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La nonviolenza e' in cammino. 466



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 466 del 4 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Antonio Vigilante, il porcellino di Pirrone
2. Ileana Montini, ancora sul relativismo culturale
3. Peppe Sini, una riflessione necessaria tra persone amiche della
nonviolenza
4. Assia Djebar, tutte le mattine
5. Lidia Menapace, sulla distinzione tra violenza e forza
6. Benito D'Ippolito, ad alcuni amici suoi di Catania
7. Nella Ginatempo, per una politica di disarmo in Europa
8. Amelia Alberti, il presidente stanco e un'infinita solitudine
9. Eduardo Galeano, la medicina
10. Michele Boato, l'articolo 11 a Marghera
11. Marina Forti, a Hyderabad (India) il primo Forum sociale asiatico
12. Il 25-26 gennaio riunione del Movimento Nonviolento a Verona
13. Riletture: Al-Farabi, La citta' virtuosa
14. Riletture: Avicebron, La corona regale
15. Riletture: Tommaso d'Aquino, Il male
16. Riletture: Alison Weber, Teresa d'Avila e la retorica della femminilita'
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ANTONIO VIGILANTE: IL PORCELLINO DI PIRRONE
[Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: naciketas@jumpy.it) per questo
lucido e serrato intervento che pone con la necessaria radicalita' un tema
cruciale, sul quale vorremmo si aprisse una piu' ampia riflessione cui
invitiamo tutti i nostri interlocutori a contribuire. Antonio Vigilante e'
studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a
Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica.
Collabora a diverse riviste e sta preparando un saggio filosofico sulla
nonviolenza di cui abbiamo anticipato alcune pagine su questo foglio tempo
addietro. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata.
Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia
1999]
Ho provato a guardare la televisione, una domenica pomeriggio. Su una rete
privata c'era un appassionato dibattito sulle casalinghe che si spogliano
per il loro calendario, mentre sulla concorrente rete pubblica un comico che
una volta, forse, riusciva a strappare qualche risata intelligente si
esibiva in buffonate gia' viste mille volte, e ormai penose.
Questo, mentre si stanno preparando eventi che potrebbero decidere il nostro
futuro. Mi e' venuto in mente il porcellino di Pirrone, inconsapevole e
imperturbabile mentre la nave va a fondo.
Gandhi diffidava del progresso, e viveva con grande disagio il semplice
fatto di salire su un treno. Nello spirito gandhiano, e' contro la
televisione che dovrebbe concentrarsi l'analisi critica degli amici della
nonviolenza. Il modello di vita diffuso dalle televisioni - e segnatamente
dalla televisione italiana - e' l'esatto contrario del modello di vita
gandhiano e nonviolento.
Manca, nella televisione italiana, la passione per la verita'.
L'informazione televisiva e' evasiva. Raramente i telespettatori sono messi
in grado di comprendere realmente un evento. Non si perde tempo a spiegare i
retroscena, le cause vicine o remote, i grandi processi storici ed
economici. Un conflitto merita spesso meno spazio di un fatterello di
cronaca rosa. Manca l'indipendenza dal potere politico.
A dominare e' l'invasivita' dello spettacolo. Dove in passato arrivava la
sensibilita' dello scrittore, oggi arrivano le telecamere. La televisione,
che ha denaro, acquista i drammi veri o finti delle famiglie, e li mette in
scena davanti a milioni di telespettatori. Non e' solo una questione di
cattivo gusto. E' un attacco alla dignita' della persona. La televisione
arriva nell'intimo delle relazioni, dove e' costretto ad arrestarsi anche il
peggiore dei totalitarismi; strappa il pudore, acquista le storie personali,
la narrazione di se'.
La televisione celebra se stessa come forma attuale della Provvidenza. Tutto
le e' possibile. Grazie a qualche trasmissione televisiva padri e figli che
non si vedono da anni possono incontrarsi, sogni accantonati per mancanza di
denaro si realizzano di colpo, legami infranti si ricompongono. Rispondendo
ad una sola domanda di un quiz televisivo e' possibile guadagnare lo
stipendio di un mese di un onesto lavoratore. La televisione ha denaro, e lo
usa per comprare i sogni della gente. Essa acquista per questa via una sua
trascendenza, che sa come spendere.
La televisione trasforma gli italiani in un popolo di bambini capricciosi,
con il naso appiccicato alle vetrine dei negozi di giocattoli, mettendogli
sotto gli occhi una quantita' inverosimile di oggetti da desiderare. La
televisione trasforma gli italiani in un popolo di vecchi porci, esibendo
ballerine, veline, letterine...: bellezza comprata e venduta senza troppi
scrupoli. La televisione trasforma gli italiani in un popolo di idioti, con
i suoi buffoni e le sue buffonerie, con i travestimenti, le battute
grossolane ed i doppi sensi, i maghi e le superstizioni, gli ammiccamenti,
le puerilita'.
