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La nonviolenza e' in cammino. 811
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 811
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Jan 2005 00:28:09 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 811 del 16 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Alcune persone del "Centro studi Sereno Regis" di Torino: Proposte per un programma costruttivo 2. Fredrick Nzwili: Il Sudan, la pace, le donne 3. Enrico Peyretti (a cura di): Una piccola antologia di Ernesto Balducci 4. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte sesta) 5. Ileana Montini: Smog 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ALCUNE PERSONE DEL "CENTRO STUDI SERENO REGIS" DI TORINO: PROPOSTE PER UN PROGRAMMA COSTRUTTIVO [Dalla mailing list "Pace" di Peacelink (pace at peacelink.it) riprendiamo questo documento messo in rete da Enrico Peyretti che lo accompagna con le seguenti parole: "Prendo l'occasione per comunicare una scheda, prodotta da alcune persone del "Centro Studi Sereno Regis" di Torino (sito: www.cssr-pas.org; e-mail: regis at arpnet.it), di proposte programmatiche relative alla politica di pace, intesa come prevenzione e gestione nonviolenta dei conflitti"] Abbozziamo qui, senza alcuna pretesa di esaustivita', alcune proposte politiche che si richiamano al "programma costruttivo" che Gandhi voleva che accompagnasse sempre il rifiuto della violenza. * Politica estera - Secondo l'analisi di Luigi Bonanate (La politica internazionale tra terrorismo e guerra, Laterza, Roma-Bari 2004) nell'ultimo decennio la politica estera e' sempre piu' diventata "politica interna del mondo" ed e' difficile distinguere tra interno ed esterno. Comunque, in politica estera nel senso tradizionale, possiamo ravvisare due principali priorita'. 1) La riforma delle Nazioni Unite in senso popolare, assembleare, democratico, come proposto da vario tempo in sedi e da autori autorevoli, perche' possano adempiere il loro compito di istituzione giuridico-politica planetaria per la soluzione pacifica dei conflitti e l'effettiva messa al bando della guerra. 2) La progettazione della transizione graduale dall'attuale modello di difesa, strutturalmente aggressivo e offensivo per il tipo di armamenti, funzionale alla guerra, produttore di guerra e di insicurezza, alla Difesa Popolare Nonviolenta (Dpn). La fase intermedia di questa transizione (transarmo) vedra' convivere forme di difesa ancora militare ma strettamente difensiva per il tipo di armamenti non minacciosi, con la nascente Dpn e con la costituzione dei Corpi Civili di Pace (proposta di Alex Langer nel Parlamento Europeo), di cui gia' oggi esistono molteplici esempi spontanei, dal basso, coordinati dalla Rete dei Corpi civili di pace (www.reteccp.org). Politicamente, questo significa riduzione programmata delle spese militari, riconversione dell'industria bellica e degli eserciti. E' la tanto auspicata politica minima del 5%: ogni anno, per un'intera legislatura, e poi per quelle a venire, spostare il 5% del bilancio militare sulla alternativa "difesa non armata e nonviolenta" (Legge 230/98, art. 8-e). Se non si programma in termini finanziari e organizzativi la pace come metodo nella gestione dei conflitti, si resta nell'aria fritta della retorica della pace. Oggi stiamo andando esattamente nel vecchio senso disastroso, tanto in Italia quanto nella Unione Europea, la quale dovrebbe scegliere la strada del transarmo e della neutralita' attiva, disarmata, solidale e nonviolenta. * Politica interna - Individuiamo almeno tre principali priorita'. 1) Progettare la transizione dall'attuale modello di sviluppo ad alta intensita' energetica e di potenza, con un impatto ambientale insostenibile, a un modello a bassa potenza, centrato sull'uso di fonti energetiche rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza energetica e su uno stile di vita e consumi ispirato alla semplicita' volontaria e alla maggior gioia di vivere che ne deriverebbe. Anche in questo caso, uscire dalla retorica significa programmare la riduzione annuale del 5% dei consumi di combustibili fossili e l'incremento, nella stessa percentuale, delle fonti alternative. Il recente lavoro di Hermann Scheer (Il solare e l'economia globale, Edizioni Ambiente, Milano 2004) e' l'esempio piu' concreto di tale possibilita'. 2) La promozione e diffusione della cultura della nonviolenza attiva in ogni campo: da quello mediatico a quello educativo, da quello accademico (con la rottura dei paradigmi dominanti) a quello dell'immaginario collettivo (artistico, musicale, progettuale, urbanistico). Questa e' un'azione capillare dei movimenti nonviolenti, che continua in un leggero crescendo, ma occorre farne una priorita' nei confronti di quella stragrande quantita' di cittadine e cittadini che attendono un messaggio chiaro per uscire dall'apatia e dalla rassegnata disperazione passiva davanti alla imponente violenza bellica, economica, culturale. 3) La qualita' delle relazioni tra persone, generi, generazioni. Il vecchio slogan femminista "il personale e' politico" e' quanto mai attuale: senza "l'altra meta' del cielo" non avviene nessuna evoluzione nonviolenta. Di fronte al "potere senza volto" del maschilismo, delle tradizioni violente ereditate dal passato, della mafia e del capitalismo, lottare e' piu' difficile che davanti al potere che ha un volto ed e' concentrato in gruppi piu' facilmente identificabili. Eppure, e' proprio la violenza culturale, la piu' profonda e grave, che va affrontata e scalzata per liberare progressivamente la vita sociale dai suoi effetti: le violenze strutturali, causa di sofferenze profonde, e quelle direttamente omicide. 