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ONU: L'IMPATTO UMANITARIO DI UNA GUERRA ALL'IRAQ



Fonte: http://www.unponteper.it/

SPECIALE
L'IMPATTO UMANITARIO DI UNA GUERRA ALL'IRAQ


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RAPPORTO CONFIDENZIALE ONU:

OLTRE 1 MILIONE DI BAMBINI MORIRANNO PER LA GUERRA

di Ornella Sangiovanni

Pressoche' ignorati dai media dominanti, troppo occupati a seguire la 
questione delle "armi di distruzione" di massa vere o presunte in possesso 
dell'Iraq, si moltiplicano gli allarmi per l'impatto che una eventuale 
guerra avrebbe sulla popolazione civile nel paese

Una delle previsioni piu' sconvolgenti e' quella contenuta in un documento 
confidenziale delle Nazioni Unite che siamo riusciti recentemente a 
ottenere (e di cui e' stata preparata una traduzione italiana che sara' 
disponibile a giorni sul nostro sito www.unponteper.it/nontagliolacorda): 
sono oltre un milione i bambini che potrebbero morire in Iraq in caso di 
guerra.

Nel documento (Integrated Humanitarian Contingency Plan for Iraq and 
Neighbouring Countries), datato 7 gennaio 2003 e redatto dall'OCHA - 
l'ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite - 
si legge che il 30% dei bambini sotto i cinque anni in Iraq "sarebbero a 
rischio di morte per malnutrizione" nell'eventualita' di un conflitto. Dal 
momento che la popolazione irachena sotto i cinque anni e' di 4,5 milioni, 
questo equivale a 1,26 milioni di bambini.

Non meno catastrofiche sono alcune cifre sul possibile impatto di una 
guerra sulla situazione umanitaria:

5.210.000 i bambini sotto i cinque anni e le donne incinte o che allattano 
altamente vulnerabili

500.000 le potenziali vittime dirette e indirette del conflitto

3.020.000 le persone a rischio nutrizionale

18.240.000 le persone che potrebbero avere bisogno di accesso all'acqua

8.710.000 le persone che potrebbero avere bisogno di strutture di servizi 
igienici e sanitari

Le previsioni contenute nel rapporto si riferiscono a quello che viene 
definito uno scenario di "impatto medio", basato sulle seguenti ipotesi:

- campagna militare che incontra una certa resistenza ma termina dopo un 
periodo che va da due a tre mesi;

- distruzioni considerevoli di infrastrutture essenziali e notevoli 
movimenti esterni ed interni di popolazione causati da una offensiva di 
terra su vasta scala sostenuta da bombardamenti aerei;

- accesso ai civili colpiti dalla guerra gravemente limitato per la durata 
del conflitto.

INFRASTRUTTURE CIVILI

Un conflitto militare - si legge nel rapporto - provocherebbe 
sconvolgimenti significativi delle infrastrutture vitali nel centro e nel 
sud del paese, con gravi limitazioni alla capacita' da parte del governo e 
di altre organizzazioni umanitarie di fornire servizi essenziali e di 
condurre operazioni di soccorso.

Gravi sarebbero i danni al sistema dei trasporti - sia su strada che su 
ferrovia - e ai servizi essenziali come la rete elettrica, i magazzini per 
la conservazione delle derrate alimentari, i sistemi di trattamento delle 
acque e dei rifiuti (questi ultimi a causa dei danni all rete elettrica). 
Il porto di Umm Qasr non sarebbe disponibile a causa dei danni o di un 
possibile blocco.

VULNERABILITA' DELLA POPOLAZIONE E PROGRAMMA "OIL FOR FOOD"

A preoccupare sono soprattutto gli alti livelli di vulnerabilita' attuale 
della popolazione irachena, effetto dei 12 anni di sanzioni, e la 
dipendenza della maggior parte di essa dal governo per le proprie 
necessita' essenziali.

Secondo il WFP, sono 16 milioni (pari al 60% della popolazione totale) gli 
iracheni che dipendono dalle razioni alimentari mensili fornite dal governo.

Un conflitto sconvolgerebbe pesantemente l'attuazione del programma "Oil 
for Food": sia la consegna delle merci in arrivo in Iraq che la 
distribuzione interna degli stock attuali.

Ci sarebbero tuttavia variazioni significative a seconda delle varie 
regioni del paese: nel nord Iraq, la rete di distribuzione locale potrebbe 
rimanere piu' o meno intatta, mentre il sistema di consegne dai centri di 
Mosul e Kirkuk verrebbe assai probabilmente subito interrotto.

