[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 467



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 467 del 5 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Vandana Shiva, brutalita'
2. Lidia Menapace, ancora sul "relativismo culturale"
3. Enrico Peyretti, ancora sul "relativismo culturale"
4. Riccardo Orioles, e avanza cautamente un anno nuovo
5. Le domande di Pippo Fava
6. Carla Lonzi, non riconoscendosi
7. Franca Ongaro Basaglia, diritto e responsabilita'
8. Giuseppe Casarrubea: Danilo Dolci, un testimone del Novecento
9. Aurelio Rizzacasa, il contributo di Hans Jonas e di Pierre Teilhard de
Chardin alla riflessione ecologica
10. Riletture: AA. VV., Malinche. La donna e la Conquista
11. Riletture: Chiedo la parola. Testimonianza di Domitila
12. Riletture: Marcella Delle Donne, Convivenza civile e xenofobia
13. Riletture: L'autobiografia di Mamma Jones
14. Riletture: La vita come noi l'abbiamo conosciuta
15. Riletture: Khalida Messaoudi, Una donna in piedi
16. Riletture: Giuliana Morandini, ... e allora mi hanno rinchiusa
17. Riletture: Taslima Nasreen, Vergogna
18. Riletture: Ugo Panella, Renata Pisu, I volti negati
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. MAESTRE. VANDANA SHIVA: BRUTALITA'
[Da Vandana Shiva, Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001, p. 133. Vandana
Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di
ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite,
impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi,
Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002]
La presunta superiorita' dell'uomo europeo e il suo status esclusivo di
essere umano hanno aperto la strada a ogni genere di brutalita'.

2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: ANCORA SUL "RELATIVISMO CULTURALE"
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per questo
intervento nella riflessione avviata da un articolo dell'intellettuale
iraniana Maryam Namazie apparso sul n. 464 del notiziario e proseguita ieri
da altri due interventi. Lidia Menapace e' una delle fondamentali
collaboratrici di questo foglio; ha preso parte alla Resistenza ed e' una
delle figure piu' luminose della cultura e della vita civile italiana, dei
movimenti delle donne, di pace, di solidarieta', di liberazione. La maggior
parte dei suoi scritti e interventi e' dispersa in quotidiani e riviste,
atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di),
Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973;
La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001]
Quanto dice Ileana Montini e i commenti di Peppe Sini mi inducono a
intervenire sul tema del "relativismo culturale" che pare tanto "di
sinistra" e non lo e'.
E insieme a dare dimostrazione che se in ogni questione si considera anche
il punto di vista delle donne se ne ha una conoscenza migliore, cioe' non
solo una quantita' piu' rilevante di informazioni, ma una qualita' gnoseolog
ica migliore (e colgo l'occasione per ringraziare intanto di nuovo Enrico
Peyretti per le sue informazioni bibliografiche su donne e Resistenza).
*
La questione delle mutilazioni genitali femminili prende forza a Nairobi
nella terza conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla condizione delle
donne sul pianeta (1985). E' una conferenza solo di stati e governi: le
circa 12.000 femministe giunte li' a proprie spese da ogni parte del mondo
vengono tenute fuori dai lavori. In loro "onore" si rinchiudono in carcere -
per fare bella figura e poter dire che non esistono se non sono visibili in
istrada, il che mi ricorda qualcosa - le prostitute della citta'. Le
femministe vanno a chiederne la liberazione.
Le discussioni nelle organizzazioni femministe a margine della conferenza
sono molto accese e si concludono con due punti, molto importanti, rimasti
aperti.
Primo, le donne del sud del mondo rimproverano noi di essere complici dei
nostri governi nella rapina delle loro risorse, e noi non sappiamo come
difenderci dalla giusta accusa: il tema viene messo a studio tra tutte le
economiste presenti e produrra' dieci anni dopo a Pechino la nota presa di
posizione pressoche' unanime (3 voti a favore, rispetto a piu' di 50.000)
contro la globalizzazione.
Secondo: le donne del nord affermano di non poter sopportare le mutilazioni
genitali femminili, ma di fronte  alla sorprendente dichiarazione di alcune
donne mussulmane delle zone in cui tali mutilazioni si praticano (come e'
noto non tutto l'Islam le pratica e nel Corano non vi e' traccia di esse):
"Per me la mia identita' religiosa e culturale e' piu' importante della mia
integrita' fisica", non si vota, dato che non si puo' votare su argomenti
identitari, ma si mette allo studio un gruppo di teologhe coraniche,
antropologhe, documentariste, per raccogliere cognizioni adeguate in merito.
A Pechino dieci anni dopo, fatto conoscere il ricco materiale (anche
teologico che appunto smentisce la convinzione che le mutilazioni sessuali
femminili siano richieste dal Corano, ecc. ecc.), e dopo una lunga, sofferta
e precisa discussione, le ong delle donne portano unanimemente all'assemblea
generale di stati e governi (dove siamo state ammesse con diritto di
presentare emendamenti e aggiunte ai documenti ufficiali) la seguente
dizione che passa: "L'integrita' fisica e' bene non disponibile".
Il che significa che ne' la religione o lo stato o il patriarca di turno
puo' disporne: le interessate hanno il diritto di autodeterminarsi in
proposito e mai possono essere costrette.
Sulla scorta di tale affermazione che dovrebbe essere nota alle nostre
parlamentari, donne di sinistra, ecc., dato che ormai e' legge, le donne di
un villaggio senegalese, letta su internet la decisione delle Nazioni Unite
chiamarono la donna anziana e povera del loro villaggio che praticava le
mutilazioni e le proposero - pagandola perche' potesse sopravvivere - di
smettere, il che e' avvenuto.
In Kenia dove il governo ha da tempo vietato le mutilazioni che pure spesso
continuano illegalmente, le donne piu' anziane, sapendo che esse sono anche
un rito di passaggio dalla fanciullezza alle adolescenza "onesta", hanno
pensato che era bello mettersi in concorrenza e inventare riti di passaggio
gioiosi, e infatti fanno feste per le ragazzine che entrano nella puberta',
in modo che esse stesse veicolino presso le loro coetanee una idea gioiosa
del diventare donne.
A me era capitato, quando ero consigliera regionale del Lazio negli anni
ottanta, di venire a sapere che in alcuni ospedali romani alle donne
mussulmane che avevano partorito, si praticava di nuovo l'infibulazione, per
"rispetto della loro cultura e per evitare che l'operazione fosse fatta in
modo non igienico da praticone"; eravamo allora sei consigliere regionali di
tutte le forze politiche e protestammo tutte, trovando che molti nostri
colleghi erano invece favorevoli al "rispetto delle culture altre": lo
scontro fu veemente, ma alla fine ottenemmo che negli ospedali fosse vietato
eseguire operazioni e pratiche che in Italia erano e sono reato, come
appunto le mutilazioni.
Mi capito' anche, facendo parte del "Tribunale 8 marzo", di venire a
conoscere norme dei codici di famiglia di paesi islamici che attribuiscono
la "proprieta'" di figli e figlie al solo marito con l'iscrizione sul suo
solo passaporto, e che vi sono padri, maritati con donne non mussulmane,
che - richiamati da donne anziane di famiglia - "approfittano" delle ferie
per portare nei paesi d'origine, contro il parere della madre spesso nemmeno
interpellata, le bambine e farle mutilare.
Avevo allora elaborato un sistema di atteggiamenti che facevano riferimento
alle varie discordanze, in modo differenziato: a mio parere sbagliano i
francesi a vietare qualsiasi espressione religiosa (il chador) nelle scuole.
Dovendo graduare le differenze, non starei a fare nessuna crociata contro il
chador: so bene che e' piu' efficace la parola e il libero comportamento
della vicina di banco che qualsiasi divieto pubblico, che rende il chador
"eroico".
Se un uomo sposato viene in Italia da un paese che ammette la poligamia e ha
due o piu' mogli deve portarsele tutte e non, se chiede il ricongiungimento
famigliare, scegliere quale vuole, e lasciare altre in condizioni di ripudio
di fatto, cioe' di morte civile e miseria. Se invece arriva in Italia
celibe, da quel momento si attiene alle nostre leggi.
Anche a proposito di diritti sui minori.
E quanto al ricongiungimento ricordo un convegno organizzato a Roma da donne
immigrate che lo rifiutavano se applicato meccanicamente, perche' molte di
loro erano fuggite da ordinamenti oppressivi e non avevano alcuna intenzione
di essere "ricongiunte" a forza. Chiedevano che si domandasse sempre il
parere anche delle donne e che si riconoscesse una specie di diritto di
asilo contro le violenze e oppressioni domestiche.
Nessuna possibile mediazione sulle mutilazioni: basta ormai adeguarsi a una
norma che gli stati avrebbero dovuto assumere da tempo.
*
Questa lunga storia e' per me una dimostrazione molto convincente che il
metodo del consenso e' quello da seguire in casi di divergenze sostanziali
nel diritto e che cio' che le femministe maturano e poi sanciscono dovrebbe
essere assunto dagli stati e reso pubblico.
E' una forma del diritto che chiamo "facoltativo", nel senso che apre e
riconosce facolta', anche differenziate, e non obbliga o vieta
comportamenti.
Prima di concludere vorrei sempre ricordare che quando si muovono critiche
ad altre culture, sarebbe bene partire dalla propria: il lenzuolo
insanguinato della prima notte, i centimetri di gonne, maniche e costumi da
bagno, e le calze o non, e il velo per andare in chiesa, sono da poco venuti
meno da noi.
E dire la mia sul relativismo culturale: non e' un atteggiamento avanzato,
ma piuttosto una forma sottile e relativamente elegante di razzismo:
sottintende infatti sempre che sarebbe bene che "loro" si comportasserio
bene, cioe' come noi, ma noi siamo cosi' "tolleranti" che gli lasciamo le
loro barbare usanze. In questo modo, invece di aiutare chi si ribella o da'
voce a critiche e dubbi, si aiutano i fondamentalisti che infatti diventano
sempre piu' prepotenti. Se inoltre si considerassero importanti queste
questioni si darebbe ad esse uno spazio e una quantita' di attenzione non
inferiore a quella destinata al terrorismo.

