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La nonviolenza e' in cammino. 610



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 610 del 13 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Un convegno a Viterbo
2. Mauro Laeng: una considerazione su religioni e violenza
3. Maria G. Di Rienzo: come facilitare un dialogo
4. Zenone Sovilla: tra emergenza e utopia
5. Ida Dominijanni: le mezze luci dell'Europa
6. Augusto Cavadi: la teologia fuori dalle Chiese
7. Marco D'Eramo: per la critica delle ong
8. Presentazione di Vittorio Giacopini, La comunita' che non c'e'
9. Un dossier di "Opposizione civile" oggi in edicola
10. Riletture: Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia
11. Riletture: Maria Antonietta Calabro', In prima linea
12. Riletture: Claire Sterling, Cosa non solo nostra
13. Riletture: Claire Sterling, Un mondo di ladri
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. UN CONVEGNO A VITERBO
[Da vari amici riceviamo e volentieri diffondiamo. "Cem-Mondialita'" e'
un'eccellente rivista pedagogica interculturale animata da carissimi amici
(per contatti:  www.saveriani.bs.it/cem)]
Il 23- 28 agosto 2003 si svolgera' a Viterbo (localita' la Quercia, presso
il seminario diocesano) il quarantaduesimo convegno nazionale di
"Cem-Mondialita'" sul tema: "Per una educazione capace di futuro. Sulle
rotte dell'arcobaleno".
Per informazioni: www.saveriani.bs.it/cem/convegno
*
Nell'ambito del convegno martedi' 26 agosto 2003 alle ore 18 si terra' anche
la presentazione del libro di AA. VV., E' l'ora delle religioni, Emi,
Bologna 2002.
Gli autori dei saggi contenuti nel libro, sono specialisti che hanno dato
vita ad un convegno organizzato dal Cem in aprile a Brescia. Vengono
considerati alcuni problemi di fondazione epistemologica, le questioni
politiche inerenti la specificita' italiana circa l'insegnamento della
religione a scuola, lo scenario culturale, il pluralismo religioso, i
fondamentalismi delle religioni, un nuovo modo di pensare la laicita' in
rapporto alla confessionalita', le radici culturali dell'Occidente, le
esperienze che in ambito di istruzione religiosa in chiave interculturale
vengono condotte sia in Italia che all'estero.

2. MAESTRI. MAURO LAENG: UNA CONSIDERAZIONE SU RELIGIONI E VIOLENZA
[Ringraziamo di cuore Mauro Laeng (per contatti: maurolaeng@tiscali.it) per
averci inviato, insieme ad alcune righe di generosa amicizia, queste parole
di saggezza che ci piace ostendere a tutti i lettori. Mauro Laeng, docente
emerito dell'Universita' di Roma, e' una delle figure di riferimento della
cultura pedagogica italiana del Novecento; ha avuto prestigiosissimi
incarichi e reponsabilita' a livello nazionale e internazionale (dal Cnr
all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, dal Consiglio d'Europa all'Unesco),
ha diretto alcune delle piu' importanti riviste di pedagogia e didattica, la
sua produzione scientifica e' vastissima; tra le sue numerosissime opere
segnaliamo ad esempio Problemi di struttura nella pedagogia, 1960; Lessico
pedagogico, 1968; L'educazione nella civilta' tecnologica, 1969; Educazione
in prospettiva, 1970; Lineamenti di pedagogia, 1973; La scuola oggi, 1976; I
contemporanei, 1980; Audiovisivi e scuola, 1980; Educazione alla liberta',
1981; Movimento gioco e fantasia, 1983; I nuovi programmi per la scuola
elementare, 1984; Pedagogia e informatica, 1985; (con Graziella Laeng),
Nuovi lineamenti di didattica, 1986; e vari altri ancora]
Il tema "religioni e violenza" presenta aspetti drammatici che dissipano
molte generose illusioni; ma bisogna riproporre vedute liberali sul
pluralismo evitando ogni spirito di crociata.

3. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COME FACILITARE UN DIALOGO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Un buon dialogo e' quello che offre a coloro che vi partecipano
l'opportunita' di:
- ascoltare ed essere ascoltati;
- parlare e ed essere interpellati in modi rispettosi;
- sviluppare o approfondire la propria capacita' di comprensione;
- apprendere le prospettive altrui e riflettere sulle proprie.
Piu' fondamentali ed appassionate sono le differenze fra chi dialoga, piu'
importante diviene l'articolare chiaramente delle linee guida comunicative
ed osservarle.
Dialogare in questo modo non prende maggior tempo delle conversazioni a cui
siete abituati/e: di seguito vi mostrero' che potete farlo in un gruppo di
una decina di persone impiegando circa due ore (se avete piu' tempo, o se ci
sono piu' persone, allungate pure i periodi dal 4 al 6).
1) Benvenuto e orientamento (5 minuti);
2) Accordi (10 minuti);
3) Introduzione e speranze (10 minuti);
4) Prima domanda (30 minuti);
5) Seconda domanda (30 minuti);
6) Discussione facilitata (30 minuti);
7) Parole di commiato (15 minuti).
*
Benvenuto e orientamento
Scopi: dare il benvenuto ai partecipanti nella conversazione; ricordare loro
lo scopo e lo spirito del dialogo; accennare a come si sviluppera' il
dialogo, di modo che ciascuno sappia cosa aspettarsi.
Dite qualcosa del genere, accordandolo allo scopo dell'incontro:
"Benvenute e benvenuti. Sono felice che abbiate deciso di partecipare a
questo dialogo. Ognuno di noi ha ricevuto un impatto differente rispetto a
... (la situazione che intendete discutere) e a cio' che e' accaduto dopo
(le conseguenze della situazione). Io spero che questo sia il momento in cui
vi sentirete completamente libere e liberi di parlare della vostra
esperienza e del vostro punto di vista, e che sia anche il momento in cui
ascolterete con attenzione, anche se quello che sentirete potra' urtarvi.
Esaminando diversi punti di vista, lasceremo questo incontro con nuove
prospettive. E, al minimo, ci comprenderemo meglio gli uni con gli altri.
Lasciate che vi dica qualcosa rispetto allo svolgimento dell'incontro:
cominceremo con il convenire su alcune linee guida, poi avremo un breve
scambio in cui ciascuno di voi dira' perche' ha deciso di partecipare e
quali sono le sue speranze rispetto al dialogo. Successivamente, vi porro'
due domande a cui rispondere e infine avremo mezz'ora in cui potrete
esplorare le connessioni fra le vostre diverse esperienze ed opinioni.
