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La nonviolenza e' in cammino. 735
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 735
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Wed, 19 Nov 2003 22:58:54 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 735 del 20 novembre 2003
Sommario di questo numero:
1. Un vescovo
2. Altre stragi. Uno scambio di lettere tra Benito D'Ippolito e Dino
Frisullo nell'ottobre 2000
3. Hannah Arendt: sulle bugie della propaganda totalitaria
4. Simone Weil: l'onore
5. Scorie
6. Peppe Sini: qaddish
7. Nando dalla Chiesa: carabinieri
8. Maria G. Di Rienzo: azione diretta nonviolenta sul posto di lavoro
9. Alberto Trevisan: donare un abbonamento ad "Azione nonviolenta"
10. Giuliana Sgrena intervista Marco Calamai
11. Marco Palombo: sull'incontro dell'8 novembre a Verona con Lidia Menapace
12. Il 21 novembre giornata del dialogo cristiano-islamico
13. Riletture: Giancarla Codrignani, Ecuba e le altre
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. UN VESCOVO
Vescovo, come ognun sa, traduce il termine greco episcopos, che designa la
persona che osserva e custodisce, poiche' guarda (skopei) sopra (epi), e
guardando sopra guarda anche oltre, avanti, pre-vede; ed in quanto
sor-veglia cosi' sovra-intende e pertanto funge da guida, assume e gli viene
riconosciuta responsabilita'.
Monsignor Raffaele Nogaro, vescovo cattolico di Caserta, e' oggi nel nostro
paese una delle piu' nitide figure dell'impegno di pace e solidarieta'. In
questi giorni di acuto dolore ha detto nel corso di un'omelia alcune
elementari verita', variamente riportate dai mezzi d'informazione di massa,
che ci pare di poter riassumere secondo il seguente ragionamento (e ci
scusiamo se avessimo qualcosa frainteso o sovrainterpretato): che ogni vita
umana e' preziosa, che il primo comandamento della convivenza umana (e, per
chi crede in una realta' trascendente, della legge divina) e' "non
uccidere", che la guerra consiste - come spiegava Gandhi - della commissione
di omicidi di massa. E che quindi la pieta' dovuta a tutte le vittime, la
misericordia dovuta a tutti gli esseri umani, deve tradursi nell'impegno
contro tutte le uccisioni. E chi invece abominevole si serve dei cadaveri
degli assassinati per incitare a perseverare nell'uccidere (con le guerre,
con il terrorismo - le due cose nell'epoca segnata dagli orrori assoluti di
Auschwitz e di Hiroshima sono ormai palesemente un'unica cosa) offende la
memoria dei morti, e minaccia la vita dei vivi.
Ha quindi esortato, monsignor Nogaro, al cordoglio sincero e all'amore
operoso; ad opporsi a tutte le uccisioni. Cosi' abbiamo inteso. I suoi
sentimenti sono anche i nostri, il suo lutto e' il nostro, la sua
esortazione e' la nostra.
*
In questi stessi giorni di acuto dolore gli stessi sciagurati messeri che
prima hanno favoreggiato lo scatenamento della guerra terrorista e
stragista, poi hanno addirittura illegalmente e criminalmente inviato tanti
giovani italiani a prendervi parte, ancora non sazi del sangue versato
affermano di voler gettare altre vite nella fornace, e lo affermano empi e
bestiali dinanzi alle salme delle persone che hanno fatto morire.
E sempre i medesimi scellerati assassini in queste ore aggrediscono
monsignor Nogaro, accusandolo di opporsi alla guerra come se opporsi alla
guerra fosse un reato invece che un dovere cui ci chiama la legge
fondamentale del nostro paese, e con essa e prima di essa quella legge non
scritta ma incisa nella coscienza di ogni essere umano.
*
Quanto dolore, quanta tristezza, quanta tristizia.
Anche noi a monsignor Nogaro gratitudine e solidarieta' qui dichiariamo.
Ed ai recidivi assassini il nostro orrore, e la nostra radicale opposizione.
2. MEMORIA. ALTRE STRAGI. UNO SCAMBIO DI LETTERE TRA BENITO D'IPPOLITO E
DINO FRISULLO NELL'OTTOBRE 2000
[Nell'ottobre 2000 Benito D'Ippolito invio' ad alcuni amici il testo
seguente; Dino Frisullo rispose con il testo che pubblichiamo di seguito.
Entrambi i testi all'epoca ebbero qualche diffusione, ed entrambi abbiamo
gia' pubblicato nel n. 27 del 23 ottobre 2000 del notiziario "Un uomo, un
voto", che all'epoca redigevamo a sostegno della proposta del riconoscimento
del diritto di voto alle elezioni amministrative per tutti i residenti, ma i
governanti di allora erano anch'essi sordi.
Benito D'Ippolito e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca
per la pace" di Viterbo.
Dino Frisullo, impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani,
per il suo impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in
Turchia. E' deceduto nel giugno 2003. Tra le opere di Dino Frisullo:
L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; e' da poco uscito, postumo,
un suo nuovo libro, Sherildan. Alcune testimonianze in ricordo di Dino
Frisullo sono nel n. 577 del 10 giugno 2003 di questo foglio]
Benito D'Ippolito: litania dei morti in preghiera
Leggo sul giornale la notizia assente
lungo una strada una discarica abusiva
sulla discarica deposti, scaricati
morti asfissiati sei giovani migranti:
sei clandestini, leggo sul giornale
che aggiunge: il tir
partendo in fretta e furia
con una ruota ha calcato il capo spento
di uno dei morti, schiacciandolo
facendone scempio.
