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La nonviolenza e' in cammino. 644
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 644
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Fri, 15 Aug 2003 20:06:33 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 644 del 16 agosto 2003
Sommario di questo numero:
1. Luciano Bonfrate: da Assisi a Gubbio ricordando Darina Silone
2. La speranza e la profezia di padre Balducci
3. Emanuel Anselmi: la Corte penale internazionale e i motivi
dell'avversione degli Stati Uniti (parte prima)
4. Jennifer Friedlin: le donne del Kenia accusano l'esercito britannico
5. Mario Pianta, Federico Silva: alcune recenti pubblicazioni sul "movimento
dei movimenti"
6. Francesca Lazzarato presenta "Memorias de la represion", collana diretta
da Elizabeth Jelin
7. Augusto Illuminati presenta "Cervantes filosofo" di Antonio Gagliardi
8. Giobbe Santabarbara: di Averroe', di Cervantes e di noi stessi
9. Riletture: Nadia Fusini, Mariella Gramaglia (a cura di), La poesia
femminista
10. Riletture: Laura di Nola (a cura di), Poesia femminista italiana
11. Riletture: Francesca Pansa, Marianna Bucchich (a cura di), Poesie
d'amore
12. Riletture: Angela Cattaneo, Silvana Pisa, L'altra mamma
13. Riletture: Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi, Se noi
siamo la terra
14. Riletture: Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre
15. Riletture: Luce Irigaray, Speculum
16. Riletture: Goliarda Sapienza, L'universita' di Rebibbia
17. Riletture: Wanda Tommasi, I filosofi e le donne
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'
1. MEMORIA E FUTURO. LUCIANO BONFRATE: DA ASSISI A GUBBIO RICORDANDO DARINA
SILONE
[Si svolgera' dal 4 al 7 settembre la camminata per la nonviolenza da Assisi
a Gubbio (il 4 e il 5 la camminata vera e propria lungo il tradizionale
sentiero francescano; il 6 e il 7 a Gubbio si terra' un impegnativo
convegno) promossa dal Movimento Nonviolento (per informazioni e contatti:
e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org); a sostegno
della partecipazione il nostro amico Luciano Bonfrate ha voluto scrivere
queste righe in cui si ricorda altresi' Darina Silone, scomparsa alcune
settimane fa, indimenticabile e tenerissima lottatrice per la dignita'
umana, la verita' e la nonviolenza; Darina Laracy Silone era nata a Dublino
il 30 marzo 1917, laureata in letteratura francese alla Sorbona di Parigi,
conobbe Silone tra gli esuli antifascisti a Zurigo durante la guerra e ne
divenne compagna, interlocutrice e collaboratrice preziosa, e traduttrice in
inglese e in francese; viveva a Roma nella casa in cui aveva abitato con
Silone fino alla sua scomparsa nel 1978; e' deceduta il 25 luglio 2003;
curatrice del lascito siloniano, alle sue cure si deve la pubblicazione
postuma dell'ultimo e incompiuto capolavoro siloniano, Severina, presso
Mondadori]
Lungo la strada che da Assisi giunge
a Gubbio dove il povero persuase
il lupo ad altre imprese
nella coscienza della stessa fame
che si raddoppia in scienza dell'insieme
ed opera da farsi, condiviso
bene donato dalla compresenza,
anche sara' Darina nel ricordo.
Sara' Darina, poiche' quel cammino
prosegue di Darina e Secondino
il viaggio lungo e la memoria bella,
face e favella, e aprire strada andando.
Poiche' la nonviolenza e' questo: il varco
- diceva Capitini - attuale
si' della storia, che al gorgo del male
oppone comprensione e dignita',
e resistenza che fa forte il frale
e solidarieta' che non si estingue
e riconosce umanita' ed invera.
2. INIZIATIVE. LA SPERANZA E LA PROFEZIA DI PADRE BALDUCCI
[Riproduciamo un estratto da un nostro comunicato di un anno fa. E' nostra
intenzione riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di
pace, in memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti.
Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922,
ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote,
insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose
iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista
"Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986.
Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un
pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi
sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici
problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo
particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio
(Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione
con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario
(Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa
(Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude
(Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una
cosa (Ecp); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano
(Cremonese), ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo
(Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto
Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a
lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed
Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn.
373-374, 1995. Un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa
introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci:
cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996. Recente e' il
libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la
modernita', Laterza, Roma-Bari 2002. Cfr. anche Enzo Mazzi, Ernesto Balducci
e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002]
Possa venire presto un tempo in cui non si permettera' piu' di insultare la
memoria delle vittime della guerra; possa venire presto un tempo in cui
sara' proibito di oscenamente festeggiare la guerra, l'uccidere, gli
apparati di morte; possa venire un tempo in cui si adempia la speranza e la
profezia del compianto padre Ernesto Balducci: che la guerra, uscita per
sempre dalla sfera della razionalita', sia infine cancellata dalla storia
umana.
3. RIFLESSIONE. EMANUEL ANSELMI: LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE E I MOTIVI
DELL'AVVERSIONE DEGLI STATI UNITI (PARTE PRIMA)
[Ringraziamo Emanuel Anselmi (per contatti: anselmie@libero.it) per averci
messo a disposizione questo testo di cui pubblichiamo oggi la prima parte.
Emanuel Anselmi e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di
Viterbo, dottore in economia, gia' obiettore di coscienza in servizio civile
presso la Caritas di Viterbo, collabora con alcune ong]
In questo testo si cerchera' di mettere in evidenza quali sono, a parere di
chi scrive, le ragioni vere che si nascondono dietro il rifiuto da parte
degli Stati Uniti d'America di riconoscere la giurisdizione della Corte
penale internazionale, cioe' l'organismo internazionale di giustizia penale
entrato in vigore il primo luglio 2002, che rappresenta il primo esempio di
istituzione penale a carattere permanente di tale livello nella storia
dell'umanita'.
Questo mancato riconoscimento determina, da parte degli Stati Uniti, un
atteggiamento che si risolve nella volonta' esplicita di sottrarre i propri
cittadini (militari, innanzitutto) ad un eventuale giudizio negativo per
quanto riguarda il comportamento di questi nei casi previsti dallo Statuto
dell'organismo. La tesi sostanziale, in estrema sintesi, e' che gli Usa
hanno imboccato da tempo una strada che li sta portando progressivamente
alla perdita di quella posizione egemonica che hanno ricoperto a partire
dalla vittoria nella cosiddetta "seconda guerra dei trent'anni" (1914-1945)
(1) contro l'egemonia britannica, assicurata dalla capacita' degli stessi
Stati Uniti di concentrare e rappresentare gli interessi del "mondo libero"
di fronte all'avanzata del modello sovietico; una volta decaduto il
cosiddetto bipolarismo, il ruolo egemonico di questo paese e' venuto
assottigliandosi in un mondo divenuto ormai un unico mercato, e per
mantenere/recuperare il proprio predominio e' necessario ricorrere ad una
politica estera particolarmente aggressiva, e quindi ad una violenza che
verrebbe giustamente sanzionata da una corte internazionale.
