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TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA



Fonte: http://www.malamente.com/another_world/trainstopping.htm


TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA

      Le recentissime manifestazioni da parte di società civile, movimenti,
      partiti contro la guerra in Irak da tempo annunciata (perché
      indispensabile per preservare il disordine mondiale che garantisce a pochi
      il controllo planetario?) costringe anche i giuristi a confrontarsi
      nuovamente con il problema della rilevanza giuridica della pace.
      Vi sono numerose norme nell'ordinamento internazionale che fanno
      riferimento ad un "diritto alla pace". Ne sono esempio il Preambolo della
      Carta delle Nazioni Unite del 1945 (ratificata dall'Italia nel 1957),
      l'articolo 20 del Patto sui diritti civili e Politici del 1966, ma anche
      la risoluzione 33/73 dell'Assemblea generale dell'Onu che all'articolo 1
      recita: "Ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere da considerazioni
      di razza, coscienza, lingua o sesso, ha il diritto intrinseco a vivere in
      pace. Il rispetto di tale diritto, al pari degli altri diritti umani,
      risponde agli interessi comuni di tutta l'umanità e costituisce una
      condizione indispensabile per il progresso di tutte le nazioni, grandi e
      piccole, in tutti i campi." Infine, la stessa Assemblea generale ha
      adottato nel 1984 la Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace che
      "proclama solennemente che i popoli del nostro pianeta hanno un sacro
      diritto alla pace" e "dichiara solennemente che la tutela del diritto dei
      popoli alla pace e l'impegno alla sua attuazione costituiscono un obbligo
      fondamentale di ogni stato".
      Nei giorni scorsi l'argomento è divenuto di scottante attualità per il
      fatto che dei manifestanti hanno bloccato i cd. treni della morte, cioè
      quei treni carichi di materiale bellico destinati alla base USA di Camp
      Darby vicino a Pisa da dove saranno inviati al Golfo Persico per la
      imminente guerra.
      Vi è il pericolo che - come già è successo in passato - detti manifestanti
      vengano incriminati, ad esempio per il reato previsto dal DLGS 66/1948,
      che nella parte della norma non toccata dalla depenalizzazione del 1999
      punisce "chi depone o abbandona oggetti in una strada ferrata al fine di
      ostruirla" con la reclusione da uno a sei anni, o ancora per il reato di
      cui all'articolo 340 Codice Penale che sanziona l'interruzione di un
      servizio pubblico con pene che possono arrivare fino a cinque anni di
      reclusione.
      Si pone dunque il problema di individuare, oltre alle norme di diritto
      internazionali citate che peraltro non sono cogenti nel nostro ordinamento
      essendo considerate norme di cd. di soft law, anche nell'ordinamento
      italiano disposizioni utili a definire la portata del diritto alla pace
      e/o di eventuali altri strumenti giuridici per trasformare l'istanza etica
      rappresentata dai manifestati in chiave giuridica.
      Una prima indicazione in tal senso, e senza voler ricordare che secondo il
      filosofo del diritto Hans Kelsen la pace è il fine minimo di ogni
      ordinamento giuridico, o che Sant'Agostino riteneva che il bellare fosse
      semper illicitum, può essere offerta dal sempre attualissimo articolo 11
      della Costituzione italiana, secondo la quale l'Italia "ripudia la
      guerra".
      Pur se non delineato a chiare lettere nel disegno costituzionale,
      l'imposizione per il Tramite della nostra Costituzione di regole di
      condotta vincolanti per gli organi statali - la cui osservanza garantisce
      la legittimità delle scelte e degli atti adottati, altrimenti illegittimi!
      - è venuta a fondare, secondo autorevoli giuristi, un vero e proprio
      "diritto della collettività all'instaurazione di rapporti pacifici con
      altri popoli", cioè un nostro diritto a pretendere che i nostri governanti
      attuino nei loro comportamenti i principi fondamentali della nostra
      Costituzione, primo fra tutti quello di astenersi dall'uso della forza nei
      rapporti internazionali, o meglio del ripudio della guerra. Riconosciuto
      tale diritto, si aprirebbe la strada - per i manifestanti eventualmente
      incriminati per essersi opposti al transito dei treni della morte -
      all'invocazione dell'articolo 51 del Codice Penale, il quale esclude la
      punibilità dei comportamenti (impedire il passaggio dei treni) fondati
      appunto su un diritto.
      Un'altra strada, per invero, è stata già percorsa dal Tribunale di Trento
      (!), il quale nel gennaio 1992 in un analogo caso coraggiosamente statuì
      che "sussiste la scriminante dello stato di necessità putativo nella
      partecipazione ad una manifestazione pacifista, con invasione dei binari
      di una stazione ferroviaria al fine d'impedire il trasporto di carri
      armati destinati ad operazioni militari in Irak e di salvare, per tal
      modo, un numero indeterminato di persone". In altre parole, il Tribunale
      di Trento - che ha posto un importante precedente giurisprudenziale, per
      quanto non vincolante negli ordinamenti di civil law - ha sancito la
      legittimità dell'occupazione dei binari da parte dei manifestanti che si
      opponevano alla guerra in Irak perché così facendo gli stessi erano
      convinti di salvare moltissime vite umane dai bombardamenti
      angloamericani.
      A tale pronuncia del Tribunale di Trento se ne sono aggiunte molte altre,
      tra le quali Grosseto, Milano, Rovereto, Torino, Mantova, Cremona, Verona:
      alcune delle dette pronunce giustamente indicano il primo criterio
      interpretativo delle norme penali invocate nella Costituzione, e
      segnatamente nei principi di libera manifestazione del pensiero e della
      libertà di riunione. La stessa legge 185/90, di cui tanto si parla anche
      negli ultimi tempi, che disciplina il controllo dell'esportazione,
      importazione e transito dei materiali di armamento all'articolo 1 dice che
      "il transito di materiale di armamento (.) dev[e] essere conform[e] alla
      politica estera e di difesa dell'Italia. Tali operazioni vengono
      regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione
      repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
      controversie internazionali." Lo tesso legislatore recepisce dunque molto
      chiaramente il dettato della Carta Costituzionale.
      Un'ultima osservazione, senza voler entrare nel merito della cd. guerra
      giusta che anche l'Italia si appresta a combattere in Iraq (ma le guerre
      non sono sempre giuste per chi le fa?): vi è una controversia
      internazionale aperta in seno alle Nazioni Unite, i cui organi si occupano
      del problema seguendo una complessa procedura che ha il fine di far
      vincere chi ha ragione. La guerra, invece, ha l'opposto fine di dare
      ragione a chi vince.
      Ecco perché sono e rimango convinto che la prima e fondamentale legge di
      natura che permette di instaurare uno stato civile e democratico sia
      quella stigmatizzata da Hobbes: pax est quaerenda, dobbiamo pretendere la
      pace.
      Avv. Nicola Canestrini
      nicola.canestrini@canestrinilex.it
      Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace
      www.studiperlapace.it
      Giuristi democratici Trentino - Südtirol