Vedo
la scena tutta: la strada, il grande camion
il cumulo maleodorante dei rifiuti
la fretta di sgravare a terra il carico
inerte, lo sguardo da lupo il fiato affannoso
le bestemmie masticate in gola
di chi scaglia tra i residui i residui
corpi. Vedo
il camion pesante macigno, il fumo
dei gas di scappamento, il crocchiare
orribile che non posso, non posso dire.
E vedo ancora
come sacchi quei corpi rotti
che attendono l'alba, il giorno, il passaggio
delle automobili, il sole
che alto si leva, il tempo
che passa e che fermenta, finche' viene
qualcuno e si ferma
ed e' tardi.
Poi vedo che arrivano uomini molti,
si fermano auto e furgoni, ed e' tardi.
Vengono le telecamere, le macchine
fotografiche, un momento ancora,
ancora un momento prima di gettare
un velo pietoso, il pubblico cannibale
vuole vedere il sangue, lo scempio.
Poi tutto si avvolge. Tutto torna nero.
Tutto resta nero, e nel nero un piu' cupo
nero che sembra quasi rosso. E un silenzio
tumescente.
Leggo il giornale, uno dei poveri
cristi ammazzati cosi' dalle leggi di Schengen e dalle mafie
transnazionali cui lo stato ha appaltato
il mercato del diritto a fuggire
dalla morte altra morte trovando,
leggo il giornale uno dei cristi poveri
stringeva ancora in mano una piccola, una piccola coroncina
da preghiera.
Mentre affogavano tra le balle di cotone
pregavano, pregavano i miseri clandestini.
Ascoltala tu la loro pia preghiera.
Ascoltala tu, che leggi queste righe.
Tu poni mano a far cessar la strage.
Ipocrita lettore, mio simile, mio frate.
Ascoltala tu la voce dei morti
e poni mano tu, poniamo mano insieme, a far cessar la strage.
*
Dino Frisullo: cronaca nera
Ali veniva, poniamo, da Zako.
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta nel porto a Patrasso
profumo di casa
garanzia di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva gia' visto l'Italia, poniamo.
Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari l'Italia,
e il primo italiano che vide
vestiva la divisa di polizia di frontiera
e fu anche l'ultimo.
Respingeteli, disse,
Ali non capi' le parole ma lesse lo sguardo
guardo' a terra poi si volse
perche' un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva gia' usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell'eco delle bombe
Qendaqur come Halabje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola, la famiglia in Germania,
con lei aveva sognato l'Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni
e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halil
divise verdeoliva
nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca
e poi liberi
corre veloce l'autobus da Cizre verso Mardin
ogni mezzora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce di notte tre notti
trenta posti di blocco
da Mardin fino a Istanbul,
e quella notte ad Aksaray nel piu' lurido degli alberghi
fra ubriachi che russano e scarafaggi
per la prima volta avevano fatto l'amore
e per l'ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti
lei gliene regalo' uno
come fosse una rosa di maggio.
Fu all'alba che vennero a prenderli
taxi scassati il cielo grigio del Bosforo
poi a piedi verso un'altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia l'acqua del Meric
ha la pistola il mafioso, "piu' in fretta" sussurra,
di la' la Grecia l'Europa
e' calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott'acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell'inferno.
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali galleggiava nell'acqua sporca del Meric
mentre si nascondeva nel canneto
perche' i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi e' la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
In Grecia l'uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
a piedi di notte fino a Salonicco
un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
e' bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era piu' bella
piu' profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena sul mare
di la' c'e' l'Europa davvero
gli ultimi soldi per il biglietto per Bari
Ali il mare non l'aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ma un uomo non ha paura
e il cielo dal mare non e' poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa piu' paura la polizia di frontiera
"ez kurd im"
"ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari,
chiudeteli dentro, che non scendano a terra
senno' chiedono asilo..."
E' triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E' duro esser kurdi
sperduti fra il cielo ed il mare
erano in dieci, poniamo
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
seimila dollari quei dieci corpi
valgono quanto un carico intero
e il suo amico Huseyn pago' anche per lui
prima di coricarsi abbracciati
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti prende alla gola
che ti toglie il respiro...
E' cronaca
"Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir"
e' politica
"Piu' di mille clandestini respinti nel porto di Bari"
e' diplomazia
"Accordo con la Grecia sui rimpatri"
e' ipocrisia
"Roma chiede collaborazione ad Ankara"
e' propaganda
"Inasprite le pene contro i trafficanti"
e' nausea e' rabbia e' dolore
sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l'Europa
in Europa sogneranno il ritorno
nella fredda nebbia di Colonia
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un fiore secco
e un pane di sesamo...
3. MAESTRE. HANNAH ARENDT: SULLE BUGIE DELLA PROPAGANDA TOTALITARIA
[Da Hannah Arendt, Ritorno in Germania, Donzelli, Roma 1996, p. 30. Hannah
Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di
Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio,
dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime
pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano
2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth
Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi
critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto
Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona
Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996;
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati,
Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi
legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con
ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt,
Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv,
Muenchen 2000]
Le bugie della propaganda totalitaria si distinguono dalle abituali bugie, a
cui ricorrono i regimi non totalitari nei momenti di emergenza, soprattutto
perche' esse negano continuamente il valore dei fatti in generale: tutti i
fatti possono essere cambiati e tutte le falsita' essere rese vere.
4. MAESTRE. SIMONE WEIL: L'ONORE
[Da Simone Weil, Sulla guerra. Scritti 1933-1943, Nuove Pratiche, Milano
1998, p. 42 (e' un estratto da un testo del marzo 1936). Simone Weil, nata a
Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e
politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica,
miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola,
poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]
L'onore non c'entra quando gli uni decidono senza rischi e gli altri muoiono
in nome dell'obbedienza. E se la guerra non puo' rappresentare per nessuno
una tutela dell'onore, bisogna anche trarre la conclusione che nessuna pace
e' vergognosa, quali che ne siano le condizioni.
