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Aria di cambiamento in America latina



Aria di cambiamento in America latina




È in atto una svolta a sinistra in America latina? Sono in molti a 
chiederselo dopo il trionfo del candidato presidenziale del Partito dei 
lavoratori, Luis Iñacio da Silva “Lula”, in Brasile. Qui ne 
ricostruiamo il quadro generale.

La fine del 2002 ha visto una sorprendente modifica del panorama 
politico latinoamericano, tanto da far parlare molti analisti di 
“svolta a sinistra del continente”. Evento cardine è stato il trionfo 
del candidato presidenziale del Partito dei lavoratori, Luis Iñacio da 
Silva “Lula”, in Brasile. Ma il suo successo è stato seguito da quello 
di Lucio Gutierrez, grazie all’appoggio dalla Confederazione delle 
nazionalità indigene dell’Ecuador (Conaie), e preceduto in Bolivia 
dalla sconfitta di misura di Evo Morales, sindacalista dei cocaleros e 
leader del Movimento al socialismo.
Subito si è parlato di un’asse Castro-Chavez-Gutierrez-Lula, cui 
potrebbe aggiungersi Tabaré Vazquez, candidato presidenziale per 
l’Incontro progressista-Fronte ampio che nei sondaggi supera la somma 
dei consensi del Partito colorato e del Partito nazionale, alternatisi 
al governo in Uruguay dall’indipendenza.
Certo, questi personaggi e le forze politiche che li sostengono sono 
molto diversi tra loro. La triade Castro-Vazquez-Lula si colloca, 
infatti, nel solco della sinistra latinoamericana, andando dalle 
posizioni più ortodosse del leader cubano a quelle innovative dell’ex 
sindacalista di San Paolo; di più difficile definizione ideologica 
appaiono i due ex ufficiali Chavez e Gutierrez, accomunati dal 
nazionalismo populista che rimanda alla tradizione dei “militari 
progressisti” Velasco Alvarado e Omar Torrijos. Così pure, al di là del 
regime monopartitico in vigore all’Avana, dietro Lula e Vazquez ci sono 
coalizioni di partiti solidi - in Brasile riuniti attorno al Pt, nato 
20 anni fa dalla confluenza di sindacalisti, cristiani progressisti ed 
esponenti dei movimenti sociali, in Uruguay con un’alleanza stile 
“Unidad Popular” centrata su un più antico Partito socialista. 
Viceversa il caudillismo di Chavez è rafforzato dalla fragilità ed 
eterogeneità del suo Movimento Quinta Repubblica e della pletora di 
partitini riunitisi attorno a esso, in assenza di robusti movimenti 
sociali, che invece costituiscono il principale sostegno organizzativo 
di Gutierrez. Un mix di questi elementi si ritrova nella “sinistra 
contadina, indigena e antimperialista” boliviana.
  Tuttavia, sorge in America latina un fronte governativo ostile alle 
politiche economiche neoliberiste e favorevole a ipotesi di unità 
latinoamericana alternative all’Accordo di libero commercio delle 
Americhe (Alca) promosso dagli Stati Uniti.
Il protagonismo politico di classi ed etnie sempre emarginate chiede un 
progetto democratico e popolare urgente in un continente dove, nel 
2002, il Pil è sceso dello 0,8%, ma i detentori di oltre un milione di 
dollari sono aumentati del 12%.

LULA PRESIDENTE: UN EVENTO STORICO
L’ascesa del Pt ai vertici del Brasile riporta la mente all’esperimento 
di “via cilena al socialismo”, avviato nel 1970 da Salvador Allende e 
annegato nel sangue dal golpe di Pinochet tre anni dopo, ma 
l’opportunità di governare l’ottava potenza industriale del pianeta 
rappresenta un test decisivo per le forze progressiste di tutto il 
mondo. Le promesse di Lula sembrano modeste: eliminare la fame, ridurre 
l’esclusione sociale e diminuire la disoccupazione. In realtà, il 
compito è titanico, perché il Brasile è anche il secondo paese 
socialmente più diseguale del mondo, “un misto tra Francia e Sierra 
Leone”, secondo il funzionario dell’Onu Paul Ziegler.
Su questo pesa, come sempre in America latina, la “incognita 
Washington”, a maggior ragione vista la bellicosità 
dell’amministrazione Bush. La drammatica e irrisolta crisi argentina ha 
però reso manifesto il fallimento clamoroso delle politiche 
neoliberiste, mentre l’uscita di scena di Fernando Henrique Cardoso 
simboleggia l’esaurimento dell’estremo tentativo di “cambiare tutto per 
non cambiare nulla”, quello che affidava la continuità degli indirizzi 
economici a un intellettuale di fama progressista. E non va dimenticato 
che, lo scorso aprile, gli Stati Uniti hanno assistito a un evento mai 
accaduto nella storia latinoamericana: il fallimento a Caracas del 
golpe da essi ispirato e il reinsediamento a furor di popolo del 
presidente sgradito.
Il nuovo scenario politico interpella anche la chiesa latinoamericana, 
critica verso il neoliberismo e in qualche caso parte, almeno in alcuni 
suoi settori ed esponenti, dei processi all’origine del cambiamento. 
Così, se è noto il contributo delle Comunità ecclesiali di base alla 
formazione del Pt e all’ascesa di Lula, salutata con soddisfazione 
dalla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, la convergenza 
della sinistra e dei movimenti sociali in Ecuador ha avuto un attivo 
ispiratore in mons. Alberto Luna Tobar, arcivescovo emerito di Cuenca, 
che per il proprio schieramento politico è stato criticato dai 
confratelli. Diversa la situazione in Venezuela, dove il card. Ignacio 
Velasco, arcivescovo di Caracas, e il presidente della Conferenza 
episcopale, mons. Baltazar Porras, presenziarono all’insediamento del 
presidente golpista Pedro Carmona, venendo contestati dalla base 
ecclesiale più povera.
Comunque, stavolta il movimento contro la globalizzazione neoliberista, 
che si riunisce a Porto Alegre, potrà guardare con qualche speranza in 
più al ‘Palazzo’”.

MISSIONE OGGI