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI:  ANCORA SUL "RELATIVISMO CULTURALE"
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscalinet.it) per
questo intervento. Ovviamente auspichiamo che altre ed altri contribuiscano
a questa comune riflessione. Enrico Peyretti e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al
di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni,
Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi
1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa
attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in
questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e nonviolente]
Sono molto d'accordo con l'editoriale "Una riflessione necessaria tra
persone amiche della nonviolenza".
Tuttavia vedo un problema: nelle diverse tradizioni culturali ci puo' essere
una diversa valutazione di cio' che offende la dignita' umana.
Per gli uni una certa pratica (anche fisica) puo' offenderla, per altri puo'
addirittura essere (essere creduta) un modo per difenderla, o darle qualche
beneficio.
In tutte le civilta' (religiose o profane; anche le nostre occidentali) ci
sono dei veri valori umanistici e ci sono delle offese incorporate nelle
strutture e nelle culture, quasi non piu' avvertite come offese, e magari
difese come valori o utilita'.
Tuttavia, la coscienza della dignita' umana, proprio perche' non e' identica
sempre e dappertutto, puo' evolvere, affinarsi, approfondirsi, puo' mutare
in meglio e purtroppo anche in peggio.
Nel nuovo contatto attuale tra le culture e' naturale che ci siano
differenze di tempi e modi nelle rispettive consapevolezze e idee sulla
dignita' umana.
Senza ritenere di avere solo da insegnare e nulla da imparare, tutte le
culture oggi in contatto dovrebbero cominciare col rispettarsi, poi
dialogare francamente, in clima di fiducia e disponibilita' a ricevere,
anche criticandosi reciprocamente in amicizia e sapendo ascoltare le
critiche.
Questo comincia ad avvenire in piccole, diffuse, importanti esperienze.
Non sara' affatto facile. Ma i rapporti umani personali tra persone di
diversa origine culturale potranno, e gia' cominciano a farlo, permettere un
dialogo amico tra le culture. Dialogo e amicizia nascono tra le persone
reali e concrete. Sono poi le persone viventi che modificano le culture.
Solo da questo dialogo puo' nascere una sempre nuova e piu' avanzata
coscienza della dignita' umana e delle offese ad essa da togliere. A questa
piu' alta coscienza tutte le culture hanno da arrivare, correggendo in se
stesse qualcosa.
Sono convinto che l'infibulazione femminile e' un'offesa alla persona della
donna. E molti trattamenti (morali, e anche fisici) della persona (donna, e
anche uomo) nell'orizzonte del capitalismo sono uguali offese. E la nostra
civilta' approva e apprezza una mutilazione fisica come la sterilizzazione
per la sua utilita', in certi casi, alla limitazione delle nascite, mentre
altre civilta' la condannano altrettanto quanto noi condanniamo
l'infibulazione. Ci sono, o sono viste, ragioni per entrambi i giudizi.
Puo' la cultura piu' forte semplicemente proibire e punire usi criticabili
dell'altra cultura?
Puo' la legge del territorio di vita e di immigrazione stabilire il criterio
culturale e morale di giudizio?
Non so rispondere con sicurezza. Vedo dei si' e anche dei no.
Forse una comunicazione tra le culture puo', anche a rischio di
peggioramento, elevare l'idea e il rispetto della dignita' umana, senza
perdere la varieta' culturale.
Vedi che non affermo, ma segnalo qualche difficolta' e qualche speranza.

