[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 591



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 591 del 24 giugno 2003

Sommario di questo numero:
0. Comunicazione di servizio
1. Lidia Menapace ricorda Luigi Pintor
2. Luce Fabbri: la salvezza
3. Maria G. Di Rienzo: nell'alternativa non c'e' posto per la violenza
4. Enrico Peyretti: impegno di pace e critica della critica
5. Severino Vardacampi: la nonviolenza e' lotta. Contro tutte le violenze
6. Elisa Kidane: "Raggio", con occhi e cuore di donna
7. Augusto Cavadi ricorda Candida Di Vita
8. Angela Giuffrida: guardare il mondo con i nostri occhi
9. Giobbe Santabarbara: ancora
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Repetita iuvant. Ricordiamo che i nostri messaggi non contengono mai
allegati. Ricordiamo anche a tutti i nostri interlocutori di aggiornare gli
antivirus.

1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE RICORDA LUIGI PINTOR
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo ricordo.
Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi
impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente
universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e
significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa'
civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli
interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di
convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001.
Luigi Pintor e' nato nel 1925 a Roma, fratello di Giaime, antifascista,
giornalista a "L'Unita'" dal 1946 al 1965, parlamentare, radiato dal Pci nel
1969 per aver dato vita al "Manifesto", dapprima rivista e poi quotidiano su
cui ha scritto fino alla scomparsa, alcune settimane fa. Straordinario
corsivista politico, univa una prosa giornalistica di splendida bellezza ad
un rigore morale e di ragionamento di eccezionale nitore. Opere di Luigi
Pintor: I mostri, Alfani, Roma; Servabo, Bollati Boringhieri, Torino; Parole
al vento, Kaos, Milano; La signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri,
Torino; Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino; Politicamente scorretto,
Bollati Boringhieri, Torino; I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri,
Torino]
Quando Luigi Pintor se n'e' andato - un po' piu' di un  mese fa - ero
"irreperibile" e non ho preso parte a nulla. Poiche' mi pare sempre giusto
non lasciare che le memorie si spengano solo per disattenzione, ecco due
parole su di lui, dal mio punto di vista.
Del "gruppo storico" del "Manifesto" Luigi era quello con il quale ho avuto
minore intrinsechezza, tuttavia un grande affetto.
Era un uomo elegantissimo, sembrera' una osservazione frivola, ma non ho
niente  contro la frivolezza: mai un colore sbagliato, mai una disarmonia in
un vestire povero e casuale - come si diceva -: pensate che cio' non esprima
anche una specie di armonia interiore? era un pianista eccellente e un
grande amante della musica e credo che il vestire cosi' "accordato" nella
sua semplicita' avesse qualcosa a che fare con cio'.
Ho avuto piu' familiarita' con i suoi figli, con Giaime soprattutto, che era
un giovane tormentato, intellgente e bloccato da una parentela pesante e da
un nome pesantissimo, e con la figlia pure timidissima silente. Che un padre
come Luigi non fosse facile lo si puo' capire.
Tra i dolori piu' cocenti della sua vita vi furono tutte le morti che lo
hanno preceduto (il fratello, la moglie, i due figli): cosa che lo segno'
nel profondo anche se secondo una etica molto severa non lo mostro' mai.
Ma a me era molto legato in una maniera ritenuta e un po' sotterranea (tra
una piemontese e un sardo si da' facilmente).
*
Ricordo le sue sferzanti lezioni di giornalismo ai ragazzi e ragazze che,
non avendo soldi per tenere molte persone a pagamento nei mesi delle prime
estati del giornale, invitavamo a fare pratica. Arrivavano da ogni dove,
appassionati muti atterriti dalle statue famose che molti e molte di noi
gia' erano, e stavano a sentire.
La pedagogia di Luigi era feroce: quando d'estate ci sono quei giorni vuoti
nei quali le agenzie ti danno solo le gare di nuoto, le temperature e chi ha
vinto a bigliardino in Australia, si sedeva alla scrivania e con quel volto
da tartaruga e gli occhi quasi sempre semichiusi, chiedeva se qualcuno
avesse un argomento da proporre e al malcapitato che si lanciava in una
lezione sui Sahrawi, dopo averlo ascoltato per dieci minuti con silenziosa
imperturbabilita', rispondeva: "Hai proprio ragione, stamani dal giornalaio
e sul bus tutti si domandavano: 'Ma che fanno i Sahrawi?'", e poi apriva gli
occhi e aggiungeva: "Le notizie sono tali se le persone le accolgono, non se
ci fai su' una lezione; e un articolo non e' un volantino".
E comunque faceva vedere che studiando le agenzie qualcosa si trova sempre.
Era tremendo.
*
Di personale ricordo che una volta ci incontrammo a un dibattito e mi
domando': "Lidia, ti ho fatto qualche torto?", e alla mia negazione
accompagnata dal dire che del resto se ricevo torti o ho bisogno di aiuto
parlo, non mi tengo dentro nulla, mi disse: "Ti ho sognato un paio di volte
che avevi bisogno di me e non arrivavo a fare nulla". Quasi quasi mi fece
dispiacere di non avere nulla da chiedergli.
Era per molti versi un uomo di cultura molto tradizionale, ma di una
sensibilita' artistica che lo faceva capace di inspiegabili finezze come di
giudizi sferzanti e impietosi.

