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La nonviolenza e' in cammino. 643



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 643 del 15 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Flavio Marcolini: la scomparsa di Darina Laracy Silone
2. Giorgio Mariani: la scomparsa di James Welch
3. "Beati i costruttori di pace": lettera aperta ai soldati ed agli
ufficiali delle basi di Vicenza e di Longare
4. Stephanie Hiller intervista April Hurley
5. Il 4 novembre contro guerre, eserciti ed armi
6. Giovanna Boursier: un viaggio nei luoghi della Shoah
7. Rossana Rossanda: svegliati Europa
8. Sveva Haertter: obiettori di coscienza in Israele
9. Alcuni testi scritti durante un incontro di accostamento alla nonviolenza
ad Acquapendente
10. Amnesty International: in Messico dieci anni di intollerabili crimini
nei confronti delle donne
11. Riedizioni: Benny Morris, Vittime
12. Riletture: Lia Levi, Una bambina e basta
13. Riletture: Salwa Salem, Con il vento nei capelli
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. LUTTI. FLAVIO MARCOLINI: LA SCOMPARSA DI DARINA LARACY SILONE
[Da Flavio Marcolini (per contatti: fmar@inwind.it) riceviamo e diffondiamo.
Flavio Marcolini e' direttore del "Centro di ricerca nonviolenta" di
Brescia. Darina Laracy e' stata la compagna di Ignazio Silone e con lui ha
condiviso l'impegno per la dignita' umana e la nonviolenza; segnaliamo
particolarmente che alle sue cure e' dovuta la pubblicazione postuma - con
utilissimi materiali allegati - di Severina, Mondadori, Milano 1981, 2001 -
un volume la cui lettura vivamente raccomandiamo]
Venticinque anni dopo il marito, se n'e' andata il 25 luglio (ma la notizia
e' stata resa pubblica dalle sorelle solo l'altro ieri) Darina Laracy,
vedova di Ignazio Silone.
Nata a Dublino il 30 marzo 1917, da promettente intellettuale irlandese si e
ra laureata in letteratura francese alla Sorbona di Parigi. Per anni aveva
custodito, difeso e valorizzato la memoria del marito dalla sua casa di via
Villa Ricotti a Roma, proseguendo idealmente una relazione intellettuale e
affettiva nata a nel 1941 a Zurigo, dove il narratore marsicano si era
rifugiato per scampare alle persecuzioni fasciste. Insieme erano tornato in
Italia dopo la Liberazione e si erano sposati nella Roma del dopoguerra,
suggellando un'unione feconda per le attivita' letterarie (sue le traduzioni
inglesi di diverse opere siloniane), teatrali (fondarono una delle prime
esperienze filodrammatiche nella capitale appena liberata) e politiche
(insieme scelsero la strada della nonviolenza, sostennero Dorothy Day e gli
oppositori alla guerra del Vietnam, Danilo Dolci e don Milani, gli obiettori
di coscienza e il movimento libertario). Dopo le esequie le sue ceneri sono
state disperse nel ceruleo mare d'Irlanda.
Chi scrive la frequento' alla fine degli anni '80 nella sua casa romana,
conversando con lei in lunghe e amene passeggiate intorno a Piazza Bologna.
Indelebile resta il ricordo di una intelligenza acuta, ricca di inedite
intuizioni e di un'attenzione meticolosa per i fermenti che in tutti questi
anni hanno mantenuto vivo il messaggio siloniano nel mondo.

2. LUTTI. GIORGIO MARIANI: LA SCOMPARSA DI JAMES WELCH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Giorgio Mariani e'
docente universitario di lingue e letterature anglo-americane, autore di
varie pubblicazioni, condirettore di "Acoma. Rivista internazionale di studi
nord-americani". James Welch e' stato uno dei piu' grandi scrittori
indiani-americani del Novecento]
"Bones should never tell a story to a bad beginner": cosi' recita il primo
verso di una delle poesie piu' belle di James Welch, lo scrittore
indiano-americano scomparso questo lunedi' all'eta' di 62 anni. Non dobbiamo
lasciare che le ossa, la morte, ci impongano le loro storie perche'
altrimenti noi sopravvissuti saremmo risucchiati verso un tempo mitico nei
confronti del quale non potremmo che essere "principianti", privi di
originalita', pallide copie di origini assolute.
Anche se ora la sua scomparsa non puo' che farci sentire dei "bad beginner",
privi delle parole giuste per ricordarlo, il suo invito a trasformare la
memoria - e soprattutto la memoria di cio' che fa male ricordare, come
l'epocale sconfitta subita dalle nazioni indiane, con i suoi orrori e i suoi
massacri - da zavorra in forza vitale, capace d'incidere positivamente sul
presente, deve aiutarci a ricostruire l'eredita' letteraria e culturale
lasciataci da James Welch.
Senza timore d'esagerare, Welch e' semplicemente uno dei piu' importanti
romanzieri statunitensi degli ultimi trent'anni.
Nato nel Montana da padre blackfeet e madre gros ventre, Welch e' stato tra
i protagonisti di quell'American Indian Renaissance che, a partire dagli
anni '60, ha rappresentato una delle piu' gradite e fruttuose novita' della
scena letteraria statunitense.
Dopo un iniziale interesse per la poesia (la raccolta Riding the Earthboy 40
e' del '76), Welch ha scelto di dedicarsi esclusivamente alla narrativa. Il
suo primo romanzo, Winter in the Blood (1974), oltre a divenire uno dei
classici della letteratura indiano-americana (e non solo) contemporanea, e'
stato anche il primo di uno scrittore indiano a essere tradotto in Italia
(Inverno nel sangue, Savelli, 1978), un particolare che merita di essere
ricordato perche', pur essendo ambientato in una riserva blackfeet, il
racconto si ispira in parte - come Welch stesso amava ricordare - a
Conversazione in Sicilia di Vittorini.
Con The Death of Jim Loney (1979, tr. it.: La morte di Jim Loney, La
Salamandra, 1988), lo scrittore continua a esplorare la condizione indiana
nell'America contemporanea. Anche se in questo caso la conclusione e' piu'
cupa rispetto a quella di Inverno nel sangue, Welch resta coerente con
l'impostazione intellettuale ed estetica del suo primo libro.