2. TESTIMONIANZE. FREDRICK NZWILI: IL SUDAN, LA PACE, LE DONNE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo articolo di Fredrick Nzwili, corrispondente di "WeNews"] Migliaia di donne sudanesi hanno cantato e danzato al ritmo dei tamburi africani in uno stadio, qui a Nairobi, la scorsa settimana, per celebrare l'accordo sul cessate il fuoco e la condivisione di poteri firmato dal governo sudanese e dal Sudan People's Liberation Movement, il gruppo ribelle del sud. L'accordo, che mette in chiaro i termini con i quali nord e sud condivideranno potere e risorse, pone fine ad un conflitto durato 21 anni, fra il governo arabo/musulmano situato nel nord del paese e i cristiani e gli animisti del sud. La guerra ha distrutto due milioni di vite, e disperso piu' di 5 milioni di persone. Fra le celebranti a Nairobi, molte erano donne che hanno vissuto qui in esilio e che ora si preparano a tornare. Pur lontane da casa, hanno organizzato campagne, proteste, dimostrazioni pubbliche per assicurarsi che il dialogo di pace iniziato nel 1994 puntasse ad un accordo che avrebbe compreso i diritti civili e l'eguaglianza fra donne ed uomini. Una di queste donne e' Suzanne Jambo, coordinatrice della rete di organizzazioni non governative (ong, in sigla) "New Sudanese Indigenous Nogs-Network", che ha sedi a Nairobi e nel Sudan del sud. La guerra, ci ha detto Jambo, ha ridotto le donne sudanesi del sud nelle "marginalizzate fra i marginalizzati", poiche' hanno sofferto una specifica oppressione rispetto all'istruzione, l'economia e la politica. "Ma nell'accordo di pace, ha aggiunto, vediamo una finestra di opportunita' per la loro liberazione". * Il conflitto ha contribuito a mantenere molto alto il tasso di mortalita' infantile, ha abbassato il tasso di alfabetizzazione, e ha lasciato queste donne del Sudan con uno dei peggiori indicatori rispetto alla qualita' della vita secondo i rapporti dell'Onu. Alcune organizzazioni internazionali, sebbene sostengano l'accordo, dicono che esso lascia ampio spazio per lavorare ancora sui diritti delle donne. Amnesty International si e' detta preoccupata dal fatto che "vi sono meccanismi inadeguati per la partecipazione della societa' civile, incluse le donne e gli/le esperti/e di diritti umani e in campo legale provenienti da tutte le parti del Sudan". L'accordo, inoltre, non si applica ai combattimenti nel Darfur, una regione dell'ovest dove migliaia di persone sono gia' morte in un conflitto che dura da due anni, e che contrappone gruppi ribelli alle forze governative ed alle milizie alleate arabe, conosciute come Janjaweed. Verso la fine dello scorso anno, Amnesty International, riporto' che bimbe di otto anni venivano stuprate nel Darfur ed usate come schiave sessuali. L'organizzazione ha anche detto che gli stupri di massa sono crimini di guerra e crimini contro l'umanita', e che la comunita' internazionale sta facendo ben poco per fermarli. Jambo spera che il nuovo accordo di pace aiutera' a porre fine alla crisi nel Darfur: "La situazione nel Darfur riguarda la discriminazione politica ed economica, disegnata su linee razziali, e sono gli stessi tipi di istanze che sono presenti nel nuovo accordo". Jambo, pur riconoscendo che la condivisione di potere delineata dall'accordo non menziona specificatamente i diritti delle donne, fa notare che essa parla dei fondamentali diritti umani e di eguale cittadinanza per donne ed uomini. Per ora, dice, e' abbastanza: "Noi, come donne, non abbiamo intenzione di restare sedute e di lasciar fare al governo quello che vuole. Con l'arrivo della pace vogliamo prendere il nostro giusto posto come cittadine del nostro paese". Le donne costituiscono in Sudan il 60% della popolazione, e l'80% delle produttrici di cibo, ma la guerra ha sbarrato l'accesso all'istruzione per le ragazze e le bambine e le ha messe in situazioni di speciale pericolo. Sebbene non vi siano statistiche attendibili rispetto alla riduzione in schiavita', "Anti-Slavery International", un gruppo di attivisti con base a Londra, stima che 14.000 membri del popolo Dinka nel Sudan del sud, in maggior parte donne e bambini, siano stati rapiti, e che 8.000 di essi si trovino ora nel Kordofan dell'ovest (una regione sudanese), mentre gli altri 6.000 si troverebbero nel Sudan del sud. Gia' all'inizio del 2000, l'Unicef forniva ufficialmente il dato che riportava come fra i 5.000 e i 10.000 bambini sudanesi fossero stati ridotti in schiavitu'. * Quando la fase finale dei dialoghi che hanno portato all'accordo comincio' a Nairobi, nel 2002, alcune donne hanno partecipato ad essi come osservatrici. Awut Deng Acuil, attivista pacifista del Consiglio delle Chiese del Nuovo Sudan, e' una di esse. Acuil e' stata premiata con l'Humanitarian Award, nello stesso anno, da "InterAction", una ong che raggruppa 160 organizzazioni di volontariato. "Siamo state vittime dei rapimenti e della schiavitu' - racconta Acuil -, non siamo mai stati in pace, come paese, sin dai tempi dell'indipendenza. Siamo nate in guerra, cresciute in guerra, e abbiamo messo al mondo i nostri