Anche nel sud c'e' da aspettarsi una interruzione piu' o meno immediata del 
sistema di distribuzione per effetto di un attacco militare proveniente dal 
Kuwait, mentre nel centro i bombardamenti aerei dei principali centri 
urbani sconvolgerebbero immediatamente il sistema di distribuzione in 
queste aree, come pure nelle aree rurali che vengono rifornite dai 
magazzini interessati e che dipendono dalle reti locali.

Anche se il governo negli ultimi mesi ha distribuito alla popolazione 
razioni doppie o triple, si prevede che le scorte nelle famiglie durino non 
piu' di 6 settimane. Se la distribuzione degli alimenti non dovesse essere 
ripresa rapidamente, ci potrebbe quindi essere una situazione di fame diffusa.

Secondo le stime del World Food Programme, sarebbero circa 10 milioni le 
persone interessate dall'emergenza alimentare, costrette a sfollare o 
colpite direttamente dall'azione militare.

Due gli "scenari di risposta" ipotizzati dall'agenzia dell'Onu: uno - di 
risposta iniziale - nel quale verrebbero assistite 4,9 milioni di persone, 
e un secondo - su "scala media" - che prevede l'assistenza a 9,6 milioni. I 
due scenari - si legge nel rapporto - riflettono una progressione del 
livello di assistenza, il cui passo sara' determinato dal livello di 
accesso, dalle risorse disponibili e dalla capacita' operativa nel tempo.

L'UNICEF, dal canto suo, ha piani per fornire assistenza a 910.000 bambini 
affetti da malnutrizione grave e moderata, nonche' a 700.000 donne incinte 
e in allattamento (su un totale di 5.210.000 bambini sotto i cinque anni e 
donne incinte e che allattano altamente vulnerabili).

Inoltre sta facendo piani per fornire assistenza sanitaria a 4,7 milioni di 
persone.

EMERGENZA IDRICA E SANITARIA

Perche' quella sanitaria sara' un'altra emergenza.

Anche se le scorte di vaccini e farmaci nel paese - al ritmo attuale di 
consumo - sono sufficienti per circa 4 mesi, l'UNICEF infatti prevede che 
si verifichino carenze di farmaci essenziali, specialmente antibiotici, 
entro un mese dall'inizio di una crisi, a causa dell'aumento significativo 
delle malattie gastrointestinali e delle infezioni respiratorie acute.

Particolarmente drammatica sara' la situazione dell'acqua

"In caso di crisi" - dice il rapporto "solo il 39% della popolazione 
verrebbe servita da acqua su base razionata, per un breve periodo e a 
seconda della disponibilita' di combustibile, da parte degli impianti di 
trattamento che dispongono di generatori". Forti sarebbero tuttavia le 
disparita' di accesso fra le aree urbane e quelle rurali, dato che nelle 
prime il 70% degli impianti ha capacita' di funzionamento in emergenza, 
nelle seconde solo l'11%.

Anche qui il piano dell'UNICEF e' di fornire acqua e servizi igienici e 
sanitari di emergenza a 6,9 milioni di persone, su un totale di 18.240.000 
che potrebbero avere bisogno di accesso all'acqua e 8.710.000 che 
potrebbero necessitare di servizi igienici e sanitari.

L'ONU NON POTRA' SOSTITUIRSI AL GOVERNO CENTRALE

Il rapporto sottolinea tuttavia che i bisogni umanitari della popolazione 
nel loro complesso possono essere soddisfatti solo dalle autorita' locali e 
nazionali. Le agenzie delle Nazioni Unite non potranno comunque sostituirsi 
ad esse, e qualunque sforzo da parte loro dovra' essere complementare agli 
sforzi locali e limitato agli interventi strategici di emergenza.

In particolare per la distribuzione del cibo, si dice chiaramente che le 
agenzie dell'Onu, anche se venissero resi disponibili fondi a sufficienza, 
non avrebbero la capacita' di mettere in piedi da sole in breve tempo un 
sistema che serva gran parte della popolazione come quello attualmente 
gestito dal governo, per il cui funzionamento le autorita' e infrastrutture 
pubbliche irachene "dovrebbero giocare un ruolo importante".

L'osservazione piu' preoccupante e' pero' quella secondo cui la capacita' 
delle agenzie Onu di fornire assistenza all'interno dell'Iraq variera' in 
modo considerevole fra le diverse zone del paese.