2. MAESTRE. LUCE FABBRI: LA SALVEZZA
[Questo frammento abbiamo estratto dall'intervista di J. M. Carvalho
Ferreira a Luce Fabbri apparsa nei numeri 6 e 7 del 1997 e 1998 della
rivista libertaria portoghese "Utopia" col titolo Entrevista a Luce Fabbri
(in rete nel sito www.azul.net/m31/utopia). Luce Fabbri, pensatrice e
militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento
per tutti gli amici della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25
luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico
libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a
Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in
Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la
morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva,
generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce.
Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa
intervista  a cura di Cristina Valenti: Luce Fabbri, vivendo la mia vita,
apparsa su "A. rivista anarchica" dell'estate 1998 (disponibile anche nella
rete telematica alla pagina web:
http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/247/22.htm ). Tra le sue opere in volume
ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones
Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio.
Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937;
(con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola,
Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie,
Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos
guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948;
L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali,
Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto
la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni
RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union
Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la
democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia
d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia,
Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres
ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I
canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, di
prossima pubblicazione; c) scritti di storia e di critica letteraria:
Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853),
Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura
italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A.,
Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura,
Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura,
Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la
Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella
"Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli
interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli
traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra
cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e
l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce
Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce
Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41]
Se sopravviveremo alla contaminazione delle scorie nucleari e ai tanti altri
pericoli che ci minacciano, la nostra unica salvezza sara', come in tutte le
grandi catastrofi, la solidarieta'.

3. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: NELL'ALTERNATIVA NON C'E' POSTO PER LA
VIOLENZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento scritto come contributo alla terza assemblea nazionale
della Rete di Lilliput svoltasi a Marina di Massa. Maria G. Di Rienzo e' una
delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale
femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa,
formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per
conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney
(Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput,
in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e
la nonviolenza]
Intendo con questo scritto invitare ad una riflessione su una realta'
politica affatto nuova nell'attivismo "progressista": il ritorno del
combattente di strada.
Il combattente di strada e' il dimostrante violento che scende in piazza per
sfasciare finestre, negozi e banche, tirare pietre o bottiglie molotov a
poliziotti o oppositori, eccetera.
Sebbene vi siano anche donne fra questi combattenti, la maggioranza sono
uomini, che ora come nel passato provano a se stessi la propria mascolinita'
tramite la violenza e hanno portato una pesante retorica di guerra in un
movimento per la pace.
*
1) I carrieristi del movimento incoraggiano la battaglia di strada
La maggior parte delle proteste violente sono state sostenute da sedicenti
nonviolenti impegnati in organizzazioni e reti anticapitaliste o
antiglobalizzazione. Gli scopi personali di questi individui sono evidenti:
potere e posizione nelle organizzazioni di sinistra, fama acquisita come
leader del movimento o difensori dei diritti umani, frequente presentazione
di e in liste elettorali. Costoro lavorano apertamente con i combattenti di
strada, anche quando conoscono le intenzioni da questi ultimi esplicitate
(distruzione di proprieta', barricate, assalti alla polizia). Perche'?
Perche' hanno scoperto che l'unico modo per avere dozzine di giornalisti
alle loro conferenze stampa e' la minaccia della violenza nell'aria.
Naturalmente, quando i giornalisti ne parlano, costoro rispondono che solo
la polizia commette violenze, o che la vera violenza e' quella dei potenti,
dell'impero, della globalizzazione.
Il secondo scopo dei carrieristi nell'impegnarsi in questo sostegno ai
violenti e' l'intimidazione delle strutture di potere esistenti, affinche'
esse li prendano sul serio. I carrieristi sostengono i combattenti di strada
rifiutandosi di condannare i loro atti e di marginalizzarli. Alcuni
proclamano solidarieta' con chi usa "tattiche differenti", sebbene insistano
sul fatto che loro promuovono la nonviolenza. Piu' insidiosamente, costoro
si uniscono ai combattenti nel fare pressione sui dimostranti nonviolenti
che non gradiscono la faccenda, sino a ridurli al silenzio (cio' include gli
appelli alla solidarieta', lo spettro della "spaccatura del movimento", e
spesso non rifugge dagli insulti e dalle aggressioni).
I carrieristi sanno molto bene che il primo scopo dei combattenti di strada
e' appunto promuovere il combattimento con la polizia ed accrescere le loro
"radicali" file. E' superfluo sottolineare che cio' ha incrementato la
risposta violenta da parte della polizia ed ha giustificato agli occhi dei
non attivisti leggi e provvedimenti restrittivi. Ma i carrieristi reagiscono
con oltraggiato stupore a tale risposta, usando cinicamente i dimostranti
nonviolenti coperti di sangue come esca per la macchina dei media.
*
2) Dove sono gli amici della nonviolenza?
I combattenti di strada li deridono apertamente, ma e' raro che costoro
dicano la loro risposta a voce alta. La pressione e' servita al punto che
essi sono sinceramente preoccupati di intaccare la "solidarieta' nel
movimento", e la propaganda ha fatto effetto al punto che essi si sono
convinti che in fondo i combattenti di strada sono relativamente "innocenti"
rispetto alla polizia. Altri, intimiditi dalle aggressioni e dalla minaccia
di ostracismo stanno sperando che questa fase cambi da se'.