E' un'Italia volgare, superficiale, affamato di denaro, di sesso, di
successo quella che la  televisione mette in scena.
Capitini parlava delle destre che avrebbero rovesciato sugli italiani una
marea di rotocalchi, per distrarli ed addormentarli. Oggi questo compito e'
svolto in modo infinitamente piu' efficace dalla televisione.
Mi chiedo - vi chiedo, soprattutto - se la critica, l'analisi, l'opposizione
alla televisione non siano oggi compiti tra i piu' urgenti per gli amici
della nonviolenza.
Mi chiedo e vi chiedo se non sia il caso di pensare ad un Manifesto contro
la televisione, o al lancio di una campagna di boicottaggio, per sollevare
una buona volta il problema al di fuori della cerchia dei cosiddetti
intellettuali.

2. EDITORIALE. ILEANA MONTINI: ANCORA SUL RELATIVISMO CULTURALE
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini@tin.it) per questo
intervento, che riprende il tema dell'articolo di Maryam Namazie apparso sul
notiziario del 2 gennaio. Di Ileana Montini, prestigiosa intellettuale
femminista, riproduciamo qui di seguito una breve autopresentazione che ebbe
la gentilezza di scrivere su nostra richiesta nel dicembre scorso: "Sono
nata nel 1940 da genitori romagnoli. Ho studiato a Ravenna e all'Universita'
di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia.
Ho cominciato tra i 23-24 anni a collaborare, come corrispondente e in terza
pagina, sul quotidiano cattolico "L'Avvenire d'Italia" che si stampava a
Bologna, diretto, negli anni sessanta, da Raniero La Valle. Sono stata, fino
al 1971, nella DC, per poi uscire e aderire al Manifesto. Nella DC ho
ricoperto cariche regionali nel Movimento Femminile e ho fatto parte del
Comitato Nazionale. Appartenevo alla sinistra di Donat Cattin. Ho
collaborato e fatto parte di varie redazioni di periodici. Per esempio:
della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina
Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti. Ho
condiviso il lavoro redazionale di "Per la lotta" del Circolo "Jacques
Maritain" di Rimini. Ho collaborato a "Nuova Ecologia" diretta da A. Poggio.
Ma ho fatto parte anche della redazione della rivista "Jesus Charitas" della
"famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel
Carlo Carretto. Ho poi collaborato al "Manifesto". Attualmente collaboro al
"Paese delle donne". Il mio primo libro, edito da Bertani, e' stato La
bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita'
maschile e femminile (1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini.
Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura
della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro
che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui avevo
fatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
e' uscito un libro d'arte della editrice Stellecadenti di un paese della
provincia di Viterbo, che racconta (mia e' la prefazione) l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto; titolo: Attraverso il silenzio, di Nicoletta Crocella. Il
Laboratorio e' nato a Brescia da un mio progetto e con alcune donne alla
fine degli anni ottanta. Era stato preceduto dalla fondazione, insieme ad
altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Un'esperienza come altre all'interno dell'universo femminista. Nel 1987 sono
stata capolista alle elezioni per la Camera dei deputati per il collegio di
Brescia/Bergamo per la prima lista dei Verdi. Da anni, conclusa la
professione d'insegnante, sono psicologa-psicoterapeuta"]
Ho letto la traduzione di uno scritto dell'iraniana Maryam Namazie sul
relativismo culturale e sono saltata sulla sedia.
L'episodio al quale fa riferimento in apertura, cioe' la sentenza
dell'agosto 1997 in Germania, favorevole al  padre immigrato che aveva arsa
viva la figlia di 18 anni perche' si era rifiutata di sposare l'uomo che lui
le aveva scelto, in nome della comprensione di una cultura diversa, va
giustamente ascritto a quello che chiamiamo relativismo culturale. E allora
parliamone e cerchiamo di definirne i contorni, perche' e' una tendenza
presente soprattutto nell'area di sinistra in Italia.
La mattina del 2 gennaio la giornalista Renata Pisu, nota al pubblico anche
come saggista e orientalista, a Rai Tre dove commenta questa settimana i
quotidiani, ha detto che nelle ex-Usl venivano praticate le mutilazioni
genitali alle bambine in nome del relativismo culturale. La notizia non mi
e' giunta nuova, perche' l'antropologa Ida Magli aveva denunciato in un suo
libro che la ministra alla solidarieta' sociale del precedente governo aveva
voluto la possibilita' per gli emigrati di fare questi interventi in luoghi
sanitari pubblici per evitare la clandestinita' e i rischi che ne derivano
per la salute. Un esempio, appunto, di relativismo culturale.