La sua scrittura non concede nulla ai temi e agli stilemi leggendari e
romanticheggianti con cui la letteratura americana ha tradizionalmente
riportato sulla pagina le vicende indiane. Insofferente rispetto alle
rituali invocazioni di un passato mitico - cui a volte gli stessi indiani
sono incapaci di resistere - Welch e' uno scrittore per il quale credo si
debba spendere l'aggettivo "brechtiano".
Anche in un romanzo come Fools Crow (1986, tr. it.: La luna delle foglie
cadenti, Rizzoli, 1996), sugli ultimi giorni dei suoi antenati blackfeet
come nazione indipendente, Welch non idealizza mai ne' quel passato, ne'
quegli indiani. Come Brecht, che ricordava a Walter Benjamin quanto alla
rievocazione dei "bei tempi andati" si dovesse sempre anteporre un interesse
per "i brutti giorni d'oggi", Welch non fa del suo semi-immaginario
predecessore Fools Crow un eroe epico, ma una figura della memoria storica:
uno di quei brandelli di passato che all'improvviso riafforano per gettare
una luce rivelatrice sul presente.
Se la sua quarta opera narrativa, The Indian Lawyer (1990), e' forse quella
meno riuscita, con il saggio storico-biografico sul Little Big Horn del 1994
(Killing Custer) e col romanzo The Heartsong of Charging Elk (tr. it.: Il
canto d'amore di Alce Impetuoso, Rizzoli, 2000) lo scrittore torna a dare il
meglio di se'. Dedicato alle vicende di un indiano oglala abbandonato dal
circo di Buffalo Bill nella Marsiglia di fine Ottocento, quest'ultimo
romanzo rovescia uno dei generi letterari fondanti della letteratura
americana: quello delle narrative di prigionia dei bianchi catturati dagli
indiani. Ma ancora una volta Welch rifugge dalle opposizioni assolute. Pur
se segnato dal dolore di una perdita incolmabile, Charging Elk sopravvive
nonostante tutto al mondo dei bianchi. E per questo, come scrive Welch, il
suo canto e' un canto di pace che suona come un canto di vittoria.

3. DOCUMENTI. "BEATI I COSTRUTTORI DI PACE": LETTERA APERTA AI SOLDATI ED
AGLI UFFICIALI DELLE BASI DI VICENZA E DI LONGARE
[Da Francesco Iannuzzelli di Peacelink (per contatti:
francesco@peacelink.org) riceviamo e diffondiamo questa lettera aperta che
e' stata consegnata da "Beati i costruttori di pace" - uno dei principali
movimenti nonviolenti italiani (per contatti: Beati i costruttori di pace,
via Antonio da Tempo 2, 35131 Padova, tel. 0498070522, fax: 0498070699,
e-mail: beati@libero.it, sito: www.beati.org) - al personale delle basi
militari statunitensi di Vicenza e di Longare, il giorno 6 agosto,
anniversario della bomba su Hiroshima]
Vogliamo rivolgervi un saluto, augurarvi una buona giornata.
Nonostante tutti i nostri sforzi, non siamo riusciti ad ottenere
l'autorizzazione dal vostro comandante a parlare con voi. E' come se fossimo
noi  quelli pericolosi, come se delle persone che vogliono condividere con
voi un'opinione, seppure diversa, fossero una minaccia da cui difendersi.
Noi crediamo che il rispetto reciproco, il dialogo e lo scambio possano
creare quel rapporto di fiducia che, tutto sommato, e' la miglior difesa che
si possa avere. Ne siamo convinti.
Negli anni abbiamo avuto modo di conoscere e collaborare con molti soldati
il cui compito era prevenire la guerra. Noi non crediamo di essere prevenuti
nei confronti delle persone in divisa e vorremmo che lo sapeste. Sebbene
abbiamo sempre condannato tutti coloro che decidono le guerre, riconosciamo
quanto sia diverso dare ordini da distante e affrontare dal di dentro il
macello della guerra. Spesso sono i militari stessi ad essere contrari alla
guerra perche' la vedono da vicino, la soffrono sui loro corpi. Sappiamo che
un reduce su quattro della guerra del Golfo del '91 e' oggi un disabile. E
questo non e' la conseguenza di azioni nemiche.
Vorremmo che sapeste che per noi ogni vita umana e' di valore inestimabile:
e' vero che spesso nell'esprimere la nostra opposizione alla guerra parliamo
solo della tragedia dei morti civili, ma vi vogliamo assicurare che le vite
dei militari per noi sono ugualmente preziose perche' vite umane.
La pace sara' il frutto dello sforzo e del concorso di tutti. Molte volte
proprio l'azione di soldati che si ribellano ad ordini ingiusti ha salvato
molte vite, ha cambiato la situazione, dando la svolta alla guerra.
Abbiamo letto documenti di soldati Usa che denunciano la grande ingiustizia
di questa e altre guerre. Non sono obiettori di coscienza (anche se poi
molti di loro lo sono diventati), sono uomini e donne che hanno scelto
carriere militari e che desiderano tenere alto l'onore militare. Cio' che
hanno scritto ha aiutato anche noi a mettere a fuoco la realta':
riconosciamo la grande differenza tra l'uso della forza regolamentata per il
mantenimento della pace, per la difesa delle popolazioni inermi, per la
prevenzione della violenza, e invece l'uso sproporzionato, la mancanza di
distinzione tra obiettivi militari e civili, ecc. Le testimonianze di alcuni
soldati e ufficiali vostri compatrioti da dentro l'Iraq ci dipingono una
realta' diversa da quella riferita dai portavoce governativi o dai capi di
stato maggiore.
Proprio perche' vedete le cose da dentro, non possiamo insieme costruire
qualcosa di nuovo?
I reduci statunitensi che hanno combattuto altre guerre hanno scritto parole
commoventi e convincenti (ad esempio l'appello di coscienza da parte dei
reduci delle forze armate degli Stati Uniti ai militari effettivi ed ai
riservisti http://italy.peacelink.org/pace/articles/art_1196.html). Vi
preghiamo di trovare il tempo per ascoltare le voci di questi vostri
compatrioti. Perche' e' sempre e solo dopo che arrivano le denuncie dei
crimini? Perche' non e' possibile vedere gia' prima le conseguenze delle
nostre azioni, prima di compierle? Il presidente Bush ha sdoganato il
nucleare. Le armi atomiche non sono piu' un tabu'. Ormai, da decenni,
pensavamo tutti che il nucleare sarebbe presto stato messo al bando e che
nel frattempo sussisteva solo come deterrente. Invece, adesso e' stato
dichiarato dall'amministrazione Usa che si svilupperanno nuove atomiche
tattiche da usare come primo colpo. A noi sembra che gia' l'uso di armi
all'uranio impoverito abbia avuto conseguenze devastanti per i soldati che
le hanno lanciate, per le loro famiglie e ancor di piu' per le popolazioni
che sono state colpite. Se guardiamo le conseguenze, non possiamo forse dire
che le armi all'uranio impoverito sono gia' armi di distruzione di massa?