5. RIFLESSIONE. SCORIE
Esprimiamo tutta la nostra solidarieta' alla popolazione lucana in lotta.
La collocazione delle scorie radioattive non puo' essere decisa con un colpo
di mano di un governo sempre piu' incline a gesti rivelatori di un'ideologia
e una prassi autoritaria e golpista.
Noi che redigiamo questo foglio siamo di quelli che negli anni '70 ed '80 si
opposero al nucleare: fino ad ottenere, promuovendo e vincendo il referendum
dopo la catastrofe di Cernobyl, il blocco della follia atomica nel nostro
paese.
La lotta della popolazione lucana e' la nostra stessa lotta, ed e' la lotta
degli infiniti sud del mondo contro un modello di sviluppo e un sistema di
potere che fa scempio della natura, della democrazia, della dignita' umana
mettendo in pericolo l'unica terra che abbiamo e con essa l'umanita' intera.
6. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: QADDISH
Non mi sorprende, ma inorridisce si'.
La frettolosita' e la disattenzione con cui sono state archiviate le stragi
di Istanbul nel sentire e nel dire del movimento che vuol essere per la
pace. Come cose da nulla, quisquilie, bagatelle (bagatelle per un massacro:
e' il titolo di un infame libello antisemita di Celine).
Non mi sorprende, ma inorridisce si'.
Ed e' un atteggiamento che rivela non solo il cinismo e il dereismo che ci
corrodono (una conferma e' ad esempio nel fatto che un'autorevole voce
lillipuziana - e da tanti anni un caro amico, i cui smarrimenti molto ci
addolorano - gia' complice della sciagurata idea dell'assalto alla zona
rossa di Genova, questo martedi' non abbia trovato di meglio che irridere la
commozione sincera di tante persone per le vittime della strage di
Nassiriya: si puo' trovare ipocrita ed ignobile la retorica del governo
criminale che quelle persone ha mandato a morire, ma non la commozione
sincera di un popolo che piangeva dei morti, e che va rispettata); rivela
anche dell'altro: rivela come l'antisemitismo sia ancora tra noi.
Non mi sorprende, ma inorridisce si'.
Perche' questo fin esibito fastidio per le vittime, invece che orrore e
condanna per chi le assassina, rivela a qual punto quell'ideologia disumana
maculi e contagi e divori in guisa di cancrena il comune discorso, la
koine', e con essa il comune sentire, delle culture e dei poteri egemoni
nell'Europa reale (di cui tutti, in quanto privilegiati, in qualche misura
compartecipiamo). E come questa egemonia della tradizione di pregiudizio e
persecuzione antiebraica prima imperiale romana, poi cristiana, poi del
razzismo scientista, poi del delirio annichilista, ancora permei, corrompa,
imputridisca perfino aree e linguaggi e sentimenti della sinistra
democratica e del movimento che vuol essere per la pace e la giustizia.
Non mi soprende, ma inorridisce si'.
E non mi sorprende, ma inorridisce si', che tante autorevoli voci della
cultura democratica del nostro paese non siano capaci di esprimere dolore
per le vittime della strage di Istanbul senza subito aggiungere una tirata
contro la politica di Israele. E non si rendono conto che cosi' dimostrano
di condividere la stessa infame logica dei terroristi di oggi e dei nazisti
di sempre.
E non mi sorprende, ma inorridisce si', che trovandomi talora a far da
relatore a incontri di solidarieta' col popolo palestinese - la cui causa e
le cui speranze di liberta', pace e convivenza sono quelle di ognuno di
noi -, e mentre gli amici e compagni palestinesi sono limpidi e luminosi
nell'affermare il diritto alla vita e alla sicurezza della popolazione di
Israele, il diritto all'esistenza dello stato di Israele, la distinzione tra
le responsabilita' di un governo esso si' criminale e una popolazione
duramente traumatizzata che ha diritto di vivere una vita serena e per
quanto possibile felice, la condanna di ogni terrorismo, e la necessita' e
la volonta' della convivenza di due popoli e due stati nel territorio della
Palestina storica; a un certo punto immancabile si alza in piedi e prende la
parola il militante italiano tutto d'un pezzo che si sente in dovere
dall'alto del suo possesso dell'unica verita' di "spiegare come stanno
davvero le cose", di smascherarmi come "oggettivamente complice dell'entita'
sionista" nequizia delle nequizie, di riaffermare che quell'"entita'" non
deve esistere, di spiegare come e qualmente con la vittoria dell'Armata
rossa nella seconda guerra mondiale, o - a seconda della casacca che
indossi - con la Chiesa sortita dal concilio vaticano secondo,
l'antisemitismo sia con assoluta certezza finito e quindi il popolo di
Abramo abbia l'indifferibile inesorabile dovere di "assimilarsi" alle
culture altrui, ai poteri altrui sottomettersi introiettandoli fino alla
negazione di se', e scomparire. Che e' lo stesso programma di annientamento
che fu degli Autos da fe', che e' ne' piu' ne' meno che la sempiterna -
quantunque cangiante nei paludamenti e nei mortiferi trovati - ideologia e
pratica dell'antisemitismo: e quando gli ebrei rifiutano di suicidarsi
allora i lager, allora il programma di "gettarli in mare" ed affogarli
tutti, allora le bombe di Istanbul. Le bombe di Istanbul, le cui vittime
innocenti abbiamo gia' dimenticato, e non e' passata neppure una settimana.
E non mi sorprende, ma inorridisce si'.
Almeno questo foglio, almeno noi persone amiche della nonviolenza, alla cui
base c'e' la scelta del rispetto per la vita di tutti gli esseri umani, ci
inchiniamo dinanzi alle vittime di Istanbul, ne serbiamo memoria, e proviamo
un dolore che non si estingue.