In particolare, l'accesso ai governatorati centrali (Ninive, Tamim, 
Salahuddin, Anbar, Babilonia, Wasit e Diyala) si prevede possa avvenire 
progressivamente non prima di un periodo compreso fra 1 e 3 mesi 
dall'inizio di un eventuale conflitto. Per Baghdad citta' e il suo 
governatorato il periodo sarebbe addirittura di 3 mesi o piu'.

E davvero allarmante e' la previsione del numero degli sfollati, che 
potrebbe arrivare a 900.000. Questi andrebbero ad aggiungersi ai 
900.000-1.100.000 gia' presenti nel paese: per un totale cioe' di circa 2 
milioni, di cui la maggior parte (1.150.000) nel centro.

I PROFUGHI

Fra gli effetti di un eventuale conflitto ci sono "spostamenti di 
popolazione da media a vasta scala" verso le aree rurali e quelle di 
confine - in particolare verso la Turchia e l'Iran - la maggior parte dei 
quali avrebbe origine dalle aree centrali e meridionali del paese.

Secondo le stime dell'UNCHR, sarebbero fino a 1,45 milioni i profughi e le 
persone in cerca di asilo che potrebbero cercare di fuggire dall'Iraq in 
caso di guerra.

I flussi maggiori, come gia' detto, si dirigerebbero verso Iran e Turchia, 
seguiti da Giordania, Siria, Arabia Saudita e Kuwait.

Queste le politiche di accoglienza sinora dichiarate dai diversi paesi:

Iran (numero profughi previsto: da 258.000 a 900.000): permettera' ai 
profughi di passare il confine, ma li conterra' in campi situati nelle aree 
frontaliere.

Sono stati identificati 6 punti di ingresso principali e 4 secondari, ed e' 
stato raggiunto un accordo fra governo e Nazioni Unite su 12 siti per campi 
profughi in territorio iraniano, tutti quanti entro 18 km. dalla frontiera.

Turchia (numero profughi previsto: da 136.000 a 270.000): non permettera' 
di attraversare il confine. Prevede campi sul lato iracheno del confine. 
Sembra che il governo abbia intenzione di allestire 18 campi profughi.

Giordania (numero profughi previsto: da 34.000 a 50.000): la posizione 
ufficiale e' che non verranno ammessi profughi, ma pare che il governo 
abbia lasciato intendere un certo grado di flessibilita' e abbia iniziato a 
discutere della possibilita' di siti per campi profughi dalla parte 
giordana del confine, che pero' le Nazioni Unite non hanno ancora ispezionato.

Siria (numero profughi previsto: da 20.000 a 60.000): permettera' ai 
profughi di attraversare il confine e ha identificato diversi punti di 
passaggio.

Inizialmente, il campo di raccolta dovrebbe essere quello di El Hol, che 
gia' nel 1991 e nel 1992 ha ospitato circa 8.000 profughi iracheni. Un 
ulteriore campo potrebbe essere allestito nelle vicinanze del posto di 
frontiera di Abu Kamal.

Arabia Saudita (numero profughi previsto: da 18.000 a 20.000): non 
permettera' ai profughi di attraversare il confine.

Kuwait (numero profughi previsto: da 34.000 a 50.000): il governo ha 
dichiarato che non aprira' i suoi confini, ma ha anche indicato che non 
impedira' "in modo attivo" ai profughi di attraversarli.

Si prevede che circa 15.000 profughi verranno alloggiati in siti temporanei 
all'interno della parte kuwaitiana della zona smilitarizzata, mentre circa 
35.000 rimarranno bloccati sul lato iracheno del confine. Si prevede 
inoltre che la maggior parte dei profughi arrivera' dalle citta' di Safwan 
e Bassora.

La pianificazione, la consegna e il coordinamento degli aiuti ai rifugiati 
sono affidati all'UNHCR, che ha gia' nominato un coordinatore regionale per 
i rifugiati e ha messo a punto un programma integrato di emergenza per la 
protezione e l'assistenza di sei mesi per la fase iniziale dell'emergenza 
basato su quattro priorita':

- protezione dei rifugiati

- fornitura di un "pacchetto" per l'inverno (tende, coperte, materassi, 
stufa per cucinare, lampada a kerosene, combustibile e teli di plastica)

- fornitura di servizi idrici e servizi igienico-sanitari essenziali 
secondo gli standard internazionali

- livello settoriale di assistenza al programma per rifugiati/richiedenti 
asilo al confine.