Queste connessioni potranno prendere la forma di domande, o notare
semplicemente le somiglianze e le differenze ed indagarle un po' piu'
approfonditamente. Infine, ci prenderemo il tempo di salutarci. Dovremmo
finire entro le ... Potete restare tutti fino a quell'ora? (Se qualcuno deve
andarsene prima, stabilite come se ne andranno: se salutando o andandosene
senza interrompere, e stabilite anche come avrete il loro commento sulla
parte in cui sono stati presenti). Vi ho messo a disposizione carta e penna
perche' possiate prendere appunti: questo vi permette di annotarvi cio' su
cui pensate di intervenire o le vostre riflessioni senza smettere di
ascoltare. Come facilitatore, io vi guidero' attraverso il dialogo, e faro'
in modo che gli accordi che avete preso collettivamente vengano rispettati o
rinegoziati. Vi chiedo di limitare i vostri interventi entro i tre minuti:
vi segnalero' se state oltrepassando questo tempo e questo significhera' che
voi completerete il vostro pensiero, non che vi fermerete nel bel mezzo
della frase".
Se voi stessi parteciperete alla discussione, aggiungete questo: "Poiche'
anch'io prendero' parte al dialogo, vi chiedo di intervenire qualora io non
rispettassi gli accordi. Sapendo che lo farete, mi sentiro' piu' libero/a di
partecipare."
*
Accordi
Scopo: stabilire uno schema comunicativo che ciascuno comprenda, e che
ciascuno trovi utile al dialogo.
Dite qualcosa del genere:
"Adesso ci accorderemo sui modi della nostra comunicazione. Su questo foglio
appeso al muro sono segnati alcuni accordi che altre persone hanno usato in
passato per creare un ambiente favorevole al dialogo. Per favore, prendetevi
un momento per leggerli e pensate se volete usarne alcuni, o adattarne
alcuni per il nostro gruppo". (se preferite, potete leggerli a voce alta).
Esempio:
a) Lo spirito della parola e dell'ascolto: 1) parleremo per noi stessi e
sulla base della nostra esperienza; 2) ascolteremo con attenzione,
astenendoci dal criticare, attaccare, interrompere, tentare di persuadere
altri;
b) La forma della parola e dell'ascolto: 1) osserveremo nei nostri
interventi i limiti di tempo che ci siamo dati; 2) "passeremo" se non
desideriamo parlare.
Dopo aver letto queste o altre linee guida, chiedete se ci sono domande, se
si suggeriscono revisioni, adattamenti, aggiunte. Quando l'accordo e'
raggiunto chiedete: "Avete tutte e tutti l'intenzione di seguire queste
linee guida, e di permettermi di ricordarvele se le dimenticate? Bene,
allora questi sono i nostri accordi".
*
Introduzione e speranze
Scopi: creare un senso di condivisione delle speranze dei partecipanti
rispetto al dialogo, di cio' che essi vi portano, e di cio' che vorrebbero
sperimentare in esso.
Potete dire qualcosa del genere:
"Cominciamo con il dirci i nostri nomi e ... 1) cosa ci ha spinto ad essere
presenti a questo dialogo, oppure 2) cosa speriamo di imparare da questo
dialogo, o ancora 3) cosa potrebbe accadere durante questa conversazione che
ci renderebbe felici di aver deciso di partecipare. Per favore, siate brevi:
una frase o due basteranno. Comincero' io." (in questo modo, come primo
parlante, modellerete la brevita' che chiedete).
*
Prima domanda (tempo per ogni risposta: 3 minuti)
Scopo: invitare i partecipanti a connettere il loro responso alla situazione
di cui si deve discutere con la loro personale esperienza.
"Come questo evento vi ha colpito personalmente? C'e' qualcosa che vorreste
condividere, su voi stessi e la vostra vita, sulle vostre esperienze ed il
modo in cui avete risposto?".
Oppure: "Quali pensieri e sentimenti provate se riflettete sull'evento e su
quanto e' accaduto dopo?".
"Innanzitutto, prendiamoci un momento di silenzio per raccogliere i
pensieri". Dopo la pausa, ripetete la domanda: "Chi si sente pronto puo'
cominciare, poi andremo a turno. Chi non si sentisse di parlare quando tocca
a lui o lei, passi, e io mi incarichero' di verificare piu' tardi se questa
persona desidera intervenire."
*
Seconda domanda (tempo per ogni risposta: 3 minuti)
Scopi: incoraggiare i partecipanti a riflettere su aspetti delle loro
opinioni che non vengono espressi usualmente; far scaturire nuove
informazioni che possano essere di stimolo per la connessione fra punti di
vista differenti e nuove prospettive.
"Avete incertezze oggi rispetto ad opinioni che avevate in passato sulla
questione? Potete dire qualcosa sulle certezze e sulle incertezze che avete
portato in questa conversazione?".
Oppure: "Cos'e' cambiato, se e' cambiato, nel modo in cui pensate alle
vostre relazioni (al vostro gruppo, alla situazione nazionale, alla
situazione internazionale, ecc.; dipende da che cosa state discutendo)?
Cos'e' rimasto uguale?".
Oppure: "Fra le vostre opinioni rispetto all'accaduto ci sono aree di
incertezza, valori che confliggono, o dilemmi di cui vorreste parlare?".
Ripetete la pausa per raccogliere i pensieri, e dopo la pausa ripetete la
domanda.
*
Discussione facilitata
Scopo: permettere ai partecipanti di interagire e di costruire connessione
fra i propri pensieri e sentimenti e quelli altrui.
"Ora siamo giunti al punto del nostro tempo insieme in cui parlare piu'
liberamente. Mentre ci muoviamo in questo modo meno strutturato, e'
importante ricordare perche' siamo qui: per parlare sinceramente e ascoltare
con il cuore, per riflettere sulle nostre convinzioni e per cercare
comprensione delle convinzioni altrui. Questo e' il momento in cui fare
connessioni fra cio' che avete in mente e cio' che altre persone hanno
detto. Potete identificare uno scopo, esplorare differenze e somiglianze,
fare domande o commenti. Quando volete parlare, alzate una mano".
Contribuite a connettere i partecipanti sottolineando i "picchi"
d'apprendimento (quando idee nuove emergono), chiarificando le differenze
(invitando chi e' in disaccordo con qualcosa a verificare dapprima se ha
capito correttamente cosa e' stato detto), incoraggiando a porre domande che
siano genuina curiosita', e non sfide mascherate.
*
Parole di commiato
Scopi: incoraggiare la riflessione su cio' che i partecipanti hanno imparato
o valutato; invitare i partecipanti a dire qualcosa che rifletta il
significato della loro partecipazione.