Recentemente mi e' accaduto di sentire una nota docente universitaria (di
sinistra) affermare la necessita' di "mediare" con i musulmani circa le loro
tradizioni, soprattutto quelle a sfavore delle donne e sempre in nome del
relativismo culturale.
Gli uomini di religione o cultura musulmana giudicano molto severamente la
liberta' delle donne, soprattutto nell'abbigliamento, e si ritengono quindi
autorizzati a molestarle.
Ebbene, le giovani donne che hanno assimilato i dettami della cultura "di
sinistra" spesso subiscono queste molestie perche' "bisogna capirli per la
loro cultura", facendo cosi' la fine delle loro madri quando, anche in
Italia, il cattolicesimo (e non solo) aveva creato quel clima culturale
popolare secondo il quale se una donna veniva stuprata o molestata, se l'era
cercata sicuramente con la gestualita' seduttiva e l'abbigliamento non
conveniente al pudore.
Il relativismo culturale d'altronde e' gia' praticato nelle scuole, dove
viene accettata la richiesta dei genitori musulmani di esentare le figlie
puberi dall'ora di piscina perche' si pratica in luogo misto.
E viene praticata dalle istituzioni (Comuni, per esempio) quando organizzano
i corsi di lingua italiana, componendo classi differenziate per sesso.
Il problema dei diritti di cittadinanza per gli immigrati provenienti da
culture diverse e' certamente un problema complesso e giusto, ma va
affrontato perche', si da' il caso, spesso si tratta di riconoscere il
diritto a vivere norme e valori che ledono fortemente la dignita' umana
delle donne.

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA RIFLESSIONE NECESSARIA TRA PERSONE AMICHE
DELLA NONVIOLENZA
L'islam e' una grande cultura, come il cristianesimo, come l'ebraismo. Le
tre religioni del libro apportano all'umanita' tesori immensi di sapienza e
di speranza.
Ed in quanto fenomeni storici, intrecciate ad umane vicende e tradotte in
umane elaborazioni ideologiche, su cui si costruiscono anche relazioni di
potere, regole di convivenza, proposte sociali e politiche, istituzioni e
costumi, esse apportano anche immensi carichi di oppressione. Cosi' accade
di tutte le tradizioni storiche intese non solo a fondare un'interpretazione
della realta' e ad enunciare un messaggio di salvezza, ma anche a dedurne
conseguente cogenti, norme coattive. E poiche' nulla di umano sfugge
all'attrito storico dei contesti culturali, tutto richiede una costante
pratica ermeneutica, esegetica, e a tutti incombe il dovere di smascherare,
denunciare, contrastare le pratiche violente e le ideologie totalitarie
ovunque esse si infiltrino, anche nelle religioni. La fede non e' rinuncia
al pensiero, e la voce che viene chiamata Dio chiama alla liberta' e alla
verita', non alla menzogna e all'oppressione.
Tutti siamo ammirati leggendo il Levitico e il Deuteronomio, ma non pensiamo
certo di dover imporre a noi stessi o peggio all'umanita' intera l'adesione
sine glossa a tutte quelle prescrizioni.
Ci sono pagine paoline che ci commuovono fino alle lacrime, e ci sono pagine
di una misoginia intollerabile; sappiamo leggerle con spirito critico,
sappiamo cogliere quel che vi e' di caduco e quel che ancora ci interpella.
Ci sembra quindi ragionevole auspicare un approfondimento dell'intellezione
del messaggio delle grandi religioni tale per cui da esse non si traggano
piu' conseguenze che offendono l'umana dignita'.
Ci sembra quindi ragionevole auspicare una "convivenza delle culture"
fondata sul reciproco rispetto e sul comune agire per il bene dell'umanita'
nel suo insieme ed in ogni singola concreta persona che essa umanita'
incarna.
Tutte le tradizioni culturali hanno un valore non solo epistemologico ma
anche operativo; ma all'esito operativo di tutte deve essere posto un limite
invalicabile, e questo limite sono i diritti umani di tutti gli esseri
umani.
Che nessuno osi affermare che sia l'Onnipotente a volere la morte o la
mutilazione o l'umiliazione o la sopraffazione comunque di un essere umano.
