanto "male assoluto", la Shoah sia
qualcosa di indicibile, di irrappresentabile. Si tratta, in questo caso, di
un'opinione che non condivido. Ritengo infatti che anche il lavoro di coloro
che fanno storiografia avrebbe uno spessore molto inferiore se non potesse
fare riferimento proprio alle narrazioni dei testimoni diretti, dei
deportati, di coloro la cui vita e' stata barbaramente stroncata, dei
sopravvissuti. Come si sa, la testimonianza personale e' fragile, parziale,
incompiuta; tuttavia essa esprime il vissuto, unisce soggettivita' e
oggettivita', individuale e collettivo, pubblico e privato. Ai fini della
conservazione e trasmissione della memoria, il racconto individuale offre
spunti e risorse di una vitalita' unica, insostituibile: basti pensare alle
narrazioni e alle riflessioni preziosissime di un grande testimone quale fu
Primo Levi.
In un mondo sempre piu' orientato a rimuovere e a banalizzare il male - qual
e' il mondo in cui viviamo -, e' importante che un sano impegno pedagogico
dia vita a strategie educative capaci di offrire alle generazioni piu'
giovani il senso concreto di un legame tra la vicenda dello sterminio
nazista e situazioni di violenza, di offesa ai diritti umani, di eccidi di
massa che accadono oggi, pur con tutte le differenze rispetto alla Shoah.
Il ricordo del male passato, pero', non puo' e non deve ridursi a retoriche
manifestazioni in chiave celebrativa: una sorta di illusori compensi postumi
elargiti alle vittime e ai loro eredi. Manifestazioni di questa natura sono
i prodotti di una memoria statica, capace soltanto di  dare corso a
rievocazioni del male che, per essere meramente commemorative ed
esorcistiche, rivelano una radicale sterilita'. Da esse occorre distinguere
le forme di una memoria dinamica, preoccupata di tenere viva la
consapevolezza del male al fine di favorire, semmai, la progettazione di un
futuro diverso e migliore. Infatti il ricordo dell'orrore, seguito dalla
rituale invocazione "cio' non deve accadere mai piu'", appare destinato a
rimanere privo di reale efficacia quando non si saldi a un'interrogazione
argomentata e analitica circa il presente e non si apra con spirito critico
e creativo alla progettualita'.
*
Alla fine del 1997 Sergio Romano pubblico' in Italia un saggio che, a onta
del tenore benevolo del titolo e dell'orgoglioso "laicismo liberale"
ostentato dall'autore, apparve subito abbondantemente farcito dei piu'
abusati luoghi comuni antiebraici. L'autore pretendeva di spaziare in lungo
e in largo nella storia degli ebrei fino a giudicarne lapidariamente la
religione: un "catechismo fossile ('duecentoquarantotto precetti affermativi
e trecentosessantacinque precetti negativi', ricorda il rabbino Toaff)  di
una delle piu' antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai
praticate in Occidente".
Fra le numerose bizzarrie proposteci da questo pamphlet, occupa un posto
centrale la tesi, non priva di malizia, secondo la quale il genocidio degli
ebrei d'Europa si sarebbe ormai trasformato, per l'opinione pubblica
dell'Occidente (cristiano), in una sorta di ricatto permanente.
Nell'imputare tale fatto al culto ebraico della memoria, Romano articola le
sue argomentazioni nei termini seguenti: "[Il genocidio] e' diventato il
peccato del mondo contro gli ebrei, una colpa incancellabile di cui ogni
cristiano dovrebbe chiedere perdono quotidianamente, il nucleo centrale
della storia del XX secolo. Grazie a questa prospettiva storica, ogni paese
e ogni istituzione vengono giudicati per il loro ruolo in quella vicenda e
finiscono, prima o poi, sul banco degli accusati". Dopo avere elencato varie
stragi analoghe o paragonabili per dimensioni o crudelta' (lo sterminio
armeno, le vittime dello stalinismo, del colonialismo, della seconda guerra
mondiale, dei conflitti interetnici in Bosnia o in Ruanda), Romano lamenta
che, mentre la memoria di questi e altri massacri "impallidisce e si
appanna, l''olocausto' continua ad agitare le coscienze". Insomma, "non e'
piu' un episodio storico da studiare nelle particolari circostanze in cui
quelle vicende ebbero luogo".