"Il nostro tempo insieme, qui, e' giunto alla fine. Ci sono delle parole di
commiato che vorreste dire per chiudere l'incontro? Potete fare un semplice
commento sull'esperienza di oggi. O potreste voler esprimere un'idea, un
sentimento, una promessa che portate da qui con voi. Oppure potreste dire
cio' che ricorderete di questa conversazione, o cio' che condividerete di
essa con altri".
Al termine ringraziate i partecipanti, e ricordate che vi piacerebbe sentire
i loro commenti sul dialogo fra qualche giorno, quando avranno riflettuto su
di esso. Lasciate loro i vostri recapiti.

4. RIFLESSIONE. ZENONE SOVILLA: TRA EMERGENZA E UTOPIA
[Il testo seguente e' un ampio stralcio da una lettera personale di Zenone
Sovilla, giornalista e saggista, militante antimilitarista e libertario,
amico della nonviolenza, animatore della pregevolissima esperienza del sito
e della casa editrice di "Nonluoghi" (www.nonluoghi.it), un amico prezioso
con cui sentiamo una profonda affinita']
L'altroieri sono andato ad Arco - vicino a Riva del Garda - ad ascoltare
padre Zanotelli.
Tra le altre cose (si parlava di privatizzazioni globali dell'acqua e di
altri beni/servizi essenziali), Alex ha ricordato che alla fine in
Parlamento e' stato beffato sulle modifiche della 185, perche' al momento
del voto in commissione mancavano quasi tutti i membri della Margherita.
Il groppo che solitamente mi prende quando ragiono di certe cose mi si e'
stretto.
Mi e' venuto in mente una volta che, circa vent'anni fa a Belluno, la mia
citta', ascoltai Zanotelli - credo all'epoca ancora direttore di
"Nigrizia" - in una serata che avevamo organizzato come Lega obiettori di
coscienza. Mi ricordo che i discorsi su armi e Nord-Sud erano gli stessi,
solo oggi aggravati e piu' inquietanti e in uno scenario - quello
contemporaneo - affollato da molti altri pesantissimi allarmi locali e
globali di precarieta', assalti continui al diritto all'esistenza, alla
democrazia, al lavoro non disumanizzante, alla lotta per un mondo meno
ingiusto e meno violento.
Mi e' venuto in mente anche che a quei tempi, quando si volantinava e si
facevano interventi nelle scuole per dire che senza l'esercito e' meglio,
Francesco Rutelli stava ancora - credo - nella Lega per il disarmo
unilaterale di Cassola. Oggi mi pare stia nella Margherita.
In vent'anni l'emergenza si e' aggravata, tutto peggiora a velocita'
supersonica. C'e' gente che finisce in carceri semiprivatizzati di terzo
settore (i Cpt), senza accuse, senza reati e senza processo. Ma questo e
tutto il resto sembra normale.
Come gli assalti alle tutele contro l'imbarbarimento del lavoro. Il
referendum fallito credo sia una prova della interiorizzazione tragica del
sistema: le vittime complici.
E la crisi della sinistra, che vaga a vuoto scimmiottando il liberismo senza
un'alternativa seria da proporre ne e' un'altra triste e disperante
dimostrazione.
Eppure la sala di Zanotelli l'altra sera era piena. Erano piene anche le
strade di bandiere della pace e i balconi ancora oggi, con i colori mangiati
dal sole, quasi a ricordare che tra i cortei e le vacanze al mare c'e' stato
il campo di battaglia.
Purtroppo, quella societa' civile che diventa soggetto politico in cui spera
Zanotelli non e' servita a fermare una guerra ed e' costretta a rincorrere e
a tamponare i guasti di una macchina-sistema tragicamente fluida,
fluidificante e ramificata, forse fin dentro le coscienze di noi tutti.
Ma questo pessimismo non e' una ragione per desistere, anzi. Per quanto mi
riguarda sento piu' forte il desiderio di alzare la testa, dall'emergenza
con lo sguardo all'utopia; di ripetere - per esempio - che una comunita'
"e'" senza esercito per seppellire per sempre il mostro della violenza; che
un'economia e' solo con la democrazia degli eguali che possano realmente
decidere insieme di che cosa e come produrre e consumare.
Una comunita' e' se una questione come quella dell'acqua - e tutte le
infinite e drammatiche emergenze - diventa centrale nel dibattito
collettivo, dentro e fuori le istituzioni che si accalorano invece
sull'accaparrarsi strumenti di persuasione di massa.
Porre al centro davvero le emergenze umane (e ambientali) significa
inveitabilmente alzare lo sguardo anche verso l'orizzonte dell'utopia,
rimettere in discussione tutto, ragionare di nuovo sulle basi della
convivenza umana e tra la nostra specie e il pianeta.
Per ora si affollano le sale e le piazze, ma le guerre e i processi di
mercificazione planetaria non rallentano. Mancano strumenti per fermarli e,
probabilmente, anche il desiderio sociale di questa lotta epocale che si
scontra con il radicamento negli individui degli stereotipi veicolati dalle
agenzie formative (scuola, tv, mass media e loro riverberi sociali).

5. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LE MEZZE LUCI DELL'EUROPA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 luglio 2003. Ida Dominijanni (per
contatti:  idomini@ilmanifesto.it) e' una prestigiosa intellettuale
femminista]
Sospesa fra l'approvazione della convenzione di Bruxelles e la ratifica
della conferenza intergovernativa a presidenza italiana (che potrebbe
peggiorarla), la bozza di Costituzione europea passa dalle istituzioni al
vaglio dell'opinione pubblica, in materia alquanto assopita, almeno in
Italia, salvo l'attenzione che al processo costituente europeo dedicano fin
dall'inizio alcune comunita' intellettuali e politiche.
Fra queste, la fondazione Basso di Roma, presieduta dalla deputata europea
Elena Paciotti, che della convenzione per la Costituzione - e, prima, di
quella per la Carta euopea dei diritti - e' stata protagonista attiva. E'
lei a sottoporre al gruppo di giuristi e filosofi che per la fondazione ha
seguito tutte le tappe della nascita dell'Unione il temario dell'ultima
stazione: la valutazione del "passo storico" rappresentato dalla bozza, le
lacune che essa presenta rispetto all'obiettivo di un'Europa all'altezza
delle sfide della globalizzazione, il contrasto fra logica della
rappresentanza parlamentare e logica intergovernativa che s'e' visto nella
convenzione, la latenza di una classe politica europeista adeguata al
compito.
