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La nonviolenza e' in cammino. 788
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 788
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 24 Dec 2004 00:27:27 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 788 del 24 dicembre 2004 Sommario di questo numero: 1. Jan Oberg: Perche' Bush ha vinto? Paurologia e mancanza di alternative 2. Lea Melandri: Quando l'inconscio e' reazionario 3. Peppe Sini: Alcune note a proposito di "Pagine di storia della Polizia italiana" di Pasquale Marchetto e Antonio Mazzei 4. Arundhati Roy: Le organizzazioni umanitarie e i pericoli della dipendenza 5. Luca Kocci: Introduzione a "Guerra e mondo. Annuario geopolitico della pace 2004" 6. Edith Stein: L'estate e la pace 7. Simone Weil: La porta chiusa 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. JAN OBERG. PERCHE' BUSH HA VINTO? PAUROLOGIA E MANCANZA DI ALTERNATIVE [Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi at tin.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione di questo testo di Jan Oberg estratto dal notiziario della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: TFF; sito: www.transnational.org) che ne detiene i diritti di copia. Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale. Jan Oberg (per contatti: oberg at transnational.org), danese, nato nel 1951, illustre cattedratico universitario, e' uno dei piu' importanti peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della nonviolenza in cammino. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power. Al di la' del linguaggio in alcuni punti forse eccessivamente brillante l'analisi qui condotta ci sembra assai utile ed adeguata a promuovere una riflessione che molte persone amiche della nonviolenza avvertono da tempo come necessaria e urgente] Ci sono buone ragioni per cui Bush ha vinto. Circa due terzi dell'America - circa il 60% dell'elettorato abilitato al voto - ha votato, e circa la meta' di loro ha votato per Bush. E ora il resto di noi deve vivere con gli effetti globali accumulati dei primi quattro anni e per altri quattro lunghi anni della stessa roba, e probabilmente ancora peggiore. Poiche' nel mondo di George Bush il mandato divino proveniente dall'alto e' stato ora confermato dal mandato del popolo americano proveniente dal basso. Cosi' c'e' una specie di trinita' composta da Dio, da Bush e dai credenti americani. Disgraziatamente nessuna delle sue politiche, tranne quelle messe in opera per la sua rielezione, ha mostrato di funzionare, ma cio' non sembra preoccupare affatto ne' Bush ne' i suoi seguaci. Possiamo almeno sperare che Dio provi una qualche specie di senso di colpa per l'associazione che gli viene attribuita? * Paurologite acuta La ragione principale per cui Bush ha vinto e' la paurologia, la costruzione della politica sulla manipolazione della paura e il bisogno di protezione nel proprio interesse. Dal punto di vista della psicologia di massa George W. Bush aveva il programma piu' attraente: "Sono il solo che vi possa assicurare protezione contro i mali del mondo esterno". Da quando, in seguito ai fatti dell'11 settembre, Bush ha dato inizio alla mal diretta e gia' fallita "guerra contro il terrore", il profondo serbatoio della sua riuscita e' la sindrome della "paurologia" condita con miti escatologici e con l'idea della propria elezione. Bush era il presidente eletto da Dio, l'America era il paese eletto da Dio, e i repubblicani erano il partito eletto da Dio. Ed eccoci di fronte a un'altra trinita'. Chiunque cerchi di spiegare l'amministrazione Bush con le normali teorie che si possono leggere sui manuali di scienza politica si lascera' sfuggire gran parte di cio' di cui questa paurologia si alimenta e della direzione in cui, di conseguenza, noi ci stiamo muovendo. La paurologia ha funzionato: prima c'e' stato un attacco manifesto diretto contro gli Stati Uniti che ha provveduto a Bush (che ne aveva presumibilmente un grande bisogno) un destino personale manifesto: combattere l'"Asse del Male", sradicare il male dappertutto, creare il paradiso sulla terra, e diventare cosi' il Protettore del suo popolo. A dispetto di tutti i fiaschi evidenti (vedi il pezzo di Craig Aaron pubblicato su TFF) la maggioranza (anche se molto esigua) dei cittadini americani hanno mostrato ora di credere in lui e di aspettare di essere protetti da lui; ora c'e' un contratto (fra Bush e il suo popolo) che non esisteva nel 2000. Nessun nuovo disastro paragonabile all'11 settembre ha avuto luogo da allora negli Stati Uniti, per cui il protettore ha un punto a suo vantaggio, che esso si possa ascrivere o meno a merito della sua amministrazione e delle sue politiche. Il resto e' molto semplice, ma ha bisogno di una visione audace e di strategie e tattiche intelligenti per essere eseguito e portato avanti: dovete dire al vostro popolo che esso versa in un pericolo mortale, e se in effetti cio' non corrisponde alla realta', potete creare quel pericolo o un'immagine attenuata di esso. La cortina di fumo non funzionerebbe senza il fuoco, il fuoco che era rappresentato dall'11 settembre. Poi scegliete di fare i conti con quell'attacco in modo che esso generi scetticismo nella maggior parte degli amici, odio fra i nemici, una produzione di massa di terroristi e un senso di legittimita' decrescente agli occhi degli altri. Questa e' una politica "paurologica" molto efficace, dal momento che accresce, ad un tempo, il sentimento di paura degli elettori e quello di essere soli e incompresi dagli altri. Il video cosi' vistosamente tempestivo di Osama Bin Laden a sostegno del presidente