Di fronte alla ricerca storica, afferma  Romano, molti ambienti ebraici si
rivelano animati da una "ostilita' iniziale" dettata, fra l'altro, dal
"timore che gli studi storici finiscano per 'storicizzare' il genocidio
riducendolo, prima o dopo, ad una gigantesca 'notte di San Bartolomeo'". Con
l'attribuire agli ebrei, in buona sostanza, la colpa di collocare la Shoah
in una dimensione teologica e metastorica, Romano avanza l'ipotesi che la
"strategia della memoria" sia stata per lo Stato d'Israele "una
straordinaria arma diplomatica, una preziosa fonte di legittimita'
internazionale". Inoltre, secondo  Romano, tale strategia e' "il terreno su
cui l'ebraismo e la sinistra possono incontrarsi e collaborare", consentendo
agli ebrei di "tenere in vita una sorta di 'comitato permanente di vigilanza
antirazzista'".
E', questa di Romano, un'ipotesi semplicistica e fuorviante poiche', oltre a
recuperare alcuni "topoi" del "connubio giudaico-comunista" tanto cari alla
pubblicistica fascista degli anni trenta, ha il torto di enfatizzare il
sostegno offerto allo Stato d'Israele dalle comunita' della diaspora e di
sottolineare oltre misura la volonta' d'Israele di tenere viva, nel proprio
esclusivo interesse di Stato, la memoria del genocidio: riducendo in tal
modo il grande esame di coscienza che il mondo continua a compiere di fronte
alla Shoah a una meschina macchinazione politica degli ebrei.
*
Circa gli usi della memoria della Shoah che si sono andati facendo in
Israele lungo l'arco dei decenni, l'analisi piu' compiuta, equilibrata e,
nello stesso tempo, severamente  problematica, e' a mio avviso quella
condotta da Tom Segev - un valido giornalista e storico israeliano - in Il
settimo milione. Osservatore molto attento e sottile delle dinamiche
complesse e talvolta contraddittorie che si registrano all'interno della
classe politica e della societa' israeliane, Segev rammenta che "Israele e'
diverso dalla maggior parte degli altri paesi del mondo perche' ha la
necessita' di giustificare, agli occhi altrui e ai propri, il diritto
all'esistenza". L'Olocausto, spiega Segev, "e' la conferma definitiva della
validita' della tesi sionista secondo cui gli ebrei possono vivere nella
sicurezza e godere pienamente dei diritti dei quali usufruiscono gli altri
popoli soltanto in uno Stato autonomo e sovrano, capace di difendersi.
Eppure, di guerra in guerra, si e' visto chiaramente che al mondo ci sono
molti altri luoghi in cui gli ebrei sono piu' al sicuro che in Israele. Non
solo: l'Olocausto e' stato un'innegabile sconfitta per il movimento
sionista, che non e' riuscito a convincere la gran parte degli ebrei del
mondo a stabilirsi in Palestina quand'era ancora possibile".
"Secondo alcuni", ricorda Segev, "sarebbe meglio che gli israeliani
dimenticassero l'Olocausto, dal momento che ne traggono insegnamenti
sbagliati". E nel menzionare taluni dei rischi che il culto della memoria
comporta, egli osserva correttamente che "la scuola e le celebrazioni
ufficiali alimentano spesso lo sciovinismo e l'idea che lo sterminio nazista
giustifichi qualsiasi azione purche' giovi alla sicurezza di Israele,
compresa la repressione della popolazione palestinese nei Territori
occupati". Tuttavia, dichiara alla fine l'autore, gli israeliani "non
possono e non devono dimenticare [l'Olocausto]. Quello che devono fare e'
trarne conclusioni diverse. L'Olocausto chiede a tutti noi di tutelare la
democrazia, combattere il razzismo e difendere i diritti umani. Conferma e
rafforza la legge israeliana che impone a ogni soldato di non obbedire a un
ordine palesemente illegittimo. Certo non sara' facile inculcare gli
insegnamenti umanistici dell'Olocausto finche' Israele lottera' per
difendersi e per giustificare la propria esistenza. Ma farlo e' essenziale".
