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La nonviolenza e' in cammino. 609
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 609
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Fri, 11 Jul 2003 20:34:14 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 609 del 12 luglio 2003
Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: in memoria di Alice Paul
2. Maria G. Di Rienzo: come preparare una campagna per il cambiamento
sociale
3. Da settembre a Baghdad un osservatorio internazionale sull'occupazione
militare
4. Giuseppina Ciuffreda presenta "Un no molti si"" di Paul Kingsnorth
5. All'Associazione Gabriele Bortolozzo il Premio internazionale Alexander
Langer 2003
6. Maruja Torres: per ultimo
7. Enrico Peyretti commenta "L'idea di giustizia e l'esperienza
dell'ingiustizia" di Gustavo Zagrebelsky
8. Presentazione di AA. VV., Dentro la guerra
9. Letture: Nafeez Mosaddeq Ahmed, Dominio
10. Letture: Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla liberta'
11. Letture: Paul Ginsborg, Berlusconi
12. Letture: Peretz Kidron (a cura di), Meglio carcerati che carcerieri
13. Riletture: Lidia Beccaria Rolfi, Bruno Maida, Il futuro spezzato
14. Riletture: Laura Ghidini, Dialogo con Emmanuel Levinas
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'
1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: IN MEMORIA DI ALICE PAUL
[Ricorreva il 9 luglio l'anniversario della scomparsa di Alice Paul, la
grande militante femminista nonviolenta. Nata l'11 gennaio 1885 da una
famiglia quacchera nel New Jersey, militante femminista, pacifista,
nonviolenta, dedico' la vita alla lotta per l'uguaglianza di diritti tra gli
uomini e le donne, per la pace e la giustizia. Guido' fino alla vittoria la
lotta per il riconoscimento del diritto di voto alle donne negli Stati
Uniti, fu lei l'autrice dell'Equal Rights Amendment. Promosse movimenti e
manifestazioni in America e in Inghilterra, sperimentando varie tecniche
nonviolente; fu la principale organizzatrice della marcia delle donne del 3
marzo 1913 a Washington; per le sue lotte nonviolente fu piu' volte
detenuta, nel vecchio continente e nel nuovo. E' scomparsa il 9 luglio del
1977. Il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha scritto per l'occasione
il seguente testo e ce lo ha messo a disposizione]
Sono passati cosi' tanti anni
e la memoria si affievolisce a tal punto
che nessuno ricorda piu' neppure
il colore delle rose dell'altr'anno
o la fragranza del pane di quando
eravamo giovani e affamati.
Quasi nessuno ricorda piu' le vittime
della guerra di pochi mesi fa
o di quelli che nel nostro paese
furono ammazzati dalla strategia
della tensione, dal terrorismo, dalla mafia.
Tutto e' appiattito su un presente
sottile come una lama
che diventa nulla.
Ma io ricordo ancora Alice Paul
con gratitudine le rendo omaggio
brucio per lei questo grano d'incenso.
So che senza di lei, senza Emmeline
ed infinite altre, anche la mia
sarebbe vita piu' oppressa e indegna.
2. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COME PREPARARE UNA CAMPAGNA PER IL
CAMBIAMENTO SOCIALE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Quelli che seguono sono i passi usuali necessari a preparare una campagna
che abbia successo. A seconda di quali sono i vostri scopi potrete mutarne
l'ordine, o compiere piu' passi simultaneamente, o modificarne il contenuto
per adattarlo alle vostre esigenze.
*
1) Costruite una base di supporto personale
Ovvero stabilite per voi stessi dei sostegni che non spariranno o
crolleranno se sarete attaccati politicamente: ci deve essere almeno una
persona su cui potrete contare per il vostro sostegno emotivo (spesso e' un
parente, il marito o la moglie, il compagno o la compagna di vita, ecc.).
Tentate di costruire una rete di supporto abbastanza vasta, di modo che
nessuna persona si trovi da sola se il vostro gruppo e' in uno stato di
necessita', e che nessuno debba esaurirsi per dare sostegno a molti altri.
*
2) Costruite un gruppo di attivisti di base e affinate le vostre capacita'
Assieme, acquisite la capacita' necessarie alla vostra campagna. In special
modo non mancate di sviluppare le abilita' di base che riguardano la
formazione, l'organizzazione, la ricerca, la raccolta di fondi, la
negoziazione. Lavorate insieme per un po', prima di rivolgervi all'esterno,
di modo da essere sicuri della vostra compatibilita' come persone, ovvero
della vostra capacita' di affrontare e risolvere i conflitti interni.
*
3) Scegliete una coalizione appropriata
Trovate con chi il vostro gruppo puo' lavorare: preferibilmente scegliete
associazioni/gruppi che capite e che vi piacciono, che condividono con il
vostro caratteristiche importanti (la comune oppressione, la cultura, i
valori, ecc.), che siano interessati all'istanza che intendete affrontare e
che provino entusiasmo nel lavorare per il cambiamento. Fate in modo che la
coalizione porti risorse alla campagna: esperienza, abilita', impegno,
denaro, ecc.: e' molto probabile che confliggerete con forze potenti e
avrete quindi bisogno di tutte le risorse che riuscite a recuperare.
*
4) Scegliete un'istanza "calda"
Ovvero una situazione che sia chiaramente ingiusta e dolorosa e che puo'
essere cambiata, e che sia in grado di muovere il gruppo e la coalizione
all'azione. Sviluppate per essa piu' soluzioni alternative che abbiano
ragionevoli possibilita' di essere raggiunte.
*
5) Identificate i miti sociali
Riconoscete i comuni assunti (il "senso comune") o i miti sociali che
nascondono la verita' e inchiodano la situazione allo status quo. Trovate i
fatti che contraddicono i miti e che, se vastamente conosciuti, possono
spingere verso il cambiamento.
*
6) Scegliete gli interlocutori della campagna, le persone e gli scopi
Chi puo' cancellare i torti, o implementare le alternative? Di cosa hanno
bisogno queste persone per muoversi in tal senso? Decidete chi interpellate,
e cosa volete da individui, istituzioni, ecc.
*
7) Disegnate la campagna
Una buona campagna si traduce in: luce sull'istanza (la rende visibile a un
largo numero di persone), dimostrazione che un'alternativa e' possibile,
ritorno di energia al gruppo e alla coalizione, ottenimento (parziale,
totale, negoziato, ecc.) degli scopi che vi siete dati.
A seconda di quali essi sono potrete avere bisogno di preparare rapporti
sulla situazione e di pubblicizzarli, di influenzare governi locali o
nazionali tramite invio di petizioni, cartoline, ecc., di organizzare
dimostrazioni, di presentare leggi di iniziativa popolare e cosi' via.