Bush e' stato il prodotto cerebrale del manipolatore piu' dotato, di chiunque si sia trattato. Posto che sia stato lo stesso Bin Laden, egli puo' aspettarsi di vivere in futuro anche dopo questo episodio. "Se mi lasciate sopravvivere, vi aiutero' a mia volta a sopravvivere...". La protezione non e' del genere difensivo, curativo o preventivo. E' tutta esteriore ed aggressiva. Non c'e' metro quadrato in nessun luogo della terra dove ci si possa rilassare o sentirsi al sicuro. Il mondo e' pericoloso, i terroristi sono in agguato dietro ogni angolo di strada. E se questo non basta, noi procediamo nel nostro programma di difesa contro i missili balistici per difendere l'America se qualcuno dovesse, in qualsiasi modo, penetrare nel nostro spazio interno. Il BMD (programma di difesa contro i missili balistici) mira ad accrescere la capacita' di combattere una guerra nucleare; e, cosi' facendo, alimenta la (folle) percezione che si possa sopravvivere a o trarre vantaggi da una guerra nucleare; ma questo sospetto non si e' affacciato alla mente degli americani, e, sia detto fra parentesi, neppure a quella di molti europei. L'ignoranza intorno alle questioni complesse e a volte addirittura filosofiche della sicurezza e' ampiamente diffusa. La paurologia ha la sua propria logica; dovete provocare la gente continuamente e dappertutto per accrescere questa minaccia autocostruita. Il vostro potere sparirebbe se nessuno avesse paura o non pensasse di aver bisogno della vostra protezione. Se mutaste dalle fondamenta la politica estera degli Stati Uniti e faceste in modo che la gente vi amasse e vi ammirasse dappertutto, perdereste subito il vostro posto in ufficio! Perche'? Perche' non avete nulla di originale e di costruttivo da offrire al vostro prossimo, ma solo la protezione dai cattivoni. * Tana (Non ci sono alternative!) Questa e' la seconda ragione: la totale mancanza di programmi alternativi, coerenti e costruttivi, alla politica estera di George W. Bush. Non dovrebbe essere cosi' difficile da vedere che gli Stati Uniti sono molto vicini ad essere un sistema monopartitico con due frazioni distinte, e che le politiche di John Kerry sulle questioni del terrorismo e del pantano iracheno - e anche su tutto il resto - si potevano distinguere difficilmente, nella sostanza, da quelle di Bush. La differenza principale potrebbe consistere nella personalita'. Kerry ha sperimentato l'insensatezza, la crudelta' e l'assurdita' della guerra (represse, tuttavia, come si puo' pensare, ai fini della carriera), e sembra avere relazioni meno problematiche col passato, con Dio e con svariati fondamentalismi. Egli e' probabilmente anche meno autistico, dal punto di vista politico, di quanto non lo sia Bush. Comunque stiano le cose, a questo punto, egli si presenta solo come una varieta' piu' "intellettuale" di imperialista e di militarista, con una visione un po' meno unilaterale e (auto)isolazionista della funzione del suo paese nel mondo. Comunque, se fosse diventato presidente, Kerry avrebbe potuto assumere Richard Holbrooke come segretario di stato e Wesley Clarke come segretario alla difesa; col loro trattamento disastroso dei problemi della Jugoslavia e del Kossovo di cinque anni fa, sotto la presidenza Clinton, sarebbe ingenuo pensare che il militarismo e l'imperialismo siano soltanto una malattia repubblicana (e cioe' del GOP). Entrambi i partiti scelgono l'opzione antagonistica dell'Impero piuttosto che quella della cooperazione democratica. In una prospettiva appena un po' piu' lunga, cio' potrebbe segnare la fine dell'impero americano. Ma chi si preoccupa delle prospettive a lunga scadenza (diciamo 15 o 20 anni) nella politica odierna? Per dirla schietta, e in modo un po' brutale, gli americani hanno potuto votare, ma non avevano effettivamente una scelta. Questa distinzione e' vitale in un'epoca caratterizzata da un autoritarismo crescente. La democrazia dipende da una possibilita' di scelta, e non solo dal fatto che si voti. Inoltre, non si puo' fare a meno di contestare ogni concetto di democrazia di cui si faccia uso a proposito di un sistema che preclude a chiunque non possieda centinaia di milioni di dollari la possibilita' di diventare il leader di tutto il paese. La societa' civile - gli amanti della pace, della giustizia, dell'equilibrio ecologico, della liberta' - possono ora decidere di continuare a limitarsi a parlare negativamente di George W. Bush, e a promuovere gli slogan - tradizionali al limite della noia - con cui si dichiara di essere contro la guerra e contro l'imperialismo, e ad essere critici e contrari nei confronti di ogni nuova piece di politica interna o di intervento militare del governo Bush in altri paesi. Dobbiamo farlo, ovviamente, ma non sara' abbastanza. Se queste elezioni dimostrano qualcosa, e' che una strategia che si basi sulla sola critica e' troppo facile e non rappresenta una sfida reale al sistema. L'incapacita' di fermare un presidente le cui politiche hanno creato un caos cosi' estremo e prevedibile come quelli causati in Afghanistan e nell'Iraq solleva, infatti, la questione: in che cosa abbiamo sbagliato? Ora George Bush e' stato rieletto dopo avere tuffato non solo l'America, ma il mondo in una serie di guerre sbagliate e senza avere ottenuto assolutamente nulla fuorche' la distruzione fisica e culturale di un paese e la morte di 100.000 iracheni - in aggiunta al genocidio causato dalle sanzioni e appoggiato dall'amministrazione Clinton anche dopo che l'Iraq era stato disarmato, e che ha ucciso fra 500.000 e un milione di iracheni innocenti e l'intera borghesia del paese. Ma "noi" ci siamo