I governanti, la destra, le corporazioni economiche, sono stati deliziati
nel vedere il movimento antiglobalizzazione distruggere la propria
credibilita' impegnandosi in combattimenti di strada o condonandoli: la
gente puo' ora piu' facilmente tollerare gli abusi sui dimostranti. Nemmeno
questo e' servito ai combattenti per riflettere, essi continuano ad asserire
il loro "diritto" di usare la violenza. E alcuni "pacifisti" continuano a
rifiutarsi di condannare questo (per lo piu' argomentando il comune impegno
per la "giustizia", di solito una forma di socialismo economico, e
stressando gli altri con frasi fatte del tipo "cerchiamo cio' che ci unisce
e non cio' che ci divide", "le tattiche non sono le istanze", "se ci
dividiamo abbiamo perso", "abbiamo bisogno di tutte le voci, di tutte le
energie"; gli inviti alla "contaminazione" e all'incontro: come se non ci
fossimo gia' incontrati a sufficienza a Seattle, Quebec City, Genova,
eccetera).
Probabilmente e' solo una questione di tempo, prima che gli effetti negativi
della violenza di strada diventino evidenti anche ai combattenti. Con
l'intensificarsi della repressione il risultato autodistruttivo della
battaglia di strada diverra' piu' evidente. Gli attivisti cominceranno, come
in ogni ciclo precedente, a valutare i propri risultati in rapporto alle
tecniche usate. I carrieristi, raggiunta una poltrona, cominceranno a
prendere le distanze dai combattenti di strada per mantenere la propria
nuova credibilita' rispetto all'establishment. E' solo questione di tempo
riconoscere che la battaglia nelle strade allontana i nuovi dimostranti,
intimidisce, demoralizza e divide gli attivisti, e da' un sacco di scuse
alla repressione. Ma gli attivisti nonviolenti devono dirlo.
*
3) Perche' il ritorno della violenza?
Uno dei motivi e' la rabbia nostalgica relativa alla "causa perduta". Alcuni
anticapitalisti sanno perfettamente che il socialismo di stato non ha
funzionato (Unione Sovietica, Cina, Cambogia, Cuba), ma piuttosto di
ammettere i limiti della propria ideologia si ammantano della superiorita'
morale della "causa", una superiorita' morale che scuserebbe qualsiasi
violenza contro cose e persone.
Un altro motivo e' la manipolazione operata dai carrieristi. Finche' il
riflettore e' sui combattenti di strada, essi possono godere della stessa
luce affiancandoli, intervenendo sui giornali per spiegare che il movimento
bla bla, che non condanniamo ma, oppure che ci dissociamo pero'... Ovvero,
un ristretto numero di professionisti attorno alla quarantina, che spesso
lavorano per organizzazioni "progressiste" o di sinistra, incoraggiano
adolescenti e ventenni ad impegnarsi in distruzioni e confronti con la
polizia fintantoche' questo serve alla loro ambizione personale.
Un terzo motivo e' il rifiuto di imparare dal passato. Durante gli anni
'70-'80 (gli "anni di piombo") la violenza politica allontano' molti
dall'impegno attivo. Il terrorismo, l'infiltrazione di polizia e provocatori
e la conseguente distruzione di gruppi e movimenti, la criminalizzazione di
un'intera generazione, erano ancora abbastanza familiari agli attivisti del
decennio successivo per indurli a rinunciare alla violenza di strada. Oggi
gli attivisti ventenni/trentenni rimuovono o ignorano l'esperienza
precedente, rifiutandosi di rispettare l'opinione dei piu' anziani che li
mettono sull'avviso rispetto alle conseguenze delle nostre azioni.
Il quarto motivo e' la cooptazione del pensiero femminista (che e' diventato
all'interno del movimento "sostegno" e corollario, invece che principio
d'analisi e visione autonoma). Per molte il femminismo si e' tradotto
nell'ottenere leggi che permettessero alle donne di "fare tutto cio' che
fanno gli uomini", incluso l'uccidere altri esseri umani in guerra, invece
che la creazione di un mondo dove la violenza non avesse posto. Costoro
hanno tentato di aiutare le donne ad operare meglio in una cultura
patriarcale, assumendo che esse dovessero adattarvisi.
Poiche' l'agire in questo modo ha un pregiudizio di fondo a favore di tale
cultura, non e' sorprendente che le giovani donne abbiano scarsa coscienza
del legame tra femminismo e nonviolenza. Molte giovani che si definiscono
femministe sembrano pensare che essere violente quanto un combattente di
strada sia una liberazione. Quelle che rifiutano di salire sul carro della
violenza maschile sono ridotte al silenzio da altre donne che difendono i
loro amici, amanti e compagni violenti (i quali ormai hanno imparato
abbastanza da non dimenticarsi di citare le donne nei loro comunicati, cosi'
siamo tutti uguali e tutte contente, no? Trovo meno detestabile l'ignoranza
genuina di alcuni uomini di destra). Come noi vecchiette avevamo
abbondantemente predetto, l'enfasi sulla violenza ha dato rinnovato potere
ai maschi "dominanti" (spesso sessisti ed abusanti): quando gli attivisti
condonano la violenza, attraggono e sostengono questo tipo di uomini.
*
4) La mistificazione della nonviolenza
La maggior parte delle persone che ne parla in questo momento, e che viene
interpellata al proposito dai media, ne sa veramente poco. E sapendone poco
dice cose del tipo: "La vera violenza e' quella di...", implicando che la
violenza degli attivisti e' una soluzione giustificabile, oppure di fronte
alle perplessita' interne se ne esce con idiozie del tipo "Ma sarebbe
violento non partecipare o tirarsi indietro...", rispetto ad azioni che
prevedono esplicitamente la battaglia di strada, e cioe' sarebbe "violento"
non condonare la proclamata e poi agita violenza altrui. A causa di questi
fallimenti ideologici, la capacita' di ispirare e di educare nuovi attivisti
nonviolenti e' stata minima. La nonviolenza e' stata presentata dai
carrieristi come "tecnica" e "tattica" (senza storia, senza respiro, senza
spirito, adattabile a qualsiasi scenario che comprendesse nella diversita'
delle tecniche anche la violenza di strada): questi individui hanno mostrato
una gran dedizione nel manipolare il concetto per "mantenere l'unita' del
movimento".