Ed ancora una volta con le parole di Danilo Dolci diciamo: "Auschwitz sta
figliando nel mondo. Non sentite l'odore del fumo?", e chiamiamo tutte le
persone di volonta' buona, che si oppongono alla guerra e al terrorismo, che
vogliono costruire un mondo possibile di pace e di giustizia, di
solidarieta' e convivenza, ad opporsi all'antisemitismo, a far cessare
infine la Shoah.
7. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: CARABINIERI
[Dagli amici di Italia Democratica (per contatti:
italiademocratica@virgilio.it) riceviamo e diffondiamo questo articolo di
Nando dalla Chiesa apparso su "L'unita'" del 18 novembre 2003. Nando dalla
Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario,
parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del
movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria
limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa segnaliamo
particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto, Mondadori;
La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie, Einaudi; Il
giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza (a cura di
Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini & Castoldi;
La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini perbene,
Einaudi; La legge sono io, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in
forma di autobiografia e raccordandoli con note di grande interesse) una
raccolta di scritti del padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, In nome del
popolo italiano, Rizzoli. Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in
alcuni libri di carattere giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda
anche l'intervista contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria,
Rizzoli]
Carabinieri. Nel giorno del lutto si corre certo il rischio della retorica.
Ma anche quello di non dire e di tacere ingiustamente, per paura della
retorica.
E' difficile la misura quando il paese vive uno dei momenti piu' dolorosi
della sua storia recente. E ha riscoperto per l'ennesima volta di volere
bene all'Arma. Difficile, specie per chi ha la mia storia, non parlare di
questo rapporto, intenso, secolare, che unisce i carabinieri al popolo
italiano.
Rapporto dalle mille sfumature. Cresciuto nel tempo, impreziositosi nel
tempo. Non c'e' istituzione dello Stato, salva (e non sempre) quella del
presidente della Repubblica, che raccolga intorno a se' la stessa fiducia o
la stessa considerazione. E non e un caso.
L'Arma ha tenacemente cercato questo rapporto, che sta anzi all'origine
della sua stessa funzione e divisa. Basta risfogliare i calendari dell'Arma,
le loro copertine oleografiche, per misurare - nelle forme piu' mutevoli -
la forza di questa cultura. Il carabiniere che tiene per mano il bambino, il
carabiniere che soccorre un bisognoso, il carabiniere che porta aiuto alle
popolazioni.
Cambiano le tecnologie che fanno da sfondo (perche' anche la modernita' del
messaggio e' d'obbligo nell'Arma), ma uguale resta la funzione, la "mission"
si dice oggi, dell'istituzione. Cosi' anche i discorsi dei comandanti,
almeno di quelli piu' interni alla lunghissima storia degli alamari, non
riescono mai a evitare i riferimenti, a volte asciutti a volte ampollosi,
all'ideale del sacrificio per gli altri, si tratti di Salvo D'Acquisto o dei
"militi" impegnati nei soccorsi in qualche terremoto, delle vittime del
terrorismo o della mafia, fino - oggi - a quelle delle missioni di pace. Il
carabiniere, insomma, immaginato come diga o appiglio di fronte alle
abiezioni sociali o alle catastrofi naturali.
*
C'e' chi pensa, per convenzione mentale, ma anche perche' spesso il
linguaggio militare tradisce aulicita' e influenze dannunziane, che tutto
cio' sia puro apparato retorico. Di fronte al quale si staglierebbe una
verita' piu' prosaica. Comprensiva si' di slanci altruistici e di dedizione
quotidiana, ma anche di misteri politici (dal bandito Giuliano a De Lorenzo
al caso Moro) o di abusi di piazza, alcuni dei quali conclusisi con fatti di
sangue e di violenza in danno dei manifestanti (ultimo esempio quello di
Carlo Giuliani a Genova). Insomma, una verita' di luci e ombre, in
chiaroscuro, nella quale bisogna distinguere tra fatti e fatti, tra persone
e persone.
Fermo restando che questa distinzione debba sempre essere la nostra stella
polare nel giudicare le umane cose, la storia dell'Arma e' pero' cosa
diversa da questo ritratto in chiaroscuro. In essa si produce infatti, per
orgoglio, per tradizione, per senso - appunto - della missione, un enorme e
collettivo sforzo quotidiano di selezione degli uomini (e ora anche delle
donne), e di promozione delle loro qualita' migliori sul piano umano e
professionale. E' un lavoro incessante che inizia con gli allievi
carabinieri e termina con gli ufficiali superiori. Fatto bene e fatto piu'
superficialmente. Ma volto a produrre regole di comportamento, modalita' di
pensiero, confini tra cio' che si puo' e non si puo' fare. A predisporre e
rimotivare all'obbedienza e alla lealta' verso le istituzioni.
*
Spesso, lo sappiamo, l'attivita' concreta puo' essere soggetta a critica. Ma
e' attivita' condotta assai spesso in mezzo all'imprevisto, alla difficolta'
operativa; perche' gli ordini superiori possono arrivare fino a un certo
punto, poi pero' c'e' qualcuno che in quel secondo, in quello specifico
secondo, deve affrontare quel rischio, quel problema, magari avendo alle
spalle gli studi che a un normale cittadino non consentirebbero nemmeno di
evadere una normale pratica burocratica.
"Usi obbedir tacendo e tacendo morir" non e' dunque un motto pomposo ed
esangue al tempo stesso. Riflette la storia concreta di un'Arma che ha
coltivato con gelosia il suo status di "prima Arma dell'Esercito" e che
della propria lealta' ai governi e alle supreme istituzioni ha fatto un
vanto, tanto da fornire la guardia scelta (i corazzieri) alla massima
istituzione repubblicana e da essere stata prima, durante il ventennio,
assai piu' fedele alla monarchia che al duce, offrendo adesioni ed eroismi
ben noti alla stessa Resistenza.