4. MEMORIA DAL FUTURO. RICCARDO ORIOLES: E AVANZA CAUTAMENTE UN ANNO NUOVO
[Dalla rivista diffusa per posta elettronica redatta da Riccardo Orioles,
"Tanto per abbaiare", n. 159 del 3 gennaio 2003, riprendiamo il testo
seguente (per richiedere la rivista inviare una e-mail a: ricc@libero.it).
Riccardo Orioles, giornalista eccellente, militante antimafia tra i piu'
lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I
Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", ha
formato al giornalismo d'inchiesta e di impegno civile moltissimi giovani;
e' un esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di
limpido impegno politico); attualmente svolge la sua attivita' giornalistica
prevalentemente scrivendo e diffondendo una e-zine nella rete telematica:
appunto "Tanto per abbaiare". Opere di Riccardo Orioles: i suoi scritti e
interventi editi a stampa sono pressoche' tutti dispersi in periodici e
varie piccole e piccolissime pubblicazioni; per gli utenti della rete
telematica vi e' la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti
(curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di
un'altra sinistra; sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di
traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta)
politica e culturale, giornalistici e letterari. Opere su Riccardo Orioles:
due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla
Chiesa, Storie (Einaudi, 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene
(Einaudi, 1999)]
E avanza cautamente un anno nuovo. Il vecchio da un lato fa orrore, perche'
e' quello in cui per la prima volta, dopo Hiroshima e Nagasaki, i potenti
della terra hanno annunciato di essere pronti a usare di nuovo la Bomba.
Dall'altro e' stato l'anno dei giovani, che da Porto Alegre a Firenze sono
riusciti a riconoscersi come una generazione di affini in tutto il mondo. E
questa e' un'altra prima volta, la prima da trentacinque anni in qua.
C'e' molto Sessantotto nell'aria, anche se non pare (ma neanche allora
sembrava: il Sessantotto esplose). In piu', i padroni hanno una cultura
ormai post-rooseveltiana e feroce, che rimette all'ordine del giorno le
tecniche di "soluzione finale" degli anni Trenta. In piu', noi abbiamo
l'internet.
Loro possono uccidere molto piu' facilmente, e molto piu' liberamente, dei
padroni di prima. Noi possiamo coesionarci molto piu' facilmente, e molto
piu' velocemente, dei compagni di prima. Non c'e' piu' il "comunismo"
(qualunque cosa volesse dire questa parola) a fare da contrappeso per loro e
da zavorra per noi. Siamo liberi, e soli. Siamo - siete - una generazione.
Siete una classe dirigente, una delle possibili dell'Occidente. E
l'Occidente, se si sprigiona, oggi per la prima volta ha le tecnologie per
cambiare tutto per tutti. Non tradite.

5. INCONTRI. LE DOMANDE DI PIPPO FAVA
[Dalla mailing list "Territori" (territori@freaknet.org) riprendiamo il
seguente invito. Oggi e' il diciannovesimo anniversario della morte di Pippo
Fava. Giuseppe Fava e' nato a Palazzolo Acreide (Siracusa) il 15 settembre
1925. Laureato in giurisprudenza nel 1947, giornalista professionista dal
1952, redattore e inviato speciale nei settori di attualita' e di cinema per
riviste come "Tempo illustrato" e "La domenica del Corriere", corrispondente
di "Tuttosport", variamente collaboro' a "La Sicilia", dal 1956 al 1980
capocronista del quotidiano "Espresso sera". Drammaturgo, romanziere, autore
di libri-inchiesta; nel 1975 ottiene grande successo il suo romanzo Gente di
rispetto; nel 1977 pubblica un altro grande romanzo: Prima che vi uccidano.
Nel 1983 pubblica L'ultima violenza, da molti considerato il suo capolavoro
drammaturgico. Nei primi anni '80 si consuma l'esperienza di direzione del
quotidiano catanese "Giornale del Sud", due anni di limpide battaglie
civili, antimafia e pacifiste, ed una rottura conclusiva di testimonianza
esemplare. Nel gennaio del 1983 esce il primo numero del mensile "I
Siciliani" che Fava fonda con un gruppo di giovani: sara' una delle
esperienze decisive per il movimento antimafia che si sta formando in
Italia, e resta un punto di riferimento fondamentale. Il 5 gennaio 1984
Pippo Fava e' assassinato dalla mafia a Catania. Opere di Giuseppe Fava: I.
Opere letterarie e teatrali di Fava pubblicate in volume: Pagine, Ites,
Catania 1969; Gente di rispetto, Bompiani, Milano 1975; Prima che vi
uccidano, Bompiani, Milano 1977; Passione di Michele, Cappelli, Firenze
1980; Teatro, Tringale, Catania 1988; II. Libri-inchiesta: Processo alla
Sicilia, Ites, Catania 1967; I Siciliani, Cappelli, Firenze 1980; Mafia. Da
Giuliano a Dalla Chiesa, Siciliani Editori - Editori Riuniti, Roma 1983;
III. Opere teatrali di Giuseppe Fava messe in scena: Vortice - Le vie della
gloria, Palazzolo Acreide 1947; La qualcosa, Catania 1960; Cronaca di un
uomo, Catania 1967; La violenza, Catania 1970; Il proboviro, Catania 1972;
Bello bellissimo, Catania 1974; Opera buffa, Taormina 1977; Delirio, Catania
1979; Foemina ridens, Catania 1981; Ultima violenza, Catania 1983; Maffia -
Parole e suoni, Catania 1984; Sinfonie d'amore, Catania 1987; IV. Opere
teatrali di Giuseppe Fava mai rappresentate: La rivoluzione; America
America; Dialoghi futuri imminenti; Il Vangelo secondo Giuda; Paradigma;
L'uomo del Nord (incompiuta). [Questa nota e' ripresa dal libro di Rosalba
Cannavo', di seguito segnalato]. Opere su Giuseppe Fava: Claudio Fava, La
mafia comanda a Catania, Laterza, Roma-Bari 1991; Idem, Nel nome del padre,
Baldini & Castoldi, Milano 1996; Nando dalla Chiesa, Storie, Einaudi, Torino
1990 (e particolarmente il capitolo primo, "I carusi di Fava"); Riccardo
Orioles, L'esperienza de "I Siciliani", in Umberto Santino (a cura di),
L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione Giuseppe
Impastato, Palermo 1989; Rosalba Cannavo', Pippo Fava. Cronaca di un uomo
libero, Cuecm, Catania 1990]
Giuseppe Fava non era un simpatico intellettuale siciliano che scriveva
bene: al contrario si attirava molte antipatie. Quelle di uomini politici,
imprenditori, mafiosi e di tutta la parte "rispettabile" della societa'
isolana.
Giuseppe Fava non si occupava solo di teatro, ma anche di armamenti: si
impegno' nella campagna contro i missili di Comiso. Come agirebbe Fava
davanti ai preparativi per la guerra in Iraq?
Giuseppe Fava non si occupava solo di letteratura, ma anche di informazione:
provo', a costo di fare cambiali, a dare una smossa al panorama siciliano
oppresso dal monopolio. Cosa farebbe avendo oggi a disposizione tanti
computer a buon prezzo, internet e le stampanti laser?
Giuseppe Fava non era solo un giornalista, ma anche un uomo pieno di
dignita'. Come si muoverebbe riconoscendo una situazione paludosa come
quella di vent'anni fa, dove la procura si chiama ancora "Caso Catania" e il
comune "cu mangia mangia"?
Nessuno puo' dare una risposta certa su come sarebbe andata, ma tutti noi
possiamo farci le stesse domande che si e' posto lui. Per questo bandiamo
ogni "commemorazione ufficiale" buona solo a stemperare l'ardore politico di
cui il Fava vivo era portatore e, per nostra fortuna, "untore". Pensiamo
invece che sia piu' utile incontrarsi e tornare a discutere sulle questioni
che ha posto, senza incensazioni acritiche e formalita' cattedratiche, ma
con l'entusiasmo di voler cambiare le cose.
Ci vedremo alle 18,15 del 5 gennaio 2003 nel salone di via Siena 1 a
Catania, come altre volte ci e' capitato di fare in passato, ma guardando
diritti al futuro.
Ci saranno sicuramente, invitandovi a partecipare: Riccardo Orioles, Marco
Benanti, Luciano Bruno, Alessandro Calleri, Sergio Failla, Gianluca Ferro,
Pino Finocchiaro, Rosanna Fiume, Ugo Giansiracusa, Grazia Giurato, Angelo
Murgo, Davide Murgo, Giordana Murgo, Antonino Musco, Francesca Patania,
Alessia Porto, Graziella Proto, Eugenia Provenza, Salvatore Resca, Rocco
Rossitto, Santina Sconza, Antonio Signorelli, Simone Spina, Lucio Tomarchio,
Paola Ungheri, Rosario Urzi'.