Nelle aree in cui si prevede l'afflusso di rifugiati verranno inoltre 
creati sub-uffici del World Food Programme per l'assistenza alimentare.

Ma per i rifugiati non e' l'assistenza l'unico problema.

I movimenti di popolazione - si legge nel rapporto - provocherebbero anche 
un aumento delle vittime civili per la presenza di mine antiuomo al confine 
con l'Iran e in alcune aree attorno alla "linea di divisione" (che separa 
il nord sotto controllo kurdo dal resto del paese).

Questo e' dovuto anche al fatto che fra la popolazione nel centro e nel sud 
dell'Iraq - specialmente fra quella urbana - non esiste attualmente 
consapevolezza sul problema delle mine.

COSA FARA' L'ONU

"Ai primi segnali di ostilita'" - si legge nel rapporto - tutto il 
personale internazionale delle Nazioni Unite verra' evacuato dall'Iraq.

Secondo quanto deciso dallo Steering Group Onu sull'Iraq (cui e' affidato 
il coordinamento strategico di tutte le attivita' delle Nazioni Unite), il 
quartier generale di emergenza verra' in tal caso collocato a Cipro, dove 
saranno dislocati, fra gli altri, il Coordinatore Umanitario - che 
manterra' la responsabilita' del coordinamento generale dell'assistenza 
umanitaria in Iraq e sara' affiancato da un Field Security Officer 
regionale appositamente nominato come consigliere per la sicurezza - e il 
responsabile del World Food Programme per l'Iraq.

Qui verranno inoltre trasferiti l'Humanitarian Information Centre, il 
Centro congiunto per la logistica e il Servizio Aereo Umanitario.

Il personale internazionale coordinera' l'assistenza umanitaria nel paese e 
fara' da supporto a operazioni di umanitarie transfrontaliere attraverso 
canali di comunicazione predisposti.

Il personale locale delle Nazioni Unite potrebbe essere in grado di 
condurre alcune operazioni umanitarie sia nel nord, che nel centro e nel 
sud dell'Iraq.

L'UNICEF, in particolare, dispone di personale locale qualificato sia nel 
nord che nel centro e nel sud dell'Iraq in grado di gestire il programma di 
assistenza umanitaria per tutto il periodo in cui il personale 
internazionale rimarra' fuori dal paese.

Esistono tuttavia preoccupazioni per il rischio consistente che il 
personale locale possa restare bloccato nelle proprie abitazioni, costretto 
a sfollare per la gravita' del conflitto militare oppure venga mobilitato 
dal governo. Inoltre - si legge nel rapporto - al personale locale potrebbe 
non essere consentito dalle autorita' di intraprendere alcuna attivita' di 
supporto collegata alle Nazioni Unite.

IMPREPARATI ...

Se questo dunque e' il quadro, le agenzie dell'Onu e le organizzazioni 
umanitarie sono preparate per far fronte a uno scenario di questo tipo?

La risposta quasi unanime sembra essere no.

Nel documento confidenziale citato viene ammesso che le agenzie delle 
Nazioni Unite potranno far poco per alleviare la situazione se dovesse 
esserci una guerra: "L'attuale capacita' di risposta del sistema delle 
Nazioni Unite rimane ben al di sotto dei requisiti critici stabiliti nel 
processo di pianificazione inter-agenzie".

Il collasso dei servizi essenziali in Iraq - si dice - "potrebbe portare a 
una emergenza umanitaria di proporzioni ben al di la' della capacita' delle 
agenzie delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni umanitarie".

E ancora: "Tutte le agenzie delle Nazioni Unite soffrono di gravi 
limitazioni di fondi che impediscono loro di raggiungere anche livelli 
minimi di preparazione".

Le conferme non mancano.

Mentre le agenzie dell'Onu prevedono una "emergenza umanitaria di portata e 
grandezza eccezionali", esse "mancano di una capacita' di risposta 
efficace", si legge in un rapporto (The Human Cost of War in Iraq) diffuso 
di recente dal CESR (Center for Economic And Social Rights), una 
organizzazione internazionale con sede a New York che ha per fine di 
promuovere la giustizia attraverso i diritti umani.

Frutto della missione di una e'quipe di ricerca composta da 16 esperti, fra 
i quali l'ex coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Iraq, Hans von 
Sponeck, che ha visitato l'Iraq dal 17 al 30 gennaio, il rapporto - reso 
fornisce un quadro decisamente scoraggiante. Esso mette, fra l'altro, in 
discussione la capacita' degli attori competenti di operare in modo 
efficace alla luce della prevista distruzione del sistema dei trasporti e 
delle comunicazioni e del collasso delle infrastrutture pubbliche.

