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Dite agli italiani che è la gente che soffre in Iraq



Mons. Slamon Warduni, vescovo ausiliare della chiesa caldea di Baghdad, 
ha avuto alcuni incontri in Italia. Riportiamo il messaggio lanciato a 
Brescia, il 12 gennaio.

L’incontro con un testimone diretto della tragedia del popolo irakeno 
ha accresciuto la convinzione dell’assurdità di una guerra contro un 
popolo già allo stremo della resistenza.

Facciamo nostra la proposta lanciata da don Mimmo. È davvero tempo di 
mettere in atto la “comunione tra le chiese” e la solidarietà tra i popoli.

“Non credete che un segno di comunione anche fisico possa contribuire a 
risparmiare inutili sofferenze e distruzioni?”.


L’Iraq è un paese molto provato. È stato quasi sempre in guerra, anche 
in passato. Pensate ai Curdi: nell’ultima guerra sono stati divisi in 
quattro stati diversi; non sono visti bene nel paese in cui si trovano, 
mentre hanno amici nell’altro paese. Abbiamo avuto la guerra contro 
l’Iran, poi la guerra del ’91 e poi dodici anni di embargo. Tutto 
questo ci ha sconvolto. Prima non era così, ora ogni irakeno cerca di 
sfruttare l’altro: del resto, come possono vivere insegnanti che 
ricevono 3 Euro al mese, o ingegneri che possono disporre ogni mese di 
10 Euro? Come stupirsi se molti cercano di fuggire all’estero?

LA GENTE È NELLA DISPERAZIONE
L’embargo ci ha privati di tutto, dal latte ai medicinali, per anni non 
c’è stato zucchero. I giovani non vedono un futuro, le mamme si sentono 
sole, nell’impossibilità di nutrire e di curare i loro figli. Mancano 
beni essenziali e non possiamo viaggiare: per venire in Italia ho 
dovuto raggiungere con l’auto Amman, la capitale della Giordania, solo 
qui potevo prendere l’aereo. L’aeroporto civile è chiuso da anni e solo 
negli ultimi mesi ci sono voli che collegano Baghdad con Amman e 
Damasco, tre volte la settimana.
Ma la cosa peggiore è che le guerre, l’embargo e ora la minaccia di una 
nuova e devastante guerra hanno distrutto anche le coscienze. La gente 
è preoccupata, ma cosa può fare? Si stringe ancora più vicino al loro 
governo, perché dà l’impressione di fare ogni sforzo per evitare la 
guerra, aprendo le porte agli ispettori internazionali.
La gente è nella disperazione. Non basta l’uranio impoverito, lasciato 
dalla guerra precedente? Ha accresciuto i tumori e le morti, specie dei 
bambini, come pure sta recando gravi danni alle mamme in attesa dei 
figli. Si parla di “armi chimiche”: ma perché non c’è nessuna ricerca 
sull’uranio che l’Occidente ha gettato in Iraq nel ’91 e che ancora rimane?
Noi, all’interno dell’Iraq, non vediamo alcun motivo di una guerra. 
Bush vuole la guerra, vuole distruggere, vuole farci schiavi: ma 
perché? Perché deve pagare la gente a causa dei dirigenti? Il fatto dei 
dirigenti è nostro, ogni paese si governa autonomamente.

SE NON AVESSIMO IL PETROLIO, AVREMMO IL DIRITTO DI VIVERE
Il nostro male è di avere il petrolio nel sottosuolo. Prima ci hanno 
colonizzato gli inglesi, hanno preso il petrolio e se ne sono andati. 
Quando il governo ha nazionalizzato il petrolio, gli inglesi si sono 
messi contro.
Voi non potete immaginare la vera situazione, perché le notizie che vi 
vengono date sono falsate o sono parziali. Il presidente dell’Iraq 
prima era un angelo, quando faceva comodo averlo come alleato, ora è un 
demonio: ma è esattamente quello di prima. Chi dava le armi al 
presidente contro l’Iran? Gli Usa, quasi gratis. Il popolo irakeno non 
dà più fiducia a questa gente: il loro dio è il petrolio. Se non 
avessimo avuto il petrolio, avremmo il diritto di vivere e i giovani 
avrebbero il diritto di avere un futuro.
Il massimo dell’assurdità è stato che, durante la guerra del Golfo, 
ciascun paese veniva a distruggere quello che aveva costruito prima: ad 
esempio, le fabbriche d’armi o le fabbriche chimiche.
Tenete presente che hanno sempre continuato a bombardare, nel sud del 
nostro paese. Vogliono dividere l’Iraq: ma questo è il tempo del 
dialogo, non delle divisioni.