liberati di Saddam! Benone, ma si tratta di un argomento sbagliato. Dal momento che non sono stati mai saggiati altri mezzi che non fossero la guerra, come si puo' dire che la guerra fosse il solo modo di rovesciarlo? E fino a quale prezzo ci possiamo spingere, da un punto di vista morale, nella pretesa di farlo pagare ad altri in cambio della nostra democratizzazione, della nostra liberta' - e delle forniture di petrolio e dei profitti che ne ricaviamo? * Essere contro non basta. La necessita' di programmi costruttivi Ma e' proprio qui che si nasconde il problema (o, come si dice, il busillis) della resistenza globale, che e' "contro" e "anti", ma ha ben poco di cio' su cui Gandhi insisteva continuamente, e cioe' della presenza di programmi costruttivi. I milioni di marciatori - come i governi di Germania e di Francia - nei primi mesi dell'anno scorso avevano ben poco da dire che potesse suonare come una risposta alla domanda perfettamente legittima: se non la guerra all'Iraq, allora che cosa? Se non soffiare il petrolio a qualcun altro, allora che cosa? Se non usare una violenza massiccia su scala globale contro il terrore, allora come fare per combatterlo? Se Saddam e' il prodotto del commercio mondiale delle armi, allora come fare per bloccarlo? Di quale specie di educazione e di media abbiamo bisogno per fare si' che la gente sia interessata alla pace invece che ai suoi computer, all'entertainment, alla Coca Cola - e, per finire, alla violenza? Se la guerra e' "il solo progetto disponibile sulla piazza", e' certo che ci sara' la guerra; nella maggior parte delle situazioni difficili restare con le mani in mano non rappresenta un'alternativa. D'accordo, e' piu' facile combattere un nemico comune stando insieme, e George W. Bush, la politica estera americana e tutto cio' che essa persegue, sono un nemico agli occhi di milioni. Ma questi milioni non sono stati capaci, per quanto legittima fosse la lotta, di sviluppare nulla di simile ad una visione alternativa del modo in cui le cose si potrebbero fare diversamente. Si potrebbero fare? Si', con la nonviolenza, con l'"ahimsa" e il "satyagraha" gandhiani, attraverso tutto l'arsenale della pace con mezzi pacifici che e' esposto nella Carta delle Nazioni Unite. Tutta l'energia si e' rivolta ai modi in cui "combattere Bush" piuttosto che al modo in cui sviluppare un nuovo paradigma e nuove strategie d'azione. Cosi' Bush ha avuto la possibilita' di porre l'agenda a cui i piu' si sono limitati a reagire. Ma la democrazia consiste nel fatto che siano i cittadini a porre l'agenda, "pro-attivamente", se cosi' si puo' dire, a cui i loro rappresentanti eletti dovrebbero poi re-agire. Essa ha a che fare con una visione della buona societa', e non e' una "paurologia" praticata all'incontrario: immagini distopiche della guerra, annientamenti nucleari, odio e disprezzo per i leader. La pace e' quindi molto di piu' che darsi da fare contro la guerra e contro altri generi di violenza. La pace ha a che fare con programmi alternativi costruiti sui valori dell'amore e della cooperazione con tutto il resto del mondo. Abbiamo bisogno di trarre ispirazione dalla storia della nonviolenza, e diciamo, per esempio, da un libro come The Unconquerable World di Jonathan Schell. Dobbiamo coerentemente dire di si' alla nonviolenza, e non serbare il silenzio, per esempio, sulla violenza totalmente inaccettabile che e' praticata da quella parte della resistenza irachena che si dedica al sequestro di operatori di pace e di militanti umanitari. La rielezione di Bush ci dice che dobbiamo cercare di usare in modo piu' costruttivo i prossimi quattro anni. Ci saranno paure, collera e frustrazioni enormi. Dobbiamo riuscire in qualche modo a superarle. La paurologia e il suo partner diabolico, la disperazione, non sono che strumenti nelle mani di dirigenti autoritari. La sfida e la resistenza, il coraggio civile e la capacita' di ricupero, possono contribuire a far crescere programmi di carattere costruttivo, e una serie di visioni positive possono uccidere sia le paure da cui siamo afflitti che la disperazione che ci attanaglia. Che percio', forse, la rielezione del presidente Bush possa rappresentare un'opportunita' importante, un'occasione da non perdere, per noi tutti? Torneremo su questo argomento. 2. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: QUANDO L'INCONSCIO E' REAZIONARIO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 12 nov embre 2004. Lea Melandri, nata nel 1941, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996] Quando scoppio' in America lo scandalo Clinton-Lewinsky, molti intellettuali si chiesero come era possibile che una squallida storia privata di sesso potesse diventare piu' importante della guerra che sconvolgeva in quel momento i Balcani. Oggi, di fronte all'esito delle elezioni americane, lo stupore e' analogo, anche se sono cambiati i termini della contrapposizione. "Bush - ha scritto Rossana Rossanda (sul "Manifesto" del 5 novembre 2004) - sta scombinando il nostro lessico e i nostri riferimenti": diventano "valori forti e caldi" sentimenti, emozioni, fobie sessuali che avrebbero dovuto restare dentro i confini del vissuto personale, mentre si eclissano, facendosi "deboli e freddi", quegli "interessi materiali" che una ragione illuminata ha considerato la struttura portante della vita pubblica (lavoro, stato sociale, emarginazione, limitazione delle liberta', ecc.). Un elenco di dualismi cosi' dettagliato - caldo/freddo, materiale/immateriale, cuore/ragione, maschile/femminile, ecc. - non si vedeva nella cultura occidentale da quando Pitagora detto' la sua famosa "tavola" degli opposti, con la differenza che la gerarchia non e' piu' la stessa: la viscere, il cuore, la vampa emotiva, la fragilita', l'egoismo, la vincono oggi sull'ordine che ha istituito la polis e che ha dato poi forma alle moderne democrazie. L'effetto di capovolgimento e' eclatante: la provincia, la campagna, le piccole citta' trionfano sulle metropoli, le comunita' religiose mobilitano piu' della sinistra laica, la fede fa prendere piu' voti che il ragionamento, la paura premia le scelte politiche che sono destinate ad accrescerla, l'aborto e i matrimoni gay spaventano piu' della disoccupazione e del terrorismo. Osama Bin Laden, nel suo appello alla responsabilita' dei cittadini americani, non sapeva (o forse malignamente sapeva) che da quel "cuore" profondo dell'America si sarebbe risvegliata una potenza a lui opposta, ma speculare: il fondamentalismo cristiano, quel "cielo e inferno dei valori morali", per usare un'espressione di Massimo Cacciari, a cui la sinistra ha guardato sempre con diffidenza, tenendoli separati dalla politica. * La vittoria di Bush si configura in modo evidente come un terremoto la cui faglia si e' aperta l'11 settembre 2001: l'irruzione dell'altro da se', del lontano, del nemico sul suolo proprio. Ma quella che appare come una regressione, un ritorno al Medioevo, a una virilita' rozza "da Frontiera", forse ha bisogno di una lettura meno semplificatoria, fuori da facili e tradizionali contrapposizioni. E' vero che i cosiddetti "valori morali" sono in realta' dei "non valori", dei "valori pessimi" e, quanto meno, contraddittori: la difesa della vita contro l'aborto e la pena di morte, il via libera alle leggi di mercato e la chiamata all'altruismo cristiano, il richiamo al bisogno di sicurezza e l'uso spregiudicato di una forza militare che non ha confronto. Ma e' anche vero che le spinte da cui questi "valori" muovono e di cui appaiono come una risposta deformata, sono dati reali di quella vita psichica che la razionalita' illuministica e l'economicismo di gran parte della sinistra hanno cancellato dalla loro visione del mondo, consegnandoli di fatto alla religione o all'interiorita'. Penso, per nominarne solo alcune, alla paura del diverso, sentito, per un riflesso arcaico come nemico, e, in particolare, a quel primo diverso che e' il corpo femminile da cui l'uomo e' generato, visto come potenza capace di dare la vita e la morte; penso all'omofobia, struttura portante di una societa' di soli uomini che si costituisce, non solo immaginariamente, come "fuga dal femminile"; penso al bisogno di protezione e quindi di appartenenza, che porta ad identificarsi col piu' forte. * Oggi si scopre che l'inconscio collettivo, che si e' espresso "democraticamente" nel voto di una maggioranza silenziosa, e' reazionario. Non era poi cosi' difficile da immaginare: tutto cio' che e' stato sepolto nella zona piu' oscura della vita dei singoli, identificato con la natura o con la parola rivelata di un Dio, per potersi modificare ha bisogno innanzi tutto di essere riconosciuto, narrato e analizzato, restituito alla cultura e alla politica con cui e' sempre stato in rapporto, sia pure un rapporto alienato, strumentale, distruttivo della politica stessa e delle sue conquiste democratiche. L'immensa esperienza negativa che si e' accumulata nelle viscere della storia nel corso dell'ultimo secolo, come conseguenza del fatto che sono stati considerati condizione quasi esclusiva del cambiamento i rapporti di produzione, oggi esce allo scoperto attraverso la retorica populista delle destre occidentali. Ma, se non ne abbiamo paura e, soprattutto se non abbiamo fretta di cancellarla o imitarla, forse e' l'occasione per dare finalmente cittadinanza a esperienze essenziali del vivere umano. * In una vicenda drammatica e carica di conseguenze come l'11 settembre, quando si vanno a raccogliere le parole dei testimoni, la prima constatazione, come ha scritto Ida Domijanni (su "Il manifesto" del 2 novembre 2004) e' che la varieta' dei vissuti non ha ne' una rappresentazione pubblica ne' una rappresentanza politica che possano reggere al confronto con quella ufficiale. Ma quante altre esperienze "impresentabili" per i linguaggi codificati della politica restano sepolte nel magma indifferenziato di pensieri e sentimenti che si e' ancora tentati di appiattire sulle leggi immodificabili della natura, o di leggere semplicemente come fenomeni antropologici? In tempi in cui la biopolitica sembra voler penetrare fin dentro la cellula prima della vita - proclamando la personalita' giuridica dell'embrione - e' quasi incredibile che chi si batte per la giustizia sociale e per l'umanizzazione dei rapporti tra diversi, non si renda conto che sottrarre all'insignificanza storica le pulsioni e le componenti piu' elementari della vita psichica e' il passo indispensabile per non esserne pesantemente condizionati e ostacolati nello sforzo di costruire "un altro mondo possibile". * La giusta preoccupazione, a cui fa spesso riferimento Rossana Rossanda, di non fare della politica una totalita' inglobante, normativa, regolatrice dei rapporti sociali ma anche della "persona" nella sua interezza, sentimenti compresi, non sembra tener conto che e' proprio l'idea di una politica ristretta alla sua funzione "calcolatrice e amministrativa" a costituire una minaccia di assimilazione, e a lasciarsi percio' ai margini una vasta area di "impoliticita'", resistente a farsi omologare o anche soltanto tradurre nei suoi linguaggi e nelle sue leggi. Finche' questo "residuo" immenso di sapere, energie e risorse creative restera' tale, le democrazie non potranno dormire sonni tranquilli e le rivoluzioni perderanno un apporto indispensabile per togliere consenso alle logiche del dominio e della guerra. 