*
Oggi commemoriamo Hiroshima, la prima bomba atomica sganciata 58 anni fa.
Non ripetiamo la storia, i suoi errori, i suoi crimini. Il colonnello Paul
Tibbetts, che quella mattina del 6 agosto 1945 pilotava l'Enola Gay, alla
vista del fungo atomico, grido' disperato: "Mio Dio, che cosa abbiamo
fatto!".
Voi siete in Italia adesso, fuori dal vostro paese, siete in un certo senso
rappresentanti del popolo statunitense. Forse non vi sentite molto amati, ma
anche su questo vorremmo poter discutere con voi. Vorremmo che vi poneste
qualche domanda sulle certezze di cui vive la vostra cultura, guardando la
storia anche dal punto di vista degli altri popoli del mondo. I vostri
governanti vi dicono che le vostre azioni servono a portare liberta' e
democrazia, ma poi quando incontrate gli altri popoli non e' amore o
gratitudine che vi esprimono. Vi ricordiamo le parole dei reduci: "Affinche'
un giorno tutte le persone del mondo possano essere libere, dovra' pure
arrivare il momento in cui sara' piu' importante essere cittadino del mondo
che non essere soldato di un paese".
Tutti abbiamo bisogno degli altri. Non abbiamo bisogno di armi e dell'uso
della forza; abbiamo bisogno di comprensione e tenerezza. L'11 settembre una
giovane palestinese scrisse una lettera aperta al popolo degli Stati Uniti:
"Cari fratelli e sorelle americane, noi sentiamo il vostro dolore e ci
stringiamo a voi; ma voi lo sentite il nostro?".
Dopo l'11 settembre anche noi scrivemmo una lettera aperta al popolo
statunitense. Lasciate che ve ne citiamo un brano. "Ci chiediamo come puo'
essere veramente significativa l'espressione della nostra solidarieta' a
tutte le vittime e ai loro familiari. Vorremmo che tutto il popolo
statunitense potesse capire e soprattutto sperimentare in questo momento di
smarrimento e sofferenza quanto e' importante la solidarieta' e la tenerezza
degli altri popoli. E vorremmo che i suoi governanti e responsabili politici
avessero la saggezza di comprendere che non l'egemonia costruita sulla forza
economica e sulle armi, ma la collaborazione con tutti alla pari e' la
grande risorsa politica per garantire la sicurezza mondiale e per rispondere
alle urgenze dell'umanita' e del pianeta".
Un saluto di pace.
6 agosto 2003.

4. TESTIMONIANZE. STEPHANIE HILLER INTERVISTA APRIL HURLEY
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
averci messo a disposizione la sua traduzione dell'intervista che segue.
Stephanie Hiller e' direttora di "Awakened Woman" (assai nota ed utile fonte
di informazione e riflessione delle donne). April Hurley, medica
ospedaliera, e' stata in Iraq con l'organizzazione pacifista e umanitaria
"Iraq Peace Team"]
April Hurley, 48 anni, e' medica in un ospedale californiano, ed attivista
di "Not in Our Name" della Contea di Sonoma (Nionsc). Mesi fa ha deciso di
unirsi a "Voices in the Wilderness" un'organizzazione originariamente
fondata da Kathy Kelly per protestare contro le sanzioni all'Iraq. "Voices
in the Wilderness" ha formato l'Iraq Peace Team per recarsi a Baghdad e
portare testimonianza.
Ho intervistato April due giorni dopo il suo ritorno dall'Iraq. Ad un primo
sguardo, non la prendereste per un'attivista radicale: e' una donna minuta
dal sorriso luminoso e dai morbidi riccioli biondi, e parla in un tono
sommesso e quieto che induce gli altri a tacere per ascoltarla. April ha
delle forti convinzioni, ed e' coraggiosa.
- Stephanie Hiller: Perche' sei andata in Iraq?
- April Hurley: La guerra stava minacciando un popolo la cui meta' era
composta da bambini sotto i 15 anni. Mi ero convinta che Bush facesse sul
serio, con le sue incredibili minacce, e mi sentivo impotente e frustrata.
Quando ho saputo che delle persone sarebbero partite per l'Iraq ho sentito
che dovevo farlo anch'io, non potevo restare qui e guardarlo accadere.
- S. H.: Cosa pensavi di ottenere?
- A. H.: Innanzitutto volevo che gli iracheni sapessero che c'erano
moltissimi statunitensi, ed io li rappresentavo, che ritenevano una tale
atrocita' non scusabile e che solo l'essere minacciati di bombardamenti era
un crimine di guerra in se stesso.
- S. H.: Sei una pacifista?
- A. H.: Non riesco a vedere una giustificazione per la guerra come la
conosciamo oggi. Un secolo fa, l'80% delle vittime della guerra erano
soldati, oggi l'80% sono civili, non combattenti. Come possiamo
giustificarlo, anche se ci fossero giustificazioni per la guerra?
- S. H.: Pensi che l'umanita' sia ad un punto di svolta?
- A. H.: Vedo la "guerra preventiva" come un orrendo precedente. Violenza
preventiva, invasione preventiva, bombardamento preventivo: e' terribile.
L'intero mondo si e' sollevato contro di questo, e ancora lo stiamo
fronteggiando.
- S. H.: Quando sei partita per l'Iraq, e cosa ti aspettavi?
- A. H.: Sono partita con l'Iraq Peace Team il 6 marzo scorso, ma non siamo
arrivati che il 13, cinque giorni prima dell'inizio dei bombardamenti. Ci
dissero che ci sarebbe stato un bombardamento a tappeto e che le persone
sarebbero rimaste confinate nelle loro case o nei rifugi. Io sono medica,
cosi' mi sono messa a disposizione per estrarre la gente dalle macerie e
prestare loro il primo soccorso.