6. MAESTRE. CARLA LONZI: NON RICONOSCENDOSI
[Da Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, Rivolta Femminile, Milano 1974,
Gammalibri, Milano 1982, p. 21. Carla Lonzi e' stata un'acutissima
intellettuale femminista, nata a Firenze nel 1931 e deceduta a Milano nel
1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo di Rivolta Femminile. Opere di
Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Rivolta femminile, Milano 1974; poi
Gammalibri, Milano 1982. Opere su Carla Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in
rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990]
Non riconoscendosi nella cultura maschile, la donna le toglie l'illusione
dell'universalita'.

7. MAESTRE. FRANCA ONGARO BASAGLIA: DIRITTO E RESPONSABILITA'
[Da Franca Ongaro Basaglia, "Sofferenza psichica, trasformazione dei servizi
e nuova ricerca", in AA. VV., Fra regole e utopia, Cooperativa editoriale
Psichiatria Democratica, Bologna 1982, p. 261. Franca Ongaro Basaglia,
intellettuale italiana di straordinario impegno civile, insieme al marito
Franco Basaglia e' stata, ed e' tuttora, tra i protagonisti del movimento di
psichiatria democratica. Tra le opere di Franca Ongaro Basaglia segnaliamo
particolarmente: Salute/malattia, Einaudi; Manicomio perche'?, Emme
Edizioni; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore; in
collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante,
Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato
anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri
volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia]
Il sovrapporsi dell'aspetto culturale sul naturale e del sociale
sull'individuale, si muove sempre in una dimensione dialettica in cui
l'acquisizione di un diritto deve tradursi in assunzione di responsabilita'.