Mi si permetta in proposito di citare un "Galateo del Carabiniere" edito nel
1873 a uso degli allievi carabinieri. Un Galateo che dovrebbe essere riletto
oggi dai cittadini per capire quali siano state le basi etiche dello Stato
risorgimentale e - al suo interno - di questa Arma che si paragonava alla
Gendarmeria repubblicana della rivoluzione francese, facendo cosi' risalire
la propria origine ai grandi principi di cittadinanza e di uguaglianza
dell'Europa contemporanea. Si trovano gia' li', infatti, gli insegnamenti
che fanno dei Carabinieri un "corpo" sociale diverso che, pur volendo essere
"espressione del popolo", non vuole pero' essere, come diremmo adesso,
"fotografia del popolo". Vediamo dunque cosa recitava quel Galateo, al
paragrafo "Sentimento del dovere": "Ecco dunque perche' pel carabiniere si
proibiscono cose che sebbene sieno per se stesse innocentissime e sieno da
altri giornalmente usate, tuttavia scemerebbero quella dignita' che al suo
carattere specialmente e' dovuta".
E' questo, non altro, il centro di ogni riflessione sull'Arma (e su ogni
democrazia funzionante). L'onore e il prestigio della divisa vietano non
solo le cose illecite ma anche tante scelte e tanti comportamenti
perfettamente ammissibili per legge. Messaggio, questo, che puo' ovviamente
essere tradito nella pratica quotidiana. Ma che nel suo stesso enunciato e'
assolutamente rivoluzionario se applicato alla vita pubblica di oggi e a
coloro che, ben piu' che l'allievo carabiniere, vi esercitino ruoli di
responsabilita' e di comando. Messaggio rivoluzionario se applicato a una
societa' in cui troppe volte, di fronte al degrado che tocca questo o
quell'ambito sociale, ci sentiamo opporre la ragione che un'istituzione o la
politica in generale non fanno, in fondo e incolpevolmente, che fotografare
la societa' in cui operano.
E' insomma questo sforzo di "dare di piu'" che va compreso, per capire la
storia dell'Arma e di coloro che, con la famiglia al seguito - silenziosa
anch'essa -, hanno vissuto al suo servizio da una parte all'altra d'Italia.
E' qui, in questo sforzo (che puo' non riuscire e spesso non riesce, ma che
segna pur una distanza dall'etica pubblica dominante), che trova ragione non
solo il coraggio di chi e' caduto affrontando consapevolmente il rischio
piu' alto, negli anni o nelle regioni di piombo; ma anche l'eroismo
imprevisto e certo indesiderato di chi, nella piu' rituale attivita' in
luoghi tranquilli, ha - per dovere - perso la vita a un posto di blocco,
affrontando un rapinatore, portando soccorso a uno sconosciuto.
*
Oggi l'Italia guarda con dolore affettuoso i suoi nuovi carabinieri caduti,
e insieme con loro gli altri caduti militari e civili. Di nuovo piange
un'obbedienza silenziosa, sia pure incentivata dal sogno di pagare le cure
al figlio, di soddisfare un mutuo per la casa, o da altre umanissime
ragioni. Di nuovo, quale che fosse la strategia del governo, viene pagata la
convinzione e la volonta' di portare le proprie capacita' al servizio di un
ideale di altruismo, di aiutare qualcuno, sia pure piu' lontano, molto piu'
lontano del solito. I cittadini guarderanno alla Basilica di San Paolo con
occhi piu' o meno pronti a inumidirsi. In ognuno di noi pero' sta il senso
della tragedia immanente, che non vorremmo assorbita dai rituali e dalla
frenesia dei media che si mangiano il tempo e lo strazio.
In me che in Senato, lo scorso 19 marzo, ho partecipato al voto che
benedisse l'appoggio a questa guerra, oltre al dolore stara' l'angoscia di
un'immagine. Quella di mezzo Senato e piu' in piedi ad applaudire festante,
all'ora della cena, 20,35, l'appoggio che avrebbe poi legittimato l'invio
dei nostri militari. Ne scrissi a suo tempo su queste pagine. Fu una scena
sconvolgente. Gli applausi da gran festa, da cerimonia che ci innalza a
vincitori. Quasi la standing ovation che chiude o apre uno spettacolo di
gala. Gli evviva di chi sarebbe rimasto a casa. Poi qualcuno parti'. E tutti
scoprirono che non era una festa. Che non e' una festa. Riposino in pace. E
che nessuno ne perda la memoria.
8. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA SUL POSTO DI
LAVORO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Quando uno sciopero non e' possibile o e' difficile organizzarlo, per le
piu' svariate cause, vi sono risorse alternative che potete usare come
lavoratrici/lavoratori. Ovvero ci sono modi semplici ed efficaci per
raggiungere quello che volete, o per gettare luce su quello che non va, e
che per funzionare hanno solo bisogno del consenso dei vostri colleghi.
*
1. Lavorare attenendosi strettamente alle regole
Se gli ordini di manager, direttori, capi e capetti venissero obbediti alla
lettera, i risultati sarebbero confusione, calo di produzione e abbassamento
del morale. Nove volte su dieci, per fare bene il proprio lavoro si e'
"elastici", si violano tali ordini e si ignorano le linee gerarchiche:
ovvero, paradossalmente, se non vi fosse il sistematico "boicottaggio" dei
lavoratori di regole e regolamenti (per lo piu' arcaici), nulla
funzionerebbe.
