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La nonviolenza e' in cammino. 746



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 746 del primo dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Rete ebrei contro l'occupazione, Movimento palestinese per la cultura e
la democrazia: sosteniamo l'accordo di Ginevra
2. Campagna osm per la Difesa popolare nonviolenta: il 4 dicembre a Roma
3. Peppe Sini: le cause e gli effetti
4. Giuliana Sgrena: a Nassiriya italiani sotto tiro
5. Giuliana Sgrena intervista Haus al Khafaji
6. Giuliana Sgrena: la prigione Baghdad
7. Giuliana Sgrena: escalation di guerra
8. Giuliana Sgrena: anche gli asini lanciamissili
9. Massimiliano Fortuna presenta "Obbedienza all'autorita'" di Stanley
Milgram
10. L'Associazione italiana Edth Stein
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. APPELLI. RETE EBREI CONTRO L'OCCUPAZIONE, MOVIMENTO PALESTINESE PER LA
CULTURA E LA DEMOCRAZIA: SOSTENIAMO L'ACCORDO DI GINEVRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 novembre 2003 riprendiamo e
diffondiamo questo appello. Per contattare la Rete ebrei contro
l'occupazione: shaertter@yahoo.com; per contattare il Movimento palestinese
per la cultura e la democrazia: alirashid@tin.it]

Il vasto movimento che abbiamo visto scendere in piazza in tutto il mondo
nel febbraio di quest'anno ha espresso con grande forza e chiarezza il
desiderio di pace ed il ripudio della logica della guerra, preventiva e non.
Molti sono i luoghi di conflitto. L'impossibilita' di soluzioni basate sulla
forza militare si rende evidente in ognuno di essi. La violazione dei
diritti delle persone, dalla liberta' di circolazione al diritto alla casa,
al diritto ad un reddito, alla vita stessa, l'assenza di democrazia, la
ripartizione iniqua delle risorse ed in particolare dell'acqua, la
distruzione sistematica dell'ambiente, l'insostenibilita' dello sviluppo
portato avanti e molte altre ingiustizie, sono sotto gli occhi di noi tutti
nel conflitto israelo-palestinese. A questa situazione disperata e violenta
corrisponde una risposta altrettanto violenta, disperata e disperante,
tragicamente controproducente: giovani donne e uomini che per opporsi alla
morte decidono di morire uccidendo altri ed altre. I due popoli coinvolti
nel conflitto vengono ora separati da un muro, che non e' solo il mostro di
cemento che vediamo squarciare la Cisgiordania distruggendo ulivi secolari,
trasformandola in una prigione a cielo aperto, rendendo la vita dei
palestinesi sempre piu' precaria. E' un muro che espropria terre e risorse,
nega diritti e possibilita' di vivere, che vuole impedire il contatto tra le
persone e cosi' qualsiasi ripresa di un dialogo tra i popoli, un muro che
passa cosi' anche nelle menti. Noi crediamo che il dialogo sia invece un
elemento centrale, dato che l'incontro tra diversi ha come corollario la
laicita' del confronto ed e' lo strumento necessario per allontanare i
fondamentalismi.
*
In questi giorni a Ginevra viene sottoscritto un accordo a dimostrare che
nonostante tutto questo, un dialogo che porti una soluzione non militare a
questo ormai lunghissimo e sempre piu' drammatico conflitto, e' ancora
possibile.
Quasi contemporaneamente e' stata resa nota l'intenzione di Colin Powell di
incontrare gli autori di una precedente proposta elaborata da israeliani e
palestinesi, che sebbene meno articolata e dettagliata, ha in comune con
quella di Ginevra il fatto di essere stata elaborata "dal basso", da
esponenti autorevoli delle due parti.
Intanto in Israele, sia il partito laburista che il Likud stanno elaborando
iniziative proprie di segno opposto tra loro e comunque unilaterali, ad
evidenziare quanto sia concreta e tangibile la crisi dell'establishment
politico e del governo israeliano, in assenza di una proposta politica per
una reale soluzione del conflitto.
Siamo coscienti del fatto che l'accordo di Ginevra non ha carattere
vincolante, che gli stessi contenuti spesso non vanno oltre una
dichiarazione di intenti con limiti facilmente individuabili da chi conosce
la storia passata e recente del conflitto, da chiunque abbia anche una sola
volta attraversato un check-point o visto gli insediamenti illegali
costruiti in Cisgiordania ed a Gaza.
Ciononostante crediamo che questo accordo, proprio perche' dimostra che "un
altro modo di affrontare il conflitto e' possibile" vada sostenuto con
forza, per impedire che ancora una volta una possibile via d'uscita dal
dramma quotidiano che i due popoli vivono venga chiusa ermeticamente prima
ancora di essersi aperta.
Sappiamo che una soluzione giusta e duratura del conflitto sta a cuore a
molti. Per questo chiediamo ai firmatari dell'accordo, a tutti coloro che
dichiarano di volerlo sostenere, alla comunita' internazionale ed all'Unione
Europea, ma soprattutto alla societa' civile che ha animato nel mondo il
movimento contro la guerra, di vigilare perche' questo spiraglio di luce non
venga di nuovo oscurato, di non lasciar morire ancora una volta la speranza.
Chiediamo che non si ripeta quanto abbiamo gia' visto troppe volte, quando
il mondo intero si e' disinteressato dell'applicazione concreta delle
soluzioni anche minime concordate tra le parti e si e' di fatto
disinteressato della stessa sorte del popolo palestinese e di quello
israeliano.
Cerchiamo insieme di non abbassare il livello di attenzione, di seguire il
percorso avviato, di esigere l'applicazione reale di quanto le parti
potranno concordare, perche' finalmente ci sia una risposta al bisogno di
pace per Israele e Palestina, una pace che per rispondere concretamente alle
reali esigenze dei due popoli, deve necessariamente basarsi sulla giustizia.
Rete ebrei contro l'occupazione
Movimento palestinese per la cultura e la democrazia

2. INIZIATIVE. CAMPAGNA OSM PER LA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA: IL 4
DICEMBRE A ROMA
[Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo e diffondiamo il
seguente comunicato della Campagna osm (obiezione alle spese militari) per
la Difesa popolare nonviolenta (per contatti: locosm@tin.it)]