"Il nostro rapporto conferma che e' improbabile che le agenzie umanitarie 
internazionali possano evitare un disastro umanitario di grandi 
proporzioni", da dichiarato Michael Van Rooyen, direttore del Center for 
International emergency, Disaster and Refugee Studies della Johns Hopkins 
Bloomberg School of Public Health, uno degli esperti del team.

... E SQUATTRINATI

Ma un problema di particolare gravita' e' quello della mancanza di fondi, 
come denunciato di recente piu' volte da numerose agenzie dell'Onu.

Un appello alla comunita' internazionale perche' dia maggiori aiuti e' 
stato fatto il 2 marzo da Rud Lubbers, responsabile dell'UNHCR, che sta 
gia' lavorando nei paesi confinanti con l'Iraq - Turchia e Iran - per 
prepararsi a un esodo di grandi proporzioni.

Anche la responsabile dell'UNICEF, Carol Bellamy, parlando alla BBC, ha 
accusato i governi di essere lenti nel fornire fondi per affrontare una 
crisi umanitaria nella regione: "Finora non ci sono praticamente soldi ... 
per nessuna delle agenzie umanitarie".

"Allo stato attuale delle cose, e' quasi tutto autofinanziato, il che 
significa sottrarre denaro a luoghi come la Sierra Leone, o l'Afghanistan, 
o la Somalia o la Colombia, e anche quelle sono crisi", ha dichiarato.

"Abbiamo solo un terzo dei fondi che ci servono per i preparativi di base", 
ha detto il 7 marzo da Ginevra Elizabeth Byrs, portavoce dell'Ufficio per 
il coordinamento degli Affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA), 
aggiungendo che l'Onu ha sinora ricevuto dai donatori che hanno risposto 
all'appello 40 milioni di dollari, a fronte della richiesta di 123,4 
milioni di dollari fatta in febbraio per coprire i primi tre mesi di una 
eventuale operazione in caso di guerra.

Il problema della mancanza di fondi viene sottolineato anche dal World Food 
Programme. L'agenzia dell'Onu ha fatto un appello per 23 milioni di dollari 
per finanziare "un piano iniziale di emergenza" in grado di fornire razioni 
alimentari a 900.000 persone per 10 settimane. "Finora ne abbiamo ricevuti 
solo 7,5" - dice il portavoce Trevor Rowe.

E piu' di due terzi dei 60 milioni di dollari richiesti mancano all'UNHCR, 
che, secondo il suo portavoce Ron Redmond, ha gia' speso 25 milioni di 
dollari in forniture per 200.000 profughi (il numero previsto nel caso piu' 
favorevole e' di 600.000), costretta a prelevare 16 milioni dal suo fondo 
di emergenza.

Situazione analoga per l'UNICEF, che, in assenza di soldi da parte dei 
paesi donatori, ha utilizzato 7 milioni di dollari dal fondo di emergenza 
per l'acquisto di biscotti proteici e latte terapeutico, compresse per 
purificare l'acqua e altre forniture e sta facendo una corsa contro il 
tempo per fornire aiuto ai bambini affetti da malnutrizione nella speranza 
di aumentarne le probabilita' di sopravvivenza in caso di guerra.

Dal canto loro, gli Stati Uniti avrebbero dato dei fondi all'Onu, ma 
riserverebbero il grosso per aiuti "paracadutati" - del genere di quelli, 
per intendersi lanciati in Afghanistan durante la campagna di bombardamenti 
del 2001.

A quanto riferisce il Guardian (10 marzo 2003), ne avrebbero gia' pronte 
tre milioni di razioni.

La somma stanziata - secondo il direttore della US Agency for International 
Development, Andrew Natsios - sarebbe di circa 78 milioni di dollari: 
neanche l'1%, commenta il quotidiano britannico, del costo previsto per il 
lato militare della guerra.

BAMBINI A RISCHIO

Ma la situazione di massima vulnerabilita' e' senza dubbio quella dei bambini.

Secondo un recente rapporto dell'International Study Team - un gruppo di 
esperti indipendenti (accademici, ricercatori, medici e psicologi) creato 
nel 1991 per esaminare gli effetti dei conflitti militari sui civili e 
autore di quello che viene considerato il rapporto piu' esaustivo sulle 
conseguenze della guerra del Golfo - i 12 milioni di bambini iracheni sono 
a grave rischio in caso di nuova guerra, e piu' vulnerabili ai suoi effetti 
nefasti di quanto non fossero nel 1991.