La nostra cultura e' evidentemente ferma al presupposto che ogni problema si
possa risolvere con la violenza. E' violenza di stato: quella delle leggi
ingiuste e della repressione (ogni problema politico o sociale e' trattato
con la metafora della guerra); e' violenza intrisa negli sport, nei
programmi televisivi, nei libri e nei giornali; e' violenza che norma le
relazioni fra le persone, fra i generi, fra le generazioni.
La ragione per cui troppi attivisti nonviolenti non sono stati in grado di
contrastare gli avvocati della violenza e' la loro mancanza di comprensione
o lo scarso attaccamento ai principi base della nonviolenza stessa, che e'
il disegno ed il progetto di un'alternativa reale alla violenza. La mancanza
di un adeguato sostegno fra attivisti dichiaratamente (ma quanto
consapevolmente?) nonviolenti e' un altro problema. E vorrei sapere che tipo
di fiducia e consenso e' possibile conquistare sfasciando finestre,
invadendo luoghi, tagliando tubi dei distributori di benzina, ecc. Ma alcuni
sedicenti "nonviolenti" sono piu' attaccati allo scopo che ai mezzi che si
usano per ottenerlo, dimenticando che mezzi e fini sono inseparabili (ed e'
per questo che gli appelli all'unita' li convincono a mandar giu' e tacere.
I richiami all'unita' e alla solidarieta' sono troppo spesso la richiesta di
obbedienza ad un leader in nome della giusta causa).
"Io direi che i mezzi dopo tutto sono tutto. Tali i mezzi, tale il fine"
(Mohandas Gandhi).
*
5) Rifiutare la retorica e la manipolazione
Mi e' capitato di leggere e sentire piu' volte la definizione dei
combattenti di strada come "la parte piu' radicale del movimento" e
addirittura la richiesta di "continuare a stupirci" con il loro fervore e
desiderio di cambiare il mondo.
Come se gli altri, gli attivisti nonviolenti fossero comunque una seconda
scelta, un po' meno radicali, e sicuramente, poiche' nonviolenti, mai
arrabbiati, mai pieni di fervore, con un desiderio di cambiare il mondo
giudicato velleitario rispetto a quello dei combattenti. Forse piu'
"effeminato", meno "machista" e viriloide?
Che tipo di unione e commistione posso avere con coloro il cui primo scopo
e' un semplicistico sfogo di rabbia, o il godere dell'eccitamento relativo
alla distruzione (un eros di morte)? Quanto corrompente e' questa
"contaminazione", che comporta il lavorare con persone che pensano di avere
la verita' in tasca ed il diritto di forzare altri ad accettarla? Quanto pri
va di potere il dover camminare in punta di piedi per non disturbare i
combattenti, per evitare le accuse di connivenza con il "nemico"? Mi pare
che assomigli molto alla relazione che si puo' avere con un marito o un
genitore dedito all'abuso, che non bisognerebbe irritare perche' pronto ad
esplodere in atti di violenza contro qualcuno.
La regola dei combattenti di strada e' che gli attivisti nonviolenti devono
partecipare alle azioni, ma non possono discutere delle tecniche usate per
costruirle.
Se la situazione rimane questa, la nostra soluzione puo' essere solo la
noncollaborazione.
Cio' non significa che ci rifiuteremo di discutere (anzi!), ma che la
discussione deve includere metodi positivi per velocizzare il processo di
apprendimento rispetto agli effetti negativi della violenza di strada.
Significa che ci stimeremo abbastanza coraggiosi e determinati da agire
responsabilmente e da pretendere che ciascun altro lo faccia.

4. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: IMPEGNO DI PACE E CRITICA DELLA CRITICA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
Ho reagito piu' volte, e con qualche buona ragione, alle critiche rivolte al
movimento per la pace (incompletezza, unilateralismo). Ma quelle critiche
fanno pensare, bisogna pensarci, e scottano tutti, prima i pacifisti
sinceri, poi anche chi le ripete uguali negli anni (alcuni grandi tromboni
dell'informazione lo fanno per mestiere, si direbbe).
Ogni cercatore di pace sa bene, piu' di chi lo critica, quanto e'
insufficiente la sua azione, ed anzi il suo stesso desiderio e volonta' di
pace. Piu' di chi lo critica conosce le proprie incoerenze. Piu' di chi lo
critica soffre gli oscuramenti dell'informazione su tante guerre e violenze
nel mondo, che rendono cosi' difficile denunciarle e agire per tempo. Piu'
dei suoi critici conosce la fatica difficile di pensare la pace, per poterla
costruire.
E' veramente strano: molti a cui pare che la pace non stia a cuore, e
magari, in alcuni casi, giustificano questa o quella guerra, giudicano poi i
"pacifisti" perche' non sono abbastanza efficienti, non si sollevano allo
stesso modo contro tutte le guerre e tutte le politiche e culture belliche.
Quasi che improvvisamente si siano innamorati della pace e debbano
difenderla dai pacifisti. Spesso queste critiche non sono mosse da una
volonta' insoddisfatta di pace, ma, al contrario, dall'intenzione di
dimostrarne l'impossibilita'. Come dire: "Vedete? Per quanto urliate e vi
sbracciate, non fermate le guerre. Non le volete fermare tutte, ve la
prendete solo coi piu' potenti perche' siete impotenti e invidiosi!