Iniziativa contro le spese militari: ridurre la spesa militare per le spese
sociali.
Presidio-denuncia giovedi' 4 dicembre 2003 a Roma dalle ore 14 alle 18 in
piazza Montecitorio davanti alla Camera dei Deputati.
No all'aumento delle spese militari nella finanziaria.
Si all'impegno dello Stato nella costruzione di alternative alla difesa
armata.
Chi promuove l'iniziativa e' la Campagna per l'obiezione alle spese militari
che conta in Italia circa mille persone che ogni anno devolvono una parte
dei loro fondi o trattengono dalla dichiarazione dei redditi una parte delle
tasse e le inviano ad iniziative per la pace.
Il presidio e' stato preceduto da un digiuno di un centinaio di persone per
sostenere l'appello dato ai parlamentari per la riduzione delle spese
militari nella finanziaria del 2004.
Le forze sindacali e sociali, partendo dalla questione delle pensioni e dei
tagli alla scuola e alla sanita' pubblica, chiedono investimenti sociali per
l'occupazione e la difesa dello stato sociale; la finanziaria dello Stato
che rappresenta la traduzione economica degli impegni morali, sociali ed
etici dello Stato non raccoglie e non traduce in investimenti queste
significative richieste.
La nostra denuncia riguarda lo spreco di risorse che lo Stato impegna nelle
armi e nell'apparato militare-industriale.
L'iniziativa del 4 dicembre ha questi obiettivi:
- consegnare al presidente della Repubblica e ai presidenti della Camera e
del Senato un appello per la revisione della finanziaria in senso pacifista;
- richiedere la definitiva costituzione della Commissione Dpn (Difesa
Popolare Nonviolenta);
- consegnare le adesioni alla campagna;
- un incontro con il ministro o l'Ufficio nazionale per il servizio civile
per sollecitare la regolamentazione e strutturazione delle missioni di pace
all'estero dei volontari senza armi nella risoluzione dei conflitti con il
metodo attivo della difesa popolare nonviolenta;
- chiediamo inoltre che lo Stato formuli un "Libro bianco per la pace" che
sia riferimento per le Istituzioni, per le associazioni, per i singoli che
molto spesso svolgono significative azioni di pace, ma che lo Stato non
raccoglie per una verifica ed un'attenta valutazione;
- invito ai parlamentari ad incontrarci nella piazza per conoscere le loro
iniziative per la pace.
Ridurre le spese miltari si deve e si puo'.
Iniziativa promossa dalla Campagna osm (obiezione alle spese militari) per
la Difesa popolare nonviolenta, centro coordinatore nazionale c/o Loc, via
M. Pichi 1, 20143 Milano, tel. 028378817 - 0258101226.
Aderiscono: Associazione per la pace; Beati i costruttori di pace; Lega
Obiettori di Coscienza; Centro studi difesa civile; "Guerra & Pace"; Casa
per la pace di Milano; Berretti Bianchi; Comunita' Papa Giovanni XXIII; Lega
per il disarmo unilaterale; Pax Christi.
Per adesioni: e-mail: locosm@tin.it, tel. 3396489529.

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: LE CAUSE E GLI EFFETTI
Parce sepultos.
Pieta' per le vittime. Ma anche verita' per le vittime.
E la verita' e' che in Iraq la guerra continua, e che di essa, e degli
orrori di cui consiste, i responsabili primi sono i governi aggressori e gli
eserciti invasori: anche il nostro governo, anche le nostre forze armate;
anche il nostro paese e' nel campo degli assassini, anche noi in quanto non
siamo riusciti a impedirlo ne siamo complici, anche le nostre mani sono
lorde di sangue. Ne provo orrore e vergogna.
Non c'e' nessuna missione di pace in Iraq, ma la guerra, la guerra che e'
terrorismo e generatrice di altro terrorismo.
Se non cessa l'occupazione degli eserciti invasori, le stragi non finiranno.
Anzi.
E presto, tutti lo sappiamo, il teatro di guerra si estendera', raggiungera'
anche il territorio del nostro paese.
Possiamo chiudere gli occhi, e attendere le bombe in casa nostra.
Oppure possiamo aprire gli occhi: e far cessare subito la partecipazione
italiana alla guerra illegale e criminale, stragista e terrorista; rientrare
nella legalita' costituzionale e nel diritto internazionale, e quindi
operare per la pace. Prima che sia troppo tardi.
Prima che sia troppo tardi: poiche' il mondo e' davvero sul crinale
apocalittico di cui ci parlava l'indimenticabile padre Balducci, e quindi o
l'umanita' abolira' la guerra o la guerra distruggera' l'umanita'. E'
l'ultima verita' della tragedia di Hiroshima, chi la dimentica tutti ci
trascina al baratro.
Solo la scelta della nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

4. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: A NASSIRIYA ITALIANI SOTTO TIRO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2003. Giuliana Sgrena,
intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e'
tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e
islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di,
La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi,
Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata
inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu'
ferocemente stragista della guerra tuttora in corso, ed e' nuovamente in
Iraq in questi giorni]