8. MEMORIA. GIUSEPPE CASARRUBEA: DANILO DOLCI, UN TESTIMONE DEL NOVECENTO
[Ringraziamo Giuseppe Casarrubea (per contatti: icasar@tin.it) per averci
messo a disposizione il testo di questo suo intervento gia' apparso in
"Segno" n. 240 del novembre-dicembre 2002 (un fascicolo monografico della
bellissima rivista palermitana diretta da padre Nino Fasullo, recante gli
atti dell'ottava settimana alfonsiana dedicata a Ernesto Balducci, che
vivamente raccomandiamo - per contatti: rivistasegno@libero.it). Giuseppe
Casarrubea e' un prestigioso storico, educatore e preside, valoroso
militante antimafia, autore di opere di fondamentale importanza. Su Danilo
Dolci riportiamo ancora una volta la seguente sintetica ma accurata notizia
biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il
cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per
case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci
nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo
aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si
trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle
terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno
da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto
per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita'
si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la
costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a
Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le
disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro
intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2
febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di
disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una
strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958)
si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del
fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli
attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a
Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci
e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a
processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo
metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E'
convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non
nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di
costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro
economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che
faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento
di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per
tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno
necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni,
per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di
migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e
cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per
valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti
internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto,
frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con
numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla
distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci
evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi
al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di
effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione
capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della
complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone
"all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a
tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco
adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu'
recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra
esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica
e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge
della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30
dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo
spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel
portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita"]
Tra gli intellettuali del '900, formatisi nella temperie del fascismo e che
iniziano la loro avventura culturale, sociale e politica, lungo il percorso
di costruzione dello Stato democratico e repubblicano, Danilo Dolci e'
quello che, piu' di tutti, rappresenta e interpreta la crisi della coscienza
collettiva nazionale. E non solo della crisi di transizione, legata alle
conseguenze politiche poste dagli equilibri internazionali, ma anche e
soprattutto di quel particolare e piu' profondo travaglio che interessava,
piu' nascostamente, l'uomo, la sua esistenza e il senso stesso della vita.
*
Non ancora ventenne era stato arrestato per attivita' antifascista. Fu
quello, forse, il battesimo della sua giovinezza. Una nutrita schiera di
intellettuali nel primo Novecento gli si erano parati davanti come maestri:
punti fermi, spartiacque che avevano saputo segnare la deriva delle masse
cortigiane ligie alle sudditanze culturali, pronte a irreggimentarsi, a
credere, obbedire e combattere, e quei poco numerosi gruppi che nel
silenzio, nella prigionia o nel martirio avevano fondato le ragioni e il
senso del futuro, quando tutto sembrava perduto. Erano uomini come Gramsci e
Gobetti, i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Carlo Levi ed Emilio Lussu.
Tutti accomunati, nel martirio o nella lotta, da una comune fede, nella
liberta' e nella ragione.
Dolci segna il secondo Novecento sul fondamento dell'antifascismo. Lo deriva
da quella temperie di opposizione e di resistenza dalla quale dovevano
nascere la Costituzione e, prima ancora, i governi di unita' nazionale
antifascista. Non sara' un caso che uno dei capi di quei governi, Ferruccio
Parri, piu' tardi, incontrera' Dolci sul terreno di battaglia a Partinico,
sul finire degli anni '50, come non sara' fortuito l'incontro, avvenuto a
meta' di quel decennio, tra Levi e Dolci. E tuttavia Dolci e' profondamente
diverso dai suoi maestri. E' piu' se stesso che simile a qualcuno.
Stando alle sue prime uscite editoriali c'e' da ritenere che quest'uomo, che
si era formato ad una cultura mitteleuropea (era nato a Sesana, oggi in
territorio sloveno, nel 1924), e che appena laureato in architettura aveva
deciso di non costruire case ma uomini, abbia piu' ragioni religiose che
convinzioni culturali o ideologiche alle origini delle sue iniziative.
Alcune liriche uscirono nell'Antologia della poesia religiosa italiana, a
cura di Valerio Volpini, a Firenze, edite da Vallecchi, nel 1952, e
nell'antologia La Giovane poesia, curata da E. Falqui (Colombo, Roma 1956).
A quell'epoca la comunita' cattolica di don Zeno, a Nomadelfia, gli sembrava
gia' inadeguata. Dolci non cercava la tranquillita' del proprio recinto
religioso appagato dalle rassicurazioni caritatevoli, cercava la via del
rischio e della "resurrezione", il percorso interiore che sulla spinta di un
misticismo non ancora definito lo conducesse sulla via della sofferenza, di
un'altra resistenza dopo quella condotta contro il fascismo e il nazismo.
Non era la sua una scelta masochistica, ma una coraggiosa ricerca di valori.
Trovo' nei contadini e nei pescatori di Partinico e Trappeto il terreno
adatto al suo impegno, alle sue vocazioni, e con loro comincio' a sognare.
Convinto com'era che nulla potesse essere mutato senza il sogno e senza
l'utopia. "Volevo scoprire l'anima della vita", scrisse nel "Tempo
illustrato" (29 marzo 1956) e due anni prima furono due pescatori a
raccontare in dialetto siciliano la storia del Borgo di Dio (Portodimare,
Milano 1954), la comunita' che egli aveva fondato costruendo con le sue mani
una piccola casa su una collina, con la vista su Trappeto e il golfo di
Castellammare. Qui comincio' a costruire il suo sogno e a inventare il
futuro. E qui, dentro quelle quattro pareti riscaldate da un camino nelle
notti d'inverno, chiuse gli occhi per sempre col sorriso sulle labbra e la
serenita' dei grandi. Il suo motto era stato: "Vivi in modo che in qualsiasi
momento muori o t'amazzano, muori contento".
*
In modo molto pertinente, pertanto, la sua figura si colloca all'interno del
dibattito e della riflessione sul tema scelto per l'VIII Settimana
Alfonsiana che ha come tema centrale il versetto 19, 40 di Luca.
I concetti nodali sono due: il "grido" come dovere, legato alla parola e al
suo esercizio di liberta' e di liberazione, e la "pietra" come elemento
fondamentale di un processo costruttivo. Nel Nuovo Testamento questi
elementi concettuali sono ricorrenti, rinviano a scene simboliche cariche di
significato. Quando Cristo entra a Gerusalemme, i farisei lo invitano a fare
tacere la folla che lo acclama, ma egli li mette a tacere con una
espressione che rappresenta un imperativo della coscienza, raramente
accolto: "Se essi tacessero griderebbero le pietre". Certamente si tratta di
un paradosso perche' le pietre non possono gridare. Ma detta da Cristo
quell'affermazione ha un senso che non possiamo ridurre al solo paradosso.
Il paradosso, infatti, e' sterile in quanto inapplicabile. Dovremmo dunque
pensare ad una lettura che dia senso e prospettiva a quella scena. In questo
senso non pare ci possano essere dubbi nell'interpretarla nel suo
significato piu' realistico, che e' quello della testimonianza,
dell'indicazione di uno stile di vita e di comportamento. E' automatico il
ricorso alla scena del Pilato che "si lava le mani". Si puo' vivere "in
silenzio", "lavandosi le mani", standone a guardare, diventando soggetti
piu' o meno consapevoli del processo che conduce al sacrificio di qualcuno,
a rovesciare l'ottica del giudizio, affidandolo allo spontaneismo istintivo
delle masse disorientate o che non sanno perche' indotte a scegliere sulla
base di un potere non esercitato nella direzione della giustizia, o di un
potere che si nega a se stesso.
Rimanendo nell'ambito del Nuovo Testamento Dolci richiama alla mente
un'altra scena, quella che si svolge attorno a un pozzo della Samaria. Gesu'
vi arriva dopo un faticoso viaggio. Ha sete e chiede alla samaritana, che si
era avvicinata, dell'acqua da bere. Come fa a dargli dell'acqua se il pozzo
e' profondo e per giunta non c'e' la corda che possa tirare su neanche un
secchio? La donna sara' rimasta incredula anche dopo la risposta dello
strano pellegrino: "Se tu sapessi il dono di Dio e chi e' che ti dice dammi
da bere, saresti tu a chiedergli dell'acqua ed egli ti darebbe un'acqua di