3. LIBRI. PEPPE SINI: ALCUNE NOTE A PROPOSITO DI "PAGINE DI STORIA DELLA POLIZIA ITALIANA" DI PASQUALE MARCHETTO E ANTONIO MAZZEI Per iniziativa dell'Associazione nazionale Polizia di Stato e del Centro studi e ricerche sulla storia della Polizia di Stato, e' stato recentemente pubblicato l'utilissimo volume di Pasquale Marchetto e Antonio Mazzei, Pagine di storia della Polizia italiana. Orientamenti bibliografici, Neos Edizioni, Rivoli (To) 2004, pp. 64, euro 5. Per richieste alla casa editrice: tel. 0119576450, fax: 0119576449, e-mail: commerciale at subalpina.it, sito: www.neosedizioni.it Il libro reca, oltre al saggio bibliografico "Oltre 30 anni di polizie. Indicazioni bibliografiche 1970-2003" di Pasquale Marchetto e Antonio Mazzei, una presentazione di Paolo Valer, una introduzione "Per lo studio delle polizie nell'Italia contemporanea" di Nicola Labanca, un saggio "Alle origini dell'ordinamento di polizia dell'Italia liberale (1847-1868)" di Milo Julini. Tutti pregevoli (e del resto gli autori sono studiosi egregi). Impreziosisce la pubblicazione un ricco apparato iconografico. * 1. Il volume colma una lacuna da tempo avvertita: ci auguriamo che questo eccellente strumento bibliografico possa contribuire a promuovere gli studi in materia, studi di cui vi e' grande bisogno. Noi che redigiamo questo notiziario siamo particolarmente interessati a questo tema e siamo assai grati agli autori per il lavoro svolto. Siamo particolarmente interessati, come persone amiche della nonviolenza, in primo luogo perche' riteniamo la funzione della difesa dell'incolumita' e della dignita' delle persone, la difesa della democrazia, la difesa del civile convivere, un compito decisivo e condiviso, una responsabilita' che - in misura e forme certo diverse in considerazione del proprio ruolo e attivita' - deve essere sentita come propria da ogni persona. In secondo luogo perche' e' nella gestione della sicurezza pubblica, piu' che in altri ambiti istituzionali e della vita associata, che si rivela quanto una societa' sia democratica e sollecita del bene comune, rispettosa dei diritti di ogni essere umano, quanto essa informi il suo agire ai fondamentali principi sanciti dalle grandi carte giuriscostituenti in cui l'umanita' ha saputo trascrivere i valori e le scelte che chiamiamo civilta', e nello specifico costituiscono elementi portanti della civlta' giuridica: dalla Costituzione della Repubblica Italiana alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e naturalmente molti altri esempi si potrebbero fare. In terzo luogo perche' e' nostro convincimento che la nonviolenza abbia molto da proporre in questo ambito. Anzi, moltissimo. E da alcuni anni in Italia (con una accelerazione dopo la tragedia delle orribili violenze verificatesi a Genova) si e' avviato un percorso di riflessione, di formazione, di proposta fin legislativa, che sta mettendo al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica l'inderogabile necessita' che tuti gli appartenenti alle forze dell'ordine si formino alla conoscenza della nonviolenza, come strumento ermeneutico ed operativo di fondamentale importanza per l'adempimento del loro cosi' rilevante e cosi' delicato lavoro. * 2. Ad esempio a Palermo: dove il professor Andrea Cozzo, illustre docente dell'Universita' di quella citta', sta gia' tenendo corsi di formazione alla nonviolenza per appartenenti alle forze dell'ordine. Ad esempio a Milano: grazie alla professoressa Marianella Sclavi, prestigiosa docente universitaria in quella citta'. Palermo, Milano: in tutta Italia sarebbe non solo cosa buona, ma necessaria e urgente, promuovere queste esperienze formative. E sarebbe bene che riprendesse, svolgesse e recasse a positiva conclusione il suo iter la proposta di legge presentata a suo tempo da numerosissimi senatori e deputati di tutti gli schieramenti politici (ripetiamo: di tutti gli schieramenti politici), primo firmatario il senatore Achille Occhetto, affinche' si statuisca per legge la formazione di tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e alla capacita' di impiego delle straordinarie risorse che la nonviolenza mette a disposizione, massime nelle situazioni piu' critiche e nelle incombenze piu' gravose; nel percorso formativo curricolare di quanti devono svolgere l'impegnativa funzione della difesa dei diritti e dell'incolumita' di tutte le persone e' indispensabile lo studio specifico della nonviolenza come insieme di valori, come metodologia ermeneutica, come modalita' d'intervento, come insieme di tecniche operative. * 3. Ma e' necessario anche che le persone amiche della nonviolenza, e piu' in generale le persone impegnate per la pace e i diritti, comincino tutte a riflettere su questi temi: la si faccia finita con i discorsi generici e astratti, e si entri nel merito; innanzitutto con la conoscenza di cio' di cui si tratta, con la comprensione, con lo studio. Che nelle forze dell'ordine vi siano persone che non riescono a controllare le proprie pulsioni sadiche, che vi siano irresponsabili ed energumeni che forti del potere loro attribuito dall'indossare una divisa commettono crimini infami, che vi siano comandi inadeguati alla gravosita' del compito, e' cosa di cui non mancano esempi drammatici. Ma proprio per questo, a maggior ragione, occorre che le persone amiche della nonviolenza pongano a tutta la societa' italiana l'esigenza di un impegno corale con le forze dell'ordine contro i poteri criminali, e con le forze dell'ordine contro