bambini in guerra". Le radici del conflitto nord/sud risalgono alla raggiunta indipendenza del Sudan dalla Gran Bretagna, nel 1959, quando al sud inizio' una ribellione che divenne guerra aperta nel 1983, poiche' gli abitanti del sud vedevano la loro regione cristianizzata come discriminata rispetto alle amministrazioni islamizzate del nord. Ora Acuil, che ha vissuto in esilio durante la guerra, guarda al proprio ritorno a casa come all'inizio di una nuova vita: "Io lavoro per la pace e per i diritti umani. Mi sto chiedendo cosa posso fare per servire la mia gente in questa fase, se dovrei diventare una contadina o un'insegnante o qualsiasi altra cosa". Teresa Modesto, membro dell'Unione Generale delle donne del Sudan, una rete di gruppi di donne con base a Khartoum, si aspetta che con la fine della guerra le donne potranno beneficiare di nuove risorse: "Speriamo di vedere molti sviluppi, ora che la guerra che succhiava via le nostre risorse naturali ed umane e' terminata". Prima della tregua, i gruppi per i diritti umani accusarono il governo di usare i proventi del petrolio per finanziare la guerra. Con il nuovo accordo, le risorse petrolifere dovrebbero venire equamente divise fra governo e ribelli. Ali Osman Taha, un ufficiale di alto rango che ha guidato la squadra di negoziatori governativi, ha chiesto che i fondi precedentemente utilizzati per la guerra siano ora destinati alla salute pubblica e all'istruzione. Con la firma dell'accordo e' previsto l'emendamento della Costituzione sudanese, emendamento necessario alla formazione di un governo di unita' nazionale. C'e' anche chi, come Grace Dotira, una donna membro del Sudan People's Liberation Movement, desidera riconoscimento per il ruolo sostenuto dalle donne nel servire la causa dei ribelli: "Le donne sono state al fronte, al fianco dei loro mariti in guerra. Hanno tenuto insieme le famiglie durante il conflitto. Noi vogliamo che il mondo riconosca il contributo delle donne alla guerra". Dotira ed altri del gruppo dicono che il nuovo governo dovra' intraprendere ulteriori passi per migliorare la situazione delle donne, per assicurarsi che esse vengano rappresentate nel governo, e che le ragazze e le bambine abbiano maggior accesso all'istruzione, alle cure sanitarie ed ai servizi sociali. 3. MATERIALI. ENRICO PEYRETTI (A CURA DI): UNA PICCOLA ANTOLOGIA DI ERNESTO BALDUCCI [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione questo florilegio balducciano da lui amorevolmente curato. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922, ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa (Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo (Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995; un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996; recente e' il libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002; cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l'"uomo inedito", Foncdazione Ernesto Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione Ernesto Balducci: tel. 055599147, e-mail: feb at fol.it, sito: www.fondazionebalducci.it] "Quello che da' qualita' alla nostra coscienza attuale e' un auspicio di questo tempo futuro, una specie di affidamento delle nostre speranze a coloro che verranno. Questo futuro dell'uomo rappresenta un punto di riferimento con cui mi trovo pienamente concorde con tanti che non hanno la mia fede e che non sanno rivolgersi a un futuro assoluto di Dio, che e' quello che oltrepassa la frontiera della morte. Ma il futuro dell'uomo e' gia' un punto di riferimento di valore sacro, dinanzi al quale e' possibile a me inchinarmi in preghiera accanto al fratello non credente che, anche lui, senza volerlo, preparando il futuro di pace, prega e vive la mia stessa speranza". (Pensieri di pace, Cittadella, Assisi 1985) * "Mentre il Dio crocifisso destabilizzo' il mondo (la terra tremo', ma con la terra tremarono tutte le gerarchie terrene ed infernali) il dio metafisico lo stabilizzo', rendendo intangibili le trame di dominio di cui e' fatta la stoffa della storia". (L'uomo planetario, Camunia, Brescia-Milano 1985, p. 31). * "Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo". (L'uomo planetario, Camunia, Brescia-Milano 1985, p. 203). * "Oggi la coscienza comune, ma anche quella addestrata alle analisi, sa che la ragione come facolta' specifica dell'uomo non e' quella istituzionalizzata nella tradizione occidentale al servizio di un progetto di dominio, e' la ragione ancora disseminata nelle molte sapienze del genere umano, anche in quelle che non sono in nessun libro". (Francesco d'Assisi, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1989, p. 176). * "Chi cerca Dio come se fosse un oggetto possibile della mente, non lo trova, perche' gia' si pone in un atteggiamento di dominio (l'uomo soggetto dinanzi a Dio suo oggetto) e, se lo trova, non si tratta di Dio, ma di una finzione della mente che ha lo scopo di legittimare tutte le pretese di domino dell'uomo". (Francesco d'Assisi, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1989, p. 155). * "Il modo di essere della profezia nella storia e' il fallimento, la cui cifra per eccellenza e' la croce di Gesu' Cristo. Mentre nel codice razionale della storia il fallimento e' una sconfitta, nel codice della profezia e' una vittoria: la croce e' Pasqua". (Francesco d'Assisi, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1989, p. 169). * "La storia da' torto ai profeti e, quando sono morti, tenta di reintegrarli in se', canonizzandoli. Ma i profeti continuano a dar torto alla storia e hanno le prove: solo che quelle prove sono riposte nello scrigno del futuro". (Francesco d'Assisi, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 19B9, p. 175). * "E' in questo tessuto indivisibile che ha preso forma, senza lacerazioni, il fenomeno umano: l'onda psichica emersa dalle profondita' della materia si e' ripiegata su di se' e ha brillato la coscienza, punto di interruzione dei processi deterministici, causa non causata, specchio infinitesimo in cui si riflette l'infinito fisico e vi cerca il senso di se'". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, p. 159). * "L'accettazione della propria morte come misura congenita della vita ha per effetto il dissolversi del diaframma di separazione tra l'io individuale e il concerto delle creature e di conseguenza rende possibile l'afflusso nel vuoto interiore del ritmo universale della vita. E' la "perfetta letizia" che dischiude il segreto delle cose e intreccia al nostro linguaggio razionale il linguaggio che lega cosa a cosa in una specie di "grammatica universale". Il "cantico delle creature" (...) e' un'esperienza possibile anche alla coscienza etica come tale, purche' del tutto liberata dal contagio dell'individualismo. L'imperativo di questa etica potrebbe essere questo: "Ama la tua specie come te stesso". (...) La nuova etica e' appunto l'etica che prende a suo fondamento l'interdipendenza tra le cose". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, pp. 168 e 170). * "E' un privilegio potersi aprire alla inquietante novita' che viene, senza per questo togliere l'ancora dai valori perenni". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, p. 9). * "Ma puo' l'uomo mutare? Diventare artefice della propria genesi? Lo puo', perche' se, liberandoci dal concetto di natura umana come di un modello statico, osserviamo la storia della specie sull'intero asse evolutivo, vediamo che il cambiamento e' la sua vera legge naturale". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, p. 37). * "La nostra si chiama civilta' della comunicazione ma in realta' e' la civilta' della trasmissione. Solo la poesia, quando c'e', viene a interrompere le trame delle parole e delle immagini che chiedono da noi non l'interazione creativa ma il consumo passivo. Allora le parole immerse nella tensione dell'uomo inedito che aspira a un mondo misurato su di se' perdono la loro inerte disponibilita' all'uso e si caricano di un senso segreto (di "indefinito", diceva Leopardi) che ci trascina, se abbiamo orecchie e abbiamo occhi, in quella patria dell'essere di cui l'uomo inedito conserva la nostalgia, o, per meglio dire, la speranza". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, p. 57). * "La parabola entropica e' la cornice inesorabile della nostra finitezza. E tuttavia l'amore agisce in senso antientropico in quanto si fa premura di integrarsi, senza violenza, nel ritmo universale della vita con la disposizione ad anteporlo a ogni vantaggio personale, in vigile solidarieta' con tutti gli altri esseri viventi". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, p. 167). * "L'organo della nuova religione naturale, destinata ad accomunare gli uomini di ogni credenza, e', per usare una bella espressione di Gandhi, la 'piccola silenziosa voce della coscienza'". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, p. 175). * "L'unica risposta all'altezza del tempo e', per le religioni, il recupero dell'intuizione originaria al di la' dei simboli in cui ciascuna di esse si e' espressa, al di la' del linguaggio culturale in cui si e' codificata. (...) Il senso delle religioni e' il servizio all'uomo nella sua dimensione di trascendimento perenne fino al contatto con Dio, fino a quel disvelamento che aprira' definitivamente l'uomo a Dio e Dio all'uomo. Non ci sono, dunque, religioni false. Ognuna di esse attinge alle risorse dell'uomo nascosto assumendo come centrale una sua possibilita' e rendendola praticabile pur dentro i sentieri provvisori di una cultura. Quando i sentieri restano interrotti perche' la cultura entra in dissoluzione, il compito di una religione e' di reimmergersi in quella intuizione che la fece nascere e riproporla al di fuori di ogni condizionamento, in vista della totalita' umana. Liberandosi da una simbologia che appartiene a un'altra eta' evolutiva, essa dovra' crearsi un nuovo linguaggio simbolico che abbia l'eta' dell'uomo e sia in grado di additare lo stesso orizzonte di pienezza. Insomma, per vivere, le religioni devono morire". (La terra del tramonto, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1992, pp. 134-135). * "Due sono le ragioni che hanno provocato il martirio di Gandhi: il suo rifiuto dell'antagonismo tra le religioni e il suo rifiuto della violenza come strumento di giustizia". (Gandhi, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1988, p. 5). * "'Se tu fai questo io ti uccido', ha proclamato da sempre la cultura di guerra che ha fatto la grandezza dell'Occidente. 