Imparate, ragazzi, che contro la guerra non c'e' niente da fare!".
Criticare le critiche e' un buon esercizio critico. Ma non voglio fare
l'esame di coscienza agli altri. Ho abbastanza lavoro con la mia. Il
cercatore sincero di pace si fa le accuse che nessun critico gli fa. Siamo
tutti talmente coinvolti nei sistemi economici, politici, culturali, di
guerra, che, se non ci spogliamo come san Francesco, se non ci gettiamo come
Zanotelli, se non ci esponiamo come Rachel Corrie, non siamo davvero per la
pace. Chi fa come loro? Chi se la sente? Chi ne ha la possibilita'? Qualcuno
lo fa. Perche' non lo facciamo tutti?
Queste domande brucianti risuonano ogni giorno nelle coscienze dei veri
pacifisti. Chi guarda da fuori il movimento per la pace le ignora. Ci sono
critiche che partono dal pensiero rassegnato alla guerra, che magari aspetta
 sinceramente una "prova" tangibile di poter uscire da quel pensiero, ma non
ha il coraggio e l'audacia neppure di immaginare l'utopia (eu-topia),
bloccato da iperrealismo. Ci sono critiche che vengono da chi mette la pace
come una cosa tra le altre e osserva semplicemente: voi pacifisti non
ottenete il vostro scopo! Il che per lui vuol dire che quello scopo non
vale. Ci sono critiche che vengono da chi fa di piu', da chi si gioca di
piu', da chi va piu' lontano perche' ama di piu' le vite e i diritti che la
pace salvaguarda. Solo queste sono le critiche che contano, che stimolano,
che confortano mentre rimproverano.
Ognuno, pacifista o critico, chieda in silenzio a se stesso: cosa faccio per
la vita degli altri, per le vittime del sistema di cui godo i vantaggi? La
risposta a ciascuno, in silenzio, in coscienza. Questo e' un silenzio vivo,
che produrra' vita. Poi, solo dopo, si potra' molto opportunamente giudicare
culture, strategie, metodi dell'azione per la pace.

5. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: LA NONVIOLENZA E' LOTTA. CONTRO TUTTE LE
VIOLENZE
Capita sovente di ascoltare persone argomentare che apprezzano la
nonviolenza ed aggiungono "ma ci vuole anche il conflitto". Quel "ma" e' il
sintomo di un equivoco e di un'ignoranza. Poiche' la nonviolenza e' proprio
gestione oltre che risoluzione del conflitto, ed anche suscitamento del
conflitto quando vige ingiustizia e ad essa occorre opporsi.
Poiche' la nonviolenza e' lotta contro tutte le violenze. E' la forma e la
scelta di lotta la piu' limpida e la piu' intransigente. E' la lotta che si
oppone alla violenza, ad ogni violenza, nel modo piu' netto; e' la lotta
piu' radicale, che va piu' alla radice.
In un tazebao affisso su un muro del centro sociale occupato autogestito
"Valle Faul" di Viterbo negli anni '90 c'erano scritte queste frasi, certo
volutamente enfatiche ed iterative fino all'ecolalia, che ci piace
trascrivere ancora una volta:
"La nonviolenza e' lotta.
E' lotta. E' lotta contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro la
menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia riconosciuto nella sua
dignita'; e' lotta contro ogni forma di sopraffazione; e' lotta di
liberazione per l'uguaglianza di tutti nel rispetto e nella valorizzazione
della diversita' di ognuno.
E' la forma di lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle
questioni che affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone
nel modo piu' completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di
riprodurre violenza.
Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra
la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e
la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi
coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano
usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto
della verita' e della giustizia.
E' lotta contro il male, non contro le persone. E' lotta per difendere e
liberare, per salvare e per convincere, e non per umiliare o annientare
altre persone.
E' lotta fatta da esseri umani che non dimenticano di essere tali. Che non
si abbrutiscono, che non vogliono fare del male, bensi' contrastare il male.
E' lotta per l'umanita'.
La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire
l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di
me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la
verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di
solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione".

6. INFORMAZIONE. ELISA KIDANE: "RAGGIO", CON OCCHI E CUORE DI DONNA
[Da Elisa Kidane della redazione di "Raggio", mensile delle Missionarie
Comboniane (per contatti: e-mail: redazione@rivistaraggio.org, sito:
www.rivistaraggio.org), riceviamo e diffondiamo]
Carissimi/e,
eccoci nonostante il caldo... nel nuovo numero di "Raggio" varie le novita':
dal dossier che ci invita a riscoprire la dimensione sociale della fede,
agli interrogativi e i progetti lanciati dagli interventi di Mani Tese
(sull'infanzia sfruttata e sul difficile rapporto tra bambine e scuola) e la
rubrica "Quale educazione?" (che affronta il delicato e snobbato problema
delle lingue e delle culture).
In "clima" con lo spirito comboniano sono le "pagine di vita" riportate, in
particolare dal Centrafrica.
Testimoni di ingiustizie e sofferenza del popolo in mezzo a cui vivono, le
missionarie "fanno causa comune" fino ad accettare di sentire e provare
incertezza, paura e rischi della guerra, senza fuggire.
In altri Paesi, altre giovani vite si immettono con entusiasmo nella scia
del cammino missionario di Daniele Comboni.
La riscoperta del passato e' densa di futuro. Vogliamo avventurarci insieme?
Il Forum e' aperto a voi. Siamo in ascolto.