quegli irresponsabili e quei criminali che sciaguratamente si trovano all'interno di esse e che le disonorano commettendo talora piccoli ignobili abusi, talora crimini fin aberranti. Proprio perche' le persone amiche della nonviolenza si oppongono all'uso delle armi, si oppongono alla violenza dispiegata come a quella strutturale e a quella culturale, a maggior ragione dobbiamo farci carico di offrire strumenti e modalita' alternative di intervento nei conflitti, dobbiamo farci carico di proporre modalita' altre e non meno ma piu' efficaci di contrasto del crimine, dobbiamo farci carico di costruire insieme migliori forme e migliori contenuti, migliori strutture e migliori percorsi, per difendere la dignita' e l'incolumita' delle persone tutte, per inverare i principi della Costituzione e delle grandi carte giuridiche che sanciscono i fondamentali diritti umani di ogni essere umano. E' possibile? E' necessario. Si', e' necessario, ma e' anche possibile? Si', e' anche possibile. * 4. E del fatto che sia possibile, prova ne e' che in un paese uscito da una storia di oppressione tremenda, come il Sudafrica finalmente liberato dal regime della segregazione razziale, la nonviolenza ha avuto la capacita' di entrare nel merito nel campo apparentemente (ma solo apparentemente) ad essa piu' estraneo: il campo penale. In Sudafrica, con l'esperienza della Commissione per la verita' e la riconciliazione, fortemente voluta da Nelson Mandela e autorevolmente presieduta dal vescovo Desmond Tutu, la nonviolenza ha saputo impedire il rischio di un bagno di sangue; ha saputo restituire dignita' umana, umana responsabilita', riconoscimento di umanita', alle vittime e ai carnefici di ieri; ha saputo indicare come essa, la nonviolenza, sia matura per essere principio ispiratore fin nel campo della legislazione penale, nel campo dell'amministrazione della giustizia, nel campo della gestione dell'ordine pubblico, della pubblica sicurezza, della civile convivenza nell'ambito delle istituzioni come della societa' civile. La nonviolenza ci e' riuscita nel Sudafrica devastato da decenni di regime dell'apartheid: puo' ben riuscire anche nel nostro paese. E il momento di cominciare e' adesso. E' giunto il momento che la nonviolenza ispiri anche l'attivita' legislativa, le pratiche amministrative, le funzioni dello stato, la gestione della cosa pubblica in tutti gli ambiti di loro pertinenza. * 5. Molto e' da fare, e presto, e bene, anche nell'ambito specifico di cui qui ci stiamo occupando. Estendere le esperienze di formazione alla nonviolenza attraverso corsi di aggiornamento organizzati prefettura per prefettura, questura per questura, in tutti i commissariati di polizia, in tutte le stazioni dei carabinieri, in tutti gli uffici della guardia di finanza, in tutte le strutture ove opera la polizia penitenziaria, in tutte le articolazioni del corpo forestale, ed in tutte le polizie locali: quelle delle amministrazioni provinciali, quelle delle amministrazioni comunali. Chiedere ai prefetti e ai questori, ai presidenti delle province e ai sindaci dei comuni di promuovere iniziative in tal senso. E coinvolgere le Universita' che gia' da anni hanno istituito dipartimenti e corsi di peace-research e di educazione alla gestione nonviolenta dei conflitti. E chiedere alle agenzie formative specifiche delle varie polizie italiane, quelle di dimensioni nazionali e quelle di dimensioni locali, di introdurre nei loro curricula formativi lo studio della teoria, delle tecniche, delle esperienze storiche e delle metodologie specifiche della nonviolenza. E chiedere al parlamento di esaminare in tempi brevi e condurre a buon fine la proposta di legge per la formazione delle forze dell'ordine alla nonviolenza. Tutto cio' e' doveroso fare, e farlo quanto prima. Sarebbe un dono grande a tutti i cittadini ed in primo luogo a quei cittadini che lavorano nelle forze dell'ordine e che hanno grande bisogno di essere meglio addestrati, meglio sostenuti, di avere a disposizione altre e migliori risorse: e quelle che offre la nonviolenza sono risorse straordinarie. * L'appassionante lettura di questo libro ci ha condotti a riformulare ancora una volta proposte che riteniamo di decisiva rilevanza. Anche di questo stimolo siamo grati agli autori della meritoria opera che qui abbiamo segnalato. 4. RIFLESSIONE. ARUNDHATI ROY: LE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE E I PERICOLI DELLA DIPENDENZA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo testo (estratto da una conferenza tenuta a S. Francisco, California, il 16 agosto 2004) apparso sulla prestigiosa rivista "Le Monde diplomatique" (edizione italiana) nel fascicolo dell'ottobre 2004. Arundhati Roy e' una celebre scrittrice indiana, impegnata contro il riarmo, in difesa dell'ambiente e per i diritti delle persone e dei popoli. Opere di Arundhati Roy: cfr. il romanzo Il Dio delle piccole cose, Guanda, Parma 1997, Superpocket, Milano 2000; i saggi di testimonianza e denuncia raccolti in La fine delle illusioni, Guanda, Parma 1999, Tea, Milano 2001, poi recuperati nella piu' ampia raccolta di saggi di intervento civile, Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002; e Guida all'impero per la gente comune, Guanda, Parma 2003] La globalizzazione economica ha accresciuto la distanza tra chi prende le decisioni e chi ne subisce gli effetti. Sono gli incontri quali il Forum sociale mondiale a consentire ai movimenti di resistenza locali di ridurre questo divario e di fare causa comune con i loro omologhi dei paesi ricchi. Ad esempio, all'epoca della costruzione della prima diga privata a Maheshawar, l'impegno