Tutti i check point che incontriamo sulla strada che porta da Baghdad a
Nassiriya sono controllati da iracheni, la polizia prima e poi le milizie
religiose, man mano che ci avviciniamo al capoluogo di Dhir Qar, dove e'
schierato il contingente italiano. Anche in citta', dall'ultima volta, poco
piu' di un mese fa, il panorama e' cambiato: strade bloccate, che rendono il
traffico infernale, sbarramenti a protezione del contingente italiano, della
rappresentanza locale della Coalition provisional authority (Cpa) e della
sede della polizia.
Lo scheletro della palazzina, sede logistica dei carabinieri italiani, si
distingue dalle costruzioni bombardate dagli americani per il colore nero -
che la rende ancora piu' spettrale - provocato dall'esplosione
dell'autobotte, la cui carcassa e' abbandonata li' davanti. Un carabiniere
spaurito, appena arrivato dall'Italia, uno zombi tra le macerie spaventato
dall'impatto brutale, come se avesse appena realizzato che non di missione
di pace ma di guerra si tratta. E' cosi' spaventato da impedirci persino di
fotografare le macerie, ma nessuno impedira' poi il saccheggio di quel poco
che restava nell'edificio sventrato: piastrelle, suppellettili, etc. I
saccheggi sembrano essere diventati un simbolo del dopo Saddam, dove la
necessita' si mescola con la rabbia e la voglia di vendetta.
Anche le case di fronte sono state sventrate, gli abitanti hanno dovuto
abbandonarle. Verranno risarciti? Per ora e' venuto solo un rappresentante
del Consiglio governativo a valutare i danni, ma come si sa il "governo
iracheno" non solo non ha poteri ma nemmeno mezzi. Sono dieci le vittime
dell'esplosione tra gli iracheni, due delle quali non erano nemmeno state
contate perche' sono state recuperate a pezzi, e si cercano ancora degli
scomparsi, raccontano i vicini.
Tra gli abitanti della via al Zeituna, che ci vengono a raccontare
l'accaduto, c'e' anche un vicino dei carabinieri con la testa fasciata, e'
stato ferito ma non gravemente. Salam Mohammed, 30 anni, ex poliziotto, e'
stato colpito quando e' uscito di casa dopo aver sentito l'esplosione per
recuperare i suoi bambini, due dei quali sono stati feriti. Racconta dei
buoni rapporti con i carabinieri. Ma allora chi e' stato? Non ha dubbi: al
Qaeda, perche' prima dell'esplosione, quando e' iniziata la sparatoria,
sostiene, qualcuno ha urlato: "Allah ul akbar".
Chi e' stato? La domanda rimbalza al di la' del fiume dove si sono
asserragliati i carabinieri, molto scossi dopo l'accaduto, anche se la meta'
di loro sono arrivati - per il previsto avvicendamento - dopo l'attentato
che ha fatto 19 vittime, e che ieri hanno celebrato, a distanza, i funerali
per i loro commilitoni. Si arriva alla base dei carabinieri dopo aver
abbandonato la macchina a 500 metri, superato il primo controllo dei rumeni,
e camminato lungo un percorso a slalom tra le fila di enormi barili ripieni
di terra sorti improvvisamente dopo l'attacco del 12 novembre. Sono il
segnale delle nuove misure di protezione, ma anche della fine del mito di
"italiani brava gente", almeno qui a Nassiriya. Anche il numero di
carabinieri e' aumentato da 400 a 500, tra i quali sono stati triplicati i
para' del Tuscania (da 25 a 75), aumenteranno anche i mezzi: arriveranno
altri blindati e cingolati e corazzati che non c'erano. Si passa dalla
difesa passiva alla difesa attiva, afferma il colonnello Carmelo Burgio,
nuovo comandante dei carabinieri a Nassiriya. "Prima non si mostrava il
mitra nei pattugliamenti per non 'provocare', ora avremo piu' mezzi per
reagire", afferma il comandante.
Per quanto riguarda le indagini, sono stati fermati quattro sospetti. Il
comandante non si sbilancia sulla nazionalita', sarebbero stati presi in
case dove erano ospiti, non erano armati, anche se in casa di armi ce
n'erano, ma qui chi non ne ha? Fino al momento in cui abbiamo incontrato il
comandante Burgio si erano rifiutati di parlare. Oltre a questi quattro, la
polizia irachena - lo sostiene il vicecapo Mohammed Nama - ha fermato un
fotografo della Reuters sorpreso a fotografare possibili "obiettivi" e lo ha
consegnato agli italiani.
Non solo chi e' stato, ma anche: e' vero che gli italiani erano stati
avvertiti di un imminente attacco? Questa e' l'altra inquietante domanda che
circola. Il vicecapo della polizia afferma che due-tre giorni prima
dell'attentato l'informazione di un possibile attacco era stata data sia ai
partiti - alcuni dei quali ce lo hanno confermato - che agli italiani. Ma
non si trattava di una minaccia precisa contro gli italiani, affermano alla
polizia. Comunque, come minimo gli italiani devono averla sottovalutata:
"Tutti i giorni ci arrivano due o tre segnalazioni, la stessa polizia
irachena ci da' informazioni di attacchi alle loro sedi che non sono mai
avvenuti, ci sono troppe fonti che cercano in questo modo di acquisire dei
meriti", afferma il colonnello Burgio. E poi, il comandante aggiunge: "Il
capo della polizia locale ha fatto di tutto tranne il poliziotto, e' un
`diplomatico' passato indenne attraverso le varie fasi" della storia
irachena.
Lo scetticismo degli italiani nei confronti degli iracheni a volte viene
ricambiato con risentimento. In una sede spoglia della stazione di polizia
destinata alle indagini criminali, i poliziotti sono ancora senza divisa e
per quelli che ce l'hanno e' estiva, non proprio adatta alla stagione. "Sono
ancora quelle che ci hanno dato gli americani, gli italiani non ci danno ne'
divise ne' armi", sostengono. E si lamentano che gli italiani non toccano le
milizie dei partiti religiosi, che sono piu' armate della polizia: "Noi che
cosa possiamo fare?".
Comunque l'impressione e' che qui a Nassiriya tutti si aspettavano un
precipitare della situazione, senza sapere bene come si sarebbe presentato.
Tutti quelli che incontriamo si mostrano dispiaciuti per l'attentato ai
carabinieri e ci tengono a precisare che gli italiani non sono gli
americani, ma sono sempre occupanti. E la sensazione e' che questo sia solo
l'inizio, anche se non si puo' parlare di un inizio della resistenza sciita
contro l'occupazione, ma, secondo i nostri vari interlocutori, di un
tentativo di estendere a sud il modello del "triangolo sunnita". "Ci
aspettavamo quello che e' successo, con altri partiti avevamo deciso di
essere vigilanti. L'avevamo detto anche agli italiani, un mese fa", sostiene
Abu Rabia, segretario del Partito comunista iracheno di Nassiriya. "Avevamo
detto agli italiani che erano troppo lontani dalla realta' della citta', che
dovevano essere piu' vicini ai problemi della gente e cercare di risolverli,
fare ordine e non stare solo a guardare", aggiunge. Ma si sta parlando di
passare il governo agli iracheni... "Qui non c'e' governo, il consiglio
comunale non e' stato eletto, e' stato nominato dalla Cpa e non e'
rappresentativo, ci sono molti poteri in Iraq. E la polizia ha poteri
limitati, occorre smobilitare le milizie dei partiti islamici", sostiene Abu
Rabia. Ma chi puo' aver commesso l'attentato contro gli italiani? Chiediamo.
"Al Qaeda, al Ansar al Islam, i nostalgici del vecchio regime, Feddayn
Saddam, sostenuti dai paesi vicini - Iran, Siria, Turchia, Arabia Saudita -
che non vogliono la stabilizzazione dell'Iraq. A mettere l'esplosivo non
sono stati iracheni, gli iracheni possono averli aiutati, dato loro
informazioni", risponde, affermando di avere avuto informazioni in
proposito. "Noi siamo contro l'occupazione e vogliamo che le truppe siano
ritirate al piu' presto possibile, ma lo facciamo pacificamente", conclude
il capo del Partito comunista iracheno che proprio qui e' nato.
Il momento e' estremamente difficile, la tensione delle truppe italiane
rischia di provocare nuove reazioni, rafforzare militarmente e in uomini il
contingente potrebbe essere un boomerang. Anche per la Cpa, soprattutto dopo
le dimissioni polemiche di Marco Calamai, sono "momenti di riflessione,
occorrono piu' misure di sicurezza e queste rendono ogni attivita' piu'
difficile con il rallentamento dovuto alla riduzione della liberta' di
movimento", afferma Andrea Angeli, portavoce della Cpa a Nassiriya.

5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA INTERVISTA HAUS AL KHAFAJI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2003]