*
8) Non dimenticate i principi della nonviolenza e dell'azione diretta
nonviolenta
Nessuno scopo e' piu' importante del vostro impegno in questo senso. Gli
emissari di uno status quo violento e i loro violenti oppositori che
desiderano prenderne il posto, saranno felici di cooptarvi al loro pensiero:
dividendo il pensiero nonviolento in "ideale" e "pragmatico" (ovviamente voi
siete gli idealisti con il naso nelle nuvole, e loro i pensatori strategici
e concreti); suggerendovi che si tratta di una corrente di pensiero
orientale che non ha nulla a che fare con voi, dandovi di gomito perche'
"quando ci vuole ci vuole", sostenendo che la nonviolenza e' fuga dai
conflitti o che se il "nazionale" ha deciso... eccetera, eccetera.
Riconoscete le dinamiche di dominio e rigettatele: perche' tutto e'
cominciato in quel giorno benedetto in cui avete deciso che il mondo puo'
essere un posto migliore per viverci, che la vita non e' una caserma, che
voi non siete guerrieri, che non volete prendere ordini o darne. Non
dimenticatelo.
3. INIZIATIVE: DA SETTEMBRE A BAGHDAD UN OSSERVATORIO INTERNAZIONALE
SULL'OCCUPAZIONE MILITARE
[Riceviamo e diffondiamo questo comunicato dell'organizzazione umanitaria
"Un ponte per" (per contatti: posta@unponteper.it)]
"Occupation Watch", un osservatorio internazionale sull'occupazione militare
sara' attivo, a partire da settembre, a Baghdad per denunciare le violazioni
dei diritti umani da parte delle forze occupanti, monitorare la
ricostruzione, l'utilizzo del petrolio, il comportamento delle aziende
straniere, il processo democratico in Iraq.
Lo hanno annunciato nella capitale irachena un gruppo di organizzazioni
pacifiste internazionali, tra cui l'italiana "Un ponte per ...".
Fra i compiti specifici dell'osservatorio, la denuncia dei comportamenti
illegittimi dei militari, degli arresti e delle detenzioni arbitrarie,
dell'uso della forza non necessaria.
Esso dovra' inoltre monitorare gli appalti e i contratti per la
ricostruzione fino ad oggi assegnati tutti a multinazionali statunitensi
"senza gara di appalto e senza trasparenza", come e' stato denunciato da
Medea Benjamin di "United for Peace and Justice", una coalizione di 600
associazioni e comitati pacifisti americani.
"Sinora le forze occupanti - ha affermato Ted Lewis di Global Exchange,
organizzazione di San Francisco - non hanno rispettato gli obblighi
internazionali di assicurare cibo e servizi essenziali alla popolazione. Non
possiamo credere che un paese che ha una tecnologia cosi' avanzata, che puo'
permettersi di spendere 500 miliardi di dollari all'anno in armamenti, non
sia in grado di riattivare l'energia elettrica in due mesi".
Per l'associazione "Un ponte per ....", che e' tra i promotori
dell'osservatorio, Fabio Alberti ha affermato che "le forze di occupazione
agiscono in una paese apertamente ostile non tanto perche' la popolazione ha
nostalgia del passato regime, che nessuno rimpiange, quanto perche' ogni
giorno che passa gli intenti dell'occupazione militare - il controllo del
petrolio e di un'area strategica, gli affari della ricostruzione - appaiono
piu' evidenti".
Nei giorni scorsi il "Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq"
presieduto da Alberti ha lanciato una petizione popolare per il ritiro
immediato delle truppe italiane.
"L'osservatorio - ha continuato Alberti - avra' grande attenzione nel
monitorare i contratti di subappalto a cui aspirano centinaia di aziende
italiane e degli altri paesi occupanti quali Gran Bretagna e Polonia".
"Occupation Watch", basato esclusivamente sul volontariato e totalmente
finanziato da associazioni pacifiste, sara' frutto del lavoro di un gruppo
di ricercatori internazionali (tra cui un italiano) e iracheni che
opereranno a Baghdad. I risultati delle ricerche saranno pubblicati su un
apposito sito.
4. LIBRI. GIUSEPPINA CIUFFREDA PRESENTA "UN NO MOLTI SI'" DI PAUL KINGSNORTH
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 giugno 2003. Giuseppina Ciuffreda e'
una delle voci piu' autorevoli delle esperienze di ricerca e di liberazione
nel nostro paese negli ultimi decenni, una maestra a molte e molti. Paul
Kingsnorth e' uno dei piu' noti giornalisti ambientalisti inglesi]
Da quando il popolo di Seattle e' apparso sulla scena mondiale, quel
novembre del '99, non si e' fermato il flusso di libri che tentano di
descrivere il movimento per il quale un nuovo mondo e' possibile: quando
esplode un fenomeno che accende su di se' i riflettori, lo sappiamo, gli
esperti spuntano come funghi, dalla sera alla mattina. Ma il libro di Paul
Kingsnorth, Un no molti si' (Ponte alle Grazie, pp. 349, euro 15), ha pregi
indiscutibili: l'autore sa di cosa parla, ha partecipato a molti degli
eventi descritti e prima di mettersi al computer ha viaggiato per otto mesi
nel mondo, "nel cuore delle resistenze alla globalizzazione".
Kingsnorth e' un giornalista inglese. Ha collaborato con l'"Indipendent", il
"Guardian", Bbc Wildlife ed e' stato vicedirettore del periodico
ambientalista inglese "The Ecologist". Fondato da Teddy Goldsmith nel 1970,
diffuso in 150 paesi anche con versioni in lingua locale, l'"Ecologist" ha
capito tra i primi le dinamiche perverse delle politiche di sviluppo e
l'essenza autoritaria della globalizzazione. In trent'anni ha informato
sulle lotte e le resistenze nate in tutto il mondo, ha promosso campagne
epiche contro la Banca mondiale e le grandi dighe, ha fondato associazioni
quali Survival International e ha lanciato l'International forum on
globalisation (Ifg). Su "Ecologist" hanno scritto, tra i tanti, Vandana
Shiva, Jerry Mander, James Lovelock, Martin Khor, Jeremy Rifkin, Mae-Wan Ho,
Helena Norberg-Hodge, Patrick McCully e Wolfgang Sachs.