Visitate il sito www.rivistaraggio.org
La redazione di "Raggio", mensile delle Missionarie Comboniane, la missione
con occhi e cuore di donna, e' in via Cesiolo 46, 37126 Verona, e-mail:
redazione@rivistaraggio.org, sito: www.rivistaraggio.org

7. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI RICORDA CANDIDA DI VITA
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso sull'edizione
palermitana de "La repubblica" del 22 aprile 2003. Augusto Cavadi,
prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
In base alle cronache quotidiane, impastate di violenze e corruzioni, il
tessuto sociale dovrebbe ormai essere a tal punto lacerato da rendere
impossibile la sopravvivenza dei cittadini. Come mai, invece, pur fra
ingiustizie e stenti, il mondo va avanti lo stesso - e in qualche campo
addirittura progredisce? Forse perche' le nuvole sono reali, effettive,
numerose: ma non si noterebbero neppure se sullo sfondo mancasse il cielo.
Fuor di metafora: disonesti e profittatori non potrebbero neppure esercitare
il loro parassitismo se, bene o male, istituzioni e relazioni umane non
fossero alimentate dall'onesta dedizione dei piu'. Pensare che politici e
magistrati, medici e professori, preti e notai siano modelli di virtu'
civile sarebbe imperdonabile ingenuita'. Ma pensare, e sostenere, l'esatto
contrario non e' realismo: si chiama qualunquismo.
Proprio contro la minaccia del qualunquismo (il cui effetto finale e' la
deresponsabilizzazione: "Se fanno tutti schifo, perche' proprio io dovrei
nuotare controcorrente?") i giornalisti dell'edizione europea del
settimanale "Time" hanno deciso di dedicare il numero in edicola a
venticinque "eroi" contemporanei che vivono ed operano nel Vecchio
Continente. Significativa la precisazione dei curatori dell'iniziativa:
l'eroe non e' tale perche' compie azioni eccezionali, ma perche' dedica
l'intera esistenza a ideali costruttivi per il genere umano. Come, ad
esempio, il medico Gino Strada, fondatore di Emergency; il pubblico
ministero Stefano Dambruoso, attualmente impegnato in indagini rischiose
sulle cellule di estremisti islamici presenti nel nostro Paese; lo storico
del cristianesimo Andrea Riccardi, tra i fondatori della Comunita' di S.
Egidio a Roma.
*
La lettura della notizia ha agito come un mestolo nell'impasto di ricordi
col tempo  sedimentati nella mia memoria e, gradualmente, si e' andata
aggrumando una domanda: "E Palermo, e la Sicilia, che sarebbero oggi senza
eroi normali?".
Mi sono tornati in mente i quotidiani che, alla meta' degli anni Novanta,
sfogliavo la mattina in biblioteca durante un breve periodo di studio a
Cambridge: una sorta di rubrica fissa era dedicata al profilo di quei
personaggi che giorno dopo giorno andavano decedendo non senza aver lasciato
traccia nella storia della comunita' locale. Nella nostra cultura non c'e'
spazio, neppure in extremis, per chi non abbia vissuto una vita
spettacolare: non importa se per "lasciare il mondo un po' migliore di come
lo si e' trovato" (come amava ripetere Baden Powell) o per sbalordire con la
propria sete di potere, di denaro e di successo.
E proprio mentre scrivo queste righe mi scorrono, come in un filmato, le
immagini di uomini e donne che ho incontrato per le strade della mia citta'
e della mia esistenza, che hanno vissuto lontano dai riflettori ma nel cuore
delle situazioni e spesso della gente: cittadini e cittadine quotidianamente
fedeli a cio' che avevano scelto come mestiere, o come missione, e senza cui
Palermo sarebbe  ancor meno vivibile.
Perche' questa lunga fila di eroi normali non dev'essere risvegliata -
almeno per un giorno - dal sepolcro dell'oblio e dell'ingratitudine? Perche'
non dare loro - almeno per un giorno - la possibilita' di incoraggiare alla
fedelta', al servizio, all'onesta' civica, le generazioni superstiti?
Soprattutto le piu' giovani cui una sorta di illusione ottica mediatica puo'
dare l'impressione paralizzante di vivere in un mondo di volgare egoismo.
*
Solo un mese fa - e' un'esemplificazione, un caso fra mille - si e' spenta
divorata dal cancro Candida Di Vita.
Quando l'ho conosciuta, agli inizi degli anni Ottanta, mi confidava di
essere tornata da Roma perche' voleva investire su Palermo le energie della
sua maturita'. E a Palermo ha lavorato per quasi vent'anni: non solo, da
assistente sociale, per le prime sei ore della giornata, ma anche da
operatrice volontaria per tutte le altre ore disponibili. Talora persino
dopo cena. Quante centinaia di individui, di famiglie, di gruppi ha
contattato di sua iniziativa o per rispondere a richieste d'aiuto? Mai ha
chiesto - o accettato - bustarelle per l'espletamento dei suoi doveri
istituzionali: piu' d'una volta, sommessamente, ha passato i suoi soldi a
chi proprio non ce l'avrebbe fatto sino a sera.
Senza di lei, poi, non sarebbe sorto il "Laboratorio Zen insieme": dunque,
ad integrazione del lavoro pastorale della parrocchia cattolica "San Filippo
Neri", non sarebbe sorto uno spazio laico, pluralistico, di aggregazione per
i bambini, per i giovani, per le donne. Con intelligente solidarieta' non ha
voluto creare qualcosa di "suo", ma - alleandosi con altre belle persone di
diverso orientamento ideologico - promuovere un'associazione di adulti che
potessero, in autonomia, ragionare con la propria testa e camminare sulle
proprie gambe.