'Se fai questo sono io che muoio', insegnarono gli antichi saggi dell'Oriente da cui Gandhi ha derivato la sua 'verita''. Farsi carico della violenza del nemico soffrendone, se necessario, fino alla morte, non e' piu' un principio riservato ai mistici, e' il principio su cui costruire l'unica civilta' autenticamente umana: ecco la pretesa di Gandhi". (Gandhi, Edizioni cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1988, p. 157). * "Per liberare la speranza dai dualismi che la isteriliscono (...) sono necessari tre "postulati": il postulato della trascendenza: il possibile fa parte del reale; il postulato profetico: agire nel presente a partire dalla fine; il postu1ato escatologico, quello della resurrezione. E' proprio questa la rivoluzione avvenuta oggi nella vita di fede". ("Rocca", primo agosto 1991, p. 17). 4. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE SESTA) [Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003] Gli ebrei d'Occidente di fronte al Reich Nella primavera del 1940 la macchina bellica tedesca si rimette in moto nell'Europa settentrionale e sul fronte occidentale. In aprile cadono la Danimarca e la Norvegia. In maggio e' la volta del Belgio, dell'Olanda e del Lussemburgo, che i tedeschi invadono e occupano per attirare verso il nord le forze anglo-francesi che difendono la linea Maginot, e chiuderle in una sacca mediante un'enorme manovra a tenaglia. Tra il 29 maggio e il 4 giugno, 350.000 militari inglesi e francesi in ritirata riescono, abbandonando ingenti quantita' di materiale bellico, a imbarcarsi a Dunkerque. La Francia, attaccata militarmente anche dagli italiani (10 giugno), si avvia ad arrendersi. Niente sembra resistere al rullo compressore dell'esercito di Hitler. Niente a eccezione dell'Inghilterra, che pure dista poche miglia dalle coste di quell'Europa che ormai e' quasi tutta dominata o controllata dalle armate naziste. Queste completeranno l'opera di conquista occupando nella prima meta' del 1941 anche la Bulgaria e, assieme agli italiani, la Jugoslavia e la Grecia. * In Norvegia e in Olanda i sovrani spodestati fanno salva la loro legittimita' rifugiandosi in Gran Bretagna con i rispettivi governi. Mentre il Lussemburgo e' annesso direttamente alla Grande Germania, l'Olanda viene affidata al governo del Reichskommisar Arthur Seyss-Inquart. In questo paese il destino della numerosa collettivita' ebraica sara', fra tutte le comunita' dell'Europa occidentale, il piu' denso di tragedia. Nonostante le molte manifestazioni di coraggiosa solidarieta' da parte della popolazione, che si oppone attivamente all'occupazione nazista e alla deportazione degli ebrei, 115.000 uomini, donne e bambini (pari ai due terzi dell'intera collettivita' ebraica olandese) finiranno ad Auschwitz, Sobibor e Theresienstadt. I sopravvissuti saranno 1.070. * In Danimarca il re Cristiano X (1870-1942) rimane al suo posto e cerca, pure spogliato d'ogni potere, di organizzare la protezione della popolazione, soprattutto dei cittadini "di razza ebraica": una collettivita' di circa 6.500 persone, comprendente anche i 1.350 ebrei tedeschi che, nel corso degli anni Trenta, in Danimarca hanno trovato rifugio. A tutta prima le forze germaniche che occupano il paese accordano al monarca, al governo, ai tribunali ed allo stesso parlamento un sorprendente margine di liberta'. Per un certo tempo, nemmeno gli ebrei subiscono molestie. Ma con il passare degli anni i danesi si rendono conto che con i brutali invasori ogni forma di collaborazione, anche gelida, e' impraticabile. Nel paese prende corpo la consapevolezza che, dopo tutto, la Germania non potra' vincere la guerra e che la piccola Danimarca non e' inesorabilmente condannata a divenire uno Stato vassallo nel quadro del "Nuovo Ordine" hitleriano. Durante l'estate del 1943 i danesi danno vita alla resistenza. Le autorita' germaniche promulgano la legge marziale, nel cui contesto progettano di deportare in Polonia l'intera comunita' ebraica. Si tratta pero' di una misura che la popolazione danese ostacola con ogni mezzo. Dal pulpito, numerosi esponenti delle chiese evangeliche incoraggiano i fedeli ad aiutare gli ebrei. Le universita' dell'intero paese vengono chiuse per consentire agli studenti di prendere parte alle operazioni di soccorso. Secondo i piani dei nazisti, l'arresto e la deportazione degli ebrei dovrebbe avere luogo nella notte tra l'1 e il 2 ottobre 1943. Preavvisati e consapevoli di poter contare su una collaborazione vasta e capillare da parte della popolazione, i funzionari e i massimi responsabili dell'amministrazione civile di Copenhagen procurano agli ebrei nascondigli sicuri e organizzano un'operazione di salvataggio fra le piu' straordinarie mai registrate nel corso della storia. Mobilitata l'intera flotta dei pescherecci danesi per consentire agli ebrei di raggiungere le coste della neutrale Svezia, in meno di un mese riescono a traghettare al di la' del Sund 5.919 "ebrei completi", 1.301 "ebrei-per-meta'" o "per-un-quarto" e 686 non-ebrei legati a ebrei da matrimonio. Nel corso della retata messa in atto tra l'1 e il 2 ottobre, i tedeschi riescono a mettere le mani soltanto su 477 ebrei. Si tratta per la maggior parte di anziani che, troppo deboli per affrontare la traversata via mare, vengono trasportati dopo la cattura a Theresienstadt, in Boemia. Gli ebrei messi in salvo al di la' del mare dai loro concittadini danesi vivranno in Svezia indisturbati, cosi' come altri tremila rifugiati che hanno raggiunto la Svezia prima dello scoppio della guerra, dalla Germania, dall'Austria e dalla Cecoslovacchia. * In Belgio il re Leopoldo