- S. H.: Ma non stavi rischiando la tua vita?
- A. H.: Non m'importava. Non potevo restare qui, quindi ero pronta ad
affrontare quello che la gente di Baghdad avrebbe affrontato.
- S. H.: Cosa pensavi, cosa sentivi, a proposito di noi che siamo restati
qui?
- A. H.: I vostri volti, che vedevo nelle manifestazioni, mi facevano venir
voglia di piangere. Specialmente i volti delle persone in situazioni in cui
protestare e' un grosso rischio, come in Egitto o nelle Filippine. Tutte
quelle persone che senza sosta protestavano per cio' che stava accadendo mi
commuovevano profondamente. Ero in grado di mantenere freddamente il
controllo, perche' sono addestrata professionalmente a vedere cose
terribili, ma non riuscivo a guardare senza commuovermi il vedere persone
che tentavano di fermare una guerra, sapendo che il loro agire non l'avrebbe
fermata.
- S. H.: Perche' pensi che sia stato importante essere la' durante la
guerra?
- A. H.: Per gli iracheni e' stato di incredibile sostegno poter vedere che
la gente era preoccupata per loro, che si curava di loro, anche se non
avevamo i mezzi per essere davvero d'aiuto.
- S. H.: Com'e' stato, puoi raccontarlo?
- A. H.: Disperante, da impazzire. Impazzivi di rabbia nel vedere cosa e'
stato fatto, deliberatamente, per "stanare" i civili. I posti che hanno
scelto di bombardare, e gli errori, i cosi' tanti errori che hanno distrutto
quartieri, che hanno massacrato bambini. Bastava andare all'ospedale, e
guardare la carneficina. I telefoni non funzionavano, cosi' non si potevano
chiamare le ambulanze. Le persone che estraevano le altre dalle macerie non
sapevano come farlo. La gente ha aspettato giorni per vedersi curate ferite
e amputazioni. Tutti, tutti parlavano dell'aver visto vicini di casa e
bambini decapitati dalle bombe, e nessuno dovrebbe vedere cose del genere.
Tentavano disperatamente di capire perche', e come, questo era accaduto, e
non c'era nulla che io potessi dire loro. I dottori hanno inveito contro di
noi, erano stremati, e non l'avrebbero fatto se tutto non fosse stato cosi'
orrendamente inspiegabile: non avere anestesia, antibiotici, medicinali per
la pressione del sangue o per il diabete, e l'ospedale era pieno di persone
con queste problematiche, oltre che di feriti. Le donne abortivano, i
bambini facevano pipi' a letto, tenendo i denti stretti e tremando tutta la
notte, senza dormire. Alcuni bimbi hanno smesso di parlare.I bombardamenti
andavano avanti di giorno e di notte. Gli edifici ondeggiavano, tremolavano
e cadevano. Le finestre si piegavano, si scuotevano, andavano in pezzi.
Frammenti di case cadevano dal cielo come pioggia, uccidendo altra gente. Le
persone cercavano di vendere cibo in cambio di medicine, i mercati in
qualche modo funzionavano ancora, e difatti sono stati bombardati
direttamente. Ho la foto di una pozza di sangue, un lago di sangue in cui si
e' mutato uno di questi mercati, e qualcuno vi aveva deposto dei fiori. Non
hanno mai smesso di aver cura l'uno dell'altro: gli iracheni sono
incredibilmente resistenti, ed erano rassegnati all'attacco. Sanno benissimo
che gli Usa sono interessati alle risorse del loro paese, ma nessuno ha
capito perche' dovevano essere bombardati per quelle stesse risorse. Gli
iracheni non avevano troppi motivi per amare Saddam Hussein, tranne il fatto
che l'economia dell'Iraq era l'invidia del Medio Oriente, con un sistema
sanitario efficiente e istruzione. C'e' stato praticamente un tentativo di
colpo di stato all'anno, e persone che rischiavano la vita opponendosi al
regime. Non li abbiamo aiutati, devastando il loro paese con le sanzioni,
che hanno ridotto ad immondizia la loro economia e ucciso brutalmente cosi'
tante persone.
- S. H.: Le sanzioni sono usate come alternativa alla guerra.
- A. H.: Ma sono sbagliate! Adesso si sta facendo lo stesso in Birmania. La
gente che vive la' ne sopporta il peso. Le sanzioni non fanno che rafforzare
i dittatori.
- S. H.: E allora cosa dobbiamo fare con questi tiranni?
- A. H.: Vogliamo essere violenti? Ci vanno bene le azioni illegali? E
allora, per la guerra abbiamo gia' speso 100 miliardi di dollari. Stiamo
spendendo 4 miliardi al giorno. Con una cifra simile avremmo potuto
assoldare un milione di sicari. Percio' alla gente che dice "la guerra mi va
bene" io dico: ripensateci, ripensateci. Abbiamo assassinato i figli di
Saddam Hussein, e con cio' abbiamo detto che l'omicidio non e' un problema
per noi, sara' illegale, ma non ce ne importa. Dove puo' portare tutto
questo?
- S. H.: Che notizie hai dall'Iraq, oggi?
- A. H.: L'ultima e' che i nostri soldati stanno torturando i civili. C'e'
cosi' tanta tensione e paura che le nostre truppe uccidono civili ogni
giorno. I nostri soldati stanno morendo in numero ben piu' grande di quello
che ci viene detto. I feriti non si contano, e molti sono in condizioni
critiche. Ma noi siamo tenuti all'oscuro. Ho visto i giornali che voi
leggevate mentre noi eravamo in Iraq, e so cosa non vi e' stato detto. Le
nostre fotografie non sono state pubblicate. Ne ho una di una mamma, aveva
appena messo al mondo il suo bambino, privata delle braccia dai
bombardamenti: non poteva cullarlo, non poteva toccarlo, non poteva
portarselo al seno. Chi aiutera' le persone come lei? La realta' in cui vive
non e' attrezzata a prendersi cura dei disabili, perfino la nostra ha grossi
problemi a farlo. E c'e' ancora una cosa che voglio dire: abbiamo disonorato
i nostri soldati con la nostra politica, e oggi temono per le loro vite, e
sono i bambini iracheni che hanno cominciato a sparargli addosso. La rabbia
degli iracheni sta montando e montando, cio' che noi gli abbiamo fatto e gli
stiamo facendo e' intollerabile. Quando i bambini imbracciano le armi, la
situazione non puo' che peggiorare.