vita eterna". Anche qui ricorre il paradosso, ma rispetto a un sentire piu'
profondo, l'inapplicabilita' del paradosso rinvia alla necessita' di dare
senso e, direi, materialita' alla scena. Non c'e' dubbio che se la donna
avesse voluto dare da bere all'assetato, piuttosto che interrogarlo si
sarebbe attivata per dare una risposta attiva al suo bisogno. Forse entro'
in crisi, forse prevalse in lei il dato della razionalita'. Certamente non
ando' oltre la constatazione obiettiva della circostanza. Ma se avesse
creduto e voluto, la scena si sarebbe animata e il contesto si sarebbe
trasformato. Non credo si possa legittimamente separare questa
considerazione, legata all'azione dell'uomo, dal valore trascendentale, che
e' anche il valore intimo, personalissimo, del "sentire", dell'essere in una
qualche sintonia, lungo la filigrana della fede.
Da questo punto di vista, e cioe' dell'essere testimone attivo, per gli
ultimi, con gli ultimi e per soddisfare il loro grido di assetati e di
affamati, nella Sicilia dei primi anni '50,  Dolci e' "pietra che grida",
testimone del suo tempo.
Fu infatti l'intellettuale italiano piu' perseguitato del secondo '900.
Subi' una serie interminabile di accuse, denunce e condanne ed ebbe davanti
a se' un potere che gli fu sempre ostile. Per fortuna ebbe dalla sua parte i
massimi rappresentanti della cultura italiana del suo tempo, che gli furono
accanto, anche nei momenti piu' difficili. Si sollevo' uno scandalo
nazionale quando nel 1956 fu arrestato e portato in galera, assieme al
sindacalista Salvatore Termini, per avere messo in opera una formula
inconcepibile di sciopero: "lo sciopero alla rovescia". Gli operai avevano
insegnato che si scioperava per i diritti e migliori condizioni salariali,
ma in un paese come Partinico dove il lavoro mancava e si moriva di fame, si
poteva scioperare solo mettendosi a lavorare, senza padroni e senza paga,
nell'attesa della Provvidenza. Percio' Dolci aveva pensato di far lavorare
tutti mettendosi con pala e piccone a riattivare una vecchia trazzera dove
alle prime piogge i contadini che andavano al lavoro con i loro carretti
dovevano fermarsi per le numerose pozzanghere, rischiando quotidianamente di
non raggiungere le campagne. C'erano un migliaio di persone con lui. Quando
puntualmente arrivo' la polizia lo dovettero prendere di peso e caricarlo su
una camionetta, dopo averlo ammanettato. E in manette si presentera'
nell'aula di tribunale. A difenderlo ci saranno uomini come Piero
Calamandrei, e a testimoniare per lui intellettuali come Elio Vittorini e
Carlo Levi. Quest'ultimo dira' ai giudici: "Ho appreso dai giornali che
Danilo Dolci sarebbe accusato di avere rivolto a un agente della forza
pubblica una frase ingiuriosa che suonerebbe all'incirca: 'Chi ci impedisce
di lavorare e' un assassino'. Ora, io credo, pure senza essere stato
presente all'episodio, di potere escludere in modo assoluto, e di poterlo
provare con documenti, che il Dolci abbia pronunciato una simile frase
rivolgendola al commissario in modo ingiurioso; e questo non soltanto per le
assicurazioni e le affermazioni che ho fatto prima. Una frase che suona
analoga ma che ha tutt'altro significato, da' inizio alla prima pagina del
suo libro Banditi a Partinico, ed e', direi, quasi il filo conduttore di
tutto il suo pensiero, l'idea fondamentale attorno a cui si organizza la sua
visione del mondo e dei problemi sociali e umani. Dice questa frase, che
cito qui a memoria: 'noi viviamo in un mondo di condannati a morte da noi'.
Si', fino a quando esistono degli uomini condannati ad essere tali, a vivere
in una condizione che e' precedente alla stessa esistenza, fino a quando
esiste l'esclusione e l'alienazione, noi ne siamo tutti responsabili, noi
siamo tutti degli assassini. Tutti, nessuno escluso. Io sono un assassino, e
anche Lei, signor Presidente, e' un assassino, e anche Danilo Dolci e' un
assassino. Questo e' il senso della frase che ritorna e domina ogni pagina
di quel libro. Come Ella vede, e' l'opposto di quanto si pretende che egli
abbia detto al commissario. Basta aprire il libro alla prima pagina, e non
occorre che saper leggere per capire il testo e il senso della frase
pronunciata sulla trazzera, che, anziche' ingiuriosa, e' certo delle piu'
alte e nobili che possa pronunciare un uomo" (1).
*
Che i suoi maestri fossero Cristo e Gandhi era dimostrato dalla sua storia e
dal suo metodo: la storia di un uomo che si era messo a vivere con gli
ultimi per migliorarne le condizioni e il metodo dell'azione nonviolenta per
affrontarle.
 Gli era stato amico e consigliere Aldo Capitini, l'inventore della marcia
per la pace e la fratellanza tra i popoli da Perugia ad Assisi. Questi il 12
gennaio del '58 gli scriveva da Perugia: "Stai attento a non creare un
Centro con impiegati, che consumano troppo", oppure "Stai attento a non fare
la minima concessione a parti politiche. Riafferma che sei indipendente", o
ancora: "La tua opera e' di condurre i rivoluzionari, nell'evoluzione
attuale della opposizione nel mondo, a riconoscere il valore del metodo
nonviolento". Capitini, come Dolci, pensavano a una rivoluzione nuova, dopo
quella che aveva segnato la storia del primo Novecento nel mondo con
l'instaurarsi dello Stato sovietico. E Dolci era un personaggio tutt'altro
che secondario con cui discutere. Giusto i sovietici gli avevano concesso il
premio Lenin per la pace nel 1957, e Capitini, come un fratello premuroso,
temeva che il suo amico potesse essere catturato dai comunisti e in tal modo
compromettere la missione piu' generale che egli doveva darsi nei confronti
degli uomini, a prescindere dalle appartenenze politiche. In realta' le
attenzioni dei due non erano rivolte a dati empirici, ma alla costruzione di
un mondo nuovo a partire dall'idea del "villaggio gandhiano", della
"comunita'/alveare", dietro la quale si nascondeva una "riserva" non solo
sociale, ma anche religiosa.
"L'Europa e' avvelenata dai nazionalismi reazionari - gli scriveva sempre da
Perugia il 16 maggio 1961 -, l'America ha troppe tentazioni di titanismo
imperialistico e affaristico che puo' portare al bellicismo e a spazzare via
gli avversari, come disturbatori 'dell'ordine americano'. Invece quel lavoro
paziente di comunita' nonviolenta che studia se stessa e forma strumenti per
guidarsi ad elevarsi, e' veramente l'indicazione di un ritmo piu' pacato, di
un vivere dove ci si conosce e ci si controlla insieme, e dove si
progredisce rispettando sempre piu' la vita" (2).
E che fosse prevalente, anzi, causale, il senso religioso della vita vissuto
nella prassi quotidiana del rapporto con l'uomo e i suoi problemi, a partire
da quelli piu' gravi, era esplicitato in un'altra lettera dell'anno
successivo, quando Capitini tornava a parlare degli estremisti francescani
umbri del Duecento e del Trecento, abituati a mangiare pane e qualche oliva
"ma che crearono le premesse della filosofia moderna dell'individuo (da
Occam a Leibnitz) e le premesse del nostro lavoro social-religioso, appunto
perche' anti-autoritario".
Questa centralita', che e' religiosa ma si riconduce anche all'esperienza
dell'antifascismo, accomuna, su un piano generazionale quasi conseguente,
Dolci e Tullio Vinay (La Spezia 1909 - Roma 1996), quest'ultimo una delle
maggiori personalita' del protestantesimo italiano e mondiale, che a Riesi,
paese tra i piu' poveri dell'interno della Sicilia, aveva fondato nel 1961
una comunita' laico/religiosa, al servizio della crescita di quella
popolazione. Non si tratta di intellettuali mossi da capricci filantropici;
ma, al contrario, di uomini che volevano sperimentare la possibilita' di un
diverso modo di esistere, e di agire, di rapportarsi con l'universo, a
partire dagli anelli piu' deboli.
Nonostante le diversita' culturali, politiche e umane, tra questi
intellettuali del '900, non si puo' sottovalutare il dato che proprio in
questo secolo, carico di tragedie e di insegnamenti, sulle ceneri del
fascismo e del nazismo europeo, affondano le radici di una concezione
innovativa dello Stato e della societa' che e' giusto non smarrire, se non a
costo di una perdita di senso e di prospettiva di quelle azioni che hanno
fondato le ragioni della democrazia sostanziale, il sogno di un mondo nuovo.
La pace nel mondo, il rispetto per l'ambiente, l'attenzione alla nonviolenza
come metodo di crescita, la condanna di ogni guerra, l'ottimismo nell'uomo,
sono il denominatore comune, il tessuto connettivo sul quale, in contrasto
con ogni dottrinarismo, si cimentano le esperienze di uomini di cosi'
diversa provenienza geografica, ma cosi' straordinariamente uniti, nella
costruzione di un mondo diverso. Per tutti la Sicilia e', conclusa la
tragedia del fascismo, frontiera, luogo della battaglia concreta in cui
ciascuno misura, da diverse angolature, la scommessa che ha fatto con se
stesso. Per Giorgio La Pira, ad esempio, valgano, succintamente, per tutte,
opere come: L'attesa della povera gente, Lef, Firenze 1978; Le premesse
della politica. Architettura per uno stato democratico, Lef, Firenze 1978;
La casa comune. Una costituzione per l'uomo, Cultura Editrice, Firenze 1979;
Il sentiero di Isaia, Cultura Editrice, Firenze 1979. Per Dolci, Voci nella
citta' di Dio, Mazara, Societa' Editrice Italiana, 1951; Fare presto (e
bene) perche' si muore, De Silva, Torino 1954; Banditi a Partinico, Laterza,
Bari 1955; Processo all'articolo 4, Einaudi, Torino 1956; Inchiesta a
Palermo, Einaudi, Torino 1956; Una politica per la piena occupazione, 1958;
Spreco, Einaudi, Torino 1960; Conversazioni, Einaudi, Torino 1962; Chi gioca
solo, Einaudi, Torino 1962. Per Vinay la realizzazione della Comunita'
Agape, tanto vicina al Borgo di Dio di Dolci. Per Levi, il suo scavo nelle
piaghe della Sicilia, per comprenderle, additarne i confini, curarle
attraverso la denuncia, l'azione sociale.
Ma di fronte ai mali del mondo, e soprattutto alla guerra, all'oppressione e
alla dittatura, alla miseria che uccide le energie dell'uomo, Dolci matura e
definisce, in modo irreversibile, la sua scelta, politica e civile, per
un'azione sociale dal basso, la cui opzione di fondo e' l'obiezione di
coscienza. Su questa si innerva tutta la sua esperienza successiva.
*
Note
1. Da Processo all'articolo 4, Einaudi, Torino 1956,  pp. 216-221.
2. Cfr. Aldo Capitini, Lettere a Danilo Dolci, Il Ponte, 1969, bozze di
stampa in possesso dell'autore.