Quando e' esploso il movimento no global, Kingsnorth ha potuto quindi
attingere a informazioni e contatti di prima mano. Era a Genova contro il G8
e a Porto Alegre per il Forum mondiale, ma quel che gli preme e' dimostrare
che le manifestazioni di piazza sono la punta di un iceberg molto piu'
grande e significativo: "Non costituiscono l'intera storia del movimento;
non sono neppure il suo capitolo piu' importante", sono state pero' "uno
strumento efficace per spingere il movimento sotto i riflettori del mondo,
lo hanno fatto crescere nel numero, hanno costretto i media e politici a
parlarne, e anche imprenditori e cittadini comuni".
Ma per comprendere Genova e gli altri eventi simili, per prima cosa bisogna
sapere cosa e' davvero successo a Seattle. Ed e' un fatto che a Seattle non
c'erano gli esperti, non c'erano i gruppi che oggi si mostrano in prima fila
e nemmeno i politici tutto movimento. C'erano anarchici, sindacalisti,
ambientalisti, indigeni, attivisti dei diritti umani, agricoltori, esponenti
di comunita' in lotta contro grandi dighe o pozzi petroliferi, sacerdoti e
vecchie signore. Il vertice del Wto e' fallito per le divergenze tra Stati
uniti e Europa, e per l'ostilita' dei paesi del Terzo mondo. Ma le cariche
della polizia contro migliaia di manifestanti inaspettati decise da un
sindaco in preda al panico sono state riprese dalle televisioni e un
movimento planetario rimasto in ombra per due decenni e cresciuto
soprattutto nel Terzo mondo, e' emerso alla luce nelle strade delle citta'
del Primo mondo. Le manifestazioni si sono poi diffuse ovunque. E' una
storia recente, nota.
*
Kingsnorth e' interessato ai soggetti sociali locali, tessere viventi di
quel mosaico planetario chiamato "movimento dei movimenti". Sa che deve
scendere nei livelli locali, alle radici, se vuole capire un movimento
politico mai visto prima nella storia: una rete planetaria di milioni di
individui. Non ha dubbi che sia "la piu' grande vicenda della nostra epoca;
il piu' grande movimento politico e sociale da generazioni, forse il piu'
grande di sempre. E vuole cambiare il mondo".
Kingsnorth sottolinea la radicalita' estrema del movimento ma prende le
distanze dalle sinistre cosiddette rivoluzionarie che oggi cavalcano un
movimento che non hanno contribuito in alcun modo a formare. La sua polemica
con l'inglese Globalise Resistance (GR), che non e' un'accolita di duri
black-blok ma la versione no global dell'arteriosclerotico Socialist
Workers' Party, vale per altre situazioni: GR vuole imporre una "strategia
complessiva" al movimento, che deve essere guidato da veri rivoluzionari,
cioe' loro. (Un giudizio simile, negativo, sul ruolo delle sinistre nei
recenti sommovimenti argentini, lo ha espresso anche Naomi Klein).
Chi sono dunque i veri protagonisti della resistenza alla globalizzazione?
Kingsnorth non da' vita a un dibattito teorico ma viaggia per otto mesi in
cinque continenti, ricostruisce contesti sociali, politici ed economici
attorno a vicende, lotte, persone in carne e ossa. Ricordatevi che e' un
anglosassone quando incontra, pieno di meraviglia ed eccitazione, la musica,
il ballo e l'agua ardiente profusi nella politica latinoamericana.
*
Il suo primo incontro ravvicinato e' nel Chapas zapatista perche' qui fa
cominciare la storia piu' recente del movimento: nel 1994, quando il
subcomandante Marcos e gli zapatisti escono dalla Selva Lacandona.
Kingsnorth partecipava allora al movimento inglese contro le autostrade
animato dai nuovi diggers di puritana memoria che difendono gli alberi
vivendo tra i rami, e solo nelle manifestazioni del 2000 a Praga sentira' un
grido che evochera' gli zapatisti: "Ya basta!", Adesso basta. Nel 2001 e' in
Messico. Lo introduce nel mondo del subcomandante un giovane californiano
che lavora per Global Exchange, un'organizzazione per i diritti umani con
base negli Usa, in Chapas fin dall'inizio dell'insurrezione zapatista.
Proprio questo movimento popolare di indigeni contadini "potrebbe rivelarsi
come il piu' grande movimento politico del ventunesimo secolo", sostiene
Kingsnorth, per le sue inedite caratteristiche: nessun desiderio di
impadronirsi del potere, linguaggio nuovo, appelli alla societa' civile,
discorsi sulla rinascita della democrazia e un comandante, anzi un sub, che
parla in poesia e attraverso storie.
In Bolivia la guida sara' Jim Shultz, direttore del Democracy Centre, una
ong che dagli Stati Uniti si e' trasferita a Cochabamba, che ha fatto
conoscere nel mondo con i suoi articoli la lotta vittoriosa della
Coordinadora per l'acqua e la vita guidata da Oscar Olivera contro la
privatizzazione dell'acqua gestita da un consorzio multinazionale. Nella
citta' epicentro della lotta, Kingsnorth incontra i protagonisti della
lotta, mastica foglie di coca offerte dagli indigeni e apprende la
resistenza dei cocaleros, partecipa a un incontro della rete internazionale
Peoples' global action (Pga), nata a Ginevra nel 1998 da trecento persone di
71 paesi per fornire strumenti di collegamento tra i diversi movimenti
attivi nel mondo.
In Sudafrica sara' Patrick Bond, professore e attivista antiapartheid poi
consigliere dell'African national congress di Nelson Mandela e ora
oppositore critico delle politiche governative. Kingsnorth intervista Ashwin
Desai (autore del volume We are the Poor, in corso di traduzione dalla casa
editrice DeriveApprodi) e racconta nel dettaglio il nuovo movimento di
giovani africani contro la privatizzazione dell'acqua e dell'elettricita'
fatto di azioni dirette, teatro di strada, manifestazioni.
La resistenza alla globalizzazione negli Stati Uniti ha un volto
anticonsumista. A New York, incontra il reverendo Billy, fondatore della
chiesa Stop Shopping contro il consumismo e le catene commerciali tipo
Starbucks che tolgono ogni identita' ai quartieri: "Le imprese
transnazionali hanno bisogno che non ci siano piu' quartieri ma solo centri
commerciali". "Ma che ne e' stato del sogno americano?", si chiede
Kingsnorth, e il reverendo Billy pensa di saperlo: l'ha ucciso il
consumismo.
A San Francisco conosce il California department of corrections, coalizione
clandestina di culture jammers, giovani che correggono i tabelloni
pubblicitari con bombolette spray, carta e caratteri trasferibili. E' la
versione noglobal del Billboard liberation front, il fronte di liberazione
dai cartelloni pubblicitari creato venticinque anni fa a San Francisco, ed
e' sulla stessa linea di Adbuster, il magazine canadese che produce annunci
pubblicitari sovvertiti: per la "giornata senza acquisti" aveva prodotto
spot ottimi e finanziati ma nessuna emittente li ha voluti trasmettere.