Una classica situazione di "mezza luce", dira' alla fine il direttore della
fondazione Giacomo Marramao, come si addice a un'epoca di passaggio come la
nostra e a un percorso aperto come quello europeo. E' sotto questa mezza
luce che bisogna mettere a fuoco le due domande principali, "quale
Costituzione" e "quale Europa" stanno venendo al mondo. Due domande
correlate ma distinte, perche' distinti e correlati sono il piano giuridico
e il piano storico-politico della questione, e anzi uno dei suoi punti
d'interesse sta proprio nell'analizzare come si intersecano.
Giuridicamente parlando, si puo' discutere in primo luogo se la proposta
licenziata dalla convenzione Giscard sia gia' una vera e propria
Costituzione, o ancora solo un trattato. Piu' un trattato che una
Costituzione, sostiene Maurizio Fioravanti, perche' non contiene dei veri e
propri principi costituzionali, e perche' per l'adesione dei singoli paesi
non si e' voluta adottare una procedura referendaria comune: bisognava che i
popoli europei votassero lo stesso giorno con le stesse regole, invece
ciascuno fara' secondo le procedure nazionali, quasi che il popolo europeo
esistesse ancora solo per sommatoria. Tuttavia, dice lo stesso Fioravanti,
la tendenza di fondo porta verso un'Unione piu' coesa, ed e' quella che
prevarra'.
Altri giudizi sono infatti ancora piu' positivi. Andrea Manzella vede nel
trattato una Costituzione che resta aperta al processo costituente,
coerentemente con la natura di un diritto costituzionale europeo che opera
"per osmosi, intuizione, contagio", tant'e' vero che alcuni principi
comunitari, come quello di proporzionalita' e di sussidiarieta', gia' sono
trasmigrati negli ordinamenti nazionali; dunque non siamo al traguardo, ma
"si puo' proseguire".
Luigi Bonanate e' soddisfatto di come, in materia di politica estera, il
trattato gia' sancisca la netta prevalenza dell'interesse comunitario sugli
interessi nazionali: "il nazionalismo non potra' albergare nell'Unione".
Alessandro Pizzorusso, pur definendo la bozza "una Costituzione ottriata,
per il modo in cui e' stata scritta e per la procedura di revisione che
contempla" (quest'ultima ancora sottoposta, purtroppo, alla regola
dell'unanimita'), ne mette in risalto gli aspetti dinamici, primo tra i
quali l'accelerazione del controllo di costituzionalita', e cosi' pure
Valerio Onida, convinto che la Costituzione comincera' a funzionare come
tale non appena inneschera' dei conflitti fra giurisdizioni e giurisprudenze
nazionali e comunitarie.
La parte trainante del trattato, da questo punto di vista, resta la Carta
dei diritti che vi e' stata incorporata: impugnabile anche su scala
nazionale, sostiene Papi Bronzini, adatta a interpretare nuove esigenze e a
tutelare nuove soggettivita', e a innescare campagne di emancipazione e di
liberazione, purche' la rappresentanza politica e sociale, i sindacati in
primo luogo, se ne convincano e abbandonino trincee piu' arretrate.
Alla fine, i cittadini europei saranno quelli che nel mondo godono di
maggiori diritti, riassume Federico Petrangeli pur ricordando gli sgambetti
che alla Carta dei diritti sono stati fatti in convenzione fino all'ultimo.
E comunque, con la Carta non entra in Costituzione solo un catalogo di
diritti, sottolineano Rodota' e Marramao, ma un principio di legittimita'
basato sui diritti della persona che bilancia la legittimazione puramente
elettorale basata sulla sovranita' popolare tanto cara al nostro attuale
governo.
E le ombre? Compaiono quando si parla di politica economica, rimasta secondo
Giorgio Ruffolo del tutto "periferica" nel processo costituente malgrado "il
miracolo" fatto con l'euro.
E compaiono soprattutto quando si parla di forma di governo. Li' il
compromesso che ha dato luogo alla troika di poteri - presidente del
consiglio, presidente della commissione, ministro degli esteri che a sua
volta e' contemporaneamente emanazione del consiglio, vicepresidente della
commissione e presidente del consiglio per gli affari esteri - somiglia piu'
a un pasticcio che a una struttura istituzionale. Lepoldo Elia teme che non
potra' funzionare.
E Massimo Luciani, che sull'insieme del trattato esprime piu' di una
riserva - a partire dal carattere "raggelante" del preambolo - rileva che
nella forma di governo mancano le figure rappresentative dell'unita'
dell'Unione, mentre le funzioni di rappresentanza politica sono frammentate
e l'organizzazione delle prestazioni di governo prelude a sicuri conflitti
fra i due presidenti della commissione e del consiglio. Conclusione: "molti
elementi di opacita' e di incertezza".
Le opacita' giuridiche riflettono del resto incertezze storiche e politiche.
Giorgio Napolitano, presidente della commissione affari costituzionali che
sta elaborando il parere del parlamento di Strasburgo sul progetto di
Costituzione, mette a fuoco uno dei problemi principali, quello che riguarda
la forma politica di una Unione che nasce in tempi di crisi dello
stato-nazione, in questi termini: "Non credo al post-statuale ne' al
post-nazionale, bensi' al sovranazionale. E non vedo sostituzione ma
integrazione fra il livello nazionale e quello comunitario, anche se e'
chiaro che l'asse della politica si inclina, come dice Habermas, verso
Bruxelles".
E' un buon modo di razionalizzare "con realistica gradualita'" il problema,
ma ci si puo' spingere oltre. Marramao parla piu' nettamente di una
Costituzione "senza Stato e dopo lo Stato": fermo restando che il "dopo" non
annulla, ma rideclina e derubrica la costellazione politica statuale, e
soprattutto smonta la costruzione identitaria e la logica di potenza che
hanno accompagnato la parabola dello Stato moderno. Un'Europa che sa di
essere fatta di differenze non puo' riproporre infatti ne' la prima ne' la
seconda.
Quanto alla prima, Rodota' non e' convinto ne' che sia compito delle
costituzioni produrre identita', ne' che la costruzione di identite' forti
sia piu' in generale auspicabile in un mondo in cui l'identita' non e' un
dato o un certificato ma un problema e un prodotto.
Quanto alla seconda, e' Bonanate a rifiutare senza mezzi termini l'idea che
l'Europa debba nascere come potenza contrapposta agli Usa ma interna alla
stessa logica di difesa e offesa. Il rapporto con l'altra sponda dell'oceano
si gioca, nel pianeta globale, su altri piani: in primo luogo, sostiene
Marramao, sulla capacita' dell'Europa di proporre, dentro l'Occidente, un
modello altro sia da quello individualistico americano sia da quello
comunitarista asiatico.