congiunto del Narmada Bachao Andolan (Nba), dell'organizzazione tedesca Urgewald, della Dichiarazione di Berna (Svizzera), e della Rete internazionale dei fiumi di Berkeley, ha indotto varie banche e imprese internazionali a dissociarsi dal progetto. Questo risultato non sarebbe mai stato raggiunto senza una tenace resistenza locale; ma altrettanto indispensabile e' stato il sostegno a questo movimento sulla scena mondiale, che ne ha amplificato la voce mettendo in imbarazzo gli investitori e costringendoli a ritirarsi... * Uno dei rischi per i movimenti di massa e' quello della "ong-izzazione" della resistenza. Non vorrei essere fraintesa: non si tratta certo di mettere sotto accusa in blocco le organizzazioni non governative (Ong), molte quali svolgono un lavoro di indubbia validita'. Ma altre sono fittizie, e in quelle acque torbide c'e' chi cerca di mettere le mani sui fondi degli aiuti o di frodare il fisco. Vale comunque la pena di esaminare questo fenomeno in un contesto politico piu' ampio. In India ad esempio, il boom delle Ong sovvenzionate, esploso alla fine degli anni '80 per protrarsi nel decennio successivo, ha coinciso con l'apertura dei mercati indiani al neoliberismo. Per conformarsi alle esigenze dell'aggiustamento strutturale lo stato taglio' i finanziamenti che sostenevano lo sviluppo rurale, l'agricoltura, i settori dell'energia, dei trasporti e della salute pubblica. Fu in seguito a questo ritiro dello stato dal suo ruolo tradizionale che le Ong incominciarono a intervenire in questi ambiti. La differenza era ovviamente che i fondi a loro disposizione corrispondevano a una minuscola frazione dei tagli inflitti alla spesa pubblica. La maggior parte delle Ong sono finanziate e patrocinate dagli organismi di aiuto allo sviluppo, i quali a loro volta ricevono i fondi dai governi occidentali, dalla Banca mondiale, dalle Nazioni unite e da alcune multinazionali.Anche se non si puo' fare di ogni erba un fascio, tutti questi organismi fanno indubbiamente parte di uno stesso contesto politico, dai contorni indefiniti, che presiede al progetto neoliberista e impone per prima cosa drastici tagli alla spesa pubblica. Cos'e' che induce questi organismi a finanziare le Ong? E' possibile che siano mossi solo da zelo missionario vecchia maniera? O magari da sensi di colpa? Qualche altro motivo indubbiamente c'e'. Le Ong danno l'impressione di colmare il vuoto lasciato da uno stato in via di smantellamento; e in qualche misura lo fanno, ma non certo in modo coerente. In realta' servono a disinnescare la protesta politica, distribuendo col contagocce, sotto forma di aiuti o di azioni di volontariato, cio' che normalmente dovrebbe spettare per diritto ai cittadini. In questo modo le Ong influiscono sulla popolazione a livello psicologico, creando una condizione di vittimismo e di dipendenza e smussando gli angoli della resistenza politica: in altri termini, fanno da ammortizzatore tra lo stato e la popolazione. O tra l'Impero e i suoi sudditi. Svolgono un ruolo di arbitri, o anche di interpreti e di intermediari. * A lungo termine, le Ong devono rispondere ai donatori, non alla popolazione per la quale lavorano. Sono cio' che i botanici definiscono una "specie spia": si direbbe che la loro crescita sia direttamente proporzionale alle devastazioni causate dal neoliberismo. Questo fenomeno emerge in maniera particolarmente drammatica nelle situazioni di guerra: ad esempio, gli Stati Uniti che si preparano a invadere un paese, e sfornano simultaneamente le Ong che accorrono sul posto per ripulirlo dalle macerie. Preoccupate di garantire la continuita' dei loro finanziamenti e di evitare contrasti con i governi dei paesi nei quali operano, le Ong devono presentare un basso profilo, piu' o meno neutro rispetto al contesto politico e storico. Soprattutto quando e' scomodo. Le descrizioni apolitiche (e in quanto tali piu' che mai di parte) delle aree piu' povere e delle zone di guerra finiscono per presentare gli abitanti (neri) di quei paesi come vittime patologiche. Ancora indiani denutriti, ancora etiopi affamati, ancora campi profughi, ancora sudanesi mutilati... e tutti bisognosi dell'aiuto dell'uomo bianco. Cosi', involontariamente, le Ong contribuiscono a rafforzare gli stereotipi razzisti, riaffermando le conquiste, i vantaggi e la bonta' (severa ma compassionevole) della civilta' occidentale. Sono i missionari laici del mondo moderno. In definitiva - su scala minore, ma piu' insidiosamente - il capitale con cui vengono finanziate le Ong gioca nelle politiche alternative un ruolo molto simile a quello dei capitali speculativi che entrano ed escono dalle economie dei paesi piu' poveri. Per prima cosa, questi finanziamenti dettano l'ordine del giorno. Trasformano il confronto in trattativa, depoliticizzano la resistenza, interferiscono con i movimenti popolari locali, tradizionalmente indipendenti. Grazie ai fondi di cui dispongono, le Ong possono ingaggiare collaboratori locali: persone che altrimenti avrebbero preso parte attiva ai movimenti di resistenza, mentre cosi' pensano di poter fare del bene in maniera immediata e creativa (guadagnandosi oltre tutto da vivere). La vera resistenza politica non offre scorciatoie del genere. 