L'appuntamento e' dopo l'Ifhtar, la cena che rompe il digiuno di Ramadan,
l'altoparlante diffonde versetti del corano mentre molti giovani affluiscono
nella sede segnalata dallo sventolio di due grandi bandiere, nera del lutto
e verde dell'islam. I ragazzi pregano prima della lezione del mullah, lo
sguardo e il sorriso di sheikh Haus al Khafaji, leader sciita rappresentante
per tutto il sud dell'Iraq di Muqtada al Sadr, contrasta con l'immagine
trucida del suo capo. Anche il suo tono e' moderato e ambiguo, come lo e'
insolitamente quello del radicale Muqtada negli ultimi tempi.
Trentenne, Haus al Khafaji e' coetaneo del suo capo, anche lui ha studiato
in una madrasa di Najaf ma non la stessa di Muqtada, che ha incontrato
quando e' uscito dalla prigione, sei mesi prima della caduta di Saddam, dove
era stato rinchiuso nel 1999, poco prima dell'assassinio di Mohammed Sadeq
al Sadr, padre del facinoroso leader islamista.
"Sono dispiaciuto per gli italiani, sono contro questi crimini, anche
Muqtada e' dispiaciuto per la morte di italiani e iracheni", esordisce lo
sceicco. "Gli italiani sono diversi dagli americani, sono piu' gentili, ma
non hanno una idea chiara di quello che succede qui, l'ho detto a un
rappresentante del ministero degli esteri italiano, non sono qui per un pic
nic e non devono prestarsi a fare da scudo per gli Stati Uniti: gli
americani sono nei campi, loro per strada. Ho cercato di fargli capire che
gli italiani sono occupanti. Noi siamo d'accordo con gli italiani che
chiedono il ritiro delle truppe dall'Iraq. Abbiamo molto rispetto per gli
italiani perche' hanno una civilizzazione millenaria come la nostra. Non
vogliamo che i nostri figli odino gli italiani perche' sono venuti ad
occuparci".
- Giuliana Sgrena: Anche voi vi aspettavate l'attentato?
- Haus al Khafaji: 24 ore prima la polizia sapeva che si stava preparando un
attentato con una macchina imbottita di esplosivo e ha avvisato tutti i
partiti, anche noi, e gli italiani. Ma gli italiani non hanno preso
provvedimenti.
- G. S.: Quindi si sapeva...
- H. al K.: Si', si sapeva ma non che sarebbe stato contro gli italiani.
- G. S.: Chi e' stato?
- H. al K.: I Feddayn Saddam insieme ad al Qaeda, per estendere al sud
quello che sta succedendo al nord.
- G. S.: Quindi a Nassiriya non si puo' parlare di inizio di una resistenza
armata?
- H. al K.: Tutti gli iracheni sono contro l'occupazione, ma preferiamo che
gli americani se ne vadano pacificamente.
- G. S.: Allora perche' Muqtada ha formato il "Jaish al Mahdi", una milizia
armata?
- H. al K.: Finora non ha fatto nessuna azione militare, il Jaish al Mahdi
e' stato costituito per proteggere il popolo.
- G. S.: Siete sicuri che gli americani se ne andranno pacificamente?
- H. al K.: Se vogliono salvare vite umane se ne dovranno andare, anche in
fretta.
- G. S.: Quindi le azioni militari servono per costringere gli americani ad
andarsene in fretta...
- H. al K.: Non sono contro le azioni militari se servono a indurre la
popolazione americana a fare pressioni sul governo perche' ritiri le proprie
truppe. Purche' non coinvolgano iracheni.
- G. S.: E' a favore delle azioni di martirio?
- H. al K.: No se sono contro l'Onu o la Croce rossa, si' se sono contro gli
americani, ma devono essere approvate da una fatwa (sentenza coranica), che
per ora non c'e'. Sono contro gli spargimenti di sangue ma sostengo ogni
azione che puo' costringere gli americani ad andarsene. Non daremo ordine di
uccidere, ma non respingeremo queste azioni.
- G. S.: Per il momento?
- H. al K.: Per il momento. E' il governo italiano che deve avere piu' cura
del suo popolo, perche' dobbiamo preoccuparci noi degli italiani se non se
ne preoccupa il loro governo? Se i carabinieri sono stati uccisi la
responsabilita' e' del governo italiano. E ci sono cose pericolose che
possono ancora succedere.
- G. S.: E la proposta americana di accelerare il passaggio dei poteri agli
iracheni?
- H. al K.: Sono per un governo scelto dal popolo.
- G. S.: Ma sono possibili elezioni ora?
- H. al K.: Sono possibili sotto il controllo dell'Onu, non degli Usa. Se
siamo ancora in piedi dopo 8 anni di guerra contro l'Iran, altre due guerre
e 13 anni di embargo, vuol dire che siamo in grado di governarci da soli,
abbiamo le istituzioni, possiamo eleggere i nostri rappresentanti attraverso
il sistema usato per la distribuzione delle razioni di cibo. A proposito di
razioni, dopo sei mesi di occupazione le razioni distribuite sono ridotte
rispetto a quelle dei tempi di Saddam.

6. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: LA PRIGIONE BAGHDAD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 novembre 2003]