Ripartendo dal meglio del suo passato. E puntando a diventare, ereditando il
meglio anche da li', il futuro dell'America.

6. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: LA TEOLOGIA FUORI DALLE CHIESE
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo apparso sull'edizione palermitana
di "Repubblica" il 14 maggio 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale
ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle
esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste
che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno
contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla
ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi.
Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare
teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini,
Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua.
Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il
cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere
dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi
dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito,
Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su
chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia.
Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro
siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere
profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane,
Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
Ricordate i film di Bergman? Qualche volta capitava che dei giovanottoni
facevano a pugni per questioni di donne e di religione. Ci sono Paesi
europei, come la Germania o la Svezia, in cui e' normale che uno studente di
giurisprudenza o di fisica inserisca nel piano di studi un esame di
teologia. Nessuno gli chiede conto delle convinzioni private in campo
religioso, cosi' come non lo si costringe a dichiarare i gusti estetici se
segue lezioni di critica d'arte ne' idee metafisiche se frequenta un corso
di filosofia. Non cosi' in Italia dove la teologia o si studia in facolta'
ecclesiastiche o non la si puo' studiare per nulla. Sin dal XIX secolo la
Chiesa cattolica ha preteso il monopolio dell'insegnamento della teologia e,
per miopia strategica, lo Stato laicista post-risorgimentale si e'
dimostrato felice di concederglielo (ritenendo di alleggerirsi del peso
superfluo di problematiche medievali): col risultato, alquanto paradossale,
che nelle Universita' statali non si puo' discutere mai liberamente di temi
quali l'ispirazione della Bibbia o il senso della preghiera. Il cittadino
medio e' privato della possibilita' di ricevere in questi ambiti
disciplinari un insegnamento da parte di docenti che siano tali non in forza
di una appartenenza confessionale, bensi' solo sulla base di titoli
culturali verificati (piu' o meno onestamente) dalla comunita' scientifica.
Questa divisione del lavoro fra specialisti in teologia (legati
istituzionalmente alla Chiesa cattolica o, in un singolo caso, alla Chiesa
valdese) e intellettuali "laici" si e' dimostrata, nel corso dei decenni,
catastrofica: sia per la comunita' cristiana (isolata dalle domande, dalle
inquietudini e dalle intuizioni della societa effettiva, reale) sia per la
comunita' civile (sprovveduta davanti agli interrogativi religiosi e
condannata, dunque, a scegliere fra l'obbedienza cieca agli "esperti" e
l'ignoranza di chi elude con aria di sufficienza le questioni). Della
sterilita' di questa situazione si vanno rendendo conto quelle persone, quei
gruppi, quei centri di studio che - in misura crescente - si occupano di
questioni teologiche su basi non fideistiche, ma scientifiche: che cioe'
interrogano la Bibbia, il Corano e gli altri testi sacri dell'umanita'
adottando gli strumenti critici che la storia, l'archeologia, la filologia,
la psicologia, la sociologia e le altre scienze umane hanno approntato
dall'Illuminismo ai nostri giorni. E sulla stessa lunghezza d'onda si
collocano le proposte di sostituire l'apprendimento (attualmente
facoltativo) della religione cattolica nelle scuole con lezioni (curricolari
a tutti gli effetti) di storia delle religioni, affidate a docenti preparati
e capaci, indipendemente dal loro rapporto privato con le autorita'
ecclesiali.
Da questo fervore di ricerca emergono sempre piu' frequentemente opere di
notevole valore destinate a informare e ad offrire elementi preziosi di
riflessione a lettori "credenti" e "noncredenti" (purche', direbbe il
cardinal Martini, "pensanti"). Di una delle piu' recenti di queste
pubblicazioni (Gesu' ebreo di Galilea. Indagine storica, del biblista
Giuseppe Barbaglio, Edizioni Dehoniane, Bologna 2002) si e' discusso lunedi'
scorso nella Chiesa Santa Maria del Perpetuo Soccorso all'Uditore [a
Palermo], come annunciato sul giornale di domenica. La nostra citta' non e'
nuova ad iniziative del genere. Essa ospita da quindici anni, ad esempio,
una delle cinque redazioni (le altre sono a Torino, Bologna, Roma e Salerno)
che, in sinergia costante, curano la pubblicazione della rivista
quadrimestrale "Filosofia e teologia" (edita dalle Edizioni Scientifiche
Italiane di Napoli), considerata ormai un punto di riferimento
imprescindibile per il dialogo fra cattolici, protestanti e "laici" di
diversa ispirazione proprio sulle problematiche teologico-religiose.
Ad ulteriore conferma dell'interesse notevole che tali problematiche
continuano a riscuotere quando vengono affrontate senza pregiudizi
dogmatici, oggi alle 17 a Palazzo Branciforte in via Bara all'Olivella sara'
l'Associazione internazionale di studi e ricerche "F. Nietzsche" (si',
proprio lui: l'autore dell'Anticristo), in collaborazione con la Fondazione
culturale "L. Chiazzese", ad organizzare una conferenza-dibattito del
filosofo Alfredo Fallica su Gesu'. Perche' e' cosi' difficile amare il
prossimo? Anche in questo caso sono previsti alcuni interventi di studiosi
cittadini di varia estrazione.
Iniziative del genere sono incoraggianti, ma non ancora sufficienti a
spezzare vecchie prospettive mentali e ad aprire nuovi scenari. Sino ad
oggi, infatti, capita che queste incursioni in ambito teologico da parte di
intellettuali non-autorizzati attirino i sorrisini ironici degli ambienti
"laici" (che sentono puzza di sacrestia dovunque si parli di Dio, anche solo
come ipotesi di lavoro) come le preoccupazioni degli ambienti confessionali
(sempre pronti ad accusare di eresia quanti provano a vedere le stesse
questioni da un'angolazione inedita). Eppure, si deve andare avanti. E' vero
che se si accende una discussione teologica a trecentosessanta gradi molte
posizioni vengono sconvolte, molti luoghi comuni restano spiazzati: e puo'
capitare che molti di quelli che si credono "dentro" si scoprono "fuori",
come molti di quelli che si ritengono "lontani" dalla sfera del Mistero si
scoprono "vicini". Sottoporre a verifica le proprie idee - in questo caso la
propria fede infantile o il proprio scetticismo adolescenziale - e'
certamente scomodo, talora pericoloso. Ma e' un rischio da correre. Se la
cultura occidentale non e' in grado di fare i conti con la propria
tradizione teologico-spirituale; se non e' disposta a rivedere criticamente
la propria immagine dell'Assoluto, dell'ambiente naturale, della storia,
degli strati sociali impoveriti, della donna, degli omosessuali; se non e'
matura per un confronto ampio e spregiudicato - gia' al proprio interno -
fra le diverse interpretazioni religiose del mondo e della vita, come puo'
sperare di apparirlo all'esterno, nel rapporto con le altre tradizioni
culturali e con le altre civilta'?