Il rapporto (Our Common Responsibility: The Impact of a New War on Iraqi 
Children), reso pubblico il 30 gennaio scorso e' il risultato del lavoro di 
una e'quipe di esperti, guidata dal Dr. Eric Hoskins, un medico canadese 
che e' stato in Iraq almeno 25 volte. Le sue conclusioni si basano, oltre 
che su dati di numerose fonti - comprese le Nazioni Unite, alcune ong 
nazionali e internazionali e funzionari governativi iracheni, su interviste 
fatte in oltre 100 famiglie dal 20 al 26 gennaio, durante una missione in 
Iraq finanziata da oltre 20 ong canadesi americane e norvegesi, senza alcun 
supporto dal governo iracheno.

La previsione e' quella di "un grave disastro umanitario". In caso di 
guerra le vittime fra i bambini potrebbero essere migliaia, forse decine di 
migliaia, non solo a causa dei combattimenti, ma delle conseguenze di un 
conflitto, come lo sconvolgimento del sistema di distribuzione del cibo, la 
mancanza di farmaci, il flusso di profughi.

La maggior parte dei bambini iracheni - si legge nel rapporto - dipende 
dalle razioni alimentari distribuite dal governo: lo sconvolgimento di 
questo sistema a causa di una guerra avrebbe su di loro un impatto 
devastante dati i livelli elevati di malnutrizione gia' esistenti.

La condizione attuale dei bambini iracheni dal punto di vista sia sanitario 
che nutrizionale li rende dunque oggi piu' vulnerabili alla guerra di 
quanto non fossero nel 1991.

Ma l'aspetto piu' sconvolgente e' senza dubbio quello indagato dai due 
psicologi del team, esperti di fama mondiale dell'impatto psicologico della 
guerra sull'infanzia.

I bambini iracheni - dicono i risultati della loro indagine - soffrono di 
gravi danni psicologici a causa della minaccia di guerra che incombe su di 
loro. Oggi i bambini in Iraq vivono con una grande paura di una nuova 
guerra: sono "spaventati, ansiosi e depressi". Molti hanno incubi e il 40% 
di quelli intervistati non crede che valga la pena vivere.

Copie del rapporto sono state inviate al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, 
al governo iracheno e a quello canadese. Il rapporto e' stato sinora 
ignorato dalla stampa dominante, con alcune rare eccezioni, fra cui il 
quotidiano britannico The Independent, e, in Italia, il settimanale "Carta".

UMANITARI CON L'ELMETTO?

Intanto fra le varie organizzazioni umanitarie internazionali si diffonde 
il timore di poter essere "inquadrate" o messe in qualche modo sotto la 
tutela del Pentagono. Quest'ultimo, in effetti, ha di recente annunciato la 
creazione di un Ufficio per la ricostruzione e l'aiuto umanitario, posto 
sotto l'autorita' diretta dello Stato Maggiore, e diretto dal generale in 
pensione Jay Garner.

Un organismo che afferma di voler "facilitare" l'intervento delle ong.

La cosa non convince, anzi, rende molto inquieti, soprattutto i francesi.

In un comunicato comune diffuso di recente, Action contre la faim, 
Me'decins du monde, Handicap International, Premie're Urgence, Solidarite's 
e Enfants du monde hanno proclamato il loro rifiuto "di subordinare 
l'azione sul campo a una autorita' militare che e' parte nel conflitto", 
ricordando che "l'azione umanitaria non puo' essere considerata come 
un'arma al servizio di obiettivi militari".

A preoccupare queste organizzazioni e' soprattutto il timore che siano gli 
americani a dover dar loro il via libera per entrare nelle zone 
preventivamente "bonificate" dai loro soldati.

"Limitare l'intervento alle zone pacificate" - scrivono - "e' snaturare 
l'aiuto umanitario imponendogli di scegliere fra le vittime", e denunciano 
il rischio di "un aiuto mirato (...) a favore delle regioni in cui il 
potere locale e' favorevole alla coalizione guidata dagli Stati Uniti".

Non tutti pero' la pensano cosi'. Da un lato c'e' Me'dicins sans 
frontie'res (MSF), che non ha firmato il comunicato, e ritiene che sara' 
difficile lavorare al di fuori del quadro fissato dal Pentagono.

