Resistenza a Qararah di
Alex
Qui a Qararah c'è una sottile linea
di confine che nessuno può vedere chiaramente. è il confine tra l'assurdo e il
reale, e la vita dall'alba al tramonto corre sul suo filo. Qararah è il
villaggio stretto tra il chek point di Abu Holi e l'insediamento di Gush Katif.
è il villaggio in cui la notte ci si addormenta cullati dal rumore dell'aereo
spia dell'esercito israeliano, un luogo che ha le case martoriate dai proiettili
sparati dalle torrette militari, il villaggio delle spianate fatte dai bulldozer
chiamate fasce di sicurezza e delle case abbattute per crearle. E nonostante
tutto a Qararah la gente si ostina a vivere. Nonostante gli spari, nonostante i
tank nonostante i bulldozer. Nonostante la paura onnipresente. Una testimonianza
della volontà a non voler soccombere che dimostra come al di la della lotta
armata ci siano forme di resistenza civile meno facili da estirpare perché
facente parti della profonda quanto inconscia volontà dell'uomo di continuare ad
esistere. Le forme di resistenza più degne di ammirazione e
amplificazione.
L'esercito d'Israele spara, uccide,
demolisce le case, impone i coprifuoco, umilia con i check point perché vuole
cacciare la gente. Ammazzarne uno per spaventarne dieci. Demolire una casa per
impaurirne cento. Ma questa logica non funziona sempre linearmente. C'è chi
vedendosi abbattere la casa, decide di rimanere aggrappato alla propria terra.
Come ha fatto la mamma di F. piantando una tenda poco lontano dalle macerie
della sua abitazione. Come ha fatto la mamma di F. ripiantando quella tenda
abbattuta dai soldati.
L'esercito d'Israele è spiazzato
quando vede che la gente continua a costruire lentamente le proprie case
rivendicando il diritto a non soccombere alla logica del grande stato sionista
che vorrebbero gli ebrei ortodossi incarnata nella politica del governo Sharon e
dei coloni. Il tentativo di creare terrore alimenta resistenza. E la resistenza
non è quella dalla follia dei kamikaze ma quella di chi tutti i giorni patisce
le angherie quotidiane senza cedere alla facilità di compiere gesti che assumono
presto i contorni del pretesto e che sono quindi infine sconvenienti.
A Nord del villaggio c'è la Kussufin
road, la strada dei coloni. Lungo tutto il suo percorso che va dall'insediamento
di Gush Katif, il più grande della Striscia di Gaza, al confine con Israele, è
presidiata da torrette militari e telecamere di controllo che assicurano la
sicurezza di chi va e viene da Gush Katif. Poco distante dal check point di Abu
Holi, spostandosi verso l'entroterra lungo la direzione della strada dei coloni
si arriva all'ultima trovata dell'esercito di difesa d'Israele. Ieri, proprio
nel cuore della notte, i soldati hanno evacuato una famiglia che vive a pochi
metri dal filo spinato che delimita la bypass road, per ricoprire tutte le
finestre del piano superiore con delle lastre d'acciaio fissate a delle
intelaiature di legno. Dopo un paio d'ore i soldati se ne sono andati
minacciando di ritornare ad abbattere la casa qualora le lastre fossero state
rimosse. La spiegazione ufficiale dell'operazione è ancora una volta la stessa:
“motivi di sicurezza”. E la famiglia che ci vive abbassa la testa. Obbedisce
apparentemente in silenzio di fronte all'arroganza dei soldati che ignorano
quanto il grido che richiede giustizia arrivi molto lontano se si hanno orecchie
per ascoltarlo. Sono le urla di chi non cede alla provocazione, quelle che a
poco a poco frantumeranno questo vile tentativo di far prevalere la forza
militare alla ragione della vita. Dopo averci mostrato il lavoro meticoloso dei
soldati il padre di famiglia ci invita a prendere un the. Come spesso accade
quando ci sono stranieri, arrivano i bimbi che si siedono nel mezzo del cerchio
come gli adulti per ascoltare i discorsi dei grandi, per ascoltare le storie di
vita quotidiana raccontate a questa strana gente che non parla l'arabo e ha la
pelle un po' più chiara. Ci dicono che sono molti i collaborazionisti
palestinesi dell'esercito israeliano e qui la gente vive con la costante paura
che qualcuno venga assoldato per sparare contro la strada dei coloni, o contro
l'insediamento così da fornire all'IDF un pretesto per radere al suolo le loro
case. Si finisce quasi sempre per parlare dei massimi sistemi, di meccanismi
politici che ci passano sempre sopra la testa. Si parla di Bush, di Sharon, di
Berluscuni, della guerra in Iraq. Si parla di chi sta in alto e muove le
marionette permettendo con decisioni e omissioni il perpetuo protrarsi di
ingiustizie quotidiane come queste.
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