*
E' chiaro che il rapporto fra memoria della Shoah e storia e'
particolarmente complesso, giacche l'elaborazione dei lutti provocati dalla
tragedia e' lunga e dolorosa. Faccio senz'altro mia la preoccupazione  di
non cadere in "eccessi di memoria", che rischierebbero di schiacciare sul
passato la progettazione di un qualsiasi avvenire. Ne' intendo qui negare
che in ambito ebraico siano oggi presenti, tanto in Israele quanto nella
diaspora, gruppi politici e frange sociali disposti a fare della Shoah un
uso strumentale onde giustificare forme di sciovinismo miope e arrogante,
pericolose derive fondamentaliste e grette chiusure di natura confessionale.
Tuttavia, il piccolo universo degli ebrei continua, nel suo insieme, a
essere ricco di interne tensioni, di una vivacissima dialettica, di spinte e
controspinte, e presenta connotazioni complesse, diversificate  e troppo
difficili da cogliere perche' sia consentito accostarsi a esso con un
approccio del tipo di quello adottato da Sergio Romano. Forse l'urgenza con
la quale Romano preme per "storicizzare" la Shoah rivela una sotterranea
ansia di "archiviazione", tesa  a liquidare una memoria troppo ingombrante
per i tanti europei che, pur di sentirsi innocenti, cercano di "chiamarsi
fuori" in vari modi, per esempio ponendo lo sterminio a esclusivo carico
della defunta ideologia nazista.
Il vero problema, a mio avviso, e' quello di conciliare il compito morale di
evitare che il passato cada nell'oblio con l'impegno  a operare perche' le
nuove generazioni si possano costruire un futuro vivibile e decente, da
condividere responsabilmente e fraternamente con tutti i figli degli uomini.
In ambito ebraico, alcune strade in questa direzione appaiono gia'
tracciate.
Mi riferisco, in primo luogo, all'esperienza di Yad Vashem, il museo della
Shoah di Gerusalemme: un'istituzione che, fin da quando vide la luce nel
1957, volle ricordare accanto alla memoria delle vittime anche i "giusti",
ossia i protagonisti del bene, quanti a rischio della propria vita si
prodigarono per la salvezza dei perseguitati. Le vicende dei "giusti" hanno
permesso a molti fra i sopravvissuti di ritrovare la speranza nell'umanita'.
Per numerosi ebrei e per i loro figli e nipoti e' stato possibile ritornare
nei paesi che li avevano perseguitati e traditi, solo dopo avere saputo di
uomini e donne che si erano comportati diversamente. In tal modo i "giusti"
sono diventati il tramite di un riavvicinamento tra le vittime della
violenza e i popoli che li hanno oppressi.
In una direzione non dissimile si colloca il lavoro del Post-Holocaust
Dialogue Group: un'associazione internazionale creata all'inizio degli anni
Novanta da Gottfried Wagner  - pronipote di Richard e figlio "degenere"
dell'attuale direttore del Festival di Bayreuth (in Germania) - e da Abraham
Peck, direttore  amministrativo e dei programmi dell'Archivio
ebraico-americano di Cincinnati (negli Stati Uniti). Le iniziative di questo
gruppo mirano non gia' a ricomporre le memorie della Shoah - ancor oggi
profondamente divise - in una fittizia unita' sotto l'etichetta di una
"comune memoria" (un'operazione che, qualora venisse proposta, recherebbe
offesa a tutte le persone coinvolte a vario titolo nella tragedia), bensi' a
dare luogo al lavoro difficilissimo, e tuttavia necessario, di reciproco
riconoscimento, di dialogo appunto, tra i figli di coloro che la Shoah
l'hanno subita e i figli di coloro che, invece, l'hanno architettata e
inflitta. Un dialogo, dunque, tra persone nate dopo lo sterminio.
