[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

Momento critico degli USA e responsabilità dell’Europa



Il 14 e 15 dicembre scorso, il Centro Studi Sereno Regis ha organizzato 
a Torino un Convegno internazionale, Globalizzazioni, terrorismi e 
guerre: le alternative della nonviolenza. Poiché ci sembrava importante 
e anche in sintonia con il Convegno di Missione Oggi del prossimo 10 
maggio, La Pace come progetto, abbiamo partecipato ai lavori delle due 
giornate, ricche di analisi e di prospettive.
Non è nostra pretesa documentare, neanche in sintesi, tutti gli apporti 
emersi a Torino, vorremmo solo porre l’attenzione su un “taglio” 
significativo, richiamato nell’introduzione dal prof. Nanni Salio (che 
sarà tra i relatori del nostro Convegno): “Chi ha ideato una certa 
globalizzazione, quella del dominio, ha una sua visione del mondo; chi 
vuole individuare alternative, deve avere un’altra visione del mondo”.
Non è una sfida semplice, ma crediamo che oggi sia fondamentale 
lavorare in questa direzione. Riportiamo perciò alcuni appunti da noi 
annotati nelle relazioni di Michel Chossudovsky, Guerre e 
globalizzazione, e di Ekkehart Krippendorff, L’egemonia statunitense e 
la necessità di una rifondazione culturale dell’Europa. I due 
interventi erano accompagnati da altri preziosi apporti, tra cui quelli 
di Giuliano Pontara, Giulietto Chiesa, Marco Revelli, Luigi Sertorio, 
Marinella Correggia e Riccardo Bellofiore. Ma, anche da soli, e qui 
ovviamente incompleti, ci offrono seri motivi di inquietudine e di impegno.

MEO ELIA

CHOSSUDOVSKY
La decisione di Bush di intraprendere questa guerra infinita e globale 
segna la crisi più grave della storia moderna. Nel discorso al Senato 
del gennaio 2002, il presidente ha dichiarato che gli Usa sono disposti 
a ricorrere anche alle armi nucleari. La decisione corrisponde a una 
militarizzazione di tutta la società americana e di tutte le sue 
istituzioni: il che è contro una legge vigente da 140 anni, che 
confinava il militare a un solo settore della società americana.

Chi comanda in Usa?
Sotto il governo Bush, l’apparato militare e di intelligence ha 
chiaramente preso le redini della politica estera, in stretta 
consultazione con Wall Street. Nel “nuovo ordine mondiale” gli 
strateghi militari del Dipartimento di Stato, del Pentagono e della Cia 
hanno il controllo della politica estera.
I poteri dietro questo sistema sono quelli delle banche e delle 
istituzioni finanziarie globali, del complesso militare-industriale, 
dei conglomerati petroliferi ed energetici, dei grandi gruppi biotech e 
dei potenti giganti dell’editoria e della comunicazione, che fabbricano 
le notizie e influenzano apertamente il corso degli eventi mondiali con 
informazioni palesemente distorte.
Va notato anche come l’apparato statale Usa si stia “criminalizzando”: 
vari funzionari, che occupano posti chiave nell’amministrazione Bush e 
ora pianificano la cosiddetta “guerra al terrorismo”, erano dirigenti 
del Dipartimento di Stato che, nel governo Reagan, usarono i proventi 
illeciti del narcotraffico per finanziare l’invio di armi ai Contras in 
Nicaragua. Uno è Richard Armitage, attuale vicesegretario di Stato; un 
altro è Elliot Abrams, direttore generale del Consiglio di sicurezza 
nazionale per la democrazia, i diritti umani e le operazioni 
internazionali.
Richard Armitage è stato anche uno degli artefici del sostegno segreto 
degli Usa ai mujahidin e alla “base islamica militante” durante e anche 
dopo la guerra sovietico-afgana.
Finanziato dal narcotraffico della “Mezzaluna d’oro” (Pakistan, 
Afghanistan, Iran), questo modo di operare è rimasto sostanzialmente 
invariato ed è tuttora parte integrante della politica estera 
statunitense. È documentato che i miliardi di dollari del narcotraffico 
costituiscono per la Cia una fonte di finanziamento illecita…