*
La nascita di questo organismo di natura cosi' importante si deve
fondamentalmente alle esperienze dei tribunali ad hoc creati per i crimini
commessi nel Ruanda e nell'ex Jugoslavia - i quali hanno pur avuto il merito
di generare familiarita' ed una certa aspettativa nei confronti dell'idea di
una giustizia penale per la sanzione delle piu' gravi violazioni del diritto
internazionale (2) -, ma anche, meno recentemente, a seguito della creazione
delle due giurisdizioni speciali consistenti nel Tribunale militare
internazionale di Norimberga e nel Tribunale militare per l'Estremo Oriente
di Tokyo.
E' proprio a seguito dell'istituzione del tribunale di Norimberga che furono
iniziati dei lavori preparatori da parte della neonata Commissione del
diritto internazionale atti a preparare lo Statuto per una corte permanente,
che pero' si distinguesse dal Tribunale militare stesso per il fatto di
essere una istituzione super partes e non l'espressione di solamente una
parte della comunita' internazionale, come nel caso delle potenze vincitrici
della seconda guerra mondiale (3).
Il periodo della guerra fredda si frappose a rallentare e bloccare il
processo di formazione normativa che avrebbe dovuto condurre alla creazione
della corte internazionale, fino al crollo dei regimi collettivistici
dell'Est europeo a seguito dell'implosione dell'Unione Sovietica, periodo
durante il quale poterono riprendere i lavori che si sono poi felicemente
conclusi nel luglio del 1998 con l'approvazione dello Statuto di Roma,
istituente l'organizzazione.
Rientrano nella competenza dei giudici internazionali i crimini piu' gravi
che ledono la coscienza dell'umanita' e cioe' i crimini di guerra, i crimini
contro l'umanita', il genocidio ed i crimini di aggressione, questi ultimi
ancora purtroppo in balia di un limbo paradigmatico che indugia a darne una
definizione chiara ed esauriente.
Per quanto concerne il crimine di "genocidio", questo, secondo lo Statuto,
puo' essere perpetrato attraverso la commissione di atti deliberatamente
posti in essere al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo
nazionale, etnico, razziale o religioso; questi atti (art. 6) sono:
uccisione dei membri del gruppo, gravi lesioni fisiche o mentali inferte ai
componenti di tale gruppo, imposizione al gruppo di condizioni di vita che
necessariamente ne provochino la distruzione fisica in tutto o in parte,
imposizione di misure intese ad impedire nascite all'interno del gruppo,
trasferimento forzoso di bambini del gruppo ad un altro gruppo.
L'articolo 7 prevede, quali crimini contro l'umanita', lo sterminio -
consistente nell'imposizione intenzionale di condizioni di vita intese a
provocare la distruzione di una parte della popolazione (fra cui
l'esclusione dall'accesso a fonti alimentari e medicinali) -, la
deportazione o il trasferimento forzato di popolazione, la costrizione alla
gravidanza, l'occultamento di persone sequestrate.
L'articolo 8 invece riguarda i crimini di guerra e sancisce che la Corte
avra' competenza su di essi in modo particolare se perpetrati su larga scala
o nel quadro di una pianificazione politica.
Da quanto sin qui riportato si evince che sanzioni economiche terribilmente
pesanti come l'embargo (quale ad esempio quello imposto a Cuba, e quello
imposto all'Iraq) hanno caratteristiche tali da poter rientrare tra le
fattispecie menzionate dagli articoli citati.
La Corte e' entrata in vigore dopo che e' stata raggiunta la sessantesima
ratifica dello Statuto da parte di uno stato nazionale e questa e' stata
depositata presso il segretario generale dell'Onu.
La sua giurisdizione e' soggetta al principio di complementarieta', cio'
significa che i soli casi in cui il procuratore internazionale sara'
legittimato ad agire saranno quelli in cui le corti interne non siano in
grado di esercitare l'azione penale o non intendano farlo: in merito a
questo punto, sara' la stessa Corte a decidere il momento e le circostanze
di un proprio intervento, secondo il principio della competenza sulla
propria competenza, cosi' come risulta dal combinato disposto del preambolo
e degli artt. 17-20 dello Statuto: essa si trova praticamente al vertice del
sistema di giustizia penale internazionale di cui fanno parte, con
giurisdizione primaria, i Tribunali nazionali degli Stati firmatari del
Trattato. Percio' la sfera giurisdizionale dell'organismo in parola si
presenta delineata da frontiere mobili che si estendono e si restringono a
seconda delle contingenze (4).
Le modalita' attraverso le quali si estrinsechera' il suo operato sono di
due tipi.
Un primo caso di attivazione si avra' dal momento in cui il Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite riterra' opportuna una decisione in tal senso
sulla base di una Risoluzione dedicata alle misure necessarie al
mantenimento della pace internazionale, ai sensi del capitolo VII della
Carta dell'Onu: in questa ipotesi la Corte avra' giurisdizione in qualunque
parte del mondo e nei confronti di qualunque cittadino, mentre la data del
primo luglio 2002 rappresenta un termine iniziale incondizionato, cioe'
tutti i crimini compiuti successivamente rientreranno nella competenza di
quell'istituzione.
Altro caso di attivazione si ha su iniziativa del Procuratore internazionale
(ai sensi degli artt. 13.a e 13.b, in combinazione con l'art. 12),
iniziativa comunque limitata da criteri di necessita' ed opportunita',
oppure su richiesta di uno Stato che abbia ratificato il trattato, per
crimini compiuti dunque successivamente alla data di ratifica del trattato
medesimo da parte dello Stato stesso e posti in essere all'interno del
territorio dello Stato parte o ad opera di un suo cittadino.
Caratteristica importante della Corte e' quella di garantire i piu' alti
standard internazionali del "giusto processo" al fine di tutelare i diritti
degli indagati e degli accusati e di garantirne la presunzione di innocenza;
i giudici si dovranno mostrare ovviamente indipendenti da ogni influenza
esterna, in primo luogo da quella dei governi, e controlleranno la legalita'
delle attivita' dell'organismo. E' anche prevista l'istituzione di
un'Assemblea degli Stati Parti quale organo politico dell'istituto.
Altra caratteristica notevole dello Statuto che istituisce la Corte e' il
fatto che l'ONU, nella persona del suo Segretario Generale, costituisce
solamente il depositario del trattato, dato che l'organismo internazionale
dovrebbe costituire un'entita' del tutto indipendente dall'Organizzazione
delle Nazioni Unite e per questo motivo avra' quella caratteristica prima
accennata di costituire un organismo non soggetto alle decisioni prese in
seno al Consiglio di sicurezza dell'Onu, che nei fatti rimane ancora, dopo
piu' di mezzo secolo, espressione della volonta' politica e degli interessi
nazionali degli stati vincitori del secondo conflitto mondiale attraverso la
loro presenza quali membri permanenti del Consiglio stesso.
La capacita' riconosciuta alla Corte di attivarsi qualora il Procuratore
internazionale decida, una volta ottenuta l'autorizzazione da un collegio di
tre giudici (la Pre-Trial Chamber), di esercitare l'azione penale d'ufficio,
permette quindi a questa istituzione di prendere delle decisioni in maniera
completamente indipendente rispetto a quelle che possano apparire come
pressioni o adesioni a compromessi imposti da chi puo' esercitare un potere
relativamente maggiore nel consesso delle Nazioni Unite, primo paese fra
tutti appunto gli Stati Uniti.