In numerose situazioni, attenersi alla stretta applicazione delle regole
puo' essere un'azione potente ed incisiva. Negli anni '60 e '70 dello scorso
secolo questa tecnica fu usata con clamorosa efficacia dai lavoratori belgi,
francesi ed inglesi: in Gran Bretagna si ricordano ancora di quando i
lavoratori delle poste decisero il "work to rule", e nel giro di quattro
giorni gli uffici postali furono paralizzati.
*
2. Lavorare attenendosi strettamente alla normativa di sicurezza
E' una variante della tecnica precedente e consiste nel seguire le
disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro fino alle virgole.
Sul treno non ci sono tutte le cassette di pronto soccorso previste? Voi non
fate partire il treno finche' non si provvede. Il tornio manca dei
dispositivi individuali per la vostra salvaguardia? Voi restate sul posto di
lavoro, ma non lo adoperate. Mancano i guanti, gli occhiali, lo schermo
protettivo, la segnaletica esterna? Voi vi presentate al lavoro, ma non
entrate nel cantiere, o non accendete il computer.
*
3. Offrire ai clienti/consumatori un comportamento diverso dal solito
Suona strano, lo so, ed e' proponibile solo in ristrette condizioni
oggettive (l'essere a uno sportello, o comunque a contatto diretto con il
pubblico). Risponde pero' ad uno dei problemi che si affrontano di solito
rispetto agli scioperi, e cioe' il fatto che essi "colpiscono" una o piu'
categorie di utenti, i cui disagi vengono utilizzati strumentalmente per
propagandare ostilita' contro gli scioperanti.
In sintesi, usando questa tecnica voi continuate a fare il vostro lavoro, ma
portando ad esempio visibile sul petto un distintivo che dica in poche
parole qual e' il problema, cosa volete, cosa sta accadendo (tipo: "In lotta
per il contratto"; "Contro la pena di morte", "Solidarieta' per...").
*
4. Bocca aperta
Qualche volta, il dire la semplice verita' sulle vostre condizioni di lavoro
ai clienti/consumatori e' sufficiente per fare una grossa pressione sui
capi.
Questa tecnica e' particolarmente efficace per chi lavora in aziende
alimentari, ristoranti e mense, ospedali e cliniche, a patto che: a) siate
fortemente documentati, ovvero in grado di dimostrare quel che dite; b)
mettiate in opera la tecnica fuori dal vostro turno di lavoro.
Se osservate le due condizioni predette, non c'e' nulla che i vostri datori
di lavoro possano fare, se non migliorare le condizioni di cui parlate: e
non c'e' nulla di illegale nel vostro comportamento. Rispetto all'industria
alimentare si tratta di un'azione particolarmente efficace nel conquistare
il sostegno esterno: i lavoratori e le lavoratrici espongono ai
clienti/consumatori (con volantini o direttamente) i modi in cui il cibo
viene preparato, che materie prime vengono usate e come, ecc. Storicamente,
la tecnica "bocca aperta" ha contribuito a forzare la formulazione di leggi
e regolamenti sulla salute e sulla sicurezza.
*
5. Siamo malati/e
E' un modo "indiretto" di scioperare. L'idea e' il blocco della normale
attivita' lavorativa mediante il dichiararsi in malattia della maggior parte
o della totalita' delle maestranze.
Esempio: la direzione sta minacciando il licenziamento per membri del
sindacato o attivisti/e in genere. Si ricorda alla direzione stessa che
ultimamente c'e' una brutta epidemia di influenza in giro, e che sarebbe
davvero spiacevole se domani non ci fosse abbastanza gente per occuparsi
delle solite mansioni. Certo, potremmo tenere duro e venire a lavorare lo
stesso, sempre che le pressioni sul nostro collega cessino (in
contemporanea, deve cominciare a squillare il telefono all'ufficio
personale: e dozzine di persone devono dichiarare quanto male stanno).
*
6. Agire come se avessimo gia' ottenuto quel che vogliamo
Richiede piu' organizzazione (e una forte "tenuta") rispetto ad altri
metodi, e non e' proponibile in tutte le circostanze, ma funziona in modo
splendido. In passato i lavoratori/le lavoratrici hanno utilizzato questa
tecnica, ad esempio, per ridurre l'orario lavorativo.
Ove si era scioperato e contrattato senza ottenere risultati, in presenza di
giornate lavorative di 10/12 ore, si e' deciso di lavorare per non piu' di 8
ore, appunto come se la riduzione d'orario fosse stata formalmente
accettata.
9. MEMORIA E PROPOSTA. ALBERTO TREVISAN: DONARE UN ABBONAMENTO AD "AZIONE
NONVIOLENTA"
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici
della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a
tutti i lettori del nostro notiziario - a rinnovare (o sottoscrivere per la
prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Alberto
Trevisan (per contatti: trevisanalberto@libero.it) formulando una proposta
ulteriore: di donare un abbonamento ad "Azione nonviolenta" a persone
amiche. Alberto Trevisan e' da sempre una delle figure di riferimento della
nonviolenza in Italia. Questo intervento abbiamo estratto da una sua piu'
ampia lettera personale, di luminosa generosita']
Personalmente da anni a Natale faccio qualche regalo abbonando appunto
qualche amico ad "Azione nonviolenta".
Inoltre, e questa e' una proposta che gia' ho fatto al coordinamento
nazionale del Movimento Nonviolento di cui faccio parte, sarebbe bene che -
senza eccessiva competizione e quindi senza voler arrivare primi - almeno i
membri del coordinamento nazionale e gli amici "storici" di "Azione
nonviolenta" si impegnassero a pubblicizzare gli abbonamenti stessi.
Quando riesco a fare gli abbonamenti avviso sempre Mao che accompagna, quale
direttore della rivista, il nuovo abbonamento con una sobria lettera...
10. DOCUMENTAZIONE. GIULIANA SGRENA INTERVISTA MARCO CALAMAI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 novembre 2003.
Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le
piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle
culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra
cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro
i califfi, Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma);
e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase
piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso.
Marco Calamai e' stato fino a pochi giorni fa consigliere presso la
Coalition provisional authority (Cpa), braccio politico dell'occupazione
militare in Iraq; nato a Firenze nel 1940, da anni operatore per conto di
istituzioni internazionali, in anni lontani era militante sindacale (nella
Fiom, nella Flm, nella Cgil) e redattore di "Rinascita"; tra le sue opere di
allora segnaliamo: La lotta di classe sotto il franchismo. Le commissioni
operaie, De Donato, Bari 1971; Storia del movimento operaio spagnolo dal
1940 al 1975, De Donato, Bari 1976; Il fantasma di un'altra Cuba. L'America
latina dopo la rivoluzione sandinista, De Donato, Bari 1979]
"Mi sono dimesso dalla Coalition provisional authority (Cpa) perche' ho
toccato con mano il fallimento della strategia americano-britannica e dei
loro alleati, Italia compresa, e per questo spero che l'Italia esca al piu'
presto da questa situazione. C'e' uno scollamento completo tra ricostruzione
e processo democratico che non va avanti. La mia decisione non dipende da un
pregiudizio ideologico, altrimenti non sarei venuto qui". Gia', perche' e'
venuto? "Per curiosita' intellettuale e per capire come la Cpa poteva
contribuire a una ricostruzione democratica", ci risponde.
Marco Calamai, consigliere speciale della Cpa a Nassiriya (uno dei quattro
italiani che ne fanno parte), dimessosi polemicamente domenica, non e' nuovo
a esperienze del genere, le piu' recenti: un anno e mezzo come direttore
dell'Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) in Kosovo e poi sempre
per l'Ilo coordinatore dei Balcani e infine come consigliere speciale
dell'Undp in Algeria. Aveva pero' cominciato come giornalista de "l'Unita'"
e di "Rinascita", allora era iscritto al Pci, ma "non ho piu' una tessera di
partito da vent'anni" precisa e definisce la sua attuale collocazione
politica "genericamente" nell'Ulivo. Le sue dimissioni non mancheranno di
alimentare speculazioni politiche. Abbiamo incontrato Marco Calamai nel
campo militare italiano di White horse, a Nassiriya, dove e' in attesa della
sua partenza per l'Italia. Arrivato a Nassiriya l'11 ottobre ha subito
verificato le difficolta' della Cpa che "non era riuscita a far decollare
progetti di ricostruzione. Allora - racconta - ho pensato ad un approccio
integrato al territorio, non concentrato su Nassiriya ma sulla provincia, la
periferia piu' degradata. Abbiamo cominciato, civili e militari insieme, ad
individuare i problemi, i principali sono le scuole, la sanita' e l'acqua.
La provincia e' ricca d'acqua, ma e' inquinata dai rifiuti e salata, quindi
non e' utilizzabile per l'agricoltura, la principale attivita' della zona".
- Giuliana Sgrena: Ma che cosa non ha funzionato?
- Marco Calamai: La Cpa ha messo in piedi una sovrastruttura burocratica a
tutti i livelli, paralizzante. Si e' mantenuto un sistema centralizzato come
durante il regime di Saddam, i ministeri fanno riferimento ai corrispettivi
dipartimenti provinciali, mentre i consigli comunali, anche quelli eletti,
sono svuotati di potere. Quindi per qualsiasi progetto i consigli comunali
devono rivolgersi ai dipartimenti che dispongono degli strumenti per
realizzarli, ma l'inefficienza ereditata dai tempi di Saddam e l'incertezza
per il futuro paralizzano le istituzioni. E poi molti soldi non sono
arrivati alle istituzioni perche' sono destinati alle compagnie americane. E
tutto questo ha provocato un forte disagio sociale. Le tensioni negli ultimi
giorni prima dell'attentato sono sfociati anche in scontri tra gruppi sciiti
rivali.
- G. S.: Ci sono state anche manifestazioni di protesta davanti alla sede
della Cpa...
- M. C.: Si', ci sono stati manifestazioni di gruppi di licenziati: si
tratta di lavoratori a tempo, erano stati assunti per sei mesi, nel settore
della sanita' e della scuola, ma adesso e' arrivato l'ordine di Paul Bremer
(l'amministratore americano) di sospendere questi lavoratori perche' il
bilancio dello stato a fine 2003 presenta un "buco" di 1,5 miliardi di
dollari. E qui la disoccupazione e' gia' altissima.
- G. S.: Voi li avete incontrati, cosa dicono, cosa chiedono questi
lavoratori?
- M. C.: Innanzitutto considerano gli italiani diversi dagli americani.
Sanno che l'ordine dei licenziamenti e' venuto da Baghdad, c'e' uno
scollamento tra la nostra attivita' e le direttive di Baghdad. Una
infermiera, leader delle donne, chiusa in carcere per quattro anni durante
il regime di Saddam, che ha anche ucciso suo marito e fatto sparire suo
figlio, ci ha detto di essere pronta a tutto. Ho avvertito un crescente
malessere e una tensione attorno alla Cpa, accusata di aver promesso molto e
fatto poco o niente. Invece non ho sentito niente contro i militari italiani
e non ho mai avvertito ostilita' nei nostri confronti.
- G. S.: La sua decisione di dimettersi stava maturando da tempo, ma e'
precipitata dopo l'attentato?
- M. C.: Si', perche' l'attentato ha bloccato tutto, ha reso ancora piu'
difficile realizzare quello che stavamo cercando di fare. Ora siamo tutti
chiusi in fortini inespugnabili. L'attentato e' in qualche modo il risultato
della politica generale della Cpa. Anche se non c'e' nessuna connessione tra
questa e l'attentato. L'attentato e' stato probabilmente realizzato da
qualcuno venuto da fuori, non so da chi.