- S. H.: E da qui dove andremo a finire?
- A. H.: Siamo giunti al punto che dovremo stare davanti ai fucili e ai
cannoni. Se c'e' gente che e' disposta a morire in nome della guerra, noi
dovremmo essere disposti a rischiare la vita in nome della pace. Siamo
giunti a questo. Non me ne importa piu', perche' ormai e' cosi' che la vedo:
se finiro' in prigione, finiro' in prigione. E se saremo coinvolti in un
altro conflitto, sono pronta a partire di nuovo.

5. INIZIATIVE. IL 4 NOVEMBRE CONTRO GUERRE, ESERCITI ED ARMI
[Riproduciamo un estratto da un nostro comunicato di un anno fa. E' nostra
intenzione riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di
pace, in memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti]
1. La guerra e' nemica dell'umanita', poiche' essa consiste nell'uccisione
di esseri umani. Non solo: nell'epoca aperta dall'orrore di Hiroshima la
guerra mette in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana.
Cosicche' e' un indispensabile imperativo morale e civile, e un cruciale
necessario progresso culturale e politico, il ripudio assoluto della guerra,
la sua assoluta e definitiva esclusione dal novero dei mezzi a disposizione
dell'umanita' per gestire e risolvere i conflitti.
2. Vanno smascherati e confutati gli speciosi sofismi di quanti la guerra
propugnano:
- La guerra non e' efficiente nel contrastare il terrorismo: poiche' essa e'
prosecuzione e seminagione di stragi, odio e terrore: essa e' il trionfo del
terrorismo; e' terrorismo elevato all'ennesima potenza.
- La guerra non e' efficiente nel contrastare le dittature: poiche' essa le
dittature provoca e moltiplica, e poiche' essa stessa riducendo gli esseri
umani a nulla e' dittatura e nichilismo nella sua essenza e nel suo farsi.
- La guerra non e' di natura diversa dall'omicidio: solo che essa omicidi
esegue su scala di massa. E' quindi ingigantimento dell'omicidio, omicidio
in forma di strage. E poiche' giustamente consideriamo un progresso grande e
un provvedimento necessario - fortunatamente in Italia gia' inserito
nell'ordinamento - l'abolizione dai sistemi penali della cosiddetta "pena di
morte" (scilicet: omicidio di eseri umani da parte di ordinamenti
giuridici), a maggior ragione dobbiamo estendere tale giudizio e tale
interdetto alla guerra, che appunto consiste nell'irrogazione della morte a
tanti esseri umani oltretutto senza processo e nella gran parte di essi del
tutto innocenti di qualsivoglia crimine. Se prendiamo sul serio la nostra
stessa legislazione penale, a maggior ragione la guerra e' incompatibile col
nostro stato di diritto, con la nostra democrazia, con la nostra civilta'
giuridica, con la nostra civile convivenza.
3. Solo chi ripudia la guerra e' fedele alla Costituzione della Repubblica
Italiana e alla Carta delle Nazioni Unite, ovvero alle fondamentali fonti di
diritto cui tutti dovremmo ispirarci nel nostro agire. Con riferimento alla
Costituzione della Repubblica Italiana, che all'articolo 11
inequivocabilmente ed irrevocabilmente "ripudia la guerra", va sottolineato
che siamo in presenza di un obbligo di legge per tutti cogente, non
eludibile da parte di alcun cittadino italiano, non eludibile da parte di
alcuna istituzione italiana che in tanto e' legittima in quanto fedele alla
Costituzione.
4. Ma infine e decisivamente: la guerra consiste nell'uccidere, nega quindi
il diritto alla vita. ma se si nega il diritto alla vita, cessa la base
materiale di tutti i diritti umani e il primo e fondante di essi diritti; e
cessa altresi' la possibilita' della convivenza, della societa', della
civilta'; e cessa infine l'umanita' stessa come esistenza concreta degli
individui che la compongono, come solidarieta' che tutti gli esseri umani
tiene insieme, come impresa ed essenza comune - la cultura umana, la
civilta' umana, la condizione umana, l'umana famiglia - di tutti gli esseri
umani passati, presenti e futuri; e come sentimento, come concetto, come
realta'.
5. Le vittime delle guerre passate devono essere un perenne monito affinche'
non abbiano luogo nuove guerre che nuove vittime provocherebbero. Il
rispetto alle vittime dovuto deve estrinsecarsi nell'impegno ad impedire che
nuove vittime vi siano.
6. Solo chi si oppone a nuove guerre esprime sincero lutto e solidarieta'
autentica per le vittime delle guerre passate. Chi invece nuove guerre
propugna, prepara, decide, avalla, comanda ed esegue e' indegno di
commemorare le vittime delle guerre passate, poiche' col suo agire
nuovamente le uccide e le umilia.
7. Solo se si e' costruttori di pace si e' avversari della guerra. E solo se
si e' avversari della guerra si raccoglie il muto messaggio delle vittime
della guerra, l'appello che dal loro volto, dalla loro vicenda promana. E
per essere costruttori di pace occorre fare la scelta teoretica e pratica,
morale e civile, della nonviolenza. La nonviolenza e' la scelta
dell'opposizione integrale, la piu' nitida e la piu' intransigente, alla
violenza in tutte la sue forme: alle oppressioni, come alle dittature, come
al terrorismo, come alle guerre. La nonviolenza, come ebbe a scrivere Aldo
Capitini, e' il varco attuale della storia.

6. INIZIATIVE. GIOVANNA BOURSIER: UN VIAGGIO NEI LUOGHI DELLA SHOAH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 agosto 2003. Giovanna Boursier e' una
studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche alla
storia e alla cultura dei rom, ed allo sterminio nazista]
Sachsenhausen e Ravensbruck, con soste a Dresda, Norimberga e Berlino: tra i
luoghi dello sterminio nazista e citta' simbolo di una tragedia storica e
delle sue conseguenze.
E' questo l'itinerario proposto dall'Associazione nazionale ex deportati di
Torino. Un appuntamento ormai consueto, un viaggio nella topografia
dell'orrore nazista che quest'anno e' in programma dal 2 al 7 settembre.