Uno dei membri ebrei del gruppo, lo psichiatra newyorkese Yehuda Nir, ha
pubblicato un'autobiografia che e' stata tradotta in nove lingue. In
un'introduzione all'edizione olandese, composta con un pensiero rivolto in
particolare agli studenti, Nir interpella idealmente Gottfried Wagner con
parole che esprimono tutt'intera la tensione e la fatica di un lavoro
congiunto di ricostruzione morale e psicologica, portato avanti con estrema
delicatezza dagli uni e dagli altri attori di questo dialogo straordinario:
"Gottfried, io ti vedo come un rappresentante di questo [nuovo] mondo. Tu
sei l'anti-Lohengrin, che non nasconde il suo passato e dice: 'Per favore,
Yehuda, chiedimi che cos'hanno fatto i miei genitori'. In modo sincero ti
definisci un figlio dei persecutori, un tedesco nato dopo la Shoah. Hai
affermato di essere legato alla storia della Germania.  Non chiedi perdono.
Tutto cio' che desideri e' impegnarti in un dialogo per capire che cosa e
come e' successo, e se e' possibile evitare che possa accadere di nuovo. Sei
un tedesco che vuole aiutare a creare un mondo in cui noi ebrei possiamo
prendere in considerazione il perdono".

5. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: ROSSANA E LE ALTRE
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento.
Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e'
psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli,
studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di
giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire
d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale,
intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di
periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC,
insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola
Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della
"Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della
"famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel
Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra
l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a
riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia
"Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al
dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle
piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma
gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il
suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella
formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui
ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e'
uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della
disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che
racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il
progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche
cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto
la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio
(Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio
inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano
1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli,
Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo,
Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte,
resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati
Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale,
della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta
culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli,
saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste]

Sulla rivista "Avvenimenti" (n. 3 del 2005) e' apparso un trafiletto con il
seguente titolo: Bentrovata Rossanda, la leader incanta la platea.
Nell'articolo a pagina intera viene dato il resoconto dell'assemblea,
denominata "camera di consultazione", all'Angelicum, il collegio domenicano
a due passi dal Quirinale. Ma nel trafiletto Rossana Rossanda viene
descritta come la vera leader carismatica di questo evento del 15 gennaio
scorso. E si annota: "Di solito piu' incline alle vaste articolasse che alle
grandi platee, e' stata salutata con un emozionato applauso". Di seguito si
scrive che Rossana Rossanda non si e' mai definita una femminista e che con
il femminismo storico ha intrecciato un dialogo senza sconti, come si evince
dalla lettura del suo libro del 1978, Le altre.
Dal palco ha ironizzato sui luoghi comuni del politically correct,
attraverso i quali la cosiddetta questione femminile risulta ormai
derubricata anche da parte della sinistra. Perche' proprio la sinistra tiene
lontane le donne, "anche le piu' acute, non solo le scimmiette che vanno in
tv".
*
E' un'accusa pesante ma purtroppo vera. La sinistra tutta sta mettendo in
scena i soliti leader, tutti rigorosamente di genere maschile. Ci credo
quindi che un giornale abbia voluto sottolineare l'anomalia di una vecchia
leader donna superapplaudita.
A diversi anni dal femminismo acceso e rombante, le conversioni di tanti
uomini della politica di sinistra alla questione dell'ingiustizia sociale
nei riguardi delle donne sono rientrate, segno di un comportamento furbesco,
per niente convinto. La divisione tra sfera del pubblico e sfera del
privato, resta sostanzialmente invariata. L'esercizio del potere e' affare,
biologico e trascendentale, dei soli uomini. A sinistra come a destra. Nella
quasi totalita' dei casi gli esperti e i politici invitati a trasmissioni
come "Ballaro'" sono uomini.
Con quali conseguenze? Anche per la sinistra quella, appunto, di un'immagine
tradizionale, che afferma la mascolinita' del potere, relegando
prevalentemente le donne alle funzioni di cura della casa e degli affetti.