Secondo la Nbc erano "contrari ai nostri interessi", e per la Cbs erano
"ostili all'attuale politica economica degli Stati Uniti".
Kingsnorth cita poi le azioni dirette di Earth First!, il gruppo
ambientalista radicale, e della Biotic Baking Brigade. Fondata nel 1998 in
California, BBB ha inventato la pratica forte e nonviolenta della torta
biologica spalmata sulla faccia. Ne hanno fatto le spese: Milton Friedman,
uno dei padri del neoliberismo economico; Robert Shapiro, presidente della
Monsanto, Charles Hurwitz della Pacific Lumbert; Carl Pope, del mitico
Sierra club che BBB accusava di collaborare con i commercianti di legname;
il sindaco di San Francisco, Willie Brown, per la sua politica contro gli
homeless, che li ha denunciati: sei mesi di galera. Ma la "sollevazione
dolciaria mondiale" si e' diffusa e ha colpito Bill Gates, Keith Campbell,
uno dei padri di Dolly, la pecora clonata, Kohl, Delors, ex presidenti del
Fondo monetario internazionale. Immagini serissime lese dalla risata.
Kingsnorth si sposta in Asia, nell'Irian Jaya, territorio del Papua Nuova
Guinea, regione dell'Indonesia. Sulle terre degli indigeni dal 1973 la
Freeport scava oro e rame. La miniera a cielo aperto piu' grande del mondo
della multinazionale statunitense ha suscitato la resistenza dei tribali,
intrecciata alle istanze di indipendenza dell'Organisasi Papua Merdeka,
guerriglia papuasa contro il governo indonesiano.
E poi ancora in America latina, per incontrare il Movimento Sem Terra, in
uno degli stati piu' poveri del nordest, il Maranhao. E'il feudo di una
delle famiglie dell'oligarchia brasiliana, i Sarney. Qui segue da vicino
un'occupazione di terre contrastata dai militari.
L'ultimo viaggio e' di nuovo negli Stati Uniti, il paese madre delle
multinazionali che ha visto in opera nel resto del mondo. Qui Kingsnorth
incontra altri due gruppi: la Democracy Unlimited of Humboldt County,
fondata nel 1996 da Paul Cienfuegos contro il potere delle corporations, e
Reclaim Democracy, campagna a lungo termine per un cambiamento strutturale,
creata da Jeff Milchen e Jennifer. Hanno votato tutti per Ralph Nader e non
se ne pentono (Nader ha preso il 5 per cento nelle elezioni ed e' stato
accusato dai democratici di aver fatto perdere Al Gore). Jeff ha fondato
anche la Boulder Indipendent Business Alliance, associazione di piccoli
commercianti, per limitare l'influenza delle corporation in citta'. Vogliono
anche l'abolizione della Corporate Personhood, perche' le corporations non
siano considerate persone, status di cui godono tutti i vantaggi senza
averne le responsabilita'. Nella lotta si e' distinta Granny D, cioe' Doris
Haddock, 89 anni, che ha marciato per 5.000 chilometri dalla California a
Washington per dimostrare a favore di una legislazione contro
l'intromissione delle corporations nella politica.
*
Nei cinque continenti e' dunque in ascesa un movimento popolare di poveri,
di emarginati, di gente che si sente tagliata fuori: la globalizzazione li
esclude e li marginalizza. E' in gioco una ridefinizione del potere, si
rivedica lo spazio sottratto ai cittadini. Insomma e' in atto una
rivoluzione. Per ridistribuire la ricchezza e per l'equita', senza
gerarchia, che non vuole la crescita e lo sviluppo ma un'economia ecologica.
Alla fine del viaggio Kingsnorth cosi' sintetizza il lavoro attuale dei
movimenti: pulire il campo e piantare i semi. Per una nuova rivoluzione
democratica, che e' forse solo un passaggio sulla strada che conduce alla
sua vera essenza.
In fondo in passato si sono verificati cambiamenti che sembravano
impossibili. Dunque, non vale gingillarsi ai margini, e neppure rinverdire
corporations o cianciare di sviluppo sostenibile perche' non bisogna
accontentarsi: "Chissa', potremo persino stupire noi stessi. Certamente
stupiremo il mondo. E se non noi, chi? Se non ora, quando?".
5. MEMORIA. ALL'ASSOCIAZIONE GABRIELE BORTOLOZZO IL PREMIO INTERNAZIONALE
ALEXANDER LANGER 2003
[Dagli amici della Fondazione Alexander Langer (per contatti:
langer.foundation@tin.it) riceviamo e diffondiamo]
Il Comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Alexander Langer,
composto da Renzo Imbeni (presidente), Gianni Tamino (vicepresidente), Anna
Bravo (relatrice), Ursula Apitzsch, Patrizia Failli, Annamaria Gentili,
Liliana Cori, Pinuccia Montanari, Margit Pieber, Alessandra Zendron, ha
deciso di attribuire il premio Internazionale "Alexander Langer" 2003,
dotato di 10.000 euro, alla memoria di Gabriele Bortolozzo per tramite
dell'associazione che porta il suo nome.
E' difficile immaginare una lotta piu' solitaria e pionieristica di quella
che Gabriele Bortolozzo, operaio al Petrolchimico di Porto Marghera, inizia
nei primi anni settanta contro l'uso nello stabilimento del cloruro di
vinile monomero (cvm). All'epoca il sindacato locale e' concentrato sul tema
della difesa del posto di lavoro, la sensibilita' ecologista e' minoritaria,
gli organismi preposti al controllo della nocivita' e la magistratura sono
sordi alla questione cvm. Si sa poco e non si fa niente per sapere, con il
risultato che nel corso degli anni si arrivera' a 260 vittime (157 operai
morti e 103 ammalati) e alla devastazione della laguna.
Nel 1973, subito dopo aver saputo che l'Oms (Organizzazione Mondiale della
Sanita') ha riconosciuto gli effetti cancerogeni del cvm, Gabriele
Bortolozzo da' il via a un lungo scontro con il colosso chimico. Non accetta
di farsi visitare nell'infermeria di fabbrica precisando di non fidarsene;
protesta perche' agli operai ammalati si fanno mancare le cure; di anno in
anno accumula esposti e denunce sulla nocivita' nei reparti e
sull'inquinamento ambientale, e si impegna per promuovere una campagna di
opinione contro lo scarico nel mare Adriatico dei fanghi Montedison. E' il
primo operaio in Italia a dichiararsi obiettore di coscienza alle produzioni
nocive e a rifiutarsi pubblicamente di lavorare nei reparti del cvm, tra i
primi a sollevare il problema dello smaltimento e occultamento all'estero
dei residui tossici delle lavorazioni.