9. RIFLESSIONE. AURELIO RIZZACASA: IL CONTRIBUTO DI HANS JONAS E DI PIERRE
TEILHARD DE CHARDIN ALLA RIFLESSIONE ECOLOGICA
[Dalla mailing list del Circolo vegetariano di Calcata - Vt - (per contatti:
calcata@vegetus.net) riprendiamo un'ampia parte di un interessante
intervento di Aurelio Rizzacasa, docente di filosofia all'Universita' di
Perugia. Hans Jonas e' nato a Moenchengladbach nel 1903, e' stato allievo di
Heidegger e Bultmann, ed uno dei massimi specialisti dello gnosticismo. Nel
1933 si e' trasferito dapprima in Inghilterra e poi in Palestina, dal 1949
ha insegnato in diverse universita' nordamericane, dedicandosi a studi di
filosofia della natura e di filosofia della tecnica. Ee' uno dei punti di
riferimento del dibattito bioetico. Al suo "principio responsabilita'" si
ispirano riflessioni e pratiche ecopacifiste, della solidarieta', dell'etica
contemporanea. E' scomparso nel 1993. Opere di Hans Jonas: sono fondamentali
Il principio responsabilita', Einaudi, Torino 1993; la raccolta di saggi
filosofici Dalla fede antica all'uomo tecnologico, Il Mulino, Bologna 1994;
Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997; Organismo e liberta',
Einaudi, Torino 1999; una raccolta di tre brevi saggi di autobiografia
intellettuale e' Scienza come esperienza personale, Morcelliana, Brescia
1992. Si vedano anche Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il melangolo,
Genova 1995, e La filosofia alle soglie del Duemila, Il melangolo, Genova
1994; cfr. anche Lo gnosticismo, Sei, Torino 1995. Un utile libro di
interviste e conversazioni e' Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino 2000.
Pierre Teilhard de Chardin, scienziato, filosofo, teologo francese
(1881-1955), gesuita, muovendo da studi scientifici volse al dibattito
cosmologico e teologico, proponendo una originale sintesi tra cristianesimo
e scienza moderna in una visione evolutiva dell'universo (dall'inorganico,
al biologico, al culturale), teleologicamente orientata verso il Cristo come
punto di convergenza ed unificazione del mondo, della storia, dell'umanita',
compimento dell'intero processo cosmico. Tra le opere di Pierre Teilhard de
Chardin segnaliamo particolarmente Il fenomeno umano, Il Saggiatore, Milano.
Tra le opere su Pierre Teilhard de Chardin: Alexander Gosztonyi, Teilhard de
Chardin, Sansoni, Firenze]
L'attuale stato della natura pone a rischio tanto la sopravvivenza del mondo
quanto la sopravvivenza dell'uomo. Ma la responsabilita' di questa
situazione precaria, posta alle soglie di una eventuale catastrofe senza
ritorno, e' propria dell'uomo che, attraverso il tempo, ha provocato, in uno
sfruttamento senza limiti del mondo naturale, le condizioni del
"terricidio".
(...) La nostra proposta, invece, va nella direzione di cercare le
condizioni per una possibile ecologia alternativa capace di programmare,
mediante la scienza e la tecnica, uno "sviluppo sostenibile" della civilta'
umana che si ponga il problema della tutela e della conservazione
dell'ambiente nonche' delle energie naturali. Si tratta cioe' di progettare
l'utilizzazione dei serbatoi naturali del pianeta, in modo da tenere conto
della necessaria integrazione dell'uomo con il mondo, in un rapporto attivo
tra gli individui e l'ambiente in cui il futuro dipende dall'equilibrio
dell'intero sistema ecologico del quale ovviamente l'uomo e' parte
integrante.
In questa situazione, possiamo trarre ispirazione dalla metafora biblica
della "natura" da intendersi come "giardino del creato", all'interno della
quale l'uomo, signore dell'universo, venga considerato come "l'operaio"
della terra nonche' il coltivatore di un giardino a lui affidato in custodia
da Dio, perche' sia capace di valorizzare e continuare l'opera creativa di
Dio stesso. In questo quadro, allora, la storia e la presenza, in essa, del
male come condizione ineludibile della condizione umana, rappresenterebbe
l'itinerario che dalla caduta iniziale giunge fino alla salvezza finale. In
tal caso, il paradiso perduto e le sofferenze che accompagnano l'avventura
delle civilta' fino al recupero escatologico del paradiso finale,
troverebbero accomunato l'uomo all'universo in un unico destino di
sofferenza e di salvezza.
Questa situazione sinteticamente descritta, con una evidente allusione ai
contesti biblici della Genesi e dell'Apocalisse, potrebbe costituire il
momento etico-valoriale capace di ispirare la condotta dell'uomo in una
specie di ecologia alternativa, nella quale l'intelligenza e la liberta'
dell'uomo stesso, con l'ausilio della scienza e della tecnica, vengano messe
a servizio della sopravvivenza, nonche' di uno sviluppo equilibrato, del
mondo ai fini di un futuro di miglioramento della natura e della qualita'
della vita per l'intera specie umana sul pianeta Terra.
La situazione descritta trova le condizioni ontologico-speculative, in base
alle quali sostenere l'ipotesi del "miglioramento morale" dell'uomo, anche
in sede filosofico-teologica, mediante le ipotesi di alcuni autori significa
tivi del Novecento. Si pensi ad esempio ad Hans Jonas, con il suo Il
principio responsabilita', nonche' a padre Teilhard de Chardin, con il suo
Fenomeno umano. E' chiaro che i riferimenti a tali autori, nonche' alla loro
opera principale, assumono, in questo quadro, un valore emblematico
meramente esemplificativo, in quanto il discorso comprenderebbe altre
filosofie e altri studi che, in questa sede, non e' possibile riferire per
l'esiguo spazio a nostra disposizione.
Se ci riferiamo piu' espressamente alla posizione filosofica di Hans Jonas,
troviamo che le condizioni precarie della sopravvivenza dell'uomo e del
nostro pianeta, in questo tempo di negativita' e di catastrofi, determinano
una inversione di tendenza dell'etica tradizionale, all'interno della quale
emerge appunto il "principio responsabilita'", inteso quale consapevole
"atto di liberta'" dell'uomo che, nei suoi limiti ma anche nelle sue
potenzialita' creative, si fa carico di se stesso, della propria condizione,
della situazione della natura, utilizzando proprio quella scienza e quella
tecnica, che ha finora sfruttato e distrutto il mondo, per ricostruire le
possibilita' di un mondo migliore aperto ad un futuro di sopravvivenza della
realta' naturale e della civilta' umana.
Se ci rivolgiamo, invece, a Pierre Teilhard de Chardin, troviamo che proprio
il quadro evolutivo dell'universo, progressivamente ordinato nelle
successive fasi della litosfera, della biosfera e della noosfera, determina
le condizioni per un orientamento ottimistico dello sviluppo del reale verso
una spiritualizzazione religiosamente cristocentrica che vede, appunto,
nell'incarnazione di Dio nella storia, "l'alfa" e "l'omega" dell'intero
creato. In questo quadro allora, l'uomo si colloca in una situazione nella
quale i suoi stessi principi della morale si evolvono adeguandosi alle
condizioni della sua sopravvivenza; infatti, cosi' come c'e' stato il tempo
degli egoismi, dello sfruttamento, della competizione e dell'eccesso di
produzione, ci saranno i tempi di una spiritualizzazione crescente in cui
l'uomo diverra' finalmente capace di accomunarsi ai suoi simili, di
proteggere la natura e di aprirsi, mediante l'amore, ad un avanzamento
spirituale verso Dio. Qui, allora, la catastrofe viene assunta al ruolo di
un grande rischio e di un grande pericolo; ma il "supplemento d'anima", che
potra' nascere nella spiritualita' umana, permettera' all'uomo stesso di
farsi carico della salvezza della natura, insieme alla sua salvezza, proprio
attraverso la scienza e la tecnica che costituiscono le sue effettive
possibilita' di incidere costruttivamente sul destino del reale.
E' evidente allora, gia' da questi riferimenti sintetici a due dottrine
significative del nostro tempo, come il problema ecologico non imponga alla
storia un regresso impossibile delle condizioni della civilta' umana, bensi'
proponga un avanzamento piu' intelligente della civilta' medesima nel quale
l'uomo, attraverso una ecologia alternativa, possa compiere un vero e
proprio salto di qualita'. Solo in tal modo egli riuscira' a migliore se
stesso, operando nel mondo attraverso la scienza e la tecnica che sono, in
definitiva, i prodotti piu' elevati della sua cultura e del perfezionamento
della sua intelligenza creativa.