5. LIBRI. LUCA KOCCI: INTRODUZIONE A "GUERRA E MONDO. ANNUARIO GEOPOLITICO DELLA PACE 2004" [Ringraziamo Luca Kocci (per contatti: lkocci at tiscali.it) per averci messo a disposizione l'introduzione alla nuova edizione del prestigioso Annuario della pace, da lui curato: Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Guerra e mondo. Annuario geopolitico della pace 2004, a cura di Luca Kocci, Altreconomia edizioni - I libri di Terre di Mezzo, Milano, 2004, pp. 302, euro 18; il libro e' in vendita nelle Botteghe del commercio equo e solidale (dal primo dicembre) e nelle librerie (dal primo gennaio), oppure puo' essere richiesto all'editore: Altreconomia Edizioni, tel. 0248953031-2, e-mail: segreteria at altreconomia.it. Luca Kocci, curatore dell'Annuario, e' insegnante e giornalista, collabora con "Adista", Peacelink ed altri mezzi d'informazione impegnati per la pace e i diritti umani] Quello appena trascorso sarebbe dovuto essere l'anno della pace; invece, da quando George Bush ha solennemente proclamato la fine della guerra in Iraq - il primo maggio 2003 - diverse migliaia sono stati i civili iracheni uccisi e piu' di mille i marine caduti in tempo di pace, senza contare i soldati degli altri contingenti - italiani compresi -, i tecnici e gli operatori al servizio delle forze di occupazione o delle multinazionali che stanno lentamente colonizzando il Paese e, da ultimo, anche i volontari e i pacifisti, rapiti e talvolta giustiziati dai gruppi armati. Segno che la spirale guerra-terrorismo non fa che autoalimentarsi e autoriprodursi, in un gioco al massacro apparentemente senza senso e di cui si fatica a vedere la fine. "La follia di questa guerra ricade su tutti, compreso chi non l'ha voluta", scrive Alessandro Portelli. "Quando civilmente bombardiamo le citta' e i villaggi, non ci chiediamo se le persone chirurgicamente ammazzate sono 'fedelissimi di Saddam' o dissidenti che avevano invocato l'invasione o gente che voleva solo starsene per i fatti suoi. Li abbiamo ammazzati perche' stavano nel posto sbagliato. Ebbene, agli occhi accecati del terrorismo estremista, nel posto 'sbagliato' ci stiamo tutti; per questo e' grande la responsabilita' di chi fra noi se ne rende conto, e deve raddoppiare gli sforzi per non farci accecare a nostra volta, per continuare a distinguere" (Alessandro Portelli, Asimmetria di un omicidio, in "Il manifesto", primo settembre 2004). Responsabile di questa sorta di accecamento collettivo e' anche il sistema dell'informazione diventato negli ultimi anni - secondo le regole della cosiddetta information warfare - un'arma di guerra, un campo di battaglia e talvolta anche un obiettivo militare, quando ad essere colpiti sono i giornalisti o certi media. Un sistema che proprio sulla omologazione, sulla divisione manichea in "buoni e cattivi", sulla indistinzione, ha poggiato le sue basi, spesso avvalorando la sciagurata tesi dello "scontro di civilta'". Questo Annuario della pace - realizzato con poveri mezzi, la passione e la buona volonta' di molti -, ormai giunto al quarto anno di vita, vuole essere un piccolo tentativo di informazione altra, che aiuti a distinguere e a vincere l'accecamento. La struttura, seppure aggiornata, rimane quella consueta: le cronologie che documentano 12 mesi di attivita' del movimento per la pace e i fatti salienti dell'anno appena trascorso; una serie di approfondimenti su particolari situazioni di guerra e di dopoguerra del nostro mondo (geografie); diversi contributi monografici sulle questioni dell'anno, con particolare riferimento - in consonanza con il Salone dell'editoria di pace - al tema degli armamenti; una riflessione sui fondamenti filosofici, antropologici, economici e giuridici della pace e della guerra; alcuni suggerimenti di strumenti di lavoro utili - dal cinema ai libri, alle riviste - per gli "operatori di pace" e per tutti coloro che sono interessanti al tema pace-guerra. Una nota per il lettore: gli articoli, focalizzati sul periodo giugno 2003 - maggio 2004, sono stati redatti tutti entro l'estate 2004 e quindi, se "sforano" di qualche settimana il tempo cronologico dell'Annuario, tuttavia non affrontano i piu' recenti avvenimenti. A tutti i collaboratori, che hanno lavorato gratuitamente e con "spirito militante", va un grazie vero e non di maniera. Cosi' come ringraziamenti sentiti vanno a "Vasti" (la scuola di ricerca e critica delle antropologie fondata e diretta da Raniero La Valle) e ai Cinecircoli giovanili socioculturali (associazione legata ai salesiani che fa educazione e formazione con il cinema e il teatro), che hanno messo a disposizione preziosi materiali; ad Archivio Disarmo (ente da decenni impegnato nella ricerca su guerre e armamenti), al settimanale "Internazionale" e all' associazione PeaceLink, che hanno contribuito alla realizzazione di questo Annuario con i loro documentatissimi archivi. La diversita' di voci e il pluralismo di idee, non necessariamente fra loro sempre e completamente concordi, che trovano spazio nell'Annuario ne costituiscono la ricchezza. E sono un modo anche simbolico di opporsi alla logica della guerra e della violenza che della diversita' e del pluralismo e' l'assoluta negazione. 6. MAESTRE. EDITH STEIN: L'ESTATE E LA PACE [Da Edith Stein, La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, Mondadori, Milano 1997, p. 23. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova; Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000] L'estate e la pace sono state per me due idee che, in quest'inverno senza fine, si sono fuse in un'unica nostalgia. 7. MAESTRE. SIMONE WEIL: LA PORTA CHIUSA [Da Simone Weil, Quaderni. Volume III, Adelphi, Milano 1988, p. 189. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Questo mondo e' la porta chiusa. E' una barriera, e al tempo stesso e' il passaggio. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 788 del 24 dicembre 2004 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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