Nel frattempo svolge una inchiesta capillare per censire le vittime del cvm.
Parte dalle persone che conosce, e seguendo i fili delle relazioni allarga
il campo di ricerca; forte della sua conoscenza del ciclo produttivo, mette
insieme liste di nomi reparto per reparto, raccoglie le schede mediche,
parla con gli ammalati e con le vedove; un passo dopo l'altro, una notizia
dopo l'altra, scopre i casi e li cataloga. A questo lavoro da detective
accompagna lo studio. Si procura tutti i dati disponibili della Montedison,
dell'Oms, di fabbriche simili all'estero, esamina i risultati e a volte li
corregge e li integra, dove c'era il vuoto fa nascere un patrimonio di
conoscenza. E diventa, prima di qualsiasi medico, magistrato o specialista,
il vero esperto della nocivita' del cvm. La risposta aziendale e' una serie
ininterrotta di soprusi, fino all'isolamento in un reparto confino. Ha dalla
sua parte la Commissione ambiente del Consiglio di fabbrica, ma il sindacato
nel suo complesso non lo sostiene.
Negli anni novanta Bortolozzo e' meno solo. Sull'onda della crescente
attenzione ecologista e quindi anche dell'interesse per i suoi dossier su
problemi di inquinamento, viene invitato a convegni e dibattiti, e va a
parlare in alcune scuole, l'attivita' che gli sta piu' a cuore. Stringe
rapporti con Medicina Democratica, e nel 1994 pubblica sulla rivista del
gruppo un dossier sulle morti e malattie da cvm al Petrolchimico; nello
stesso anno presenta al Pubblico Ministero di Venezia Felice Casson un
esposto che sara' la base delle indagini per il processo contro i dirigenti
Montedison ed Enichem iniziato nel '98 e conclusosi con una generale
assoluzione nel 2001, ma con una forte crescita di consapevolezza sulla
necessita' di costruire strumenti di tutela dei cittadini e dei lavoratori
dai danni ambientali.
Questa e' una storia importante, lungo la quale Bortolozzo sceglie
costantemente di fare da ponte fra diritti/bisogni spesso contrapposti, come
quello di avere un lavoro e quello di preservare salute e ambiente. Ma non
e' tutta la sua vita. Lontanissimo dal "lavorismo" tanto diffuso nel
movimento operaio, Bortolozzo e' un uomo che si dedica ai figli e ai
rapporti umani, un uomo attento al bello, alle piccole cose, al privato, al
"superfluo", che per se' e per gli altri vuole il pane, ma anche le rose;
che spende tempo e energie per approfondire la conoscenza del territorio,
dei fiumi, della flora, della fauna, e sa distinguere centinaia di uccelli
dal canto e ricostruire gli itinerari veneti di Hemingway. Il pensionamento
da' piu' spazio a queste passioni. Studia, organizza per amici e
scononosciuti gite ciclo-botaniche nei dintorni della sua casa, e escursioni
a tema su un artista o sull'architettura di un dato periodo storico, per
esempio le ville del Terraglio e della riviera del Brenta, i paesini
costruiti intorno al fiume o al canale; pensando soprattutto ai piu'
giovani, fornisce schede e materiali informativi. Sono aspetti e modi di
vita che rivelano una concezione rinnovata e aperta, in cui la pensione e'
una gioia anziche' una crisi da perdita di ruolo, e un ideale educativo
fondato sulla condivisione delle esperienze, sul fare (ancora una volta) da
ponte fra persone, temi, punti di vista.
Gabriele Bortolozzo muore il 12 settembre 1995 a Mogliano Veneto, investito
mentre pedalava sull'amata bicicletta. L'associazione a lui dedicata, creata
dai suoi figli Beatrice e Gianluca con altri amici e estimatori, e'
impegnata per la salvaguardia del patrimonio culturale e ambientale del
territorio veneto. Ha partecipato al processo contro l'Enichem, creato due
borse di studio, sviluppato un sito Internet per divulgare la propria
attivita' e costituire una biblioteca telematica. Ha pubblicato, postumo, il
libro di Gabriele Bortolozzo L'erba ha voglia di vita, l'inchiesta Terra,
aria, acqua, valutazione o svendita, il volume Processo a Marghera.
Di fronte all'urgenza di "globalizzare" il diritto al lavoro e insieme la
tutela della vita umana animale e ambientale, di fronte alla deriva
efficientista che divora il tempo e schiaccia la soggettivita', e di fronte
al rischio di un azzeramento della memoria operaia, la Fondazione Alexander
Langer Stiftung vede in Gabriele Bortolozzo una preziosa figura di
riferimento e nella Associazione a lui intitolata una garanzia per la
continuazione dei suoi studi, del suo lavoro e della sua visione del mondo.
6. FRASI COLTE AL VOLO. MARUJA TORRES: PER ULTIMO
[Da Maruja Torres, Amor America, Feltrinelli, Milano 1994, 2001, p. 145.
Maruja Torres, nata a Barcellona nel 1943, e' giornalista e inviata speciale
del quotidiano "El Pais". Simon Bolivar (1783-1830) e' nella patria grande
latinoamericana il "libertador" per antonomasia]
Per ultimo, a Santa Marta visitai il casale di San Pedro Alejandrino, dove
mori' Simon Bolivar di tubercolosi, emarginazione e poverta', dopo essere
stato espulso da tutti i paesi che aveva liberato, compreso il suo.