10. RILETTURE. AA. VV.: MALINCHE. LA DONNA E LA CONQUISTA
AA. VV., Malinche. La donna e la Conquista, Edizoni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1992, pp. 118, lire 12.000. Una riflessione a piu'
voci sulla condizione della donna in America Latina dalla Conquista ad oggi.

11. RILETTURE. CHIEDO LA PAROLA. TESTIMONIANZA DI DOMITILA
Chiedo la parola. Testimonianza di Domitila, Feltrinelli, Milano 1979, pp.
208. Una militante proletaria boliviana denuncia l'oppressione, racconta e
riflette sulle sue esperienze di vita e di lotta.

12. RILETTURE. MARCELLA DELLE DONNE: CONVIVENZA CIVILE E XENOFOBIA
Marcella Delle Donne, Convivenza civile e xenofobia, Feltrinelli, Milano
2000, pp. 156, euro 16,53. Un'utile sintesi.

13. RILETTURE. L'AUTOBIOGRAFIA DI MAMMA JONES
L'autobiografia di Mamma Jones, Einaudi, Torino 1977, pp. XLVIII + 190. La
vita e le lotte della leggendaria militante sindacale americana tra
Ottocento e Novecento.

14. RILETTURE. LA VITA COME NOI L'ABBIAMO CONOSCIUTA
La vita come noi l'abbiamo conosciuta, Savelli, Milano 1980, pp. 160.
Autobiografie di donne proletarie inglesi, pubblicate nel 1931, con una
lettera introduttiva di Virginia Woolf.

15. RILETTURE. KHALIDA MESSAOUDI: UNA DONNA IN PIEDI
Khalida Messaoudi, Una donna in piedi, Mondadori, Milano 1996, 1997, pp.
VIII + 184, lire 14.000. Un'intervista alla militante democratica algerina
condannata a morte dai fondamentalisti.

16. RILETTURE. GIULIANA MORANDINI: ... E ALLORA MI HANNO RINCHIUSA
Giuliana Morandini, ... e allora mi hanno rinchiusa, Bompiani, Milano 1977,
1985, pp. XVIII + 242. Testimonianze di donne recluse in manicomio. Un libro
che va letto. Con prefazione di Franca Ongaro Basaglia.

17. RILETTURE. TASLIMA NASREEN: VERGOGNA
Taslima Nasreen, Vergogna, Mondadori, Milano 1995, 1996, pp. 252, lire
14.000. In forma di romanzo una testimonianza sul fanatismo religioso, per
la quale l'autrice e' stata condannata a morte dagli integralisti.

18. RILETTURE. UGO PANELLA, RENATA PISU: I VOLTI NEGATI
Ugo Panella, Renata Pisu, I volti negati, Federico Motta Editore, Milano
2000, pp. 72, lire 28.000. Un reportage fotografico dal Bangladesh sulle
donne sfigurate in volto con l'acido solforico dalla violenza maschile che
le "punisce" cosi' per aver rifiutato i matrimoni imposti e i
"corteggiamenti" molesti. Il volume e' uno strumento a sostegno di una
campagna di solidarieta' concreta con le donne del Bangladesh.

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 467 del 5 gennaio 2003