Un programma che continua
È in atto un crescente ricorso ad attività criminose per la conquista 
di nuove aree al sistema di libero mercato. Lo scenario della guerra 
annunciata ha poco a che fare con l’ideale sbandierato di rendere il 
mondo più sicuro dai terroristi e da chi vuole usare le armi di 
distruzione di massa. Il problema vero è il dominio di un’area (Caspio, 
Iraq, Iran) che ha il 70% delle riserve mondiali di petrolio.
È un’area che da anni gli Usa hanno programmato di sottrarre al 
controllo russo. Già nel 1994, con il governo Clinton, i documenti 
della Sicurezza parlavano di sistemare prima l’Iraq e poi l’Iran. Non 
sono solo parole, sono programmi. L’asse anglo-americano è in atto 
anche nelle alleanze delle compagnie petrolifere, a scapito delle 
compagnie europee. I fatti dell’11 settembre servono egregiamente a 
giustificare operazioni già programmate ben prima. La storia della 
“guerra al terrorismo” è una mistificazione pura e semplice. Nei 
documenti Bin Laden è sempre definito come “risorsa”, non come 
“nemico”: una risorsa da sfruttare per le lotte di attuazione dei 
programmi stabiliti.
Documenti di pubblico dominio provano, infatti, il coinvolgimento 
dell’amministrazione Clinton nella fornitura d’armi in Bosnia ad Al 
Qaeda. Anche l’Uck del Kosovo è stata a lungo sostenuta dagli Usa con 
armi e addestramento, in concomitanza con Al Qaeda.
In Macedonia, nel 2001, lavoravano come consiglieri dell’esercito di 
liberazione (un prolungamento dell’Uck del Kosovo) esperti militari sia 
degli Usa che dei mujahidin. Il motivo è sempre lo stesso: 
destabilizzare aree che altrimenti potrebbero servire al “nemico”.

Collaborazione tra Cia, Isi e Al Qaeda
È in questa prospettiva che si spiega, a partire dalla fine degli anni 
’70, la collaborazione tra la Cia e Al Qaeda in Pakistan. La Cia ha 
operato nell’area non direttamente, ma attraverso l’Isi (Inter Services 
Intelligence) del governo pakistano, diventato sempre più consistente. 
In pratica è un’emanazione o una specie di succursale della Cia. 
Attraverso l’Isi, i servizi segreti pakistani, la Cia ha avuto un ruolo 
chiave nel formare i mujahidin alla guerriglia, mentre l’addestramento 
era integrato dai fondamentalisti wahabiti. È così che sono emersi e si 
sono diffusi i Taliban.
Documenti noti provano il ruolo chiave dell’Isi nell’addestramento 
militare, abbinato all’indottrinamento islamico intensivo, dei due 
principali eserciti ribelli della Cecenia. Ancola l’Isi, col tacito 
consenso del governo Usa, ha fomentato le numerose insurrezioni 
secessioniste islamiche nel Kashmir indiano fin dagli anni ’80, come 
pure lungo i confini della Cina con l’Afghanistan.
Ma i fatti più inquietanti hanno come teatro proprio gli Usa. Dopo la 
clamorosa notizia lanciata il 16 maggio scorso dal New York Post, “Bush 
sapeva” i media americani hanno chiesto che si facesse luce su due 
documenti messi a disposizione del presidente prima dell’11 settembre, 
riguardanti possibili attacchi di Al Qaeda. Ma questo non è stato che 
un diversivo, per distogliere l’attenzione su altre cose ben più 
importanti: non solo nessuno ha parlato del ruolo della Cia e delle sue 
passate collaborazioni con Al Qaeda, ma tutti hanno taciuto a proposito 
della decisione dell’amministrazione Bush, presa nelle “consultazioni 
dopo l’11 settembre”, di collaborare direttamente con l’Isi, nonostante 
le prove dei suoi attuali collegamenti con Bin Laden e i Taliban, e 
nonostante il suo presunto ruolo nell’assassinio del comandante Massud, 
due giorni prima dell’attentato delle Due Torri.
Ma c’è di più. Il colmo è stato rivelato da un articolo del The Times 
of India del 9 ottobre 2001, che si basava su una relazione dei servizi 
segreti del governo indiano: c’erano legami tra il gen. Ahmad, capo 
dell’Isi, e Mohamed Atta, il presunto capo degli attentatori; ci sono 
le prove di 100mila dollari versati dal capo dell’Isi all’attentatore. 
Investigazioni dell’Fbi hanno confermato questi versamenti.
Ancora. Il capo dell’Isi, dal 4 al 13 settembre si trovava a Washington 
in visita ufficiale: tra il 4 e il 9 aveva incontrato vari funzionari, 
tra cui G. Tenet, capo della Cia; la mattina stessa dell’11 settembre 
era a colazione con P. Goss e B. Grahan,  presidenti delle Commissioni 
della camera e del senato per i servizi segreti; nei giorni seguenti 
ebbe un incontro con il segretario di Stato Colin Powel e due incontri 
con il vicesegretario Armitage, che negoziò un accordo per la 
“collaborazione” del Pakistan.
Tutti questi fatti richiederebbero, come minimo, una seria inchiesta: 
Bush era a conoscenza di tutti i dettagli riguardanti il gen. Ahmad e i 
suoi legami con Al Qaeda? Cosa stavano facendo Goss e Grahan assieme al 
presunto finanziatore degli attentatori dell’11 settembre, a colazione 
al Capitol Hill, proprio quel giorno?
Certo che è strano: subito dopo l’11 settembre, il governo Usa decise 
la collaborazione dell’Isi pakistano “per catturare Bin Laden”, 
nonostante il fatto (documentato dall’Fbi) che l’Isi avesse finanziato 
e aiutato i terroristi dell’11 settembre. È come chiedere a Al Capone 
di combattere Cosa Nostra.