Nonostante questa possibilita', il Consiglio di sicurezza, oltre ad avere la
facolta' di attivare la giurisdizione della Corte nelle ipotesi di crimini
compiuti nel territorio di uno stato non-parte ad opera di cittadini di uno
stato non-parte - cioe' nelle ipotesi in cui altrimenti sarebbe impossibile
rendere operativa la Corte stessa -, e' provvisto anche di un potere di tipo
speculare: esso consiste nella sospensione per il periodo di un anno -
eventualmente rinnovabile - di qualsiasi attivita' del Procuratore (sia essa
un'indagine preliminare o un processo in corso), nei casi in cui lo
richiedano particolari esigenze di mantenimento della pace: esso possiede
quindi anche lo strumento che gli consente di contrastare l'azione
dell'organo di accusa internazionale, pur legittimato ad agire. Il ruolo del
Consiglio dunque, anche se nelle intenzioni dei suoi fautori la Corte doveva
esserne autonoma, si rivela uno dei perni centrali di tutto il sistema,
essendo "il solo custode di una doppia chiave, che gli consente
l'attivazione o l'interruzione dell'azione giurisdizionale nei casi piu'
complessi" (5).
*
Note
1. Simoncelli M. (2003) "Geografia politica, fisica ed economica", lezione
tenuta il 6 marzo nell'ambito della Spices.
2. Donat-Cattin D. (2001) "Dai Tribunali Penali Internazionali ad hoc alla
Corte Penale Internazionale permanente: alcune riflessioni sul processo
decisionale nella comunita' internazionale" in Calvetti G. (a cura di), Il
Tribunale Internazionale dell'Aia per la ex Iugoslavia, Milano, Cuem.
3. Donat-Cattin D. (2002) "Corte penale internazionale e Stati Uniti: alcune
considerazioni", nella rivista "Volontari e terzo mondo", Roma, n. 4,
ottobre-dicembre.
4. Della Morte G. (2002) "Il Tribunale adesso c'e' ma avra' vita difficile",
nella rivista "Fondazione internazionale Lelio Basso", Roma, n. 2,
aprile-giugno.
5. Della Morte G., op. cit.
(Continua)
4. DIRITTI UMANI. JENNIFER FRIEDLIN: LE DONNE DEL KENIA ACCUSANO L'ESERCITO
BRITANNICO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
averci messo a disposizione la traduzione di questo articolo del 3 agosto
2003 di Jennifer Friedlin, corrispondente di "We News"]
Un gruppo di donne della zona nord del Kenya sta intentando un'azione legale
contro l'esercito britannico, per gli stupri subiti in un periodo di oltre
trent'anni, durante le manovre dei soldati nella loro regione. Karamas
Walebutunui, di Dol Dol, dice di essere sempre stata spaventata dalla
presenza dei soldati inglesi accanto al suo villaggio. Le storie sulle
violenze da loro perpetrate ai danni delle donne Masai abbondavano: venivano
aggredite mentre pascolavano capre e pecore nei vasti pascoli e lei lo
sapeva bene. Circa 10 anni fa, le sue paure diventarono realta'.
"Vidi arrivare gli uomini e cominciai a correre via, ma altri uscirono dalla
foresta, ricorda Walebutunui, Gridavo e gridavo, ma non c'era nessuno che
potesse aiutarmi. Quando mi presero, mi violentarono in cinque. E' tutto
quello che ricordo".
Walebutunui e' solo una delle circa 600 donne Masai e Samburu che hanno
presentato la loro denuncia contro i soldati che si sono alternati per 30
anni, nel nord del Kenya, per le manovre militari. Il loro avvocato e'
Martyn Day, lo stesso che ha recentemente vinto la causa contro l'esercito
britannico per i danni causati alla regione di Dol Dol dalle munizioni
inesplose lasciate in loco dai soldati, ottenendo un risarcimento di 7,4
milioni di dollari.
Durante le sue visite a Dol Dol, un villaggio polveroso privo di
elettricita', Day ha raccolto certificati medici, rapporti di polizia ed
altri documenti che proverebbero la negligenza dell'esercito nel contrastare
gli attacchi alle donne. In moltissimi casi, i rapporti sugli stupri vennero
fatti all'esercito britannico, dice Day. E la trascrizione di un incontro
avvenuto nel 1983 prova che i capi tribali Masai presentarono le accuse agli
ufficiali inglesi: ma gli stupri continuarono nei due decenni successivi.
"Trovo cosi' spaventoso cio' che l'esercito britannico ha fatto, che sarei
molto felice di vederli al banco dei testimoni a difendere la loro
posizione", dice ancora Day.
Le testimonianze continuano ad arrivare da numerosi villaggi. Da uno di
essi, Archer's Post, 200 donne sostengono che i soldati le hanno cacciate
per anni come animali. Una di esse, Haliwa Milgo, fu stuprata vent'anni fa
mentre lavava la biancheria nel fiume. Dei tre soldati, due distrassero la
sua nipote bambina con dei biscotti, e il terzo la trascino' ad una distanza
di 150 metri, dove la tenne con la faccia nel fango mentre la stuprava.
Milgo fa parte della minoranza musulmana del villaggio e quando suo padre
venne a sapere cio' che era accaduto si vergogno' troppo per denunciare il
fatto alle autorita'. "In questo clan, racconta Milgo, una ragazza deve
stare con la famiglia finche' non si sposa. Non si suppone che vada con un
uomo". Lo stigma dello stupro, infatti, le ha impedito di sposarsi. Nove
mesi dopo di esso, Milgo diede alla luce un bambino, la cui vita e' stata
altrettanto difficile. I suoi compagni di scuola lo chiamavano "mzungu"
(persona bianca) a causa del colore piu' chiaro della sua pelle, e piu'
tardi fatico' a trovare lavoro e ad avere relazioni, poiche' era vissuto
come un intruso.
Rebecca Samaria, attivista per i diritti delle donne ad Archer's Post,
racconta che ha passato anni a protestare e a lamentarsi con i capi Samburu,
tutti maschi, degli stupri perpetrati dai soldati. Ma quelli ascoltavano
appena: i mariti lasciavano le mogli violentate, portandosi dietro le mucche
ed ogni altro bene della famiglia, com'e' loro diritto nella cultura
Samburu.
In risposta Samaria, che oggi ha 38 anni, fondo' un villaggio indipendente
nel 1990, dove 25 donne abbandonate a causa degli stupri oggi vivono e
lavorano: vendono oggetti di artigianato ed hanno un centro culturale per il
turismo. Stanno organizzando la scuola elementare, mentre risparmiano denaro
per poter mandare all'universita' due dei loro ragazzi.
Nello spazio sicuro del collettivo, le donne del villaggio discutono di
mutilazioni genitali e di violenza domestica, due fatti che fanno parte
della tradizione Samburu.
"Abbiamo deciso che volevamo sollevare le nostre vite, racconta Samaria,
mentre il suono delle donne che danzano e cantano in Samburu echeggia in
tutto il villaggio, Le donne qui stanno bene insieme, possono aver cura
delle loro famiglie e renderle piu' forti".
Ora, Samaria spera che l'azione legale le aiuti ad ottenere anche un po' di
giustizia.