Come dice Ferruccio Maruffi - sopravvissuto a Mauthausen e autore di "Codice
Sirio" e altri libri - rivolto soprattutto ai giovani, "ricordare e'
fondamentale. Ricordare, oltre all'orrore, che nei lager c'erano uomini e
donne che si comportavano da uomini e donne e morivano con dignita'. Vorrei
che la gente sapesse e capisse che la piu' grande sconfitta del nazismo e'
stata la resistenza umana". Un messaggio di memoria ma anche di lotta,
quindi.
L'attivita' dell'Aned di Torino e' particolamente significativa perche' si
concentra su uno degli aspetti meno ricordati del delirio nazista: quello
della persecuzione politica. I militanti di sinistra tedeschi furono infatti
i primi deportati nei lager, a partire da quello di Dachau, a soli 20
chilomentri dal centro di Monaco di Baviera, costruito subito dopo la presa
del potere di Hitler nel 1933. E proprio Sachsenhausen e Ravensbruck furono
luoghi di morte per molti prigionieri politici. A Buchenwald, in funzione
dal 1936, dove i deportati erano schiavi industriali per la produzione
bellica, i comunisti organizzarono una vera e propria rete di resistenza
clandestina: il comitato internazionale si radunava nell'infermeria del
lager e il comitato del fronte popolare tedesco nella sala attrezzi. Insieme
questi due organismi clandestini organizzarono il sabotaggio e il
contrabbando di armi, le stesse che poi utilizzarono per liberare il lager,
l'11 aprile 1945.
Per questo chi decidera' di partecipare al viaggio dell'Aned (per
informazioni e prenotazioni, tel. 0115213320, dalle ore 15 alle 18 nei
giorni di lunedi', mercoledi' e venerdi'), grazie alla guida storica dei
sopravvissuti e dei reduci, vivra' un'esperienza antifascista, in cui oltre
alla memoria - la cui documentazione resta assolutamente fondamentale - si
valorizzano cultura politica e partecipazione come strumenti di difesa da
ogni violenza e sopraffazione.

7. APPELLI. ROSSANA ROSSANDA: SVEGLIATI EUROPA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2003. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
L'esile filo della Road Map si sta spezzando. Hamas ha interrotto una
tregua, che aveva malamente accettato, e Sharon, che non ha mai attuato le
modeste condizioni poste dal quartetto, continua con le "rappresaglie".
Ancora una volta non si vede la fine di uno scontro mortale per l'una parte
e per l'altra, Israele, di gran lunga militarmente piu' forte di tutti i
paesi arabi messi assieme ma logorata nella sicurezza e l'Anp, devastata
nelle strutture che era riuscita a darsi e assediata nel suo territorio. Su
nessun conflitto ci si dilania come su questo, anche fuori dai due paesi. E
chi si sforza di partire dal presente viene trascinato su orizzonti storici,
biblici o novecenteschi, dentro i quali nessun accordo e' possibile. E cosi'
si perpetua la serie dei corpi maciullati o dalla tecnologia militare
israeliana o dagli attentati suicidi palestinesi. I quali fanno piu'
impressione e meno morti, ma e' un ragionare rozzo - ogni morte deflagra sui
suoi.
Non si avviera' nessuna pace se dalle due parti non si assume come dato
fermo l'esistenza di due stati liberi e sovrani. E' evidente che chi crede
che quelle terre appartengano per diritto divino a Israele non ammette
l'esistenza di uno stato palestinese. E ugualmente quella parte dei
palestinesi, che non conosce ormai se non un'occupazione dichiarata illecita
anche dalle Nazioni Unite, non riesce a considerare Israele come un
interlocutore. E mentre la maggioranza degli israeliani non sembra in grado
di esprimere politicamente che Sharon o lo zigzagante Perez, l'Anp non e' in
grado di controllare le fazioni armate; nell'uno e nell'altro campo, le
forze che vorrebbero trovare un inizio di soluzione sono altamente soggette
alle relative opinioni ed establishment, se cosi' si puo' dire, parlando di
uno stato regolarmente costituito e di un altro mai costituito e sotto il
tiro dei missili del primo.
Ma se Sharon non vuole e Abu Mazen non puo', senza una decisa pressione
internazionale non si daranno mai le due condizioni che preludono a un
dialogo di pace. La prima e' che Israele si ritiri nei confini del 1967;
tutti gli argomenti proposti l'altro giorno su "La stampa" da Yehoshua a
proposito dell'opportunita' di un muro - che a chi scrive sembra odioso come
tutti i muri - hanno come premessa che, se muro deve essere, non puo' essere
che sul quel confine, mentre costruirlo come si sta facendo oggi dentro i
territori palestinesi e' una provocazione disastrosa. La seconda e' che i
palestinesi accettino di discutere del diritto al ritorno degli espulsi nei
tempi e nei limiti che garantiscano lo stato ebraico di non diventare
minoritario al suo proprio interno. Sono condizioni pesanti per l'un popolo
e per l'altro, perche' Israele deve far fuori le colonie, e non solo quelle
cosiddette illegali che ha fomentato, e i palestinesi devono rinunciare a un
diritto che sembra primario, che nessuno sia espulso non in tempi biblici ma
storici dalla propria terra.
Perche' le due condizioni si realizzino, la pressione del quartetto e'
decisiva e colpevoli i diplomatismi che continuano mentre la situazione si
degrada. Le condizioni per esercitare un peso ci sono. Verso i palestinesi
che vivono in una situazione drammatica, e verso lo stato di Israele, che ha
nell'Europa il massimo interlocutore commerciale e negli Usa il massimo
fornitore di mezzi, denaro e armi. Non c'e' giustificazione alcuna nel non
agire. E nel caso dell'Europa, sola responsabile dello sterminio degli ebrei
e della divisione della terra imposta ai palestinesi, un persistere
dell'inerzia fa dubitare, malgrado le tonnellate di carta che dovrebbero
definirne l'identita', che essa abbia una capacita' e un ruolo fuori dalle
proprie imprese monetarie.

8. TESTIMONIANZE. SVEVA HAERTTER: OBIETTORI DI COSCIENZA IN ISRAELE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 agosto 2003. Sveva Haertter fa parte
della rete "Ebrei contro l'occupazione"]
Si riapre il caso del pacifista Yoni Ben-Artzi.
