Modernita’
e vizi dell’Occidente
Un
confronto-scontro tra idee ed ideali non sempre condivisi, durato oltre due ore.
L’occasione: la presentazione del libro di Massimo Fini "Il vizio oscuro
dell’Occidente", agile saggio di una settantina di pagine, uscito per i tipi di
Marsilio, nell’ambito della collana "i
grilli".
Il
noto giornalista e scrittore e’ intervenuto domenica 8 giugno – per la cronaca
un caldo e soleggiato pomeriggio, che invitava piu’ a raggiungere la spiaggia
della vicina Ostia che a presenziare ad un dibattito – a sviscerare le sue
verita’ di fronte ad un manipolo di oltre 60 persone, attentissime ed
appassionate, che gremivano la sede dell’associazione Pane e Rose, uno dei
piccoli prefabbricati che una volta ospitavano la scuola media di Casalpalocco,
quartiere residenziale un po’ sonnacchioso di Roma. Sulle pareti del locale, che
a suo tempo conteneva un massimo di 25-30 scolari e che invece in occasione
dell’incontro dell’8 giugno ha ospitato piu’ del doppio delle persone, il poster
di Oscar Romero, "martire
della giustizia e della pace",
nel
XXIII anniversario dell’uccisione, avvenuta nel 1980 e quello di Thomas Sankara,
il “presidente ribelle”, colui che aveva operato una serie di coraggiose riforme
a favore dei contadini e nel senso di una ritrovata autosufficienza alimentare
per il Burkina Faso, prima di essere assassinato nel 1987. Sulla stessa parete
campeggia inoltre
una grande cartina dell’Africa che mette in evidenza la zona del Sahara, che gli
associati di Pane e Rose – onlus di solidarietà internazionale, attiva dal 1993
– desiderano possa un giorno diventare verde.
Ed
e’ in questa cornice che la platea ha accolto le tesi del provocatorio “
Manifesto dell’Antimodernita’ ”, snocciolate da Massimo Fini, scrittore e
giornalista dichiaratamente non di sinistra, ma per fortuna non omologato, ne’
omologabile; semmai un “eretico”, spesso inviso ad una parte degli stessi
lettori dei giornali (di centro-destra) per i quali collabora piu’ di frequente
e che lo bollano come “comunista”. E quasi a voler dare credito a queste voci,
l’analisi finiana e’ partita proprio dalla comparazione tra la vecchia categoria
del “capitalismo commerciale”, cara a Marx e quella dell’industrialismo
susseguente. La prima “opera sull’esistente, su una domanda che c’e’ gia’ ” ,
mentre la seconda “ crea nuovi beni, inventa nuovi bisogni, di cui l’uomo non
aveva mai avuto necessita’ ”.
A
questo punto sorge l’esigenza di vendere questi beni, ecco il motivo per cui
“abbiamo bisogno di conquistare sempre nuovi mercati, perche’ i nostri sono
saturi”. Questo ci impone il modello di sviluppo economico oggi predominante e
che tende sempre piu’ a divenire l’unico modello possibile, in un processo di
omologazione sempre piu’ spinto, nel quale “sono stati attratti i paesi in via
di sviluppo, con effetti devastanti” . Certo, per zone come l’Africa non è una
novita’, ma almeno “il colonialismo classico conquistava territori, rapinava
materiali” eppero’ le vittime, i colonizzati, “continuavano a vivere secondo le
proprie tradizioni, storia, costumi” . Il nuovo colonialismo, di tipo economico,
non e’ interessato ad apporre bandierine sui territori, in una sorta di grande
Risiko mondiale, bensi’ a sostituire nuovi mercati ai propri, ormai sazi. E’
quindi necessario che gli abitanti del Terzo Mondo abbiano il nostro stile di
vita, le nostre abitudini e magari anche le nostre istituzioni (quella
democrazia “totalitaria” che pretendiamo di esportare con le bombe), facendoli
diventare in questo modo degli “sradicati nel proprio paese”. Molte delle
dinamiche attuali possono essere dunque spiegate, se capiamo che “la
pervasivita’ del nostro modello distrugge il mondo altro”.