5. LIBRI. MARIO PIANTA, FEDERICO SILVA: ALCUNE RECENTI PUBBLICAZIONI SUL
"MOVIMENTO DEI MOVIMENTI"
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 agosto 2003. Mario Pianta e' nato ad
Asti nel 1956, economista, ricercatore del Cnr, docente universitario di
politica economica, impegnato nel movimento per la pace, collalbora al
quotidiano "Il manifesto"; tra le opere di Mario Pianta: Stati Uniti: il
declino di un impero tecnologico, Edizioni Lavoro, Roma 1988; (a cura di),
L'economia globale, Edizioni Lavoro, Roma 1989; (con Giulio Perani),
L'industria militare in Italia, Edizioni Associate, Roma 1989; (a cura di),
Jesse Jackson. La politica dell'arcobaleno, Datanews, Roma 1989; (con
Alberto Castagnola), La riconversione dell'industria militare, Edizioni
cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1990; (con altri),
Tecnologia, crescita e occupazione, 1998; Globalizzazione dal basso,
Manifestolibri, Roma 2001. Federico Silva ha preso parte all'esperienza del
"Cantiere per la pace" all'Universita' La Sapienza di Roma]
Chi pensasse che l'attivismo dei movimenti globali sia un'altra vittima del
caldo estivo esprimerebbe un giudizio affrettato. L'autunno e' gia' fitto di
iniziative, come le proteste globali contro il vertice dell'Organizzazione
mondiale per il commercio a Cancun in Messico a settembre, la nuova edizione
dell'Assemblea dell'Onu dei popoli e della marcia Perugia-Assisi a ottobre,
il Forum sociale europeo di Parigi a novembre.
*
Sotto l'ombrellone e' allora opportuno ripassare l'essenziale sui movimenti
globali in un agile libretto, I new global. Che cosa sono e cosa vogliono i
critici della globalizzazione, di Donatella della Porta (il Mulino, collana
"Farsi un'idea", 135 pp., 8 euro) che ne mette a fuoco con rigore l'identita
e le proposte. Un movimento sociale nasce quando quando emergono "reti di
interazioni prevalentemente informali, basate su credenze condivise e
solidarieta', che si mobilitano su tematiche conflittuali attraverso un uso
frequenti di varie forme di protesta". Lo sforzo di Donatella della Porta,
che sintetizza un vasto lavoro di ricerca su questi temi, e' quello di
verificare in che misura i movimenti sulla globalizzazione esprimono davvero
identita' e obiettivi "globali", si mobilitano con modalita' adeguate a
cause di rilievo planetario e agiscono con campagne e forme di
organizzazione transnazionali. A ciascuno di questi temi e' dedicato un
capitolo del libro, che unisce una forte concettualizzazione (assai utile
nel dibattito italiano) radicata nella teoria politica e sociologica e una
puntuale descrizione delle attivita' dei movimenti globali.
Le diverse componenti di questi movimenti sono ritratte legando in modo
sistematico identita' e soggettivita' da un lato e forme e contenuti delle
mobilitazioni dall'altro. C'e' naturalmente molta attenzione alle proteste
contro il G8 di Genova del luglio 2001, che erano state analizzate nel
precedente lavoro del gruppo di ricerca raccolto intorno a Donatella della
Porta (Global, no global, new global, Laterza 2002), e si esaminano le
interazioni con le istituzioni e i rapporti dei movimenti con la politica.
La conclusione e' che siamo davvero di fronte a movimenti globali che
mettono in discussione elementi chiave della politica e pongono in termini
nuovi - globali, certo, ma anche partecipativi e deliberativi - la questione
della democrazia.
*
Alle identita' del movimento e' dedicato un altro libro uscito di recente,
Altri mondi. Storie, personaggi, idee del movimento new global (Marco Tropea
editore, 190 pp., 8 euro) scritto da Mario Portanova, giornalista di
"Diario", che intreccia percorsi individuali, reportages sugli eventi chiave
del movimento e temi delle mobilitazioni (un libro di cui "Il manifesto" ha
gia' parlato il 20 giugno con una recensione di Angelo Mastrandrea).
*
Per prendere in esame le proposte dei movimenti globali bisogna passare a un
testo inglese, Another World is possible (Zed Books) curato da William
Fisher e Thomas Ponniah, che e' forse il primo tentativo di raccogliere le
diverse proposte politiche del movimento dei movimenti. Lo fa a partire
dalla pletora di documenti, formali e non, dalla serie di proposte e
resoconti emersi da quelle fucine politiche che sono stati i World Social
Forum di Porto Alegre. Quattro sono le principali aree tematiche in cui il
materiale e' organizzato: economia, ambiente e sostenibilita', democrazia,
pace e diritti umani. il quadro che ne risulta e' la nota ricchezza e
pluralita' del movimento ma anche le sue importanti differenze.
Due cruciali dicotomie attraversano l'intero spettro delle proposte. Primo,
la nota divisione tra radicali versus riformisti (con l'aggiunta dei toni
intermedi di coloro che chiedono "riforme radicali"). Il nocciolo e' se la
parola d'ordine sia lo shrink, il ridimensionamento del sistema di Bretton
Woods, attraverso riforme che aprano alla partecipazione di spezzoni della
societa' civile; oppure il sink, l'affossamento dei diversi poteri globali o
quantomeno un loro sostanziale decentramento e localizzazione all'interno
d'una Onu finalmente riformata. E' una scelta che ha un forte rilievo per la
strategia dei movimenti: fare lobbying per portare a casa risultati, magari
piccoli, o mettere il sistema in condizioni di fare meno danni senza pensare
da subito ad alternative praticabili? Il grado di autonomia dei movimenti,
gli spazi per costruire alternative e l'entita' del lavoro di partnership
con le grandi istituzioni internazionali rimangono questioni aperte nei vari
documenti del libro.
*
La seconda dicotomia e' quella tra localisti e globalizzatori. I primi
chiedono una forte svolta verso la localizzazione (A turn towards
localization e' il sottotitolo di The Case Against the Global Economy,
Earthscan, curato da E. Goldsmith e J. Mander, che contiene scritti anche di
Martin Khor e Walden Bello). La tesi e' che la soluzione dei problemi
economici e ambientali non passa attraverso un ordine internazionale
monolitico e gerarchico bensi' tramite il ritorno di processi e decisioni a
una scala locale (e nazionale), con l'auto-organizzazione, l'economia
solidale, l'auto-sufficienza locale, la sovranita' alimentare e il controllo
diretto delle risorse. I globalizzatori sono invece impegnati a trovare
soluzioni di democrazia internazionale con forme piu' o meno articolate di
global governance, ripartendo dalla democratizzazione delle Nazioni Unite,
nella convinzione che la risposta alla globalizzazione sia soprattutto la
sua democratizzazione. E ci sono infine le spinte per un ritorno di
attenzione alla dimensione degli stati nazionali, con richieste di maggiore
autonomia e di una rinnovata sovranita' nazionale.
Su questa varieta' di temi non mancano le contraddizioni.
Sovranita' nazionale non ha mai significato autonomia locale, ne' democrazia
a livello sovranazionale ed interstatale. La richiesta di un'economia di
pieno impiego dettata dai diritti dei lavoratori contrasta con la necessita'
ambientale di una drastica riduzione dei consumi e della crescita economica.
