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Documentario: I pacifisti delle Twin Towers



Fonte: il manifesto - 23 Gennaio 2003

I pacifisti delle Twin Towers

Allo Slam dance festival, «Civilian Casualities», un documentario sulle 
vittime civili

Not in my name Se Bush ha impugnato il dolore dell'11 settembre per 
bombardare Kabul, qualcuno, che nel Wtc ha perso i familiari, si oppone. 
Frances Anderson filma la loro impresa

ALESSANDRO CASSIN
NEW YORK

Mentre rullano i tamburi di guerra e Rumsfeld dalla Cnn annuncia spavaldo 
che gli Usa possono combattere simultaneamente Iraq e Corea del Nord, si 
risveglia l'America pacifista, determinata a far sentire le sue ragioni. 
Tra le testimonianze di quella parte dell'America che rifiuta di essere 
trascinata dentro l'ennesima guerra spicca il documentario Civilian 
Casualties - Fragments from the War on Terror, opera prima di Frances 
Anderson, presentato in anteprima a New York. Si tratta di un lavoro di 
rara intensità che ci presenta uno spaccato di America che sempre più 
raramente trova spazio sui media. All'indomani dell'11 settembre, mentre il 
paese sembrava compattamente dietro a Bush, alcuni tra i familiari delle 
vittime delle due torri, costituivano l'associazione Families for Peaceful 
Tomorrows. L'idea era di contrastare la presunta legittimazione dei 
bombardamenti in Afghanistan nel nome delle vittime degli attentati 
terroristici e opporsi alla barbarie della vendetta. Nel febbraio del 2002, 
Families for Peaceful Tomorrows e Global Exchange, organizzarono un viaggio 
in Afghanistan in cui le famiglie delle vittime americane potessero portare 
la propria testimonianza e solidarietà alle famiglie delle vittime civili 
afghane. Il documentario segue quattro familiari di vittime dell'11 
settembre, attraverso il loro viaggio in Afghanistan. Inizia con il loro 
arrivo a Kabul e procede attraverso un sapiente montaggio di flash back, di 
frammenti di conferenze stampa di Bush e Rumsfeld, e interviste con civili 
afghani. Questi americani portano con sé il loro dolore e la voglia di 
capire un mondo assolutamente diverso attraverso il contatto diretto con la 
popolazione locale, stremata dalla fame, dal regime talebano prima e dal 
terrore dei bombardamenti Usa dopo.

Quattro individui con quattro storie di dolore uguali e diverse. Rita Lasar 
nelle torri ha perduto il fratello. Aveva una società finanziaria nel World 
Trade Center e il socio era paraplegico. Dopo l'impatto dell'aereo suicida 
tutti gli impiegati del piano sono riusciti a salvarsi scendendo decine di 
piani di scale, ma il fratello, per non abbandonare l'amico in carrozzella, 
ha perduto la vita. Durante la prima apparizione televisiva post attentati, 
il Presidente Bush aveva menzionato il coraggio e l'altruismo di 
quest'ultimo in contrasto alla codardia dei dirottatori islamici. Il giorno 
seguente Rita Lasar scrisse una commovente lettera aperta a Bush sul New 
York Times intimandolo di non usare il nome e la memoria del fratello per 
giustificare rappresaglie e ulteriori vittime civili. Nel film i quattro 
americani visitano i villaggi nei dintorni di Kabul, incontrano addetti a 
disinnescare mine anti-uomo, visitano ospedali e scuole, ovunque accolti 
con interesse e apertura dalla popolazione locale. Mentre Rumsfeld 
minimizza i «danni collaterali» vediamo bambini che hanno perso gambe, 
braccia, fratelli o genitori a causa delle cluster bombs lanciate nei 
pressi del loro villaggio. Il nucleo inesploso di questi ordigni micidiali, 
la cosidetta «bomblet», ha lo stesso colore dei pacchi alimentari, ma 
appena viene toccato esplode in maniera devastante. Il film mette a nudo 
l'ipocrisia di chi considera superiore il valore della vita umana quando si 
tratta di un americano, un occidentale, «uno di noi». Significativo anche 
l'incontro con Arifa una donna afghana che ha perso la casa e otto 
familiari durante i bombardamenti. La donna traumatizzata e incapace di 
sostenere i figli sopravvissuti si reca in cerca di aiuti o compensazioni 
all'ambasciata Usa di Kabul, dove è respinta e trattata come una 
mendicante. Un atteggiamento che cambia solo quando viene accompagnata 
dalle famiglie americane e riesce a essere ricevuta. Nel contatto con la 
popolazione civile afghana, e nel vedere la forza di distruzione Usa (le 
catastrofi umane e ecologiche), i quattro americani sono profondamente 
trasformati e con loro, gli spettatori. Il film si chiude con il discorso 
agghiacciante del presidente Bush, nel primo anniversario dell'11 
settembre. Non esistono cifre definitive sul numero delle vittime civili in 
Afghanistan. Secondo Families for Peaceful Tomorows realizzare uno studio 
attendibile sul numero delle vittime tra la popolazione civile, offrire 
compensazione e assistenza medica e psicologica alle famiglie, costerebbe 
agli Usa 20 milioni di dollari, ossia molto meno del prezzo di un giorno di 
bombardamento.

«Per me il film - spiega la regista - è nato come una necessità di trovare 
delle risposte o comunque reagire allo sgomento del dopo 11 settembre». «I 
miei sentimenti - prosegue Anderson - non erano rappresentati dalle 
versioni `ufficiali', così ho capito che c'erano altre storie da 
raccontare. Il documentario è una microstoria all'interno della tragedia 
afghana raccontata da americani e con in mente il pubblico Usa». Il 
risultato è una testimonianza coraggiosa di un modo diverso di reagire a 
dolori personali e collettivi come dire: non scegliamo l'epoca in cui 
vivere ma possiamo scegliere come reagire a ciò che ci accade intorno! 
Civilian Casualties è frutto di un lavoro condiviso dalla regista con 
l'operatrice Jacqueline Soohen e il montatore Gabriel Elias Johnson. 
Interessante anche la colonna sonora che contrappone musiche afghane e 
occidentali. Il documentario sarà presentato allo Slam dance Festival e al 
Victoria Indipendent Film Festival, in Canada. Nel frattempo l'associazione 
Families for Peaceful Tomorrows sta preparando una delegazione da spedire 
in Iraq.