III (1901-1983) si arrende e viene fatto prigioniero in qualita' di capo dell'esercito, mentre il governo legale si trasferisce a Londra. Nel giro di quattro anni, la comunita' degli ebrei residenti nel paese (circa 52.000 persone), sottoposta a una serie impressionante di retate e deportazioni, subira' perdite pesantissime. Il trasporto di ebrei ad Auschwitz continuera' anche quando gli Alleati, sbarcati in Normandia il 6 giugno 1944, staranno avanzando verso le frontiere belghe. Entro il 31 luglio 1944 - data di partenza dal campo di Malines dell'ultimo convoglio di ebrei - ben trentuno treni avranno lasciato il Belgio alla volta della Polonia. Alla fine della guerra, le comunita' ebraiche belghe constateranno d'avere perso con la deportazione oltre 25.000 persone, cioe' circa la meta' dei propri membri. * Particolarissimo e' il caso della Francia, dove il governo di Paul Reynaud (1878-1966), dimissionario, viene sostituito da un ministero presieduto dal reazionario e clericale maresciallo Henri-Philippe Petain (1856-1951) con l'incarico di chiedere a tedeschi e italiani l'armistizio, che entra in vigore il 25 giugno 1940. Nella maggior parte del territorio francese i tedeschi impongono un regime di occupazione. Nella parte rimanente, a sud della Loira, si insedia una forma autoritaria di governo di estrema destra, con sede a Vichy. Petain, quale capo dello Stato, chiama alla guida dell'esecutivo Pierre Laval (1883-1945); cosicche', nel contesto di un'Europa sottomessa al giogo della Germania nazista, la Francia e' l'unico grande paese che goda del privilegio di mantenere uno Stato sovrano, con un governo legale che legifera in suo nome. Una fortuna che non tardera' a trasformarsi in disonore. Per quanto concerne gli ebrei, per esempio, il governo di Vichy adotta fin dall'inizio (estate 1940) una serie di misure che rivelano una disposizione a sottomettersi, un desiderio di subalternita' nei confronti del vincitore germanico che vanno ben al di la' delle attese degli stessi tedeschi. Nel momento del tracollo di fronte ai nazisti, in Francia gli ebrei costituiscono un insieme piuttosto composito di circa 270.000 persone, nel quale, accanto a un nucleo di ebrei che hanno ricevuto la cittadinanza sin dai tempi della Costituente, nel 1791 (patrioti e amanti dell'ordine, per lo piu' integrati nella borghesia francese e nella sua cultura), vi e' un secondo numeroso gruppo, quello degli "stranieri": immigrati dall'Europa orientale, in grande maggioranza originari dalla Polonia e dalla Russia, di lingua yiddish e talvolta, non sempre, di cultura propriamente ebraica. Questo secondo gruppo aveva fornito, nella Francia tra le due guerre, il nerbo del proletariato ebraico, coinvolto molto attivamente nella vita politica con una marcata propensione per le tendenze di sinistra. Da subito e con grande cinismo, il governo di Vichy si da' a opporre gli uni agli altri, "francesi" e "stranieri". Senza la minima sollecitazione da parte tedesca, sin dal 22 luglio 1940 il guardasigilli Raphael Alibert sottopone a revisione tutte le naturalizzazioni intervenute dopo la legge del 1927. Il 27 settembre il governo decide di rinchiudere in campi di internamento amministrativo tutti i maschi "stranieri" dai 18 ai 55 anni "in sovrannumero nell'economia nazionale". Con una strana fretta, che nulla e nessuno impone, il 27 agosto viene abrogata la legge antirazzista del 1939 che penalizzava gli eccessi antisemiti sulla stampa. E lo stesso Petain fin dal 3 ottobre, quando non c'e' ancora stata alcuna richiesta da parte dei tedeschi, vara lo statuto degli ebrei che ben presto consentira' di spedire migliaia di francesi, ma soprattutto di "stranieri", ai forni crematori dei campi della morte. "Nessuno puo contestare", commenta autorevolmente Robert O. Paxton, "che le prime misure antiebraiche del 1940 sono state una iniziativa puramente francese, e che e' stata Vichy stessa, nel 1942, a insistere per cooperare alle deportazioni degli ebrei stranieri verso Est". Prima della fine della guerra saranno 76.000 gli ebrei deportati dalla Francia, dei quali ben due terzi saranno "stranieri". In questo macabro conteggio vanno annoverati piu' di diecimila tra bambini e ragazzi: 1.900 d'eta' inferiore ai 6 anni, 4.200 tra i 6 e i 12 anni e altrettanti tra i 13 e i 17 anni. I sopravvissuti saranno meno di duemila. Molte delle vittime transiteranno da Drancy, a nord-est di Parigi, che in ogni caso non e' l'unico centro di deportazione istituito sul suolo francese: Vichy allestira' infatti diversi campi nel Midi, ossia in zona non occupata dai tedeschi, nei quali oltre tremila ebrei troveranno la morte. * Nel dare la caccia all'ebreo in terra di Francia e fornire ai nazisti i predestinati allo sterminio, il concorso dato dalle autorita' di Vichy, in particolare nelle persone di Petain, Laval e Xavier Vallat, primo commissario generale alle "Questions juives", avra' un'importanza determinante: sia per assicurare l'isolamento degli ebrei in seno alla popolazione francese attraverso il censimento, il numerus clausus e altre operazioni preliminari, sia per sollevare i tedeschi dal peso delle retate, che verranno condotte dalla polizia francese (ordinaria e politica) non solo nella zona libera, ma anche in quella occupata. Xavier Vallat, l'ultrasciovinista chiamato a occuparsi degli Affari ebraici, era un grande invalido della prima guerra