Infine, come sottolineano i curatori, l'enfasi sulla diversita' culturale ma
il contemporaneo accento su diritti universali propri del linguaggio
occidentale, sottende le note tensioni tra globalismo e localismo, tra
universalismo e comunitarismo, tra eccessi in derive liberali o
etnocentriche.
*
Al di la' di tali tensioni e differenze, nei documenti si ritrova una soglia
minima importante di obiettivi politici e sociali attorno ai quali
l'eterogeneita' del movimento si e' coagulata. La riforma delle istituzioni
economiche internazionali, l'annullamento del debito dei paesi poveri, la
sospensione dei programmi di aggiustamento strutturale, sistemi di
tassazione globale - sulle transazioni finanziarie, sugli investimenti
diretti all'estero, sui profitti delle multinazionali -, una rete di
monitoraggio e tutela dei diritti umani, sociali e economici, sono obiettivi
prioritari comuni a tutto il movimento. Un'importante convergenza
propositiva emerge ben al di la' delle critiche alla globalizzazione
neoliberista.
*
L'eterogeneita', ma anche la ricchezza di queste dinamiche sociali emerge
dal nuovo libro di Mary Kaldor Global Civil Society (Polity Press).
Adottando un punto di vista teorico e storico, il libro analizza la genesi
del concetto di societa' civile globale. L'autrice riconosce non solo
l'ambiguita' del termine, ma anche i suoi recenti abusi. L'uso di societa'
civile e' stato spesso permeato dall'ipocrisia nelle politiche e nei
documenti dei grandi organismi internazionali; ma riveste anche valore del
tutto particolare nella letteratura neoliberista - come rammendo alle
mancanze del laissez faire dello stato minimo. Tuttavia, Kaldor, conscia
della forza descrittiva e normativa che il termine ha assunto nei nuovi
movimenti e delle sue importanti radici storiche, lo difende.
La definizione del termine adottata, e tratteggiata in parte sull'uso
kantiano e gramsciano, riflette la percezione che gli attivisti hanno di se'
e il lato normativo del loro progetto politico: societa' civile globale come
cittadinanza attiva, radicalizzazione democratica, empowerment degli spazi
di partecipazione politica e profonda critica al militarismo. Il tutto in
uno spazio politico che si colloca tra la sfera dello stato e quella del
mercato, in una dimensione globale.
Muovendo dalla sua storia politica che l'ha vista tra i fondatori dell'End
(il movimento europeo per il disarmo nucleare), Mary Kaldor rintraccia le
radici di tale definizione nei movimenti per la pace degli anni Ottanta.
Quell'attivismo europeo contro i missili Cruise e Pershing e Ss20 e' stato
doppiamente cruciale. Primo, come scavalcamento delle barriere poste dalla
allora situazione geopolitica promuovendo nuovi legami tra est e ovest
dell'Europa e dando cosi' prima forma al loro carattere transnazionale.
Secondo, come confronto politico attraverso i primi controvertici con
istituzioni sovranazionali - favorendo cosi' istanze di controllo
democratico e partecipazione attiva.
Tuttavia, l'adozione del termine societa' civile globale non significa a
detta dell'autrice minimizzare ne' la diversita' ne' il pluralismo,
riducendo i movimenti ad un corpo monolitico. Anzi, Mary Kaldor riconosce
all'interno di esso almeno tre categorie differenti, a volte parzialmente
sovrapposte: ong, movimenti sociali e quei network globali che spesso
tentano di fungere da tramite tra le altre due forme di organizzazione.
Questa partizione sebbene riguardi certamente strutture, repertori d'azione
e competenze, e' anche differenza nelle proposte avanzate e nel modo di
avere rapporti con la sfera politica dei partiti e delle istituzioni
sovranazionali.
All'auto-organizzazione sovente spontanea dei nuovi movimenti sociali pronti
al confronto/scontro politico ed istituzionale sui grandi temi corrispondono
le strutture formali di alcune grandi ong internazionali, la loro
specializzazione di nicchia ed il loro ruolo privilegiato di interlocutori.
Ma la strategia di lobbying, come ricorda l'autrice, rischia di portare
all'"addomesticamento", a strutture istituzionalizzate e verticistiche prive
di mordente: che a protesta e proposta possa sostituirsi la mera "fornitura
di servizi"; alla solidarieta' il beneficio interessato,
all'auto-organizzazione la professionalizzazione.
C'e' poi la divaricazione tra soggetti sociali del Nord e del Sud del mondo,
con un forte squilibrio di risorse e rischi d'egemonia culturale. Sebbene
tali pericoli che possono apparire fratture siano ben presenti, e' sulla
base di un'identita' di fondo, che collima con la richiesta di forme di
democrazia radicale, che l'autrice riconosce la potenziale forza politica
del movimento. Il rinnovato militarismo statunitense seguito all'11
Settembre 2001, con le guerre in Afghanistan e Iraq ha fatto si' che la pace
tornasse a essere un tema centrale dell'agenda dei movimenti globali, e un
elemento di unificazione.
La fiducia espressa nel sottotitolo, nella societa' civile come risposta
alla guerra, cioe' come capace di influenzare la politica di sicurezza e di
riprendere il controllo democratico delle decisioni globali, ha trovato un
riscontro importante nelle manifestazioni mondiali del 15 febbraio 2003
contro i preparativi di guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq, la data di
nascita - a detta del "New York Times" - della societa' civile globale come
"seconda superpotenza".
6. LIBRI. FRANCESCA LAZZARATO PRESENTA "MEMORIAS DE LA REPRESION", COLLANA
DIRETTA DA ELIZABETH JELIN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Francesca Lazzarato
dirige collane editoriali ed e' autrice, curatrice e traduttrice di molti
libri soprattutto per giovani e bambini. Elizabeth Jelin e' una prestigiosa
sociologa e docente universitaria, autrice di varie pubblicazioni]
Forse in nessun luogo come in Argentina, nazione la cui storia recente e'
stata attraversata da una violenza politica di inaudita ferocia, il passato
e' un problema del presente: un passato che permea di se' ogni istante della
vita privata e pubblica, e che, simile a uno "specchio scuro" nel quale e'
impossibile non affondare lo sguardo, diviene oggetto di innumerevoli
indagini, analisi, interpretazioni e fabulazioni. Mai come adesso - in
questo paese dove il conflitto tra le differenti versioni di un traumatico
vissuto collettivo esprime tutta la difficolta' di garantire l'applicazione
della giustizia e dell'ordine democratico - si e' parlato tanto della
memoria, mai si e' rivendicato con tanta forza il diritto a coltivarla,
esercitarla, esplorarla.
Il che, come suggerisce il filosofo Ricardo Forster, comporta la necessita'
di riflettere sul suo uso e di costruire un'etica ad hoc, per evitare il
rischio di cancellare e rinarrare in continuazione la storia "fino a trovare
quella che ci si adatta". Ed e' sempre Forster a far notare che
"un'attualita' segnata dalla crisi e dalla disperazione" puo' essere
compresa solo a partire da un passato ancora pieno di segreti, dalle sue
trame oscure e labirintiche, dai vuoti che tutt'ora lo costellano.