Baghdad e' in guerra. Martedi' sera il tonfo dei missili - una quarantina -
e' tornato a squarciare il silenzio della sera mentre la popolazione
consumava l'agognato pasto dopo la giornata di digiuno. Tutti alle finestre
e sui balconi senza vedere gli obiettivi colpiti. Ora il buio cala presto.
Di giorno la situazione non migliora: gli edifici considerati obiettivi
possibili, da circa un mese, sono isolati da muraglie formate da blocchi di
cemento, che arrivano da Erbil (Kurdistan), alti due metri e mezzo di
altezza e sovrastati da enormi rotoli di filo spinato. E non solo quelli che
ospitano la Coalition provisional authority, che bunkerizzati lo sono sempre
stati. Molte strade sono bloccate, la Abu Nawas sul fiume Tigri, una volta
meta di passeggiate e di cene a base di masguf (il pesce tipico), e' in gran
parte chiusa e per il resto e' una corsa ad ostacoli. Senza parlare dei
blocchi stradali che rendono il traffico ancora piu' infernale. Sono tornate
anche le pattuglie americane che avevano lasciato il controllo della citta'
alla polizia irachena.
"Siamo in una grande prigione, e' questa la liberta' e la democrazia degli
Stati Uniti?", sbotta un signore ben vestito, un manager, che osserva la
piazza Firdaus (paradiso) trasformata in un campo di battaglia. "Vogliono
ridurci come l'Irlanda del nord, con la divisione tra cattolici e
protestanti, qui chi aveva mai fatto distinzione tra sunniti e sciiti? Gli
americani stanno dividendo il paese. E quando vanno a perquisire le case
sembrano gli israeliani quando entrano nelle case dei palestinesi". Anche il
muro assomiglia a quello palestinese.
Mentre il manager, che potrebbe anche trarre vantaggi dalla nuova
situazione, denuncia i danni dell'occupazione, molti altri iracheni, e non
solo, approfittano dell'anarchia - vuol dire anche mancanza di imposte - per
fare soldi. Uno dei maggiori investimenti e' comprare camion per il
trasporto di merci dalla Giordania. I mercati sono pieni di merci: in bella
mostra elettrodomestici e antenne paraboliche. Alla vigilia dell'Aid, la
festa che conclude il mese del Ramadan, i preparativi hanno scatenato la
corsa agli acquisti. Chi potra' permettersi questo ben di dio? Non la
maggior parte della popolazione che vive ancora delle scarse razioni della
"Oil for food", la risoluzione dell'Onu, in scadenza il 21 novembre, che ai
tempi di Saddam permetteva di vendere petrolio per importare cibo e che dopo
l'occupazione ha anche ridotto la quantita' di alimenti distribuita.
Frustrazione, rabbia, orgoglio ferito si sommano nella popolazione che si
vede maltrattata e disprezzata dall'arroganza degli occupanti. Un'arroganza
che si traduce in violazione dei diritti umani verso la popolazione civile,
come ha denunciato Abdel Basset Turki, ministro per la salvaguardia dei
diritti umani nel Consiglio governativo nominato dagli americani. "Gli Stati
Uniti - sostiene il ministro - devono valutare la situazione perche' la
popolazione gia' molto provata e' al limite della sopportazione". Le
violazioni sono cosi' evidenti che gli stessi Stati Uniti hanno riconosciuto
nove casi di maltrattamenti e uccisioni di detenuti, tanto e' vero che un
colonnello e' attualmente sotto processo davanti alla corte marziale per
aver ucciso un detenuto a Tikrit.
Alle macerie della guerra rimaste intatte, forse come monito - l'unica opera
di "ricostruzione" e' stata la sostituzione della statua di Saddam sulla
piazza Firdaus -, si aggiungono quelle di nuovi bombardamenti. Con
l'operazione "martello di ferro" sono tornati in azione i cacciabombardieri
F-16, l'artiglieria pesante, carri armati e elicotteri. Che ieri, per il
terzo giorno consecutivo, hanno colpito Baghdad, Tikrit, Baquba e Balad.
Vicino a Baquba, 50 chilometri a nod-est di Baghdad, sono state lanciate due
bombe guidate da satellite da 2.000 pound (circa 1.000 chili) contro siti
"sospettati di essere stato usato per fabbricare bombe". Vicino a Kirkuk i
caccia hanno sganciato bombe da 500 chili su non meglio precisati "target
terroristici". In risposta ad un attacco a Samarra gli americani hanno
sparato uccidendo due iracheni, compreso un ragazzo. A Tikrit e' stata
distrutta la casa di Izzat Ibrahim, numero sei nella lista dei 55 iracheni
piu' ricercati. Tuttavia, nonostante da giorni il portavoce militare Usa,
Mark Kimmitt, abbia detto che "ci stiamo avvicindando al re di cuori",
ritenuto responsabile di alcuni attacchi alle truppe della coalizione,
Ibrahim non e' stato ancora catturato. Gli americani sono pronti a tutto,
mentre sorgono inquietanti interrogativi sulle nuove bombe utilizzate.
"Condurremo la battaglia contro il nemico usando tutto il nostro arsenale
necessario", ha detto il generale maggiore Charles H. Swannack, le cui
truppe controllano le zone calde di Falluja, Ramadi e i confini con Siria e
Arabia Saudita. Obiettivo dei missili e dei cannoni sarebbero le basi della
resistenza, ma in alcune zone gli abitanti sono stati costretti a lasciare
le loro case, in altre a rimanere chiusi in casa e, a Baghdad, hanno
denunciato che si tratta di azioni punitive e che gli edifici colpiti non
erano mai stati occupati dalla guerriglia.
Le truppe occupanti continuano ad essere obiettivo di attacchi. A Bassora
una bomba e' scoppiata contro un convoglio ferendo una guardia inglese che
lavora con i militari per la Control risk. Non sono risparmiati gli
iracheni, una stazione di polizia e' stata attaccata a Mosul, feriti due
poliziotti, e i "collaborazionisti": e' stato assassinato Hmud Kadhim,
direttore del dipartimento dell'educazione a Diwaniya (150 km a sud di
Baghdad). Proprio ieri "al Hayat", giornale arabo di Londra, ha pubblicato
on line un comunicato del disciolto partito Baath che dichiara che la
resistenza armata continuera' nonostante i piani Usa di accelerare il