MICHEL CHOSSUDOVSKY1

KRIPPENDORFF
È importante capire l’America. Oggi sta vivendo un momento critico: se 
in Usa viene distrutta la democrazia, lo stato di diritto, non sarà 
senza conseguenze anche per noi.
Quanto avviene in Usa è in contraddizione netta con quello che gli 
americani pensano di se stessi. Si percepiscono diversi da come noi li 
vediamo: molti di noi ci sentiamo minacciati e ci chiediamo se il mondo 
può sopportare un comportamento così arrogante (in politica, economia, 
ecologia…), che non tiene in considerazione il resto del mondo.
Dobbiamo pensare a questo “eccezionalismo” americano. Da dove viene? 
Dal settecento, quando l’illuminismo ha prospettato l’ideale di uomo 
che usa la ragione per costruire la propria libertà e l’emancipazione 
dalle necessità materiali. L’unico posto in cui questo ideale è stato 
messo in pratica sono gli Usa, che nella Dichiarazione d’indipendenza 
del 1776 afferma questo principio di libertà e di uguaglianza per tutti 
gli uomini. È in questo senso che gli americani avvertono la propria 
diversità, si sentono la realizzazione dell’illuminismo europeo.
Fino ad oggi si era sempre vista questa diversità, ad esempio nella 
concezione dello stato e nella concezione della società. Ma ci sono 
sempre state due anime: una “militare”, rigida; l’altra “moderna”, che 
non vuole imporre agli altri la democrazia o altri valori, ma 
“mostrarli”, come un faro, un esempio. Devono essere l’offerta di un 
modello, non un’imposizione con interventi armati.
Dobbiamo dare credito a questa America, quella del 1776, se no perdiamo 
ogni speranza di cambiamento. Ma dobbiamo tener presente che 
l’americano medio ha questo spirito nel sangue: noi siamo il modello, 
noi siamo diversi, e se non difendiamo questa nostra diversità facciamo 
un cattivo servizio al mondo. Anche chi è critico nei confronti 
dell’attuale governo, pensa in questo modo.
È avvenuto però che, dopo l’11 settembre, questo spirito è stato 
manipolato dal potere. Subito ha parlato di “complotto” e ha 
strumentalizzato il sentimento americano per fare una politica diversa 
da quello che la gente si aspettava. Il governo Bush gioca cinicamente 
con una certa simpatia che c’è nel sottofondo di tutti verso l’America 
(pensiamo ai dissidenti di Piazza Tienammen) perché essa rappresenta la 
speranza che si ha, perché realizza la speranza del progetto 
illuminista. Anche per questa simpatia e speranza si è tutti in diritto 
di criticare l’America: se rovina la democrazia, rovina anche la nostra 
libertà.
Fa paura il fatto che la società americana, a partire dai suoi 
politici, è disinformata su ciò che avviene nel mondo. Questo è 
deleterio, perché in questo modo non possono avere criteri per capire 
gli altri popoli. Negli ultimi 15 anni, le notizie internazionali del 
New York Times sono state ridotte dell’85%: questo perché non c’è 
interesse nell’opinione pubblica per quanto avviene nel resto del mondo.
Abbiamo, perciò, un bisogno estremo di ripensare l’Europa che si sta 
facendo. Cos’è l’Europa oggi? Non c’è una voce europea in campo 
mondiale perché non facciamo un discorso serio sul suo perché, sulla 
direzione che le vogliamo dare. È un’Europa che punta solo a copiare 
gli Usa? Che si preoccupa solo di fare concorrenza a questo e a quello?
Nella prossima Costituzione europea, nel “Preambolo” che essa dovrebbe 
avere come hanno varie Costituzioni nazionali europee, dobbiamo 
definire l’Europa, e definirla come entità pacifica, nonviolenta. 
Dobbiamo lavorare seriamente per questo, finché siamo ancora in tempo. 
Non possiamo lasciare il progetto europeo solo alle classi politiche.
Noi europei dobbiamo ricordare Eschilo: la politica è stata creata 
proprio per superare il circolo vizioso dell’odio, la vendetta.

EKKEHART KRIPPENDORFF2