7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI COMMENTA "L'IDEA DI GIUSTIZIA E L'ESPERIENZA
DELL'INGIUSTIZIA" DI GUSTAVO ZAGREBELSKY
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente. Gustavo Zagrebelsky, nato nel 1943 a
San Germano Chisone (To), docente universitario, costituzionalista, autore
di vari volumi e saggi, ha collaborato al commentario alla Costituzione
italiana diretto da Giuseppe Branca; e' attualmente giudice della Corte
Costituzionale. Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo particolarmente Le
immunita' parlamentari, Einaudi, Torino 1979; Il diritto mite, Einaudi,
Torino 1992; Questa Repubblica, Le Monnier, Firenze 1993; Il "crucifige" e
la democrazia, Einaudi, Torino 1995; (con Pier Paolo Portinaro e Joerg
Luther, a cura di), Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996; La
giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna 1996; (con Carlo Maria
Martini), La domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003; e' prevista per
settembre 2003 la pubblicazione del suo nuovo libro: Antigone, Pilato, il
Grande Inquisitore. Maschere del potere, Einaudi, Torino]
Questa non e' una recensione del piccolo grande libro La domanda di
giustizia, di Carlo Maria Martini e Gustavo Zagrebelsky (Einaudi, Torino
2003). Sono soltanto note suggerite dalla lettura della conferenza di
Zagrebelsky su "L'idea di giustizia e l'esperienza dell'ingiustizia" li'
contenuta alle pp. 3-50. Nulla di piu' di cio' che fa ogni lettore in
ascolto attivo di pagine parlanti. Qui si aggiunge il desiderio di
comunicare queste note per un confronto e verifica con qualche altro lettore
attivo. Chi ha letto o leggera' il libretto potra' valutare se queste note
si attagliano a quel testo, ma esse stanno anche come autonome riflessioni,
per quanto generate dalla densita' e dalla profonda saggezza dello scritto
di Zagrebelsky. Ecco un uomo, un magistrato, uno studioso, un pensatore, un
cittadino che potrebbe molto opportunamente per l'Italia, oggi governata da
una classe dirigente insensata, essere scelto a tempo debito come massimo
magistrato e custode della nostra Repubblica, della sua migliore cultura
civile e della sua Costituzione, ispirate e tese alla giustizia.
Pag. 6 - Bisogna dire, purtroppo, che i diritti umani non sono divenuti
patrimonio comune per merito delle Chiese cristiane.
Pagg. 7-8 - Finalmente una chiara e giusta critica, riguardo al concetto di
giustizia, della formula dell'utilitarismo, della definizione romana, del
razionalismo di Rawls.
Pagg. 12-13 - La fame e sete di giustizia e' il punto di partenza per capire
qualcosa. Senza la speranza di giustizia "l'esistenza stessa e' scossa dalle
fondamenta". Questa speranza e' "una condizione di esistenza", che viene a
mancare non solo sotto l'oppressione, ma anche nelle materialistiche
societa' opulente.
Pag. 14 - Questa pagina, centrata su un grande pensiero di Vittorio Foa, mi
manda una illuminazione per me nuova sul rapporto tra liberta' e giustizia.
Si', possiamo dire che si implicano a vicenda, che sono valori equivalenti,
ma e' un fatto decisivo che alla liberta' si puo' - si deve talora -
rinunciare per la giustizia, mentre non si puo' mai rinunciare alla
giustizia per la liberta'. C'e' dunque una gerarchia tra i due valori, e la
giustizia e la sua ricerca e' superiore alla liberta' e al suo godimento.
Ovviamente, parliamo della liberta' esteriore, perche' quella interiore
cresce e si afferma nel sacrificio per la giustizia: nessuno e' libero e
vivo come Cristo, che accetta di venire ucciso sulla croce come uno schiavo
per fedelta' totale alla sua testimonianza e seminagione di vita giusta. Un
abisso separa questa prospettiva dall'idea di liberta' oggi vincente nella
squallida politica italiana: la liberta' economica, individuale,
concorrenziale, separata dagli altri e dagli ideali; l'ultima delle liberta'
e' follemente messa al di sopra di ogni liberta' e di ogni giustizia.
Pag. 16 - La domanda di giustizia sorge dall'ingiustizia. Ma e' vero anche
il contrario: sentiamo che una cosa e' ingiusta perche' abbiamo gia' un
senso della giustizia, non come concetto definito, ma come una sete che e'
criterio.
La domanda di giustizia e' una reazione attiva e creativa, non rassegnata,
all'ingiustizia. Ma noi sentiamo che questa cosa e' ingiusta perche' abbiamo
gia' una coscienza insopprimibile del diritto come dignita' inviolabile
della persona.
Il grido, almeno dentro di se', del bimbo discriminato o ingannato "Non e'
giusto!"; il morso nelle viscere che provoca al Samaritano come a noi, se
non siamo traditori come il sacerdote e il levita, la visione del dolore e
del tormento altrui; il grido della vittima, anche quando resta chiuso nel
cuore, grido che neppure Cristo pote' trattenere, "perche' mi viene fatto
del male?"; questi fatti indubitabili dimostrano in modo assoluto, per ogni
essere rimasto umano, che li' c'e' ingiustizia e deve esserci giustizia; che
la giustizia preme e giudica il mondo.
Pag. 17 - Politica e giustizia, intervento militare e fine umanitario. Qui
c'e' l'eco della innominata riscoperta gandhiana del nesso fini-mezzi. Il
mezzo e' gia' un risultato, non e' uno strumento vuoto. Il mezzo e' gia' il
fine dell'azione, qualificata gia' dai mezzi ben prima che dalle intenzioni
e dai risultati finali. Zagrebelsky riprende questo tema a pag. 70, nel
successivo dialogo con Martini.
Pag. 18 - Nel mondo ingiusto, chi e' innocente? Non e' innocente chi, come
noi privilegiati, si giova dell'ingiustizia pur senza averla provocata. Il
nostro benessere ereditato e accresciuto non e' senza colpa. Il nostro
sviluppo umano e' antropofago, e' costruito sulle vittime del mondo. Si
tratta dei delitti non impediti di Luigi Pintor in I luoghi del delitto. Che
cosa possiamo fare? Piu' grave e' la colpa nell'insensibilita' e
nell'omissione. L'inizio della salvezza sta nello spendere nel servizio le
condizioni del privilegio.
Pag. 20 - La modernita' ha preteso di ridurre la giustizia al diritto, il
diritto alla legge, e la legge alla sovrana volonta' dello stato, senza
differenza tra un principe assoluto e un'assemblea onnipotente. La giustizia
e' cambiata in legalita'. Il rispetto della legge sembra rispetto della
giustizia. Ma "la legalita', alle volte, ha poco o nulla a che fare con la
giustizia".
Pag. 21 - Anche le leggi naturali, e le stesse leggi divine, possono essere
contestate in nome della giustizia. La politica, come ha scritto
Krippendorff in L'arte di non essere governati (v. il mensile "il foglio",
n. 303, giugno-luglio 2003, p. 7), e' non-realistica, perche' corregge la
natura e la storia. Abramo e Giobbe, e spesso la preghiera del salmista,
richiamano Dio ai suoi obblighi di giustizia.
Pag. 22 - "Sopra la legge posta c'e' qualcosa di presupposto" che la rende o
non la rende giusta. Come cercarlo e individuarlo? Lorenzo Milani ha dato un
criterio: "La legge e' giusta quando e' la forza del debole, e' ingiusta
quando sanziona il sopruso del forte" (Lettera ai giudici in L'obbedienza
non e' piu' una virtu').