passaggio dei poteri agli iracheni. La guerra continua.

7. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: ESCALATION DI GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 novembre 2003]

Un campo di battaglia si estende da Baghdad fino a Kirkuk, senza escludere
il sud dell'Iraq, dove gli attacchi mirati sono ancora piu' limitati anche
se non meno pesanti, come e' avvenuto a Nassiriya. Attacchi alle truppe di
occupazione o ai "collaborazionisti" si alternano con gli attacchi
terroristici, che fanno vittime anche, e numerose, tra gli iracheni. Il
"triangolo sunnita" ha sfondato i propri confini verso il nord, coinvolgendo
sempre di piu' le citta' kurde contestate (Saddam le aveva escluse dal
Kurdistan) di Mosul e Kirkuk. Ieri e' stata infatti Kirkuk, la citta'
petrolifera del nord dell'Iraq, il teatro dell'attentato piu' grave. Erano
le 10,30, piu' o meno la stessa ora degli attentati di Istanbul, quando una
bomba nascosta su un pickup e' esplosa davanti alla sede dell'Unione
patriottica del Kurdistan (Puk) di Jalal Talabani, uno dei due partiti kurdi
alleati degli americani che governano il Kurdistan iracheno.
L'obiettivo probabilmente era simbolicamente piu' alto visto che in questo
periodo Jalal Talabani ricopre anche la carica di presidente di turno
all'interno del Consiglio governativo. Sei le vittime dell'attacco compreso,
probabilmente, un kamikaze, la cui presenza a bordo del pickup tuttavia non
e' stata confermata dai testimoni. Ma all'autista, attentatore suicida,
viene attribuito un corpo non identificato. Tra le altre vittime, almeno due
scolari e un insegnante. La potente esplosione ha distrutto porte e finestre
della sede giallo e verde che ospita il Puk e quelle dell'edificio della
radio e della televisione. L'attentato, anche in questo caso, non e' giunto
inatteso.
Secondo il capo della polizia, Sherku Shaker, l'obiettivo dell'attacco erano
gli uffici adiacenti dei due maggiori partiti kurdi, il Puk e il Partito
democratico del Kurdistan (Pdk) di Massud Barzani. L'attentato viene
attribuito a "gruppi islamici terroristi e a resti del regime di Saddam" che
"si starebbero coordinando", secondo quanto afferma Jalal Johr del Puk.
Peraltro proprio le forze del Puk si erano scontrate ripetutamente prima
della guerra con i militanti del gruppo al Ansar al Islam, ritenuto legato
ad al Qaeda, che si era installato nei villaggi vicino a Halabja, nel
Kurdistan iracheno al confine con l'Iran. Gli americani sospettano che al
Ansar al Islam stia lavorando con i fedeli di Saddam, compreso Izzat Ibrahim
al-Douri, gia' vicepresidente del Consiglio del comando rivoluzionario,
numero sei nella lista dei super ricercati, al quale gli Usa stanno dando
una caccia forsennata tanto da mettere, la decisione e' di mercoledi', sul
suo capo una taglia di 10 milioni di dollari.
Non fa differenze tra terroristi e saddamisti Jalal Talabani che approfitta
dell'occasione per ribadire il proprio appoggio agli americani: "I
terroristi non cesseranno di combattere se le truppe Usa saranno ritirate,
anzi saranno rafforzati nella convinzione di poter vincere il conflitto". E
per sponsorizzare l'uso dei peshmerga (combattenti kurdi) al di fuori del
Kurdistan, pur "accettando la sensibilita' che preclude l'uso di truppe
kurde in zone arabe", propone che vengano usati come retroguardie o per
proteggere i confini. Kirkuk gia' interessata dallo scontro tra kurdi e
arabi, dal sabotaggio degli oleodotti per impedire l'esportazione del
petrolio, restera' comunque, anche per le sue ricchezze, al centro dello
scontro che determinera' il futuro del paese.
A Baghdad sono tornate nel mirino le ambasciate, ieri mattina alle 5,30 un
"avvertimento" contro la rappresentanza diplomatica giordana e' costato la
vita a una guardia irachena. Due uomini hanno sparato da un'auto in corsa
contro l'edificio che ospita la cancelleria nel quartiere di al-Mamoun, dove
si e' trasferita dopo l'attentato del 7 agosto che aveva distrutto
l'ambasciata di al Mansour uccidendo 19 persone. Nello stesso quartiere una
bomba e' stata trovata nascosta in una torre delle comunicazioni. Mentre
l'ambasciata giapponese ha chiesto maggiore protezione dopo lo scontro a
fuoco di due giorni fa durato dieci minuti.
Un altro attacco contro "collaborazionisti" e' stato realizzato a Ramadi,
capitale della provincia di Anbar, a circa cento chilometri a ovest di
Baghdad, all'interno del "triangolo sunnita". Un'autobomba e' esplosa
mercoledi' sera davanti alla casa dello sceicco Amer Ali Suleiman, leader
dei Duleim, una delle tribu' sunnite piu' importanti dell'Iraq, e membro del
Consiglio comunale nominato dagli americani. L'esplosione avrebbe provocato
sette morti. Ieri, in un attacco a un convoglio militare, e' rimasto ucciso
un soldato Usa.
A Bassora, invece, e' stata denunciato ieri dal Movimento democratico assiro
l'assassinio del loro rappresentante all'interno del Consiglio comunale.
Sargoun Nanou Murado stava tornando dal lavoro, martedi', quando e' stato
sequestrato. Il suo corpo e' stato ritrovato mercoledi'. Il movimento, che
rappresenta la minoranza assira, fa parte anche del Consiglio governativo.
Mentre Bremer sostiene che la situazione e' sotto controllo al novanta per
cento e Bush da Londra fa sapere che "portera' a termine il lavoro
iniziato", le truppe americane stanno applicando le nuove tattiche
aggressive con l'uso di cacciabombardieri F-16, elicotteri d'attacco,
bombardamenti. Ieri a Samarra, a meta' strada tra Baghdad e Tikrit, le
truppe americane hanno ingaggiato una vera e propria battaglia contro un
gruppo di ribelli con carri armati e Apache. Dieci iracheni sono stati
uccisi, secondo il comando americano. Il Ramadan si sta avvicinando alla
fine con un bilancio di sangue senza precedenti.

8. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: ANCHE GLI ASINI LANCIAMISSILI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 novembre 2003]

E' ancora la guerra. E' sempre la guerra. Ed e' molto vicina. Appena svegli,
ieri, erano le 7,15, un rumore assordante ci ha riportato alla triste
realta'. Una bomba, un missile? Poi un altro. Dentro l'albergo o fuori? A
rispondere sono state le urla provenienti dal basso e il rumore delle
vetrate che all'altezza del quinto piano ricoprono in Perspex e vetri la
hall. Che fare? Riscoprire il rituale usato nei bombardamenti durante la
guerra? Ora e' diverso, anche per noi che siamo sempre stati contro la
guerra e' difficile scegliere dove stare, comunque meglio uscire, cercando
di schivare i pezzi di vetro che continuano a cadere dal soffitto. Uno degli
ascensori e' stato sventrato e l'immagine ci riporta inevitabilmente alla
bomba fatta esplodere davanti all'entrata del nostro giornale. Solo la sera
prima avevamo scherzato - forse per esorcizzare - sui prossimi obiettivi che
sarebbero stati colpiti, e naturalmente gli alberghi erano in testa. E tra
questi il Palestine e lo Sheraton che ospitano militari americani, gurka per
la protezione degli uomini d'affari anche loro soprattutto americani,
servizi di sicurezza di ogni tipo, molti cosiddetti "free lance" provenienti
da ogni parte del mondo, dall'Australia fino alla Serbia. E poi giornalisti,
molti, e anche iracheni, compresi alcuni giocatori della nazionale di
calcio.
Pare si tratti di missili Katiuscia che allo Sheraton hanno colpito il
diciassettesimo piano, senza provocare vittime, tranne un impiegato che si
trovava al pianterreno ed e' stato colpito da un vetro, non gravemente, per
fortuna. La fortuna e' che ieri, essendo venerdi', la hall non era affollata
come al solito a quell'ora, molti stavano ancora dormendo. "Grazie ad
Allah", dice qualcuno.
A colpire il Palestine, che si trova proprio di fronte allo Sheraton, e'
stato un missile, secondo il colonnello Peter Mansoor della prima divisione
corazzata Usa, ma sulla fiancata dell'albergo si vedono chiaramente i buchi
lasciati da cinque razzi: all'ottavo, al dodicesimo, al quindicesimo e al
sedicesimo piano. Nei giorni scorsi John Burns in un suo articolo sul "New
York Times" era stato premonitore quando aveva scritto che gli avevano
sconsigliato il sedicesimo piano del Palestine, evidentemente non solo
perche' piu' o meno a quell'altezza era gia' stato colpito lo scorso maggio.
Per fortuna la tragedia e' stata solo sfiorata, alcune delle camere
squarciate non erano occupate, e una coppia che trascorreva la prima notte
di matrimonio nell'hotel, come succede spesso nel fine settimana, ha
considerato un regalo di nozze l'averla scampata. Comunque un ferito grave
c'e' stato ed e' stato portato via dai soldati americani. Pare fosse uno dei
funzionari della Halliburton, la compagnia americana per servizi
petroliferi, gia' diretta dal vicepresidente statunitense Dick Cheney, che
ha ottenuto la maggior parte degli appalti per ripristinare i campi
petroliferi.
L'attacco di ieri e' una dimostrazione che non bastano le muraglie di
cemento e di filo spinato che circondano gli alberghi per proteggeri dagli
attacchi. E alla sfida si unisce la beffa se si pensa che i missili
Katiuscia sono stati lanciati da un carretto trainato da un asino che si e'
piazzato indisturbato sotto gli occhi di guardie irachene proprio
all'incrocio della Sadun street, con tanto di semaforo, dove si trova
l'unico accesso ancora praticabile per raggiungere dopo molti controlli - ma
non sempre accurati - il Palestine e lo Sheraton.
Walid e' il capocantiere dell'impresa che sta ricostruendo gli uffici della
Yugoslav airlines. "Ho visto il carretto che si fermava qui davanti, vicino
ai barili di gas, simili mezzi di trasporto sono usuali qui", racconta
Walid. Dopo che si e' sparsa la voce che durante l'Aid, festa di fine
Ramadan, non ci sara' benzina, le code ai distributori sono chilometriche,
quindi c'e' chi ne approfitta vendendone taniche ai lati della strada a
prezzi naturalmente almeno triplicati. E spesso per il loro trasporto
vengono usati proprio i carretti. Ma sul carretto la' parcheggiato da un
uomo alto e da un ragazzo non c'erano taniche di benzina ma lanciamissili
ricoperti da erba, e un mucchio di fieno e' ancora li' per terra. Il lancio
era predisposto con un sistema ad orologeria, cosi' i due hanno potuto
allontanarsi abbandonando il carretto che subito dopo ha fatto partire i
Katiuscia, non tutti pero', perche' l'asino si e' bruciato, si e' sganciato
dal carretto, che sbilanciato e' caduto sganciando i sistemi per il lancio.
A terra secondo Walid sarebbero rimasti dodici missili inesplosi. Subito
dopo e' arrivata la polizia irachena e poi i militari americani. Ve
l'aspettavate questo attacco? "Si', tutti ormai possiamo essere colpiti, non
solo gli americani. E questi alberghi, si' ce l'aspettavamo perche' ci sono
molti uomini d'affari americani e giornalisti".
Lo stesso sistema, che risponde ad un misto di creativita', artigianalita'
realizzata pero' con molta abilita' - l'uomo della Halliburton e' stato
colpito per caso? -, e' stato usato anche per colpire il ministero del
petrolio. L'imponente costruzione che ora ospita anche altri uffici, come
quelli del ministero per la salvaguardia dei diritti umani, e' stata colpita
proprio dal lato "petrolifero". Dallo stesso lato, all'interno della
recinzione del ministero strategico si trova una vera e propria base
militare Usa, come avevamo potuto vedere il giorno prima visitando il
ministero per i diritti umani. Peraltro allora la zona era sorvolata in
continuazione da elicotteri. Ma questo non ha impedito che cinque missili
colpissero il ministero, partendo, pare, da un carretto parcheggiato sotto
un ponte. E' il secondo attacco, il primo, una sparatoria, aveva bersagliato
l'edificio meno di tre mesi fa. Come allora, anche ieri mattina, i militari
statunitensi usciti dal ministero hanno cominciato a sparare all'impazzata
contro tutto e tutti. "La volta scorsa, racconta un abitante della zona, per
punizione gli americani hanno tagliato l'elettricita' in tutto il quartiere
per due giorni, con quel caldo!, che cosa faranno ora?".
Quando siamo arrivati noi, la zona era tutta isolata, come del resto quella
degli alberghi, e carri armati scorrazzavano a tutta velocita' improvvisando
manovre incomprensibili. Dimostrazione di forza o di impotenza di un Abrams
di fronte ad un carretto trainato da un asino?
Altri due carretti con batterie di missili inesplosi sono stati trovati
nella zona dell'ambasciata italiana e dell'Accademia delle belle arti, nel
quartiere Waziriya.
Pesanti carri armati sono tornati in citta', mentre elicotteri sorvolano
anche il nostro quartiere a bassa quota, con un rumore assordante, mentre in
albergo continuano a raccogliere vetri e a far cadere le lastre pericolanti.
Gli italiani, in particolare, sono in stato di allerta, non solo a
Nassiriya, anche se non ci sono state minacce particolari.
Che cosa ci riservera' ancora la fine di questo sanguinoso Ramadan?