La lettura della trascrizione dell'interrogatorio del colonnello Shlomi
Simchi, capo del Conscience committee che ha seguito la vicenda del
pacifista e obiettore israeliano Yoni Ben-Artzi, non puo' che confermare la
battuta dell'avvocato Michael Sefarad: "quel comitato ha dimestichezza con
il pacifismo quanto gli allevatori di suini ne hanno con le regole
alimentari ebraiche". Tant'e' che i giudici della Corte marziale, durante
l'ultima udienza, hanno deciso che "alla luce del nuovo materiale" il caso
dovra' essere riconsiderato.
Sempre secondo l'avvocato, la raccomandazione della corte di riesaminare il
caso suona come una smentita della decisione presa dal comitato che
all'epoca si era rifiutato di riconoscere Yoni come pacifista. Sostenere che
Yoni e' convinto di essere un pacifista ma in realta' non lo e', che il suo
problema riguarda piu' che altro l'accettazione di un sistema di regole, che
vuole solo evitare l'esercito perche' lo ritiene una perdita di tempo, che
quindi la sua scelta non si basa su reali convinzioni e principi e' un po'
complicato quando si ha di fronte un ragazzo che ha passato piu' di 200
giorni in un carcere militare e che rifiuta anche il compito di infermiere
(da svolgere senza divisa), pur di non essere parte dell'esercito.
*
Intanto e' stato rilasciato Uri Yaakovi, un altro dei firmatari della
lettera degli studenti che ha dato vita al movimento di ragazzi e ragazze
che rifiutano il servizio di leva (Shministim). La decisione, per la quale
non sono state fornite ulteriori spiegazioni, e' stata presa dal Comitato
che ha facolta' di esentare dal servizio militare per ragioni fisiche,
piscologice, economiche e simili.
*
Hagai Matar, uno dei protagonisti del "processo dei cinque", potra' invece
uscire dal carcere militare, ma dovra' rimanere confinato all'interno di una
base dell'esercito. Da quanto dice il suo avvocato non dovra' tuttavia
svolgervi alcuna attivita' di tipo militare. Nell'udienza relativa alla sua
vicenda, tra l'avvocato Dov Chenin ed il pubblico ministero e' sorta
un'accesa discussione sulla definizione del concetto di "coscienza": Hagai
non si autodefinisce pacifista, ma piuttosto come persona che rifiuta di
servire in un esercito di occupazione in base a motivazioni morali. Secondo
il pubblico ministero pero', questa definizione e' politica e non morale.
Per ulteriori informazioni sul movimento degli Shministim e sui processi in
corso: www.refusersolidarity.net

9. MATERIALI. ALCUNI TESTI SCRITTI DURANTE UN INCONTRO DI ACCOSTAMENTO ALLA
NONVIOLENZA AD ACQUAPENDENTE
[Riportiamo le poesie scritte collettivamente da tutti i partecipanti col
metodo surrealista del "cadavere squisito" ad Acquapendente, presso la "casa
di Lazzaro", la sera del 13 agosto 2003, al termine di una intensa giornata
di condivisione e di riflessione dedicata all'accostamento alla nonviolenza;
nel corso della giornata, dopo una presentazione reciproca dei partecipanti,
si e' letta la Oracion por Marilyn Monroe di Ernesto Cardenal; si e'
riflettuto sulla storia politica, delle istituzioni e dei partiti politici
in Italia nel Novecento; sono stati letti alcuni testi di Primo Levi; si e'
letto integralmente L'obbedienza non e' piu' una virtu' (la raccolta degli
atti del processo a don Lorenzo Milani); si sono condivise le riflessioni e
le emozioni di ciascuna e ciascuno sull'esperienza condotta; oltre,
naturalmente, alla consumazione dei pasti in comune, ed alla condivisione
dei momenti di cura reciproca, di affidamento, e di contemplazione e
meditazione. La giornata e' stata parte di una esperienza di una settimana
di attivita' formative e di servizio di un gruppo scout di Bracciano.
Persone - se io che scrivo queste scarne note di presentazione posso
permettermi costi' di esprimere un parere - dolcissime e meravigliose]

L'anima
la solitudine e la felicita' sono due lati della stessa moneta
nebbia come polvere sulla pelle
la mia unica certezza sono i miei amici.
*
Il bicchiere cristallino emanava la sua luce
la voglia di aiutare il prossimo
marrone del nodo giu' in gola
avere pieta' e' tutto.
*
Finche' esistera' la speranza nel mondo le cose potranno cambiare
verita' e bugie
la nostra vita e' solo un attimo
malinconia di un giorno gia' vissuto.
*
Rosso di natura verde foglia
veniva sera, eravamo piu' amici
crack! una persiana che cade
vivere per il bene.
*
Avevo paura e vi incontrai
serenita', buio, paura!
il desiderio di un mondo migliore
beve, e non chiede altra felicita'.
*
Siamo come un granello di sabbia
il ricordo mi chiama
sorridere e' contagioso. Cerchiamo di farlo piu' spesso
forse solo ricordarsi di vivere.
*
Sognare
ricorda il cuore gli occhi
se tu lo vuoi, sara'
e il cuore si gela.
*
L'odore si confonde nella notte
sacrificandosi per gli altri si raggiunge la vera felicita'
cadere, volare o forse fuggire
la verita' e' come un sottile muro di nebbia
che divide la realta' dall'illusione.

10. DIRITTI UMANI. AMNESTY INTERNATIONAL: IN MESSICO DIECI ANNI DI
INTOLLERABILI CRIMINI NEI CONFRONTI DELLE DONNE
[Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti:
press@amnesty.it) riceviamo e diffondiamo]
Non essere riusciti a fermare dieci anni di sequestri e omicidi didonne
nello Stato di Chihuahua fa dubitare della capacita' del governo messicano
di tradurre in realta' la sua retorica sui diritti umani.
Lo ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International,
nel corso di una conferenza stampa tenuta oggi, 11 agosto, a Citta' del
Messico.
Nella sua prima visita in Messico, durante la quale incontrera' il
presidente Fox e alcuni suoi ministri, leader politici e rappresentanti
della societa' civile, Irene Khan intende sollecitare un'azione piu'
efficace da parte delle autorita' federali per indagare sulla brutale serie
di violenze contro le donne a Ciudad Juarez e Chihuahua e assicurare alla
giustizia i responsabili.