Privandosi di fatto dell'apporto di esperienze e riflessioni diverse.
*
Non ero a Roma, ma credo che Rossana Rossanda abbia voluto far intendere
questo. Lei che non e' mai stata una femminista "storica" ma  ha, ad un
certo punto della sua vita, saputo farsi "toccare" dalle teorie femministe.
Il libro che "Avvenimenti" cita riporta un evento accaduto, se non ricordo
male, nel 1977 a Bellaria, a un congresso del Pdup. Mentre si svolgevano i
lavori e gli uomini, ieri come oggi, si succedevano sul palco, noi
femministe improvvisamente "occupammo" la presidenza e a turno parlammo.
Rossana sedeva in sala e io poco prima mi ero trovata accanto a lei a
commentare (come ricorda nel libro) i compagni che facevano gli interventi.
Tocco' proprio a me criticare  il modo maschile di "prendere la parola",
cosi' tanto di testa e cosi' poco di pancia. Un modo paludato, solenne,
iper-razionale di spiegare gli eventi e teorizzare i mutamenti.
Nei giorni seguenti prima Rossana e poi io e in seguito altre, ritornammo
sull'accaduto sul "Manifesto".
Rossana era rimasta allibita e quasi non aveva compreso la nostra
"occupazione". Lei si sentiva in fondo dalla parte dei maschi. Ma comincio'
a porsi degli interrogativi. E nel libro si legge che quel giorno era
suonata per lei la sveglia e nella dedica che mi fece scrisse: "All'unica
sveglia affettuosa della mia vita".

6. LETTURE. FLORA DE MUSSO, LUISANGELA LANZAVECCHIA (A CURA DI): LIBERTA'
FEMMINILE NEL '600
Flora De Musso, Luisangela Lanzavecchia (a cura di), Liberta' femminile nel
'600, Gruppo insegnanti di Milano - supplemento a "Via Dogana", Milano 1992,
pp. 96, lire 25.000. Un progetto didattico promosso da Flora De Musso,
Luisangela Lanzavecchia, Gabriella Lazzerini, Marcella Busacca, Donatella
Giovannini, con un lavoro antologico curato da Ester Barbato, Raffaella
Cantu', Noemi Trapani. Un utile libro che e' anche una proposta e un modello
di lavoro a scuola. Per richieste: e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito:
www.libreriadelledonne.it

7. INCONTRI. A VITERBO E A VERONA CON L'OPERAZIONE COLOMBA
[Dagli amici dell'Operazione Colomba (per contatti:
operazione.colomba at apg23.org), e da altri ancora, riceviamo e volentieri
diffondiamo]
A Viterbo, venerdi' 28 gennaio 2005, alle ore 16,30, in via Polidori 72, si
terra' una tavola rotonda e la presentazione degli atti del convegno sulla
pace del 7-8 novembre 2003: "La pace e il dialogo non sono un'utopia".
Intervengono Daniele Aronne (volontario di Viterbo con amore e
dell'Operazione Colomba), Alberto Capannini (dell'Operazione Colomba), don
Matteo Zuppi (responsabile della Comunita' di Sant'Egidio); coordina Ettore
Masina (giornalista, scrittore e fondatore della Rete Radie' Resch). Per
informazioni: Viterbo con amore, via Cavour 97, 01100 Viterbo, e-mail:
viterboconamore at libero.it
*
A Verona, martedi' primo febbraio 2005, presso la Chiesa di S. Domenico, in
via del Pontiere, alle ore 21, incontro su: I cristiani in terra santa. Una
presenza per la riconciliazione e la pace. Relatori: mons. Rodolfo Cetoloni,
vescovo di Montepulciano; Ali Rashid, segretario generale della delegazione
palestinese in Italia; Cristina Graziani, volontaria dell'Operazione
Colomba. Moderatore della serata: Sergio Paronetto, presidente di Pax
Christi di Verona. Segreteria organizzativa: Acli Verona, interrato Acqua
Morta 22, tel. 0458065531, e-mail: segreteria at acliverona.it, sito:
www.acliverona.it

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 820 del 25 gennaio 2005

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