E quando la malattia si e' insinuata nel suo corpo non si e' atteggiata a
vittima illustre: l'ha combattuta con coraggio, con determinazione, ma senza
ribellarsi interiormente. Ne parlava, se interpellata, con la piena
consapevolezza di stare attraversando un sentiero comune al resto
dell'umanita'. Si riteneva quasi privilegiata per il fatto che, a differenza
di tanti altri ammalati, avesse qualche risparmio per curarsi, il sostegno
di due splendide sorelle e di un'amica affezionata. Sorrideva mestamente
quando formulava la speranza di non perdere, con l'aggravarsi del male,
pazienza e serenita' d'animo. E' stata accontentata. Sino all'ultimo,
insomma,  una donna eccezionalmente normale.

8. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: GUARDARE IL MONDO CON I NOSTRI OCCHI
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43@inwind.it) per questo
intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia; tra le sue
pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]
Vorrei discutere l'articolo di Lidia Cirillo sul militarismo, apparso sul
sito del "Paese delle donne" e pubblicato sul n. 586 de "La nonviolenza e'
in cammino", perche' mostra in modo evidente l'inadeguatezza del sistema
concettuale dominante a comprendere il reale. Nell'articolo si legge, fra
l'altro: "... il militare, il guerriero, il soldato non sono l'uomo; non
sono la proiezione del corpo maschile nella storia o la sovrastruttura di
genere della struttura del sesso. Le teorie femministe che legano
immediatamente alle diversita' dei corpi umani le diversita' di
atteggiamenti e di pensiero e per cui il male si incarna nella morfologia di
un corpo, riproducono in ultima analisi la deformazione d'ottica propria del
razzismo". Alcune domande affiorano spontaneamente ad una prima lettura: se
il pensiero non e' legato al corpo da dove deriva e da cosa trae nutrimento?
ma soprattutto, che cos'e' il pensiero? E' chiaro che dietro tali perentorie
affermazioni operano i soliti dualismi che scindono il mondo in coppie di
contrari, opposti tra loro e gerarchizzati, in primo luogo la dicotomia
corpo-mente che ha ridotto la mente ad un evanescente ed inconsistente
fantasma senza nessi e radici e il corpo ad un mero involucro di massa e
materia.
Lungi dall'essere materia inetta, il corpo umano e' un organismo che, come
tutti i viventi, e' principalmente un sistema cognitivo capace di
autorganizzarsi ed autoregolarsi elaborando le proprie esperienze. La mente
altro non e' che un processo del corpo, per cui corpi strutturati
diversamente e capaci di fare esperienze differenti non possono che produrre
menti diverse: si tratta di una constatazione pura e semplice, di una
elementare presa d'atto che col razzismo non ha niente a che spartire e che
permette di comprendere anche come il male non sia una misteriosa ed
autonoma "entita'" che si impossessa capricciosamente di un corpo, ma
consiste nel mancato sviluppo di conoscenze, qualita' e competenze, maturate
nel caso specifico dalle donne, grazie alle loro straordinarie esperienze.
Una riflessione che pone al centro un organismo integro supera ogni dualismo
tra naturale e culturale, biologico e sociale, filosofico e scientifico,
annullando l'astrattezza di un pensiero che, isolando i dati dal contesto,
li assolutizza, rendendoli incomprensibili. Scrive Lidia Cirillo: "Il
militare e' una costruzione sociopolitica e culturale ottenuta attraverso la
concentrazione e la stereotipizzazione di caratteristiche maschili, spesso
peraltro solo presunte. Il militare e' il prodotto della rimozione
traumatica di cio' che negli uomini non e' maschile... 'Uccidero' la donna
che e' in voi', dice ai giovani appena arrivati alla caserma per
l'addestramento un sergente dei marines". A parte l'indebita suddivisione
dell'organismo in parti (quella maschile, quella femminile) che possono
essere ignorate, represse o recuperate all'occorrenza come pezzi di una
macchina, viene da pensare immediatamente che una costruzione non spunta dal
nulla come per magia ma e' il prodotto di menti umane che, nella
fattispecie, non sono certo quelle femminili.
Se poi si amplia il campo di osservazione ci si avvede che tutti gli Stati,
siano essi poveri o ricchi, socialisti o capitalisti, laici o confessionali,
sono inestricabilmente strutturati attorno al militarismo e alla guerra.
Vandana Shiva lamenta il fatto irrazionale che l'80% delle ricerche venga
destinato a fini bellici; una volta spese ingenti somme per ideare e
costruire strumenti di distruzione, e' necessario fomentare conflitti e
scatenare guerre che, oltre a sacrificare vite umane, danneggiano gli
equilibri naturali.
Come si vede gli uomini gestiscono le comunita' per sostenere la morte, non
la vita. Ma non basta: il militarismo, infatti, non e' solo l'uso delle
armi, e' "ossequio e idealizzazione delle gerarchie, subcultura
dell'ubbidienza, cancellazione della possibilita' e della facolta' di
critica", in una parola violenza in tutte le sue forme. A questo punto
bisogna chiedersi dov'e' "l'uomo autentico", visto che le comunita'
patricentriche sono ad ogni latitudine organizzazioni della dominanza, non
essendo mai il fuoco occupato dalla persona ma dal potere, inteso appunto
nell'accezione deteriore di dominio sull'altro; prova ne sia che sono tutte
caratterizzate, seppure in diverso grado, dall'emarginazione, dallo
sfruttamento, dalla persecuzione delle madri umane.