A riempire questi vuoti saranno indubbiamente gesti interamente politici
come l'adesione alla convenzione internazionale che rende imprescrittibili i
crimini di guerra e quelli contro l'umanita' (il presidente Kirchner l'ha
annunciata lo scorso lunedi') e la vera e propria offensiva del nuovo
governo argentino contro le leggi dette dell'Obediencia Debida e del Punto
Final, che il 12 agosto sono state dichiarate nulle a larga maggioranza
dalla Camera dei Deputati e la cui nullita' - ieri - e' stata trasmessa al
Senato (il voto e' stato accompagnato da una manifestazione indetta da Madri
e Nonne di Plaza de Mayo e da decine di altri movimenti umanitari, partiti
politici e sindacati). Quelle leggi avevano permesso a centinaia di
responsabili della dittatura in Argentina di non essere processati per le
violazioni dei diritti umani.
Ma a riempire quei vuoti sara' anche un nuovo approccio alla storia,
finalmente "scritta" invece che "riscritta", permettera' all'Argentina di
pensare criticamente il passato a partire da una sorta di "artigianato della
memoria" come quello ottimamente rappresentato da Memorias de la represion,
una nuova e documentatissima collana dell'editore Siglo XXI, diretta dalla
sociologa Elizabeth Jelin (dei sei titoli previsti ne sono usciti gia'
quattro) e dedicata all'analisi del dibattito sulla repressione nel Cono
Sur.
Nel primo volume, Los trabajos de la memoria, e' la stessa Jelin a tracciare
una sorta di mappa che servira' al lettore per inoltrarsi nei territori
definiti dalle opere successive, illustrando le diverse posizioni teoriche
sulla memoria, analizzando temi come la relazione tra memoria sociale e
storia, facendo presente l'esistenza di memorie multiple ("Come sarebbe la
Storia raccontata da un'indigena, o dal discendente di qualcuno le cui terre
furono occupate durante la campagna del deserto?") spesso in conflitto tra
loro, memorie che, nel caso appartengano ai vinti, vengono apparentemente
cancellate e sopravvivono incamminandosi per altre strade, diverse da quelle
della storiografia ufficiale.
Nel volume collettivo Las conmemoraciones: las disputas en las fechas
"infelices", queste premesse teoriche trovano concretezza e si incarnano
nell'esame di avvenimenti topici degli anni Sessanta e Settanta: il golpe
dell'11 settembre in Cile, quello del 24 marzo in Argentina, i
festeggiamenti per il compleanno di Alfredo Stroessner in Paraguay, il colpo
di stato dei militari brasiliani il 31 marzo del 1964, insomma una sorta di
effemeridi della crudelta', una collezione di date "infelici" e di
anniversari mortali.
In Del estrado a la pantalla: las imagenes del juicio a los ex comandantes
en la Argentina, Claudia Feld si dedica invece a uno studio esaustivo e
rigoroso sul modo in cui i media parteciparono al giudizio dei militari
argentini, impegnandosi in una ricostruzione quasi poliziesca che si
destreggia tra occultamenti, manipolazioni, volontarie omissioni, e finisce
per coinvolgere in una utile e terrificante meditazione su come la politica
della memoria venga praticata (in Argentina come altrove) da mezzi di
comunicazione asserviti e compiacenti.
Nell'ultimo dei titoli apparsi, Los archivos de la represion: documentos,
memoria y verdad, Elizabeth Jelin e Ludmila da Silva Catela ripercorrono le
tragiche vicende di Argentina, Brasile, Cile e Paraguay, in cerca di
documenti che consentano la ricostruzione oggettiva di un tempo in cui
burocrazia e repressione agivano in perfetta sintonia: un compito
indispensabile che, nel caso dell'Argentina, e' destinato non solo a
smascherare le strategie repressive elaborate dalla dittatura, ma anche a
restituire un nome e un'identita' alle vittime.
Di fronte a libri come questi (e ai tanti altri piu' o meno simili che in
questo ultimo anno sono apparsi sugli scaffali delle librerie argentine)
qualcuno ha parlato di "epidemie di memoria" o di "eccesso di passato", ma
la curatrice della collana non e' affatto d'accordo.
Dice infatti Elizabeth Jelin che parlare di un "eccesso di passato" avrebbe
senso solo se quest'ultimo si limitasse a riapparire senza rielaborazione
alcuna, nelle vesti dell'infinita, ristretta, coattiva ripetizione che
Todorov chiama memoria letterale. Ma quella che l'Argentina si sta oggi
sforzando di praticare tra mille difficolta' e' piuttosto una memoria
esemplare, cioe' quella che riesce a ripensare una dolorosa esperienza del
passato in termini piu' ampi, non riferiti soltanto a quanto e' accaduto in
un luogo e in un momento dati.
Una memoria elaborativa, dunque, che riguarda un popolo intero e tuttavia
non puo' prescindere dai sentimenti e dalla sofferenza di ciascuno, quindi
dalle tante e diverse memorie, quelle che in tempi di totalitarismo sono
costrette a nascere e a svilupparsi in luoghi segreti, privati, occulti, in
cui si osa pensare "altre cose".
E' il venire alla luce di queste memorie, a volte contrapposte, che fa da
contravveleno a una memoria ufficiale, ripetitiva, celebrativa e dunque
tendenzialmente egemonica e saturante.
Ed e' proprio qui, nella capacita' di affrontare le altre memorie e di
creare un luogo ove esse riescano a confrontarsi e a dibattere, ad
analizzare i rispettivi linguaggi e processi di simbolizzazione, a
decifrarsi vicendevolmente, che si possono accumulare "ricordi per il
futuro".
Una lezione, questa, che non vale solo per l'Argentina.
7. LIBRI. AUGUSTO ILLUMINATI PRESENTA "CERVANTES FILOSOFO" DI ANTONIO
GAGLIARDI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 agosto 2003. Augusto Illuminati, nato
a Perugia nel 1937, e' docente di filosofia politica all'Universita' di
Urbino; tra le sue molte opere segnaliamo particolarmente Sociologia e
classi sociali, Einaudi, Torino 1967, 1977; Kant politico, La Nuova Italia,
Firenze 1971; Lavoro e rivoluzione, Mazzotta, Milano 1974; Rousseau e la
fondazione dei valori borghesi, Il Saggiatore, Milano 1977; Classi sociali e
crisi capitalistica, Mazzotta, Milano 1977; Gli inganni di Sarastro,
Einaudi, Torino 1980; La citta' e il desiderio, Manifestolibri, Roma 1992;
Esercizi politici. Quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994. Antonio Gagliardi lavora da anni in ambito universitario sulla
presenza dell'averroismo nella cultura e nella letteratura italiana, ed e'
autore di acuti saggi sull'argomento]
Cervantes filosofo: il titolo del libro di Antonio Gagliardi e l'ulteriore
sottotitolo, Averroismo e cristianesimo (Torino, Tirrenia stampatori, pp.