7. RIFLESSIONE. MARCO D'ERAMO: PER LA CRITICA DELLE ONG
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2003. Marco D'Eramo e' uno
dei piu' acuti giornalisti e saggisti, esperto di questioni internazionali,
ha scritto e curato vari utili libri. Ovviamente questa analisi di Marco
D'Eramo presenta aspetti ingiusti e inammissibili, e semplificazioni
eccessive e quindi anche talune imprecisioni inaccettabili. Ma nel cuore e
nel filo del suo ragionamento essa ci sembra per molti versi condivisibile;
e sono cose su cui anche su questo foglio da anni cerchiamo di richiamare
l'attenzione]
La scena del dopoguerra iracheno e' segnata da un'assenza, quella delle
Organizzazioni non governative (Ong). Non che siano proprio inattive, ma
certo non ricevono le luci della ribalta come invece in Kosovo o in
Afghanistan, per citare le due crisi piu' recenti. A Baghdad sembra si
avveri la profezia formulata da John Fawcett, che diresse i programmi
dell'International Rescue Comettee (Irc) a Sarajevo durante l'assedio
(1992-'95): "Nelle crisi a venire i governi finanziatori assolderanno
societa' private perche' facciano cio' che adesso fanno le Ong. Forse
saranno piu' efficienti, ma sara' comunque un guaio perche' societa' come la
Bechtel o la Siemens non possono gestire il problema dei diritti umani.
Possono solo fornire servizi". E i primi dollari stanziati dal governo Usa
per l'Iraq sono andati infatti non a Ong ma a Kellogg Brown & Root, filiale
di Halliburton (di cui il vicepresidente Usa Dick Cheney e' stato
amministratore delegato fino alla vigilia della sua candidatura).
Certo, poiche' l'Onu e l'Unione europea non hanno partecipato alla guerra, e
poiche' l'Onu e l'Ue sono i maggiori finanziatori di Ong, l'assenza delle
organizzazioni umanitarie era quasi scontata. Ma fino a oggi il governo
americano aveva sempre sbandierato scopi umanitari per le sue guerre, tanto
che per il Kosovo si era coniato un termine degno della "neolingua" di
Orwell: "guerra umanitaria". Negli anni '90 le accademie militari Usa
avevano prodotto tesi quali Le relazioni tra esercito degli Stati Uniti e
Ong negli interventi umanitari (1996) e L'interazione tra esercito degli
Stati Uniti e organizzazioni di soccorso umanitario nell'ambito di episodi
di portata limitata (1998). Il segretario di stato Usa Colin Powell aveva
detto il 26 ottobre 2001: "Le Ong sono per noi un enorme moltiplicatore di
forza, una parte importantissima della nostra squadra di combattimento".
Nello stesso periodo la sottosegretaria di stato agli affari globali, Paola
Dobriansky, aveva tenuto in Kazakistan un discorso intitolato Assistenza
umanitaria e battaglia contro il terrorismo vanno di pari passo, in cui
sosteneva che "la compassione e' una componente essenziale della politica
estera del presidente Bush". Dobriansky aveva ragione: nel 2000 lo slogan
del candidato Bush era stato il "conservatorismo compassionevole". E da
quando e' alla Casa Bianca, cerca di devolvere a charities, a enti privati
di beneficenza tutti i compiti di assistenza sociale. Affidarsi all'estero
all'azione delle Ong sembrava la naturale estrapolazione a livello
planetario del modello sociale propugnato negli Usa.
*
L'assenza delle Ong dall'Iraq e' dovuta quindi a ragioni piu' profonde,
rintracciabili in due libri, usciti nell'ultimo anno, che discutono genesi,
ideologia e crisi del movimento umanitario: Un giaciglio per la notte: il
paradosso umanitario, di David Rieff (Carocci, Roma 2003), da cui sono
tratte tutte le citazioni riportate fin qui, e L'altruista egoista. Analisi
critica degli interventi umanitari in situazioni di guerra e carestia, di
Tony Vaux (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002) . Sono due libri
complementari, perche' gettano uno sguardo critico sul mondo delle Ong l'uno
dall'esterno (David Rieff e' un inviato speciale), e uno dall'interno (Tony
Vaux e' stato per anni un dirigente di Oxfam, una delle piu' grandi Ong
internazionali).
Contrariamente a quel che si puu' pensare, "la giustificazione a intervenire
militarmente in alcuni paesi stranieri perche' vi si trovano innocenti che
soffrono, non e' cominciata in Somalia (1992), ma nella guerra
d'indipendenza greca contro i turchi (1821-1830), la causa per la quale
mori' Lord Byron. In breve, gia' all'inizio dell'Ottocento, la favola
edificante dell'intervento umanitario, in cui una popolazione di vittime
deve essere salvata dai saccheggi dei signori della guerra e dai tiranni di
turno, era stata compiutamente elaborata" (Rieff). Tutte le annessioni
coloniali furono invocate per ragioni umanitarie.
Nell'Ottocento sorsero i primi enti umanitari (la Croce rossa
internazionale, Cri, fu fondata nel 1863) che si moltiplicarono nel
Novecento: Save the Children vide la luce nel 1919, Oxfam (Oxford Committee
for Famine Relief) fu fondata nel 1942 per alleggerire il blocco navale
inglese che fece morire di fame 250.000 civili greci. Ma il vero boom
umanitario risale alla crisi del Biafra (1967): fu in base ai dissidi sul
comportamento tenuto dalla Croce rossa in quella circostanza che nel 1971 un
gruppo di dottori francesi si scisse dalla Cri e fondo' Medecins sans
frontieres (Msf). E l'eta' d'oro dell'aiuto umanitario risplendette negli
anni '80: nel 1984 Bob Geldof lancio' le collette di Band Aid e Live Aid e
la beneficenza fu illuminata dai riflettori delle bande rock.
Perfino il vocabolario ne e' stravolto, tanto che oggi si usa l'espressione
"disastro umanitario" chee'  un nonsenso: puo' una catastrofe essere
filantropica, una crisi benefattrice, un'epidemia caritatevole, una strage
benevola?