E' chiaro che gli uomini, come del resto le donne, non sono tutti uguali, il
problema e', pero', che concettualizzano tutti allo stesso modo ed e' questo
che impedisce agli sforzi piu' sinceri di realizzare fattivi cambiamenti. Il
maschio umano e' impareggiabile quando si tratta di denunciare e di
combattere, perche' questo fa parte del suo approccio cognitivo al reale che
disaggrega i dati e li oppone, ma non riesce a costruire comunita' coese
perche' non coglie l'insieme e non opera connessioni (il fallimento di tutti
i tentativi fin qui fatti testimonia in modo inequivocabile la veridicita'
di questo assunto).
Solo uno sguardo organicistico, che "vede" la realta' perche' connette
diversi aspetti in un tutto unico, permette di costruire. Ma privilegiare
l'insieme e i nessi non vuol dire misconoscere il fatto evidente che la
specie comprende due individui strutturati diversamente da madre natura,
portati dalle loro differenti esperienze a seguire diversi percorsi
evolutivi. Non e' il semplice riconoscimento delle differenze che crea
inconciliabili dualismi, ma la tendenza ad opporre e gerarchizzare, e alle
donne non interessa in genere stabilire chi e' migliore o peggiore tra i
sessi, ma solo se e' meglio per la specie che ad organizzare le comunita'
sia chi, conoscendone il costo, attribuisce alla vita il suo giusto valore e
sa mettere al centro la persona.
Una mente contenitiva, capace di sopportare la complessita' del reale e di
gestirne le contraddizioni senza pretendere di eliminarle, e' la mente che
ha assicurato la sopravvivenza alla specie e l'unica che puo' farla uscire
dalla strada pericolosa imboccata con l'avvento del patriarcato autoritario.
Piaccia o non piaccia, questa e' la mente delle donne.
Se continuiamo ad usare i paradigmi maschili e' perche' con essi dobbiamo
confrontarci da quando nasciamo a quando moriamo visto che organizzano in
toto le comunita', ma possediamo un'impalcatura mentale inclusiva; si tratta
solo di allenarci a guardare il mondo con i nostri occhi, non usando piu'
quella lente deformante che e' lo sguardo maschile. Solo cosi' potremo
aiutare anche gli uomini ad allargare il loro orizzonte mentale, cosa
improrogabile ed imprescindibile per la loro stessa sopravvivenza prima
ancora che per la nostra.

9. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: ANCORA
E' il razzista che crea il clandestino, prima lo crea e poi lo uccide. E
cosi' gode di quel godimento che Elias Canetti ha individuato in Masse und
Macht come specifica sindrome del dittatore.
E' il buon padre di famiglia, l'esuberante giovinotto, il rampante in
carriera, a favoreggiare i trafficanti di carne umana schiava.
E' la legge criminale e criminogena che porta il nome di due attuali
ministri che fa morire degli innocenti, che innocenti sfuggiti alla tortura
riconsegna nelle mani dei loro aguzzini, che a chi chiede umana solidarieta'
offre nuovo disprezzo e sevizie e peggio.
E' la legge criminale e criminogena che porta il nome di due precedenti
ministri che ha riaperto in Italia i campi di concentramento che la
sconfitta del nazifascismo aveva cancellato.
E sono taluni infami accordi giuridici e politici dell'Europa l'orgogliosa,
l'Europa la tronfia, a erigere muraglie e valli di filo spinato e patiboli
per i miseri che chiedono asilo, a soffocare per sempre la voce e la vita di
Samira e delle infinite Samira. Noi non dimentichiamo i nomi delle vittime.
Gli assassini in parlamento, gli innocenti nelle gabbie, o schiavi, o in
fondo al mare. Il Mediterraneo una grande tonnara, di carne di figlie e di
figli di donna e di uomo.
Si', tutti saremo giudicati: ci verra' chiesto: mentre accadeva questo, tu
cosa facevi?
Essere di quelli che dissero di no. Essere di quelli che hanno fatto tutto
quanto in loro potere per opporsi a questa barbarie, per salvare vite umane
innocenti.
La legge sull'immigrazione e' incostituzionale e razzista: cosa aspetta la
Corte costituzionale a cassarla? E perche' non c'e' un movimento democratico
di massa che impugnando la Costituzione come bandiera imponga l'abrogazione
di quella legge subito, prima ancora che ci pensi l'alta Corte il cui
pronunciamento troppo tarda (ed ogni giorno di ritardo altre persone
muoiono)?
I cosiddetti centri di permanenza temporanea sono campi di concentramento,
eredita' hitleriana: perche' si permette che esistano ancora?
L'imposizione della condizione di clandestinita' significa costringere
innumerevoli persone a una vita di stenti e di paura, gettarle in pugno ai
poteri criminali: perche' i pubblici poteri si fanno complici dei poteri
mafiosi?
La riconsegna di persone in fuga da guerre e dittature nelle mani dei loro
aguzzini equivale a condannarle a morte: perche' la repubblica italiana fa
questo?
Se si vuole essere fedeli al dettato della legge fondamentale del nostro
ordinamento giuridico, la Costituzione della Repubblica Italiana, vi e'
l'obbligo di dare asilo a tutti coloro che nel loro paese di provenienza non
hanno garantiti gli stessi diritti che lo stato italiano riconosce ai suoi
cittadini. Perche' non si applica la Costituzione? Cosa e' diventato questo
paese, cosa siamo diventati tutti noi?
Accogliere ed assistere per quanto possibile tutti i bisognosi, questa e'
legge dell'umanita'. Questo penso. Questo ho scritto.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 591 del 24 giugno 2003