"Il totale fallimento delle autorita' nell'affrontare questa situazione
equivale a tollerarla", ha denunciato Irene Khan al termine di una visita a
Ciudad Juarez, dove ha incontrato diverse madri di donne scomparse e
assassinate.
Secondo dati ufficiali, sono 70 le donne di Ciudad Juarez e Chihuahua di cui
si e' persa ogni traccia. Altre fonti parlano di oltre 400 donne scomparse
dal 1983. Le loro famiglie temono il peggio, dato l'allarmante numero di
donne scomparse e poi trovate morte giorni, o anche anni, dopo il loro
rapimento.
Le indagini di Amnesty International hanno accertato che negli ultimi dieci
anni sono state assassinate circa 370 donne, almeno 137 delle quali avevano
subito violenza sessuale prima di morire. Altri 75 corpi non sono stati
ancora identificati e si ritiene che alcuni di essi possano appartenere a
donne scomparse: una eventualita', questa, che la grave inadeguatezza delle
autopsie non ha reso possibile confermare.
Molte vittime erano state sequestrate, tenute in prigionia per diversi
giorni e sottoposte a umiliazioni, torture e sevizie sessuali della peggior
specie prima di essere uccise, nella maggior parte dei casi per asfissia da
strangolamento o a causa delle percosse subite. I loro corpi erano stati
rinvenuti in mezzo ai rifiuti o in zone disabitate nei pressi di Ciudad
Juarez.
In molti casi, le donne scomparse o assassinate erano impiegate nelle
fabbriche di assemblaggio note come maquilladoras. Gli anonimi assalitori
hanno preso di mira anche cameriere, studentesse o lavoratrici del settore
dell'economia informale. In sintesi, donne prive di qualunque potere
all'interno della societa', alcune delle quali con figli a carico e comunque
di origine sociale modesta. Le loro morti non hanno un prezzo politico per
le autorita' locali.
"Per molte delle donne che emigrano in cerca di lavoro a Ciudad Juarez e a
Chihuahua, il sistema di violenza in cui si sono imbattute ha trasformato il
loro sogno di nuove opportunita'  in un incubo" - ha dichiarato Irene Khan.
"E' una vergogna  che, quando questo fenomeno e' iniziato, le autorita'
abbiano mostrato aperta discriminazione verso queste donne e le loro
famiglie. In piu' di una occasione, la colpa del sequestro o dell'assassinio
e' stata addossata alle stesse vittime: vestivano in modo sconveniente o
lavoravano di notte nei bar".
In un rapporto diffuso oggi e intitolato "Messico, crimini intollerabili:
dieci anni di sequestri e omicidi a Ciudad Juarez e Chihuahua", Amnesty
International punta il dito contro "un decennio di mancata azione da parte
delle autorita' competenti, dovuta a indifferenza, assenza di volonta',
negligenza o incapacita'". Il rapporto denuncia ingiustificabili ritardi
nell'avvio delle ricerche delle donne sequestrate, la mancata presa in
considerazione di prove cruciali e testimonianze oculari, la costruzione di
prove false e l'uso della tortura nei confronti di presunti colpevoli. E
ancora, l'inadeguatezza delle autopsie e la comunicazione di informazioni
contraddittorie e rivelatesi non corrette alle famiglie delle vittime.
Le autorita' dello Stato di Chihuahua sostengono che la maggior parte dei
casi di omicidio sono stati "risolti" e che sono state incriminate 79
persone. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, giustizia non e' stata
fatta. La qualita' delle indagini e l'uso della tortura nei confronti delle
persone sospettate di aver preso parte agli omicidi fa dubitare sulla
correttezza delle procedure seguite dagli inquirenti. In ogni caso, anno
dopo anno, questi crimini continuano.
"I casi di Ciudad Juarez e Chihuahua sono un sintomo dei fallimenti
dell'amministrazione della giustizia a livello nazionale" - ha sottolineato
Irene Khan. "Il presidente Fox e il suo governo si sono impegnati a
promuovere la protezione dei diritti umani a tutti i livelli. I casi delle
donne sequestrate e assassinate minano per molti aspetti la credibilita' di
queste affermazioni".
*
Ulteriori informazioni
I primi casi di sequestri e omicidi seriali a Ciudad Juarez risalgono a
dieci anni fa. Situata nel deserto al confine con gli Stati Uniti, Ciudad
Juarez e' ora la piu' popolata citta' dello Stato di Chihuahua. La sua
posizione l'ha trasformata in terreno fertile per il traffico di
stupefacenti e altre attivita' della criminalita' organizzata: cio' ha dato
vita ad alti livelli di delinquenza e di insicurezza pubblica. La creazione
delle maquilladoras, la cui convenienza economica deriva in gran parte
dall'impiego di manodopera locale con paghe assai basse, ha attratto grandi
masse di lavoratori provenienti dagli altri Stati messicani. In molti casi
si tratta di donne che vivono e lavorano nella precarieta' e pertanto
sottoposte a un rischio ancora maggiore di subire violenza.
Per ulteriori informazioni: Amnesty International Italia, ufficio stampa,
tel. 064490224 - 3486974361.

11. RIEDIZIONI. BENNY MORRIS: VITTIME
Benny Morris, Vittime, Rizzoli, Milano 2001, 2003, pp. 944, euro 12,90. La
storia del conflitto isrealo-palestinese in un libro fondamentale del grande
storico e docente dell'Universita' Ben Gurion. Finalmente in edizione
economica.

12. RILETTURE. LIA LEVI: UNA BAMBINA E BASTA
Lia Levi, Una bambina e basta, Edizioni e/o, Roma 1994, 1999, pp. 128, lire
12.000. La vicenda di una bambina dinanzi alle persecuzioni razziste e la
guerra; a questo tenero e nitido libro e' stato conferito il "Premio Elsa
Morante - opera prima" nel 1994.

13. RILETTURE. SALWA SALEM: CON IL VENTO NEI CAPELLI
Salwa Salem, Con il vento nei capelli. Una palestinese racconta, Giunti,
Firenze 1993, 2001, pp. 190, euro 8,50. A cura di Laura Maritano, la
testimonianza di Salwa Salem (1940-1992), appassionata e indimenticabile.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio com
unitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 643 del 15 agosto 2003