Pagg. 25-28 - La giustizia dei tribunali, se fosse, come si dice, pura e
semplice soggezione del giudice alla legge, e solo alla legge, separerebbe
il diritto dalla giustizia. Infatti, nel caso in cui fosse legge la violenza
psichiatrica contro i dissidenti o biologica contro le minoranze, la
legalita' usurperebbe il trono della giustizia, l'applicazione della legge
violerebbe la giustizia. Dove i giudici applicano leggi fatte apposta per
legittimare l'arbitrio dei potenti - a questo si avvicina la situazione
italiana - quello non e' piu' stato di diritto, come non lo era il regime
nazista, sebbene riconosciuto come tale dai giuristi, per primo Carl
Schmitt, mentre era un vero "stato di delitto". In realta', nei tribunali la
giustizia non e' ridotta alla legge, perche' l'interpretazione della legge
e' sempre evolutiva, specialmente nei casi nuovi e difficili, come la
bioetica, eppure non e' arbitraria, perche' obbedisce al nesso tra la legge
e il suo presupposto, tanto che il giudice puo' denunciare la legge che
confligga con i principi costituzionali inviolabili. Dunque il giudice
risponde anche ad una istanza di giustizia superiore alla legge.
Pagg. 28-40 - Oltre la classica distinzione tra giustizia distributiva e
retributiva, Zagrebelsky non manca di registrare, nella recente vicenda
sudafricana della Commissione per la verita' e la riconciliazione,
l'emergere di una concezione antica e nuova, la giustizia ricostruttiva o
riconciliativa. Nell'antico diritto ebraico, il ryb (disputa, litigio), a
differenza del giudizio, puntava alla riconciliazione e alla pace, alla
ricostruzione del rapporto ferito. Dostoevskij comprende che, se c'e'
ingiustizia nel mondo, l'offeso e' anch'egli in qualche modo colpevole come
l'offensore, sicche', piu' del giudizio, vale essere consapevoli che
condividiamo la colpa. E' cio' che fa Cristo, l'innocente, con l'umanita'
peccatrice, che non condanna, ed e' questa la sola salvezza. Finalmente un
grande giurista dedica acuta attenzione alla esemplare innovativa vicenda
sudafricana, che il pensiero della pace studia e valorizza fin dall'inizio
come indicazione che e' possibile progressivamente ridurre la violenza
legalizzata nella giurisdizione statale punitiva, la quale, sia pure con
misura e oggettivita', rende pena per delitto, cioe' aggiunge male a male,
dolore a dolore. Non sfugge a Zagrebelsky la civilissima idea di ubuntu, che
caratterizza la giustizia tradizionale africana, riconciliativa, a confronto
della giustizia europea, retributiva. E' opportuno precisare che l'amnistia
concessa dalla legge sudafricana a chi riconosce pienamente le sue
responsabilita, anche se gravi, e' amnistia personale, non generale, come
avviene in altri casi dal significato inferiore e anche deteriore. "Pur non
richiedendo il perdono individuale (...) questo tipo di giustizia comporta
una generale disponibilita' al perdono, in nome di qualcosa di piu' elevato
del sentimento di vendetta, cioe' in nome della concordia". "Il miracolo
sudafricano, peraltro incompiuto (...) e' qui: quella disponibilita' si e'
manifestata, (...) ha impedito che l'ingiustizia producesse nuova
ingiustizia". Dichiarando che "questa esperienza rappresenta un modello",
l'autore registra con cura una bibliografia internazionale su di essa, che
mi viene utile per arricchire questo capitolo della mia bibliografia sulla
Difesa senza guerra, la quale peraltro contiene ancora altri scritti sulla
vicenda sudafricana.
Pagg. 40-50 - Un punto d'arrivo per l'autore e' questo: "Giusto tra noi e'
chi cerca la giustizia". Non un'idea astratta, ma una ricerca, e' la
giustizia. Come la verita', come la pace, come l'amore: non possesso, ma
processo, cammino, entrata. Eppure, il fatto che non si afferrino come
oggetti (che sarebbe violarli e smarrirli), non significa che questi valori
siano nulla, parole vuote, perche' inquietano, sospingono, attirano,
agiscono e fanno umano l'uomo, sempre di nuovo lo creano, e hanno titolo per
giudicare le situazioni di loro assenza o negazione. In questa ricerca,
credenti e non credenti sono "compagni, e non nemici", come parrebbe nel
vecchio schema che fa i primi proprietari di certezze e i secondi di dubbi.
Non occorre ipotizzare, per convivere in pace, che Dio non ci sia (Rusconi),
il che per i credenti e' una finzione. Basta sapere che, per loro, Dio non
e' piu' il deus ex machina, ma il Dio sofferente, che non tuona nel dogma
trionfante, ma chiede di essere inteso nel sussurro, nella "voce di silenzio
sottile", con cui si rivelo' ad Elia. La condizione umana e' comune a
credenti e non credenti. Il dubbio non e' solo del laico e il credere in
qualcosa non e' solo del credente in Dio. Il dubbio non e' l'indifferenza,
la scepsi, l'atrofia etica, ma l'umilta' e l'apertura delle proprie
convinzioni, ed e' di ogni persona seria. Non crea problemi la fede come
tale, ma la soggezione al dogma e l'applicarlo di forza alle incertezze
terrene, il che nega anche la liberta' cristiana. Evitando i due simmetrici
pericoli, l'eccesso dogmatico e l'eccesso scettico, credenti e non credenti
possono convergere nell'impegno e responsabilita' della ricerca della
giustizia.
8. LIBRI. PRESENTAZIONE DI AA. VV., DENTRO LA GUERRA
[Dal sito di Nonluoghi (www.nonluoghi.it) riprendiamo il seguente comunicato
editoriale]
E' uscito a fine marzo il volume di AA. VV., Dentro la guerra. testimoni di
un pianeta senza pace, Nonluoghi libere edizioni, 2003, 132 pagine, 11 euro
(per ogni copia venduta un euro a Emergency).
Il volume e' edito in collaborazione con l'Ordine dei giornalisti del
Trentino Alto Adige sulla scia della manifestazione "Montagne di pace".
Reporter e inviati di guerra raccontano le vicende drammatiche di luoghi
come l'Afghanistan, il Tibet, la Cecenia, il Congo, il Medio Oriente, il
Burundi, i Balcani, il Sahara, il Kurdistan, l'America Latina. Una serie di
reportage da zone del mondo che vivono conflitti armati o che rischiano
esplosioni di violenza. Altri giornalisti prendono in esame il diritto del
cittadino all'informazione sulle guerre e sulle nuove politiche "globali" di
intervento militare nelle aree considerate a rischio.