"Saremo pragmatici" - dichiara il responsabile del programma Iraq, Pierre 
Salignon, citato dal quotidiano Libe'ration (4 marzo 2003) . "E' 
nell'azione che affermeremo la nostra indipendenza, in particolare 
dirigendo i nostri sforzi sulle popolazioni che saranno trascurate dagli 
americani".

Gli "umanitari" - secondo MSF - non hanno "il monopolio dell'assistenza": 
in quanto parte belligerante, l'esercito americano "ha non solo il diritto 
ma anche l'obbligo di aiutare le popolazioni civili", dicono.

Dall'altro, c'e' Expats-network, un network indipendente di circa 2300 
volontari, che ha diffuso in rete una petizione contro qualunque assistenza 
sia in Iraq che nei paesi limitrofi.

"Se scoppia il conflitto" - dicono - "saremo chiamati a essere i supplenti 
di un esercito di aggressione". L'appello - spiega Herve' Gonsolin, uno dei 
fondatori - e' una forma di provocazione mediante la quale si vuole 
suscitare una riflessione in seno alle ong.

"A ogni crisi, gli umanitari si precipitano senza porsi delle domande. Ma 
su che base deontologica agiamo?".

IRAQ: IL PUNTO SULLE ISPEZIONI

Le ispezioni sugli armamenti non convenzionali in Iraq sono iniziate il 27 
novembre 2002, dopo una interruzione di circa 4 anni. Gli ispettori vennero 
infatti ritirati nel dicembre 1998, alla vigilia dell'operazione militare 
Desert Fox, e da allora non erano piu' rientrati nel paese.



7 dicembre 2002: con un giorno di anticipo sulla scadenza prevista dalla 
risoluzione Onu 1441 (2002)) l'Iraq consegna la dichiarazione sui suoi 
programmi di armamenti: un dossier imponente, composto da oltre 12.000 
pagine, suddiviso in quattro parti: nucleare, chimico, biologico e balistico.
19 dicembre 2002: Hans Blix, Direttore Esecutivo dell'UNMOVIC, e Mohammed 
El Baradei, Direttore Generale dell'IAEA, fanno un rapporto preliminare al 
Consiglio di Sicurezza.
28 dicembre 2002: l'Iraq consegna una lista con i nomi di oltre 500 
scienziati che hanno lavorato ai suoi programmi di armamenti.
9 gennaio 2003: Hans Blix e Mohammed El Baradei presentano al Consiglio di 
Sicurezza il rapporto finale sul dossier iracheno. Essi dicono di non aver 
sinora trovato in Iraq alcuna "pistola fumante" (ovvero, nessuna prova 
inconfutabile) del fatto che il paese possieda armi di distruzione di 
massa. Ribadiscono tuttavia che la dichiarazione presentata dall'Iraq e' 
"incompleta", e che molte questioni restano da chiarire. Dal dossier 
risulterebbe inoltre che l'Iraq ha violato le sanzioni dell'Onu, importando 
parti (motori per missili) e materie prime per la produzione di 
combustibile solido per missili per il suo programma missilistico.
19 e 20 gennaio 2003: Blix ed El Baradei vanno a Baghdad per colloqui con i 
funzionari iracheni. Viene sottoscritta una dichiarazione congiunta in 10 
punti, nella quale, fra l'altro, l'Iraq si impegna a "incoraggiare le 
persone ad accettare l'accesso anche in aree private" e a "incoraggiare" le 
persone a cui venga richiesto ad accettare interviste in privato. L'Iraq 
dice inoltre di essere pronto a rispondere alle questioni sollevate in 
merito alla sua dichiarazione del 7 dicembre 2002.
27 gennaio 2003: Blix ed el Baradei presentano al Consiglio di Sicurezza il 
rapporto sulle ispezioni previsto dalla risoluzione 1441 (2002). Blix, 
Direttore Esecutivo dell'UNMOVIC, dice che l'Iraq non ha accettato 
sinceramente - neanche oggi - le risoluzioni dell'Onu che ne impongono il 
disarmo, aggiungendo tuttavia di non poter confermare le accuse degli Usa, 
secondo le quali Baghdad avrebbe ricostituito il suo arsenale.
Il Direttore Generale dell'IAEA, Mohammed El Baradei, afferma nel suo 
rapporto di "non aver trovato prove che l'Iraq abbia ripreso il suo 
programma di armamenti nucleari dalla sua eliminazione negli anni '90", 
sottolineando di aver bisogno ancora di "alcuni mesi" per continuare le 
ispezioni: mesi - ha detto - che "sarebbero un investimento prezioso, 
perche' potrebbero aiutarci a evitare una guerra".
Blix dice inoltre che molte questioni fondamentali restano ancora senza 
risposta, in particolare dove si trovino l'agente nervino VX, 2 tonnellate 
di mezzi di coltura per agenti biologici tipo l'antrace, 550 granate da 
artiglieria riempite di iprite e 6.500 bombe chimiche di cui l'Iraq sinora 
non ha dato conto. Inoltre, malgrado le assicurazioni date dall'Iraq che 
esso avrebbe incoraggiato i suoi scienziati a farsi intervistare in privato 
dagli ispettori, nessuna di queste interviste ha ancora avuto luogo.
I rapporti si trovano a:

http://www.un.org/Depts/unmovic/Bx27.htm (rapporto Blix)

http://www.iaea.org/worldatom/Press/Statements/2003/ebsp2003n003.shtml 
(rapporto El Baradei)

29 gennaio 2003: nuova riunione del Consiglio di Sicurezza
8-9 febbraio 2003: Blix ed El Baradei vanno a Baghdad per colloqui con le 
autorita' irachene "su alcuni importanti temi in sospeso"
14 febbraio 2003: Blix ed El Baradei presentano un nuovo rapporto al 
Consiglio di Sicurezza. Mentre nel rapporto dell'IAEA si dice di non aver 
trovato sinora "alcuna prova di attivita' nucleari o relative al nucleare 
proibite in corso in Iraq", il rapporto di Blix sottolinea le numerose 
questioni ancora in sospeso, e la necessita' di una "immediata, attiva e 
incondizionata cooperazione" da parte dell'Iraq perche' le ispezioni 
possano essere completate in un tempo breve. Si da' inoltre notizia del 
fatto che gli esperti balistici dell'UNMOVIC hanno concluso all'unanimita' 
- dopo un confronto con altri esperti di un certo numero di stati membri 
dell'Onu - che i missili as Samoud 2 in possesso dell'Iraq rientrano fra 
gli armamenti vietati perche' la loro gittata supera i 150 km. consentiti.
L'UNMOVIC impone all'Iraq la loro distruzione fissando il termine per 
l'inizio al 1 marzo. Baghdad accetta e inizia la distruzione entro la data 
stabilita.
I rapporti si trovano a:

http://www.un.org/Depts/unmovic/blix14Febasdel.htm (rapporto Blix)

http://www.iaea.org/worldatom/Press/Statements/2003/ebsp2003n005.shtml 
(rapporto El Baradei)

7 marzo 2003: nuovo rapporto degli ispettori al Consiglio di Sicurezza.
Secondo Blix, pur non potendosi definire l'atteggiamento dell'Iraq come di 
cooperazione "immediata", esso tuttavia puo' essere attualmente considerato 
"attivo" o anche "proattivo". In particolare, l'aver intrapreso la 
distruzione dei missili as Samoud 2 costituisce "una misura sostanziale di 
disarmo". "Non siamo di fronte alla rottura di stuzzicadenti" - scrive Blix 
- "Si stanno distruggendo armi letali". Ma le rivelazioni piu' 
significative sono contenute nel rapporto di El Baradei, nel quale si dice 
che l'esame di alcuni documenti relativi a tentativi da parte dell'Iraq di 
importare uranio dal Niger ha mostrato che detti documenti "non sono 
autentici". Anche le indagini sui tubi di alluminio ad alta resistenza che 
l'Iraq ha tentato di acquistare in grandi quantita', e che, secondo gli 
Stati Uniti, sarebbero dovuti servire per fabbricare centrifughe per 
l'arricchimento dell'uranio hanno dimostrato che essi non erano adatti allo 
scopo (e confermato la versione irachena, secondo la quale erano destinati 
alla produzione di razzi). Il rapporto conclude che "Dopo tre mesi di 
ispezioni invasive, non abbiamo sino ad oggi trovato alcuna prova o 
indicazione plausibile di una ripresa di un programma di armamenti nucleari 
in Iraq".
I rapporti si trovano a:

http://www.un.org/Depts/unmovic/SC7asdelivered.htm (rapporto Blix)

http://www.iaea.org/worldatom/Press/Statements/2003/ebsp2003n006.shtml 
(rapporto El Baradei)

Attualmente (11 marzo 2003) sono 71 gli ispettori dell'Onu presenti in 
Iraq. Oltre 500 i siti sinora ispezionati.
(a cura di Ornella Sangiovanni)