DITE NO ALLA GUERRA
Il sangue di Abele grida a Dio. Gli Usa vogliono “liberare” il mondo? 
Che liberino se stessi! Dov’è la fede in America? Se Bush credesse 
davvero in Dio, che è Amore (e l’amore fa sì che uno si sacrifica per 
l’altro, agisce per dare, non per prendere!), non potrebbe progettare 
queste guerre. Dicono che l’Iraq ha le armi? Ma quale paese non ha 
armi? Gli Usa hanno solo bastoni e pietre? E Israele? Tanti morti per 
niente. E voi, perché volevate la Libia? Non è questo tipo di rapporti 
che Dio vuole.
L’Europa dica no alla guerra. Ogni guerra è sempre causa di sofferenze. 
Occorre lavorare per la pace e il dialogo. Come bene hanno detto la 
Germania e anche Romano Prodi: nessuna guerra se non si hanno le prove. 
Ma anche se ci fossero le prove, non ci vuole la guerra, si devono 
risolvere i problemi in altro modo.
Fate sentire agli italiani che è la gente che soffre in Iraq. La guerra 
è sempre male, in tutti i paesi, e dovunque si deve sempre cercare la 
pace. Unitevi al papa, non solo perché è papa, ma perché dice il 
giusto: in questa guerra è l’unica voce che parla senza paura. Ci vuole 
una forza morale; noi non abbiamo le armi, ma la fiducia in Dio.
Fate anche voi come abbiamo fatto noi, un giorno di digiuno per la 
pace. Sono venuti anche degli americani: abbiamo pregato insieme. Hanno 
detto alla nostra gente: “Siamo con voi e faremo sentire a tanti la 
vostra situazione e la vostra sofferenza”.
Vi ringrazio della vostra vicinanza e solidarietà. Se verrà la pace, 
tutti voi siete invitati in Iraq. Avete una casa in Iraq. Speriamo che 
ci sia la pace. Altrimenti ci vedremo in cielo.