182, euro 12), possono stupire il lettore, casomai aduso alle
interpretazione filosofiche piu' o meno plausibili del Don Chisciotte, ma si
giustificano con gli assunti sottintesi al meno noto Le avventure di
Persiles e Sigismonda. Questo romanzo postumo si iscrive a pieno diritto in
un'ideale biblioteca di racconti allegorici sul destino dell'uomo, di
´"commedie" che procedono da una situazione di pericolo alla salvezza
finale. Il termine rinvia innanzi tutto alla Commedia dantesca, ma anche ad
alcune opere minori di Boccaccio (che del Dante filosofo fu accurato
interprete) e alla stessa cornice del Decamerone. Cervantes, anzi, sembra
costruire la sua trama a ridosso di quella boccaccesca: un filo conduttore
(qui il viaggio-pellegrinaggio come in Chaucer, piu' che la fuga dalla
peste, del resto strutturalmente equivalente) intorno a cui si articolano
gruppi di novelle. In tutti questi autori, sfruttando in ogni modo la
continuita' linguistica fra codici eterogenei, circola una comune ideologia,
piu' o meno tecnicamente definita, che presuppone una matrice averroista.
Per Gagliardi, autore di numerosi studi sull'argomento (ricordiamo il
recente volume di sintesi dedicato a Tommaso d'Aquino e Averroe', Rubbettino
editore, 2002) e soprattutto indagatore della ricaduta letteraria di quel
senso comune filosofico (da Cavalcanti e Dante al Tasso), esistono due
direzioni interpretative: una mirante a conciliare le oggettivamente
divergenti prospettive dell'averroismo latino (o aristotelismo radicale che
dir si voglia), l'altra piuttosto a polarizzare i percorsi. Cervantes, come
il Dante maturo, appartiene alla prima tendenza e costruisce pertanto un
itinerario che armonizzi l'impianto averroista con l'ordine cristiano e le
sue istituzioni. Non a caso la peripezia si conclude a Roma, sede del
papato - dove invece, negli anni della stesura, un averroista non
conciliante come Giordano Bruno doveva sperimentare ben altra sorte.
Il senso comune averroista di cui discorre non si identifica direttamente
con la sua piu' nota dottrina dell'unicita' dell'intelletto materiale per
tutta la specie umana, ma rimanda piuttosto al processo di formazione di un
intelletto personale secondo un'evoluzione graduale che va dal bruto alla
pienezza della conoscenza grazie all'apprendimento, attraverso i fantasmi
immaginativi, della forma pure delle cose. L'uomo e' un centauro, meta'
animale meta' spirituale, in convivenza temporanea, fino alla morte, fra le
due parti. Quando il legame si scioglie, il corpo ritorna alla materia
grezza e l'intelletto personale ritorna nel tutto dell'intelletto unico. Il
bambino-bruto per diventare uomo in senso proprio puo' e deve cercare di
conoscere tutto il conoscibile, fino a pervenire in vita all'assimilazione
(tramite contatto diretto con l'Intelligenza Agente o angelo del cielo della
Luna) a Dio. La felicita' e' in questa vita e non in un'altra come recita
fieramente una delle tesi condannate a Parigi nel 1277. Cammino prometeico,
che anticipa la dottrina del progresso scientifico illimitato e fa della
scienza, species intelligibilis, l'autentica perfezione e beatitudine,
l'apertura alla storia e al futuro. Nella poesia medievale la donna
angelicata allegorizza ordinariamente questa forma beatificante, intesa come
forza immanente (nell'averroismo radicale) o come messaggera di un ordine
superiore (la Beatrice dantesca), qualora si cerchi di conciliare la
pericolosa dottrina araba con l'impianto salvifico cristiano.
Del resto che l'umanizzazione dell'uomo sia opera di una figura femminile
puo' echeggiare anche in ulteriori schemi del tutto laicizzati - Gagliardi
accenna significativamente a quanto fa la Fata Turchina per trasformare in
ragazzo perbene il burattino Pinocchio... Tale funzione e' svolta nella
romanzesca vicenda cervantina da Auristela, anche se la controparte
Periandro ha in se' fin dall'inizio la spinta alla conversione cristiana. Il
pellegrinaggio che dall'isola Barbara, sui cui due versanti si esplicano i
guasti della ferocia naturale e i pregi della ragione naturale, conduce
attraverso vari regni pagani alla Spagna cristiana (anzi, ansiosa di
liberarsi degli ultimi moriscos) e infine a Roma, e' l'opposto del folle
volo dantesco di Ulisse, che in nome di una razionalita' radicalmente
averroista va dalla sua isola all'orgoglioso naufragio. Assomiglia peraltro
(vorremmo aggiungere) alle peregrinazioni insulari di un altro romanzo
andaluso, lo Hayy Ibn Yaqzan di Ibn Tufayl (XII secolo), piu' tardi tradotto
in inglese e modello del Robinson Crusoe, che mira del pari a conciliare la
falsafa con il misticismo sufi e l'osservanza esteriore del Corano.
Gagliardi esamina accuratamente il complicato intreccio di novelle che si
diramano a cascata dal resoconto centrale del viaggio, documentandone i
molteplici riferimenti ad Aristotele e le analogie con gli schemi
costruttivi del Decamerone e del Filocolo boccacceschi, mostrando come
gradualmente l'esercizio delle virtu' noetiche e dianoetiche dell'Etica
nicomachea venga integrato dalla misericordia e carita' cristiane, che
introducono all'amore di Dio e al riconoscimento della Provvidenza. Resta il
problema intrigante del rapporto con il Chisciotte, dove tutti i termini del
discorso appaio a rovescio: Dulcinea e' un prodotto dell'immaginazione del
protagonista e non la dama salvifica in travestimento cavalleresco e il
cavaliere errante fallisce il programma di trascendimento avventuroso del
mondo quotidiano, mentre Sancio riduce parodisticamente la scienza a un
cumulo sterminato di proverbi. I due testi convivono nella reciproca
esclusione, testimoniando dell'estremo anelito e del fallimento simbolico di
un progetto di trascendenza. Qualcosa di simile accadde anche nella
vecchiaia di Boccaccio, ma nel nostro caso e' piu' l'apertura di una crisi
epocale che un episodio personale.
8. LIBRI E DINTORNI. GIOBBE SANTABARBARA: DI AVERROE', DI CERVANTES E DI NOI
STESSI
1. Alcuni libri: Averroe', Il trattato decisivo, Rizzoli, Milano 1994; (a
cura di Augusto Illuminati), Averroe' e l'intelletto pubblico,
Manifestolibri, Roma 1996; Guido Cavalcanti, Rime, (edizione critica a cura
di Letterio Cassata), De Rubeis, Anzio 1993; Miguel Asin Palacios, Dante e
l'islam, Pratiche, Parma 1994, Est, Milano 1997; Giuliana Di Febo, Rosa
Rossi (a cura di), Interpretazioni di Cervantes, Savelli, Roma 1976; Miguel
de Cervantes Saavedra, Tutte le opere, due volumi, Mursia, Milano 1972,
1978; Rosa Rossi, Ascoltare Cervantes, Editori Riuniti, Roma 1987; Franco
Meregalli, Introduzione a Cervantes, Laterza, Roma-Bari 1991; Antonio Rey
Hazas, Florencio Sevilla Arroyo, Cervantes. Vida y literatura, Alianza,
Madrid 1995; Gotthold Ephraim Lessing, Nathan il saggio, Garzanti, Milano
1992; Primo Levi, Opere, due volumi, Einaudi, Torino 1997.