mondiale. Negli anni tra le due guerre, si era messo in evidenza nelle organizzazioni degli ex combattenti di estrema destra e nella Federation nationale catholique del generale Curieres de Castelnau, e non aveva mai nascosto il suo antisemitismo. Quando Leon Blum divenne presidente del Consiglio del Fronte popolare, nel giugno 1936, Vallat era insorto per far rilevare che "questo momento storico" era il primo in cui "questo vecchio paese gallico-romano" sarebbe stato governato da un "sottile talmudista". Il suo sciovinismo era tale da infastidire persino le autorita' occupanti germaniche. In un'occasione ritenne di avvertire un ufficiale delle SS con il quale si intratteneva: "Io sono un antisemita piu' vecchio di voi. Potrei essere vostro padre in questa materia". Un crimine di matrice francese che non puo' essere dimenticato in questo contesto e' il famigerato rastrellamento di tredicimila ebrei che la polizia parigina rinchiude nel Velodromo d'inverno il 16 luglio 1942, affinche' vengano poi deportati nei campi di sterminio tedeschi. Altrettanto degna di memoria e' la responsabilita' personale di un alto funzionario come Maurice Papon - che ai tempi di Vichy era segretario generale della prefettura della Gironda, e quindi gestiva a Bordeaux anche le "Questions juives" - nella deportazione di 1.690 ebrei, tra cui oltre 200 bambini. E', quello di Papon, un caso davvero straordinario (ma non unico in Francia) di collaborazionista che, dopo la Liberazione, riesce in modo misterioso a farsi scagionare e a far dimenticare i propri crimini, riproponendosi per vari decenni come grand commis de l'Etat: prefetto della polizia di Parigi sotto de Gaulle dal 1958 al 1967 - e responsabile in tale veste dell'uccisione, da parte delle forze dell'ordine, di oltre duecento algerini residenti nella capitale -, deputato e poi addirittura ministro del Bilancio tra il 1978 e l'81, durante il settennio di Giscard d'Estaing. Protetto per decenni dall'intera classe politica francese, molto reticente nel confrontarsi con le nefandezze del regime collaborazionista di Petain, Papon comparira' soltanto nel 1997 dinanzi a una Corte d'Assise, accusato di crimini contro l'umanita'. Al termine di un processo clamoroso protrattosi per novanta udienze, verra' condannato il 2 aprile 1998 a dieci anni di prigione: una pena alla quale l'ex ufficiale-burocrate del regime di Vichy, ormai quasi novantenne, tentera' di sottrarsi fuggendo in Svizzera (ottobre 1999). Acciuffato e riconsegnato alle autorita' francesi, Papon subira' l'estrema delusione di vedersi respinta, nel marzo 2000, la domanda di grazia rivolta al presidente Jacques Chirac. * Nel periodo 1940-1943, per le autorita' germaniche la collaborazione con le forze francesi di polizia sara' persino piu' facile di quella stabilita con i comandi del Regio Esercito italiano che, a partire dal novembre 1942, presidiano una decina di dipartimenti della Francia meridionale, nominalmente sotto la sovranita' del governo di Vichy. In questa zona, prima dell'armistizio del 1940, la presenza di ebrei non superava le 15-20.000 unita'. Ma il loro numero aumenta considerevolmente subito dopo, quando nel sud della Francia si riversano parecchie decine di migliaia di profughi provenienti dalle zone occupate dai tedeschi in Francia, Olanda e Belgio. Le iniziative del Regio Esercito per mettere in salvo interi gruppi di ebrei sono significative e numerose, al punto da provocare un'aperta rottura con il prefetto di polizia francese del dipartimento delle Alpi Marittime, un funzionario ferocemente antisemita e filonazista, e cagionare interventi durissimi dei tedeschi che si vedono sottrarre dai soldati italiani le "unita'" destinate alla deportazione. Si calcola che prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943, nelle regioni occupate o amministrate dagli italiani (non solo in Francia, ma anche in Tunisia, in Grecia e in Dalmazia), vengano consapevolmente salvati oltre 50.000 ebrei, sfidando gli ordini dei tedeschi e dello stesso Benito Mussolini. E' una politica pianificata e messa in atto dai comandi dell'Esercito e concordata con alcuni dei dirigenti piu' influenti del ministero degli Esteri, a seguito dei rapporti sull'eccidio degli ebrei in Polonia giunti a Roma sin dall'autunno 1941. L'uomo chiave della strategia italiana a favore degli ebrei e' il conte Luca Pietromarchi. Si deve a lui, in quanto responsabile dell'ufficio destinato a trattare le relazioni con i territori occupati, la messa in atto, in collaborazione con il generale Mario Roatta (1887-1968), comandante della Seconda Armata in Slovenia e Dalmazia, di tutti i possibili cavilli burocratico-amministrativi che consentano di "insabbiare" gli ordini di consegnare gli ebrei alle truppe tedesche, che lo stesso Mussolini va impartendo. * Una vicenda parallela e molto simile a questa vede come protagonista Dimitur Peshev, vicepresidente del parlamento bulgaro, che con astuzia ed energia riesce, praticamente da solo, a inceppare dall'interno, nel marzo 1943, la macchina burocratica della deportazione e dello sterminio, opponendosi alla decisione del re Boris III (1894-1943) di consegnare gli ebrei bulgari ai tedeschi. Tant'e' che la Bulgaria, assieme alla Danimarca, e' l'unico Stato sotto occupazione militare nazista in cui quasi tutti gli ebrei (ve ne sono poco meno di cinquantamila) scampano alla