SLAMON WARDUNI
vescovo ausiliare di Baghdad




ALLE CARITAS DIOCESANE E AI LORO VESCOVI

Sono don Mimmo Bruzzese, direttore della Caritas diocesana di San Marco 
A.-Scalea in provincia di Cosenza. Sono tornato da dieci giorni 
dall’Iraq e vorrei condividere con voi qualche riflessione ed una proposta.
	Intanto dico subito che in questo viaggio non mi aspettavo una 
presenza cristiana in un paese musulmano così numerosa e singolare. 
Prima della guerra del Golfo i cristiani erano oltre settecentomila, ma 
da allora sono stati in tanti ad abbandonare il paese. Ho visitato 
alcune chiese e partecipato a celebrazioni in occasione del passaggio 
delle reliquie di Santa Teresa: bellissime liturgie, con grande 
concorso di fedeli.
Ho partecipato ad alcune lezioni del corso di Teologia per laici presso 
la cattedrale latina di Bagdad: la scuola è organizzata e diretta dai 
Domenicani, funziona regolarmente da diciotto anni, attualmente è 
frequentata da oltre mille studenti (negli anni precedenti erano molti 
di più) appartenenti a varie confessioni cristiane (caldei, siriaci, 
armeni, nestoriani, ortodossi…) ed alcuni di essi fanno anche trecento 
chilometri di strada all’andata ed altrettanti al ritorno per 
partecipare alle lezioni.
Ho visitato anche il Pontifical Babel College per gli studi di 
filosofia e teologia. Anche qui le stesse caratteristiche dell’Istituto 
precedente, stessa impostazione “ecumenica” (che qui è un dato 
acquisito da tempo) con in più un’altra caratteristica: nel corso di 
filosofia insegnano anche quattro professori musulmani dell’Università 
statale.
È una chiesa di antichissima fondazione (risale ai tempi apostolici, a 
San Tommaso) ed “è riconosciuta la sua primogenitura anche dall’islam”, 
mi diceva il vescovo mons. Jaques Isaac, che è anche docente e rettore 
dell’Istituto. “Mi sento molto più rispettato come vescovo in questo 
ambiente musulmano che in Europa. Non capisco perché siamo così poco 
conosciuti e considerati dalla stessa chiesa. Da parte dei governi 
occidentali si continuano a sostenere paesi fondamentalisti come 
l’Arabia (che in cambio partoriscono terroristi, mentre finora non è 
stata provata l’appartenenza di un solo iracheno a queste cellule) e si 
spinge sempre di più l’islam verso posizioni radicali e  la chiesa 
verso la sua estinzione”.
“Io sono sicura che non ci sarà alcun bombardamento, perché Dio non lo 
permetterà” mi dice una ragazza cristiana che, senza altra risorsa 
della sola fede nel soccorso della Provvidenza, ha avviato con altre 
cinque compagne una forma di vita consacrata in favore di anziani e 
portatori di handicap, con i quali condividono tutto.
E Sabbah, il giovane traduttore, aggiunge: “Questo lo sento anch’io”. 
“Dio sa quello che fa, continua la ragazza, e non permetterà questa 
guerra. Perciò siamo tranquilli”.

UN SEGNO DI COMUNIONE
È questa nota di fiducia assoluta nella custodia e nella protezione da 
parte di Dio, che ho percepito praticamente dappertutto. La guerra 
prima e l’embargo poi non hanno piegato la fede di questo popolo, che 
anzi sembra essersi addirittura rafforzata: esso continua a lavorare e 
sperare con grande pace. Una pace che sinceramente mi sgomenta e che 
mette certamente a nudo la mia poca fede… E se da una parte trovo 
giusto e persino commovente tanto fiducioso abbandono nel Dio fedele, 
dall’altra non posso darmi pace usando i loro argomenti per tacitare la 
mia coscienza. Loro possono parlare così, io no. Sento l’obbligo di 
fare anche qualcos’altro. E se non lo faccio, sento che me ne sarà 
chiesto conto.
Ed è questo il motivo che mi ha spinto a rivolgermi a voi. Ritenete 
impensabile che da parte nostra si possa vivere più in comunione con 
una chiesa così? Una comunione fatta sicuramente, in primo luogo, di 
affetto e di preghiera. Ma possiamo fermarci qui? In un momento come 
questo, non credete che un segno di comunione anche fisico possa 
contribuire a risparmiare loro tante inutili sofferenze e distruzioni?
L’Iraq non è solo Saddam. L’idea che si tende a far passare è che la 
guerra sia rivolta solo contro di lui ed il suo governo, ma non è vero: 
c’è un popolo intero, oltre 22 milioni di persone, che sta agonizzando 
da più di dieci anni e che fra qualche settimana sarà sottoposto ancora 
a sofferenze atroci. Ed una chiesa, tra le più numerose e meglio 
inserite in terra musulmana, che rischia l’estinzione.
Non si potrebbe promuovere, da parte delle nostre comunità, un 
“pellegrinaggio” nella terra di Abramo? Una schiera di pellegrini 
(vescovi, sacerdoti e fedeli) che vivono alcuni momenti di vera 
fraternità con la chiesa caldea, armena, siriaca, latina… in terra d’Iraq.
Già in tanti sono andati o stanno per andare, da ogni parte, persino 
dagli Stati Uniti. Andarci dopo, oppure organizzare aiuti umanitari per 
seppellire i morti o soccorrere i feriti e i profughi, mi sembrerebbe 
crudele e cinico.

DON MIMMO
Belvedere Marittimo