2. E' probabile che per molti dei lettori di questo foglio Averroe' oltre ad
essere un nome incontrato di sfuggita a scuola sia solo l'eroe di un film
(magnifico, e forse talvolta anche un film puo' bastare per accostarsi a
cogliere la sostanza di un lungo discorso e di una vasta eredita') di
Youssef Chahine, Il destino, che ce lo presenta magistrato equanime, teologo
e filosofo e scienziato musulmano acutissimo, studioso di Aristotele e
tramandatore grande dell'opera sua, nemico di ogni fanatismo e di ogni
violenza, figura tra le piu' grandi della cultura europea (e mediterranea,
ed araba; e classica, e medioevale; e musulmana, e cristiana; e insomma
umana). O anche solo il protagonista di un folgorante racconto di Borges,
che ci rivela molto dello statuto della nostra capacita' conoscitiva, della
nostra storia e storicita', e del nostro in-der-welt-sein, delle lacerazioni
e dei compiti e della dignita' che ad ogni essere umano, e all'umanita'
intera, sono dati, nostra stoffa, nostro travaglio, nostro tragitto comuni.
3. E tramite Guido Cavalcanti e Dante Averroe' e' anche una delle radici
della poesia italiana, e quindi della cultura italiana tout court: poiche'
di questa cultura la poesia e', se non tutto, quasi. E con e come Averroe'
anche l'islam e' una presenza segreta e forte nella cultura e la storia del
nostro paese: per vari e contraddittori tramiti, certo, e nel gorgo di una
vicenda storica di intrecci e cozzi drammatica e vitalissima, tutti
sappiamo. Il libro di Asin Palacios e' una pista; leggendo Dante al centro
sociale occupato di Viterbo qualche anno fa su questo tema riflettemmo a
lungo. E decisiva (e' ovvio dirlo) e' la presenza dell'ebraismo, e finanche
segnatamente della qabbalah, senza di cui tanta parte del Rinascimento
italiano (e del Rinascimento europeo, e della modernita') non avrebbe avuto
una delle piu' ricche e nutrienti radici, uno degli stimoli vitali. Nel
nostro meticciato e' il meglio della nostra tradizione, nel nostro
collocarci all'incrocio e nel vivo del conflitto e dell'incontro di grandi
diverse culture, del loro convivio - e drammatico, sovente, convivio -
beneficiari.
4. Cervantes, l'eroe di Lepanto, il prigioniero ad Algeri, il conoscitore
per esperienza di tutti i mondi possibili e di quelli solo immaginati (e
degli altri non meno veri, talora forse anzi piu' autentici), l'autore di
opere che sempre alludono alla scissura e all'interpretazione come sostanza
del nostro friabile e sfuggente, eppur denso e prezioso ed ineludibile,
esistere ed incontrarci ed incontrare il mondo, non esitiamo a dirlo, e' con
Kafka, Leopardi e Marx l'autore che piu' ha influenzato la visione del mondo
di chi scrive queste righe. Cervantes tutto, poiche' come ebbe a scrivere
Friedrich Schlegel, e Meregalli ricorda (a incipit e chiave), "di Cervantes
bisogna aver letto tutto o niente".
5. Perche' in questa sorta di genealogia non poteva non essere Nathan il
saggio, e' talmente evidente che non occorre scriverne. E perche' culmine ne
sia Primo Levi - maestro dei maestri e testimone dell'orrore cui ancora e
sempre e' da resistere - non posso dire in breve, le lacrime me ne
impedirebbero.
Ma che genealogia e' questa? Di cosa stiamo veramente parlando?
6. E' che stiamo parlando di noi, dell'ora presente, dei compiti nostri:
fermare la guerra, costruire ponti, ascoltare voci, riconoscere umanita',
agire benevolenza; resistere alla barbarie, ad ogni fanatismo opporre
apertura, contrastare ogni sopruso, con la mitezza e la misericordia
combattere il fascismo altrui e nostro. Fare la cosa giusta, cercare, amare,
dire, afferrarsi alla verita' - l'atteggiamento e la prassi umile e tenace,
intima e condivisa, che Gandhi chiama satyagraha -, rispondere al volto
dell'altro, scegliere la nonviolenza. Questo imparammo da Eschilo e da
Swift, da Averroe' e Cervantes, da Primo Levi e Hannah Arendt, da Virginia
Woolf e Simone Weil, e non abbiamo piu' dimenticato.
9. RILETTURE. NADIA FUSINI, MARIELLA GRAMAGLIA (A CURA DI): LA POESIA
FEMMINISTA
Nadia Fusini, Mariella Gramaglia (a cura di), La poesia femminista, Savelli,
Roma 1974, pp. 304. Una raccolta di poesie di autrici americane, inglesi e
francesi.
10. RILETTURE. LAURA DI NOLA (A CURA DI): POESIA FEMMINISTA ITALIANA
Laura di Nola (a cura di), Poesia femminista italiana, Savelli, Roma 1978,
pp. 176. Oltre ai testi in versi di trentuno autrici, include anche alcuni
interventi critici di Mariella Bettarini, Sandra Petrignani, Biancamaria
Frabotta.
11. RILETTURE. FRANCESCA PANSA, MARIANNA BUCCHICH (A CURA DI): POESIE
D'AMORE
Francesca Pansa, Marianna Bucchich (a cura di), Poesie d'amore. L'assenza,
il desiderio, Newton Compton, Roma 1986, 1994, pp. 256, lire 3.900. "Le piu'
importanti poetesse italiane contemporanee" presentate da trentasei accurate
schede critiche.
12. RILETTURE. ANGELA CATTANEO, SILVANA PISA: L'ALTRA MAMMA
Angela Cattaneo, Silvana Pisa, L'altra mamma, Savelli, Milano 1979, pp. 128.
Una raccolta di testimonianze e riflessioni del movimento delle donne sulla
maternita'.
13. RILETTURE. SILVIA LAGORIO, LELLA RAVASI, SILVIA VEGETTI FINZI: SE NOI
SIAMO LA TERRA
Silvia Lagorio, Lella Ravasi, Silvia Vegetti Finzi, Se noi siamo la terra,
Il Saggiatore, Milano 1996, pp. 128, lire 18.000. "La riflessione di tre
donne, tre psicoanaliste, sulla maternita' e sul Regno delle Madri, per
sottolinearne la radicalita' etica".
14. RILETTURE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: L'ECLISSI DELLA MADRE
Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, L'eclissi della madre, Pratiche, Milano
1998, pp. 260, lire 28.000. Una approfondita riflessione sulla fecondazione
artificiale.
15. RILETTURE. LUCE IRIGARAY: SPECULUM
Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, 1989, pp.
352, lire 19.000. Un testo ormai classico.
16. RILETTURE. GOLIARDA SAPIENZA: L'UNIVERSITA' DI REBIBBIA
Goliarda Sapienza, L'universita' di Rebibbia, Rizzoli, Milano 1983, 1984,
pp. 176. L'esperienza carceraria di una acuta intellettuale recentemente
scomparsa.
17. RILETTURE. WANDA TOMMASI: I FILOSOFI E LE DONNE
Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre lune edizioni, Mantova 2001, pp.
272, euro 18,07. Una assai utile monografia; l'autrice, una delle piu' note
pensatrici italiane di oggi, fa parte della comunita' filosofica femminile
"Diotima".
18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
19. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
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Numero 644 del 16 agosto 2003