9. LIBRI. MASSIMILIANO FORTUNA PRESENTA "OBBEDIENZA ALL'AUTORITA'" DI
STANLEY MILGRAM
[Ringraziamo Massimiliano Fortuna (per contatti: max.for@tiscalinet.it) per
averci messo a disposzione questo suo articolo gia' apparso sul bel mensile
torinese "Il foglio" n. 306 del novembre 2003.
Massimiliano Fortuna e' redattore della rivista mensile torinese "Il foglio"
e collaboratore del Centro studi Sereno Regis, nel cui sito e' possibile
leggere un suo acuto saggio sulla "religione aperta" di Aldo Capitini.
Stanley Milgram (1933-1984), psicologo sociale americano, condusse il
terribile "esperimento di Milgram", di cui riferisce il suo classico
Obbedienza all'autorita', ora nuovamente edito da Einaudi, Torino 2003]

All'incirca nello steso periodo in cui si teneva a Gerusalemme il processo a
Adolf Eichmann, Stanley Milgram stava conducendo all'Universita' di Yale
degli esperimenti sulla sottomissione all'autorita'. Nel raccontare quel
processo Hannah Arendt diede alla luce un libro decisivo, La banalita' del
male. In esso prendeva forma un pensiero di singolare scomodita': ad
Eichmann, uomo chiave delle procedure della deportazione degli ebrei nei
campi di sterminio nazisti, non si addicevano i tratti del "mostro", non era
un radicale e spietato antisemita, dominato dal compiacimento
dell'efferatezza, ma un uomo ordinario, fortemente posseduto da una
vocazione all'efficienza, desideroso innanzi tutto di svolgere il proprio
lavoro con meticolosita' estrema e godere dell'apprezzamento dei superiori.
L'immenso male a cui aveva contribuito poteva dirsi banale, perche' frutto
di una mente sordidamente impiegatizia, incapace di articolare un linguaggio
privo di cliche' burocratici e di intendere il punto di vista di qualcun
altro.
Accostandosi agli studi di Milgram ci si sente rapidamente pervasi da una
scomodita' affine. A inocularla e' la constatazione di quanto poco
vincolanti possano risultare, per una persona comune, valori morali
essenziali, quali l'esigenza di non infliggere sofferenze a uomini inermi,
di fronte alle richieste di un'autorita' riconosciuta. In breve, Milgram
concepi' l'esperimento seguente: dietro invito dell'Universita' due persone
prendono parte ad una ricerca su "La memoria e l'apprendimento", una nel
ruolo di insegnante, l'altra in quello di allievo; a dirigerli uno
sperimentatore, rappresentante dell'autorita' scientifica. L'allievo ha il
compito di ricordare delle associazioni verbali lette dall'insegnante,
quest'ultimo ad ogni errore deve somministrargli una scossa elettrica di
voltaggio crescente e sempre piu' dolorosa. In realta' questa scena e'
fittizia, allievo e sperimentatore non sono che attori, il dolore e le
scosse simulati. L'intento di Milgram consisteva infatti nell'analizzare
sino a quando l'insegnante, pur di obbedire alle sollecitazioni dello
sperimentatore, avrebbe accettato di provocare sofferenze all'allievo. Circa
due terzi dei soggetti osservati preferirono non trasgredire le disposizioni
dell'autorita' e giunsero a somministrare una scossa conclusiva di 450 volt,
potenzialmente mortale. Oltre a questa versione base l'esperimento fu
replicato in molteplici varianti, in una fra le piu' significative si e'
rilevato, ad esempio, come il ridursi della distanza fisica fra allievo ed
insegnante abbia indotto quest'ultimo a ribellarsi con maggior risolutezza
all'autorita'.
L'indagine sperimentale si svolse tra il 1960 e il 1963, in seguito Milgram
organizzo' compiutamente questo materiale, e ne nacque un libro, Obedience
to Authority (1974), non meno imprescindibile di quello della Arendt
(Bompiani lo pubblico' in italiano l'anno seguente, e viene ora riproposto
da Einaudi, con l'aggiunta di un saggio di Adriano Zamperini).
Pur nella smisurata varieta' dei casi reali, irriproducibile in una verifica
di laboratorio, Milgram ritiene di aver portato alla luce un'unita' di
misura psicologica: "la capacita' degli individui di rinunciare alla loro
umanita', anzi, la necessita' di comportarsi in tal modo al momento in cui
la loro personalita' individuale viene incorporata in piu' vaste strutture
istituzionali". Affermazione irritante ovviamente, perche' accettarla
significa ammettere che gli orrori su larga scala non si attuano soltanto
per la brutalita' straordinaria di pochi sadici, ma per l'ordinaria
acquiescenza dei piu'. E non si pensi unicamente a regimi totalitari o
autoritari, la definizione "esperimento Eichmann", data da Gordon W.
Allport, per Milgram doveva considerarsi calzante ma insieme riduttiva; i
meccanismi dell'obbedienza si giocano quotidianamente, a qualsiasi
latitudine politica: "la tratta dei neri e la schiavitu' di milioni di
persone, la distruzione degli indiani d'America, l'internamento dei
giapponesi americani nei campi di concentramento, l'impiego del napalm
contro la popolazione civile in Vietnam, sono altrettante misure ripugnanti
ordinate dall'autorita' di un paese democratico e sono state eseguite con
puntuale disciplina".
Milgram non guarda all'autorita' come un ribelle vacuo, considera lo
strutturarsi in gerarchia un cardine ancestrale e indispensabile della
sopravvivenza umana; d'altra parte, i processi distruttivi che la
disposizione ad obbedire puo' mettere in moto vanno in direzione
precisamente opposta alla sopravvivenza. E' un'antinomia pressoche'
disperante quella che Milgram evoca quando, quasi inattesa, lascia cadere la
frase chiave del libro: "crescendo, ogni individuo normale ha imparato a
tenere sotto controllo gli impulsi aggressivi. Ma la cultura non e' quasi
mai riuscita a inculcare controlli interni su azioni che hanno origine in un
sistema di autorita'. Questo e' un pericolo enorme per la sopravvivenza
della specie umana"; e di li' a poco s'incarica di precisare: "se, da un
lato, la tecnologia ha aumentato il potere dell'uomo, fornendogli i mezzi
per la distruzione di altri esseri a distanza, l'evoluzione non ha avuto la
possibilita' di fornire degli inibitori contro queste forme di aggressione
remota".
Fuso nel crogiolo tecnologico il nodo dell'autorita' rivela un innesco
esplosivo di proporzioni devastanti. Del resto, la discrepanza fra corpo
tecnico e risorse spirituali rinvia ad un pensiero guida del Novecento,
pensiero che e' stato di Anders e di Jonas, come di Bergson: l'uomo, divenut
o signore delle macchine, resta l'apprendista di sempre in ambito morale,
all'accresciuto potere di dominio dello spazio fisico non ha fatto riscontro
uno speculare incremento d'anima. Il tutto contribuisce poi ad illuminare
l'impatto di un virus che va di pari passo con la modernita' - dal momento
che altro non e' che un suo esclusivo portato -, quello della
specializzazione. Scrive Milgram: "il frammentarsi dell'attivita' umana in
compiti limitati e altamente specializzati ha avuto come risultato il
deterioramento della qualita' del lavoro e dell'esistenza degli uomini.
L'individuo che e' incapace di giudicare le situazioni nel loro insieme,
poiche' ne scorge solo una piccola parte, non puo' agire senza una qualche
direttiva esterna".
Magari provino a farci sopra una modesta riflessione quei cervelli a' la
page che ridacchiano sull'inutilita' della filosofia o sull'obsolescenza
della religione. Vecchi armamentari d'idee, credono in molti. Eppure, per
acquisire la capacita' di risalire dall'ingranaggio settoriale delle proprie
azioni sino all'assolutezza etica che continuamente fa loro da sfondo, certi
arnesi d'antan possono ancora venir buoni.

10. INIZIATIVE. L'ASSOCIAZIONE ITALIANA EDITH STEIN
[Dal sito dell'"Associazione italiana Edith Stein onlus" (sito:
www.edithstein.org; e-mail: info@edithstein.org) riprendiamo e diffondiamo
il seguente comunicato. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia
nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia
ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu' brillanti della
scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella
vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith
Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli
(col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta'
Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e
la filosofia di san Tommaso d'Aquino, Memorie Domenicane, poi in La ricerca
della verita', Citta' Nuova; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova;
Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione
generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte
in La donna, Citta' Nuova; e la raccolta di lettere La scelta di Dio, Citta'
Nuova, Roma 1974, poi Mondadori, Milano 1997. Opere su Edith Stein: per un
sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith
Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un
breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di
riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero
di Edith Stein, Vita e Pensiero, Milano 1976; Luciana Vigone, Introduzione
al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova, Roma 1991; Angela Ales
Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di
Padova, 1998, 2003; Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa,
Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000. Per la biografia: Edith Stein, Storia
di una famiglia ebrea, Citta' Nuova, Roma 1994, 1999; Elio Costantini, Edith
Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria
Editrice Vaticana, Citta' del Vaticano 1987, 1998; Laura Boella, Annarosa
Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000]

Nasce L'Associazione italiana Edith Stein onlus.
"La verita' e l'amore hanno bisogno l'una dell'altro. Suor Teresa Benedetta
(Edith Stein) ne e' testimone".
In questi termini si esprimeva Giovanni Paolo II l'11 ottobre del 1998
quando iscriveva Edith Stein nell'elenco dei Santi della chiesa cattolica.
In Italia sono molti i centri di studio e le associazione che hanno
individuato in Edith Stein il loro punto di riferimento. La nascita della
nuova Associazione italiana Edith Stein onlus va ad inserirsi nel solco
tracciato dal grande interesse sviluppatosi nei nostri anni sulla donna
ebrea, filosofa, carmelitana, santa e martire.
Essa si propone:
- di perseguire la conoscenza, lo studio e la diffusione dell'eredita'
spirituale, filosofica, teologica di Edith Stein;
- la comprensione tra popoli e nazioni, in particolare l'approfondimento ed
ampliamento del dialogo tra cristianesimo ed ebraismo;
- l'impegno per la tolleranza reciproca dei diversi gruppi etnici, religiosi
e sociali.
L'Associazione intende raggiungere questi obiettivi attraverso:
- la promozione della ricerca scientifica, della documentazione e delle
informazioni sulla vita e sull'opera di Edith Stein;
- il sostegno ai lavori scientifici, culturali, artistici, e di altro tipo
che si occupano di Edith Stein;
- la collaborazione con le chiese cristiane e le loro comunita' religiose,
con le Societa' cristiano-ebraiche, altre associazioni e gruppi sociali;
- l'organizzazione di conferenze, seminari, esposizioni, congressi e
convegni nazionali ed internazionali, nonche' di manifestazioni culturali ed
artistiche direttamente ed indirettamente.
Il primo consiglio direttivo, eletto in sede di costituzione, e' composto da
cinque membri: Presidente la professoressa Angela Ales Bello; vicepresidente
suor Carla Bettinelli; consigliere padre Marco Paolinelli; segretario fratel
Massimo Angelelli; tesoriere Carlo Gitto.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini@tin.it,
angelaebeppe@libero.it, mir@peacelink.it, sudest@iol.it, paolocand@inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 746 del primo dicembre 2003