persecuzione. Originario di Kjustendil, una cittadina dove ebrei e bulgari avevano vissuto in stretti rapporti per generazioni, Peshev "puo' essere considerato l'anti-Eichmann per eccellenza (...). Egli infatti ha dimostrato che anche nelle condizioni estreme in cui la coscienza umana e' offuscata da un conformismo generale, perche' 'leggi, usi e costumi morali non hanno piu' forza vincolante'; anche all'interno di un gruppo dirigente che ha accettato per ragioni 'irredentistiche' la logica nazista sugli ebrei; anche all'interno di un sistema burocratico che ha acconsentito allo sterminio e lo gestisce tecnicamente senza porsi domande; anche in una situazione in cui un altissimo funzionario e' tenuto a rispettare la logica degli ordini e la disciplina, e' possibile riconoscere il male e opporvisi. Alla fine e' sempre la persona umana che puo' decidere moralmente, anche in un contesto dove l'immoralita' e' diventata la norma generale". 5. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: SMOG [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] Alcuni amici mi informano di altri che, in alcune citta' del Nord, hanno subito in questi ultimi giorni furti nelle loro case. Telefono a un'amica sessantenne che abita da sola nel suo modesto appartamento frutto di anni di mutuo, perche' i ladri le sono entrati in casa nei due giorni di assenza nel periodo di Natale. E' ancora sconvolta e mi dice di non essere piu' sicura in casa sua. Anzi, di avvertire un generale senso di insicurezza. Puo' darsi che questo sentirsi quasi estranea e profondamente insicura in casa sua la porti a uno stato depressivo strisciante e perfino all'uso di psicofarmaci. Sto descrivendo un esempio di cio' che spesso si legge: e' aumentata la depressione ed e' aumentato il ricorso ai farmaci. La mia amica si ricorda certamente di quando al Nord le nostre case avevano porte leggere, tapparelle di plastica e niente inferriate alle finestre. Di quando i furti nelle case, rari, avvenivano nelle ville di lusso. Il suo dire esprime bene uno stato assai diffuso di insicurezza permanente dentro e fuori delle case. Per le persone anziane molto piu' pesante che per quelle giovani. * E' ormai una condizione, questa insicurezza dentro e fuori la casa, che caratterizza la vita quotidiana nella postmodernita' anche nei Paesi ricchi dell'occidente. Se da una parte la possibilita' dilatata di realizzare il desiderio, di soddisfare i bisogni anche superflui resta appannaggio degli individui dei Paesi opulenti e conferisce un senso aggiuntivo di semionnipotenza, dall'altra i rischi che contornano ora il vivere quotidiano mettono in scena una maggiore, rispetto al recente passato, insicurezza costante nei riguardi del futuro. Non ci sono piu' rifugi sicuri se non quello degli affetti. Non e' possibile neppure piu' fare l'investimento e l'abbandono nelle mani dei politici che, come padri e madri amorevoli, pensavano ai figli cittadini nella grande casa comune della nazione. Non ci si fida piu' di tanto perche' si conosce in fondo il proprio egoismo, o individualismo, ben alimentato dalla sollecitazione al diritto alla felicita' individuale. Loro, i politici, sono lo specchio di come siamo noi, i semplici cittadini della societa' globale nella modernita' liquida (Bauman). * In questi ultimi giorni si aggiunge l'allarme smog. Il cittadino, insicuro nella propria casa, esce sulla strada e, non potendo non respirare, prova l'angoscia dell'impossibilita' di difendersi. Dai veleni che introduce nei polmoni. Come sosteneva tanti anni fa l'antropologa Agnes Heller, l'aria e l'acqua fanno parte dei bisogni radicali, ovvero quei bisogni naturali di cui nessuno puo' fare a meno e che, quindi, dovrebbero essere tutelati. Da chi? La qualita' dell'aria che respiriamo e dell'acqua che beviamo avrebbe dovuto essere tutelata dai politici. Una volta si diceva: "usciamo all'aria aperta a fare una passeggiata". E' una semplice frase che in molte citta' d'Italia (anzi moltissime) e' ormai priva di senso. L'aria e' piena di veleni, a partire dalle famigerate polveri sottili. Ma i politici che ci hanno governato non sono stati capaci di programmare la vita delle citta' in modo da evitare che, per esempio, una tecnologia come l'auto divenisse quasi l'unico mezzo di trasporto. Era impossibile? Perche' non sono state finanziate ricerche alternative all'uso, per esempio, della benzina? E ora che si corre ai ripari con misure aleatorie come le targhe alterne e le domeniche chiuse al traffico la situazione e' destinata a peggiorare anche a causa dei tagli che le leggi finanziarie recano alle finanze locali, impedendo, tra l'altro, l'investimento in mezzi di trasporto pubblici non inquinanti. * Ma la sensazione collettiva di una situazione cosi' pericolosa per la salute pubblica, non diventa facilmente consapevolezza politica: viene rimossa facilmente perche' prevale l'individualismo come ideale implicito ben evidente nei giovani che appena hanno l'eta' per farlo corrono a prendere la patente. L'insicurezza cosciente allora prende solo la forma che le conferisce la situazione dell'aumento dei furti nelle case e degli scippi, e il "Nemico da combattere" diventa l'emigrato ritenuto la causa primaria e unica. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 811 del 16 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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