*
C'e' un mistero nel consenso e l'adulazione che da allora circondano
l'ideale umanitario, per cui i suoi attivisti vengono considerati santi
laici: e, come i divi promuovono l'umanitarismo, cosi' per ottenere fondi le
organizzazioni umanitarie hanno bisogno che i loro dirigenti siano un po'
divi (vedi Gino Strada o il suo equivalente sacerdotale Alex Zanotelli).
Infatti il progetto umanitario si autodefinisce in termini negativi. Alla
domanda "cosa e' un essere umano", l'umanitarismo risponde "qualcuno che non
e' fatto per soffrire" (cosi' dice un dei fondatori di Msf). E Rieff
osserva: "Che una speranza tanto cauta abbia potuto avvincere l'immaginario
degli europei e degli americani piu' eticamente avvertiti e' un fatto senza
precedenti".
Questo "ridimensionamento etico" e' dovuto in parte al crollo dell'Urss:
dopo che gli occidentali "avevano compreso che il comunismo era stato
effettivamente cosi' orribile quanto avevano sostenuto gli anticomunisti, la
versione umanitaria dell'utopia era la sola impresa in cui un pubblico
disilluso fosse disposto a farsi trascinare". Quindi il rifugio
nell'umanitarismo e' dovuto in primo luogo al disintegrarsi dell'ideale
socialista.
L'azione umanitaria e' stata avvalorata anche dal discredito in cui e'
caduto il terzomondismo e lo "sviluppismo" ("a un affamato non bisogna
offrire un pesce, ma insegnargli come pescarlo", e' l'esempio che fa Tony
Vaux).
Ma non e' casuale che il boom umanitario sia coinciso con thatcherismo e
reaganismo: negli anni '80 Reagan persegui' una politica spietata contro i
poveri, ma pose nello stesso tempo gli homeless al centro dell'attenzione
pubblica. Impersonata nella fatalita' disperata di un senzatetto assiderato
su un marciapiede, la poverta' non era piu' un problema strutturale e
quotidiano della societa' americana (come quello delle decine di milioni di
working poors), ma diveniva un'emergenza melodrammatica, operistica. Nello
stesso modo, l'ideale umanitario estendeva alle relazioni nord-sud la
cultura dell'emergency; e il problema del sottosviluppo si traduceva nella
foto ad effetto del bimbo africano denutrito.
*
Ma le Ong corrispondevano innanzitutto all'ideologia privatistica e
antistatalista, per cui la cooperazione statale era considerata
inefficiente, burocratica, scialacquatoria. Nel tradurre in italiano (o in
francese) l'espressione inglese "government" si genera un equivoco di fondo
che continua a pesare. In italiano, "non governativo" e' ammantato del
credito di chi dice "non partigiano, non fazioso, non asservito al partito
al governo". In americano invece, poiche' la parola "state" indica ognuna
delle cinquanta entita' intermedie che costituiscono gli Usa, il termine
government vuol dire "stato" nel senso in cui lo usiamo noi. Quindi una Ong
e' semplicemente qualcosa di "non statale", non di "non governativo".
La Ong e' il naturale recipiente e subappaltatore dell'assistenza sociale
privatizzata. Per Tony Vaux "le agenzie di aiuti oggi stanno diventando
appaltatori degli stati", ma e' gia' da molto che questo succede e si puo'
dire che senza il subappalto da parte degli stati le Ong scomparirebbero.
Nel caso del terzo mondo, la Ong s'integra perfettamente al regime
neocoloniale in cui il vecchio potere coloniale si e' "ritirato" ed e'
formalmente assente. Come ha detto un funzionario dell'Onu, "l'assistenza
umanitaria e' diventata il paradigma delle relazioni Nord-Sud dopo la guerra
fredda". In Africa, scrive Rieff, "al pari dei missionari di cui avevano
largamente soppiantato le funzioni di dispensatori di carita', gli operatori
umanitari sembravano rappresentare il lato conciliante del potere
occidentale. Che gli operatori umanitari avessero in genere una concezione
totalmente differente di quello che facevano non cambiava di molto la
situazione".
Ecco, la parola e' stata detta: missionari. Come molti missionari, gli
operatori umanitari si sacrificano, conducono una vita difficile, fanno
sforzi eroici: nell'immaginario collettivo, un Albert Schweitzer non e'
molto diverso da una Teresa di Calcutta. Ed e' questa una delle ragioni per
cui e' difficile criticare le Ong, visto che raccolgono la parte migliore e
piu' generosa della nostra gioventu' (e' stato detto che Msf ha mobilitato
molte delle energie della militanza smobilitata del dopo '68). Ma, come i
missionari, molto spesso la presenza di un operatore umanitario sta a
indicare che di li' e' passato o sta per passare un esercito occidentale. I
missionari erano al seguito degli eserciti coloniali per imporre l'ideologia
coloniale. Le Ong difendono "i diritti umani" e diffondono la "democrazia".
Ma, come mostrano Rieff e Vaux, proprio nell'epoca del loro massimo
splendore, in tre crisi cruciali, le Ong si sono trovate confrontate a tre
ambiguita', a tre aporie del loro progetto umanitario.
In Kosovo, l'umanitarismo e' stato arruolato dalla Nato, sic et simpliciter.
Che senso ha un'azione umanitaria che si limita solo a uno dei contendenti
(qui i kosovari) e non all'altro (i serbi)? Questo fa si' che i governi
considerino "l'azione umanitaria alla stregua di uno dei tanti elementi a
loro disposizione" per reagire alle crisi, e che vi sia un "procedimento di
assorbimento dell'ideale umanitario da parte dell'umanitarismo di stato".
Cosi' in Kosovo le Ong "tendevano a seguire lo stesso impianto ideologico
dei propri governi nazionali: le Ong americane o britanniche per lo piu' a
favore della guerra, quelle francesi su posizioni ambigue, e qualche gruppo,
specie le sezioni greche di Msf e Mdm (Medecins du monde), ferocemente
filoserbo" (Rieff).
In Congo si e' disvelato quanto sia astratta l'ideologia della "sofferenza
decontestualizzata", cioe' dell'aiutare chi soffre perche' soffre. L'idea
che chi soffre e' sempre una vittima e una vittima e' sempre innocente. Per
questo c'e' un'infantilizzazione della sofferenza nel terzo mondo. "L'unica
cosa che vende bene e' la compassione": dittatori e operatori umanitari
hanno questo in comune, che gli piace farsi fotografare con un bambino in
braccio. Ma in realta' spesso le vittime non sono innocenti, e anche i
colpevoli soffrono. In Rwanda soffrivano e morivano profughi in fuga dopo
aver praticato stermini di massa e perpetrato orrori inenarrabili. Non e'
vero che la sofferenza e' neutra, la sofferenza e' sempre tinta di storia e
di politica.