A
sostegno delle sue tesi, Massimo Fini ha portato una serie di dati e di
considerazioni talvolta sorprendenti. Ad esempio la constatazione di come
l’Africa potesse badare a se stessa dal punto di vista alimentare sino agli
inizi del secolo scorso ed in larga parte ancora sino agli inizi degli anni ‘60,
prima di essere integrata nel nostro modello economico. Ed e’ inquietante
scoprire che “la produzione mondiale dei cereali di base (riso, grano e mais) e’
aumentata, eppure gli africani hanno fame”. Di piu’, “in un’economia mondiale
integrata, il cibo non va dove ce n’e’ bisogno, va dove c’e’ il denaro per
acquistarlo. Va ai maiali dei ricchi americani e al bestiame dei paesi
industrializzati”. Ma non basta. “La globalizzazione economica non ha distrutto
solo i paesi terzomondisti, ma anche Argentina, Brasile, Messico, Venezuela” . E
ce n’e’ pure per noi: “la crisi della Fiat ci dice che anche l’Italia puo’
passare da paese profittatore a paese vittima della globalizzazione”. Per dirla
come il titolo di un capitolo del libro di Fini, e’ un “modello paranoico”,
perche’ si basa sull’affanno della conquista di obiettivi sempre nuovi.
Raggiungerne uno non rappresenta affatto il coronamento di uno sforzo, bensi’
l’inizio di un nuovo – insensato – inseguimento ad un gradino piu’ alto. “Come
al cinodromo i cani levrieri, fra le bestie piu’ stupide del Creato, inseguono
la lepre di stoffa che, per definizione, non possono raggiungere, cosi’ e’
l’uomo occidentale. Questo e’ il meccanismo che fa funzionare il modello”. Ed e’
paradossale che noi, gli abitanti del “migliore dei mondi possibili” siamo in
realta’ “divorati dall’angoscia, dalla nevrosi, dalla depressione, dall’anomia,
in misura maggiore del piu’ disperato abitante di un tugurio terzomondista”.
Qualche dato. “I suicidi nell’Europa del ‘600 erano 2,5 per 100 mila abitanti.
Nel 1850 erano il 6,8 per 100 mila abitanti, oggi sono diventati oltre il 20 per
100 mila abitanti, si sono cioe’ decuplicati. Fino agli inizi dell’Ottocento non
esistevano quasi depressione e nevrosi, che sono diventate nel Novecento
malattie diffusissime. Negli Stati Uniti 566 americani su 1000 fanno uso di
psicofarmaci. Uno su due non sta bene nella realta’ in cui
vive”.
Come
si e’ arrivati a questo? Tutto parte dalla Rivoluzione industriale e dall’avere
posto al centro del modello l’economia, quella stessa economia che era stata
sino al diciottesimo secolo talmente secondaria da non essere considerata
neanche una scienza autonoma. Oggi e’ invece talmente centrale che non ci
stupiamo neanche quando ascoltiamo concetti quali “Bisogna stimolare i consumi
per aumentare la produzione” . Fini la mette giu’ brutale: “Questa frase e’
folle, ma non e’ una deviazione dal modello, e’ il modello. Quindi il consumo
aiuta l’economia. Ma siamo diventati pazzi? E’ l’economia che deve aiutare noi!”
. E’ un modello folle, e’ come “un treno che va a 800 all’ora e sul quale anche
quelli seduti su comode poltrone vengono sballottati. Questo modello ha fatto il
miracolo di far stare male anche loro. Figuriamoci quelli che stanno negli
strapuntini o nei bagni. Ma dove cavolo sta andando il treno?” . L’autore non ha
dubbi. “Il modello implodera’ su se stesso quando conquistera’ tutto l’orbe
terracqueo, come accadde all’impero romano quando conquisto’ tutto il mondo
della sua epoca”.
Livio
Mascellari