- G. S.: Esiste una via d'uscita?
- M. C.: Occorre cambiare strada. Io mi riconosco nel discorso fatto nei
giorni scorsi dal presidente Ciampi negli Stati uniti, deve intervenire
l'Onu, anche se sarebbe meglio un'Onu riformata e l'Europa, ma la situazione
e' ormai cosi' compromessa...
11. INCONTRI. MARCO PALOMBO: SULL'INCONTRO DELL'8 NOVEMBRE A VERONA CON
LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Marco Palombo (per contatti: tabaccheriapalombo@tiscali.it) per
questa testimonianza sull'incontro dell'8 novembre a Verona sulla proposta
di Lidia Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e
smilitarizzata, solidale e nonviolenta. Marco Palombo, amico della
nonviolenza, e' tra i promotori dell'appello che abbiamo pubblicato nel n.
730 di questo foglio]
L'incontro dell'8 Novembre a Verona e' stato simpatico e piacevole.
L'introduzione di Lidia Menapace breve ed efficace. La discussione
interessante.
Che impressione mi ha lasciato tutto questo?
Mi ha lasciato la convinzione che l'area nonviolenta sia si' limitata, ma
reale; dispersa in tutta Italia ma capace, se trova le note giuste, di
parlare a moltissima gente (l'esperienza delle bandiere di pace insegna).
Il problema attuale, secondo me, forse anche perche' vivo in un'isola, e'
creare collegamenti tra piccoli, piccolissimi gruppi e singole persone.
La rete Lilliput e' importante ma non basta. Internet puo' essere
utilissimo, ma penso che si possa fare di piu' per mettere in comunicazione
questa rete informale degli amici della nonviolenza.
12. INIZIATIVE. IL 21 NOVEMBRE GIORNATA DEL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO
[Dalla redazione de "Il dialogo" (per contatti: redazione@ildialogo.org)
riceviamo e diffondiamo. Anche quest'anno invitiamo tutte e tutti ad aderire
all'iniziativa]
Nonostante la crescente islamofobia ed i venti di guerra che spirano
impetuosi, anche quest'anno si terra' in tutta Italia il prossimo 21
novembre 2003, ultimo venerdi' del Ramadan dell'anno islamico 1424, la
celebrazione della seconda "Giornata di dialogo cristiano islamico".
Negli ultimi giorni si sono aggiunte importanti e significative adesioni fra
cui quelle dei Centri islamici della Lombardia e dell'Emilia Romagna.
Ricordiamo l'adesione di Pax Christi, i cui punti pace sono mobilitati in
tutta italia ad organizzare per il 21 novembre iniziative di dialogo;
l'adesione della Chiesa valdese e della Federazione delle chiese evangeliche
in Italia; l'adesione del Segretariato attivita' ecumeniche (Sae).
Importanti iniziative di dialogo si terranno a Roma, Torino, Cuneo, Milano,
Casale Monferrato, Verona, Genova, Correggio (Re), Bergamo, Mestre, Brescia,
Reggio Emilia, Desio (Mi), Padova, Trento, Avellino, Napoli, Salerno,
Pachino (Sr). Iniziative che non si fermeranno al solo 21 novembre ma che
andranno oltre, come accaduto gia' lo scorso anno, a dimostrazione di una
volonta' diffusa di proseguire e consolidare il dialogo negli anni a venire.
Il "popolo del dialogo" anche in questa occasione sta dimostrando la propria
vitalita' e volonta' di pace e di non lasciarsi intimidire dai venti di
guerra. L'impegno e' anzi maggiore proprio per le difficolta' legate ad una
situazione nazionale ed internazionale non facile.
Rinnoviamo l'invito a tutti i cristiani del nostro paese, ma anche a tutti
gli uomini e le donne di buona volonta', a digiunare il 21 novembre in segno
di pace e di fratellanza con i musulmani e con quanti soffrono la fame e
l'ingiustizia e a sostenere con il corrispettivo iniziative di solidarieta'.
Ed e' proprio la gravita' della situazione nella quale ci troviamo che ci
spinge a chiedere con ancora piu' determinazione ai leader delle chiese e
delle comunita' islamiche, agli amministratori delle nostre citta', alle
donne e agli uomini di buona volonta' di non cedere alla retorica dello
"scontro di civilta'" e di operare concretamente a favore del dialogo
interreligioso, con iniziative culturali, gesti di riconciliazione e
perdono, scelte sociali e politiche di solidarieta', liturgie e preghiere
che facciano trionfare la pace che e' forte nel cuore del popolo italiano e
ci aiutino a vivere la "convivialita' delle differenze" di cui parlava il
compianto don Tonino Bello.
A tutti e a tutte coloro che parteciperanno alle iniziative del 21 novembre
vada un sincero augurio di Shalom- Salaam- Pace
*
Per informazioni, segnalazioni iniziative, materiali per il dialogo, si puo'
fare riferimento alla redazione de "Il dialogo": sito: www.ildialogo.org,
e-mail: redazione@ildialogo.org, e anche ai seguenti numeri telefonici:
3291213885 oppure 3337043384.
Ricordiamo che quest'anno l'iniziativa per il 21 novembre si avvale del
sostegno di alcune riviste come "Confronti" (www.confronti.net), "Tempi di
fraternita'" (www.tempidifraternita.it) e "Mosaico di pace"
(www.paxchristi.it).
13. RILETTURE. GIANCARLA CODRIGNANI: ECUBA E LE ALTRE
Giancarla Codrignani, Ecuba e le altre. Le donne, il genere, la guerra,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994, pp. 256, lire
20.000. Un libro la cui lettura non ci stanchiamo di raccomandare.
14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini@tin.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 735 del 20 novembre 2003