Prefazione di Gino Strada; articoli di Giovanna Botteri, Giulietto Chiesa,
Iole Pinto, Ettore Mo, Luka Zanoni, Giuseppe Bonavolonta', Paolo Rumiz,
Gabriele Ferrari, Raniero La Valle, Marco Pontoni, Alicia M. Pardies,
Lorenzo Del Boca, Piero Verni, Fulvio Gardumi. John Foley, Dejan
Georgievski, Attilio Gaudio, Giacomo Scotti, Dario Terzic, Fabio Chiucconi,
Mimmo Lombezzi, Maurizio Simoncelli.
Per richieste: tel. 3293123483, fax: 1786022881, e-mail:
edizioni@nonluoghi.org, sito: www.nonluoghi.it
9. LETTURE. NAFEEZ MOSADDEQ AHMED: DOMINIO
Nafeez Mosaddeq Ahmed, Dominio, Fazi, Roma 2003, pp. 224, euro 16,50.
Un'analisi de "la guerra americana all'Iraq e il genocidio umanitario" del
giovane studioso inglese, direttore esecutivo dell'Institute for policy
research & development di Brighton. Nel risvolto di copertina un utile
sommario in 6 punti: "1. Nonostante la pluridecennale 'propaganda
umanitaria', la politica degli Stati Uniti nella regione iraniano-irachena
e' stata unicamente dettata da interessi strategici, economici e politici,
nel piu' completo disprezzo dei diritti umani e della condizione dei popoli;
2. gli Usa hanno sostenuto Saddam per molti anni, fornendo fra l'altro
competenze e tecnologie belliche per la distruzione di massa; 3. esistono
prove convincenti che gli Usa e il Kuwait, di concerto, abbiano dato vita a
partire dal 1990 a una serie di deliberate provocazioni che indussero Saddam
a invadere il Kuwait: la conseguente guerra permise al complesso
militare-industriale statunitense di non perdere profitti dopo la cadura del
'nemico storico', il comunismo, e anzi di ottenerne di nuovi e ingentissimi;
4. vi sono indizi, sui quali occorrerebbe un'indagine ufficiale, che gli
attacchi all'antrace avvenuti negli Stati Uniti alla fine del 2001 siano
stati progettati da alti funzionari statunitensi allo scopo di imputarli
all'azione di Saddam (proposito poi fallito); 5. la politica delle sanzioni,
che in dodici anni ha causato in Iraq oltre un milione e mezzo di morti (di
cui un terzo bambini al di sotto dei cinque anni), costituisce un crimine di
genocidio in piena regola, del quale i responsabili maggiori sono il
Consiglio di sicurezza dell'Onu, le amministrazioni Usa e i governi
britannici; 6. la propaganda sulle armi di distruzione di massa e' frutto di
pura ipocrisia: infatti: a) e' quantomeno dubbio che l'Iraq ne possieda; b)
gli Stati Uniti tollerano l'utilizzo di armi simili da parte di loro
alleati, e ne hanno tollerato l'utilizzo iracheno nella guerra con l'Iran e
contro i ribelli curdi; c) gli stessi Stati Uniti hanno utilizzato armi di
distruzione di massa durante la [prima] guerra del Golfo (oltre che in
Kosovo), essendo pienamente consapevoli dei loro effetti genocidari".
10. LETTURE. NAFEEZ MOSADDEQ AHMED: GUERRA ALLA LIBERTA'
Nafeez Mosaddeq Ahmed, Guerra alla liberta', Fazi, Roma 2002, pp. 344, euro
16,80. Uno studio su "il ruolo dell'amministrazione Bush nell'attacco
dell'11 settembre" (cosi' il sottotitolo); l'autore effettua uno spoglio di
molte fonti prevalentemente giornalistiche e non sempre adeguatamente
attendibili (il giornalismo non lo e' quasi mai), e propone alcune
ricostruzioni convincenti ed alcune utili e persuasive tesi interpretative;
altre ricostruzioni e interpretazioni qui proposte sono invece a dir poco
dubbie e forzate, e talune piu' che discutibili; ma il libro naturalmente
merita comunque di essere letto con attenzione. Anche qui, nel risvolto di
copertina un utile sommario in 6 punti: "1. L'invasione dell'Afghanistan e'
il risultato degli attentati dell'11 settembre o, come molti dati indicano
con chiarezza, era gia' programmata in precedenza? 2. Come mai, nonostante
le numerose e dettagliate segnalazioni, non e' stato fatto nulla prevenire
gli attentati? 3. Come mai l'11 settembre non si sono applicate le procedure
di routine di intercettazione degli aerei? 4. Quali sono le relazioni
economiche che hanno legato la famiglia di Bin Laden e la famiglia Bush?
Esse sono interrotte da tempo o, come sembra, continuano ancora oggi? 5.
Osama Bin Laden ha davvero rotto con la sua famiglia o invece, come fonti
attendibili indicano chiaramente, mantiene con essa rapporti di stretta
cooperazione? 6. A chi porteranno benefici economici la guerra in
Afghanistan e le prossime, annunciate campagne della 'guerra al
terrorismo'?".
11. LETTURE. PAUL GINSBORG: BERLUSCONI
Paul Ginsborg, Berlusconi, Einaudi, Torino 2003, pp. X + 92, euro 9.
L'illustre storico britannico docente all'Universita' di Firenze ed autore
anni fa di una utilissima storia dell'Italia contemporanea, analizza il
fenomeno berlusconiano.
12. LETTURE. PERETZ KIDRON: MEGLIO CARCERATI CHE CARCERIERI
Peretz Kidron (a cura di), Meglio carcerati che carcerieri, Manifestolibri,
Roma 2003, pp. 156, euro 16. I refuseniks israeliani raccontano la loro
storia: una lettura molto utile (la traduzione, purtroppo, e' talvolta
frettolosa e inadeguata).
13. RILETTURE. LIDIA BECCARIA ROLFI, BRUNO MAIDA: IL FUTURO SPEZZATO
Lidia Beccaria Rolfi, Bruno Maida, Il futuro spezzato. I nazisti contro i
bambini, Giuntina, Firenze 1997, pp. 216, lire 24.000. Un libro che e'
necessario aver letto. Con prefazione di Primo Levi.
14. RILETTURE. LAURA GHIDINI: DIALOGO CON EMMANUEL LEVINAS
Laura Ghidini, Dialogo con Emmanuel Levinas, Morcelliana, Brescia 1987, pp.
112, lire 12.000. Un ampio colloquio con il grande pensatore dell'incontro
col volto dell'altro.
15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 609 del 12 luglio 2003