Infine l'Afghanistan ha mostrato quanto sia illusorio sperare di far
coincidere l'ideale dei diritti umani con quello umanitario. Gia' in Kosovo
si era visto che l'intervento per difendere i diritti umani dei kosovari
aveva provocato una catastrofe umanitaria. In Afghanistan alleviare le
emergenze alimentari e idriche, significava perpetuare la schiavitu' delle
donne; boicottare il regime talebano significava rendersi responsabili di
migliaia di morti. Lottare per i diritti umani puo' aggravare la situazione
umanitaria e viceversa.
E' probabile percio' che l'assenza delle Ong da Baghdad sia dovuta non solo
a una svolta della politica americana (la rinuncia a presentare l'invasione
dell'Iraq come una "guerra umanitaria", anche se si e' voluto presentarla
come una guerra "per i diritti umani" e per la "democrazia"), ma anche a una
crisi d'identita' delle Ong, al loro non voler ricadere nella trappola del
Kosovo. Non solo giornalisti embedded, ma anche "umanitari arruolati".
*
Resta l'insoddisfazione di fondo di fronte a quella che e' diventata
"l'industria delle catastrofi" in cui ogni Ong si batte per avere
un'esposizione mediatica superiore (le emergenze e le carestie si vendono
meglio delle crisi strutturali), per conquistarsi una fetta del mercato
della sfiga, con una dipendenza crescente dall'apparato mediatico.
Sembra davvero appropriata la poesia di Bertolt Brecht sugli homeless
americani apposta a intestazione del suo libro da David Rieff (che e' figlio
di Susan Sontag): "Ho sentito dire che a New York / all'angolo della
ventiseiesima strada e di Broadway / nei mesi invernali ogni sera c'e' un
uomo / e ai senzatetto che si radunano / pregando i passanti procura un
giaciglio per la notte. / (...) A qualcuno non manca un giaciglio per la
notte, / il vento viene tenuto lontano da loro per una notte, la neve
destinata a loro cade sulla strada. / Ma con questo il mondo non cambia, /
le relazioni fra gli uomini per questo non migliorano, / l'epoca dello
sfruttamento non e' per questo piu' vicina alla fine".

8. LIBRI. PRESENTAZIONE DI VITTORIO GIACOPINI, LA COMUNITA' CHE NON C'E'
[Dal sito di Nonluoghi (www.nonluoghi.it) riprendiamo il seguente comunicato
editoriale]
Vittorio Giacopini nel volumetto "La comunita' che non c'e'. Paul Goodman,
idee per i movimenti" ((Nonluoghi libere edizioni, 2003, pp. 48, euro 3,5)
presenta il pensiero di una delle piu' significative figure intellettuali
americane del secondo dopoguerra, un riferimento per i movimenti giovanili
degli anni Sessanta.
Goodman, romanziere, psicologo, sociologo e filosofo, fu un punto di
riferimento dei movimenti di protesta Usa. Suo tema chiave e' la "comunita'
che non abbiamo", la "frigidita'" che pervade "istituzioni anonime" e
l'obbligo del coraggio sociale e del rischio personale per chi vuole agire,
dissentire e testimoniare una alternativa. Goodman si definiva un
conservatore neolitico, un patriota anarchico e un free-lance
rinascimentale: un umanista libertario.
Il libretto e' una lettura utile a chiunque si interroghi sui contenuti
teorici e sulla prassi dei movimenti che oggi tentano di contrastare la
deriva autoritaria del sistema neoliberista.
Vittorio Giacopini, giornalista di Ap.Biscom, e' collaboratore della rivista
"Lo straniero".
Per richieste: tel. 3293123483, fax 1786022881, e-mail:
edizioni@nonluoghi.org, sito: www.nonluoghi.it

9. INFORMAZIONE. UN DOSSIER DI "OPPOSIZIONE CIVILE" OGGI IN EDICOLA
[Dagli amici di "Opposizione civile" (per contatti: e-mail:
info@opposizionecivile.it, sito: www.opposizionecivile.it) riceviamo e
diffondiamo]
Domenica 13 luglio il quotidiano "L'Unita'" pubblichera' integralmente il
"dossier Berlusconi" che Opposizione Civile ha distribuito a tutti gli
europarlamentari il giorno prima dell'insediamento della presidenza italiana
dell'Unione europea.
Con questo dossier abbiamo voluto Informare l'Europa sulla storia e le gesta
del presidente di turno Silvio Berlusconi. L'Italia ha bisogno di sapere,
capire e poter scegliere. L'informazione libera e la libera circolazione
delle idee, delle notizie e dei fatti e' necessaria in questo che e'
diventato il paese delle omissioni, delle censure e delle bugie assurte a
storia.

10. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': LE MANI DELLA MAFIA
Maria Antonietta Calabro', Le mani della mafia, Edizioni Associate, Roma
1991, pp. VI + 274, lire 24.000. "Vent'anni di finanza e politica attraverso
la storia del Banco Ambrosiano", con prefazione di Nando dalla Chiesa. Un
ancor utile libro.

11. RILETTURE. MARIA ANTONIETTA CALABRO': IN PRIMA LINEA
Maria Antonietta Calabro', In prima linea, Sperling & Kupfer, Milano 1993,
pp. XXX + 226, lire 24.500. Nove magistrati raccontano la lotta contro i
poteri criminali, occulti, corrotti. Con prefazione di Ettore Gallo.

12. RILETTURE. CLAIRE STERLING: COSA NON SOLO NOSTRA
Claire Sterling, Cosa non solo nostra, Mondadori, Milano 1990, pp. XXII +
410, lire 30.000. "La rete mondiale della mafia siciliana" in un volume
della nota giornalista americana dal 1952 in Italia. Con prefazione di
Michele Pantaleone.

13. RILETTURE. CLAIRE STERLING: UN MONDO DI LADRI
Claire Sterling, Un mondo di ladri, Mondadori, Milano 1994, pp. 372, lire
32.000. "Le nuove frontiere della criminalita' internazionale" in un'ampia
ricostruzione giornalistica (come per tutti i lavori giornalistici - va da
se' - e' compito del lettore saper discernere quel che e' essenziale e quel
che e' colore, imprecisione, forzatura).

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 610 del 13 luglio 2003