Che nessuno pretenda di poter opprimere altrui in nome dell'Altissimo. O
della Storia, o della Classe o di ogni altra parola o concetto o struttura
eidetica, ontica o ontologica con l'iniziale maiuscola.
*
E quindi affermiamo con chiarezza il nostro ripudio di tutte le pratiche che
denegano l'umana dignita'.
Poi ammiriamo pure la Bibbia ebraica e le Bibbie cristiane, il Corano, ed i
monumenti delle altre grandi tradizioni religiose. E rispettiamo le visioni
del mondo e le pratiche cultuali e i tesori di pensiero e di pieta' che ne
discendono. Ed auspichiamo l'incontro ed il riconoscimento reciproco di
tutte le visioni del mondo rispettose dell'umana dignita'. E contro ogni
forma di razzismo battiamoci.
Ma affermiamo con chiarezza l'inammissibilita' assoluta di ogni gesto e di
ogni teoria che deneghi la piena dignita' umana di ogni e qualsiasi essere
umano; affermiamo con chiarezza l'inammissibilita' assoluta di ogni
violazione dei diritti umani; affermiamo l'inammissibilita' assoluta di ogni
lesione ed umiliazione ad un qualunque essere umano inferta.
Chi pensa di poter, in nome di una tradizione qualsivoglia, uccidere,
mutilare, torturare, umiliare, opprimere un qualunque essere umano, ebbene,
deve trovare in noi degli avversari decisi.
E quindi proprio mentre affermiamo la nostra amicizia sincera con le persone
di religione islamica, cristiana o ebraica o altra ancora o anche non
religiose, a tutti diciamo che questa amicizia sincera non puo' divenire
complicita' con pratiche di violenza.
Ad ogni forma di totalitarismo, ad ogni ideologia sacrificale, ad ogni
teorizzazione e pratica della violenza e dell'oppressione opporci dobbiamo.
Dobbiamo opporci a Hitler come a Stalin, ad Auschwitz come a Hiroshima, a
tutti i macellai che brandiscono la scure - che lo facciano in nome di
Satana o di Dio, nulla cambia se non che nel secondo caso aggiungono
blasfemia ad assassinio.
Dobbiamo opporci ai terroristi sia quando essi sono assassini in proprio,
per conto di organizzazioni, o a capo di stati; e dobbiamo opporci anche a
quei terroristi invisibili ma non meno effettuali - e il cui nome e'
legione - che lungo le strade cercano schiave, o nelle cucine e nelle camere
da letto.
*
E ancora una volta e' significativo che sia la voce delle donne a farci da
guida in questa lotta necessaria. Ancora una volta e' significativo che
siano voci di donne a denunciare il fascista che e' dentro di noi. Ancora
una volta e' significativo che siano voci di donne a richiamarci a un
impegno di pace che sia fondato sulla verita', sulla solidarieta', sulla
dignita' umana di tutti e di ognuno, alla responsabilita' nel senso di
Levinas e di Jonas, alla responsabilita' nel senso di Rosa Luxemburg e di
Virginia Woolf, di Simone Weil e di Hannah Arendt, nel senso di Luce Fabbri.
Gli ipocriti, i tiepidi, i "relativisti culturali", anche se pretesamente
"di sinistra", anche se fin esibizionisticamente impegnati "nel movimento"
(qualunque cosa queste formule vogliano dire), sono complici dei razzisti e
dei fascisti, di cui il maschilismo e' il prototipo e la piu' longeva e in
quanto tale piu' brutale espressione.
La nonviolenza o e' lotta contro tutte le violenze e le menzogne, o non e'
nulla.

4. MAESTRE. ASSIA DJEBAR: TUTTE LE MATTINE
[Riportiamo la prima stanza di questa sublime e straziante poesia scritta
oltre quarant'anni fa da Assia Djebar; la riprendiamo da AA. VV., Poeti
algerini, Guanda, Parma 1966, p. 125. Assia Djebar e' un'illustre
intellettuale algerina impegnata per i diritti umani, scrittrice, storica,
antropologa, docente universitaria, cineasta. Opere di Assia Djebar: cfr.
almeno Donne d'Algeri nei loro appartamenti, Giunti, Firenze 1988; Lontano
da Medina. Figlie d'Ismaele, Giunti, Firenze 1993, 2001; L'amore, la guerra,
Ibis, 1995; Vaste est la prison, Albin Michel, Paris 1995; Bianco d'Algeria,
Il Saggiatore, Milano 1998; Nel cuore della notte algerina, Giunti, Firenze
1998; Ombra sultana, Baldini & Castoldi, Milano 1999; Le notti di
Strasburgo, Il Saggiatore, Milano 2000; Figlie d'Ismaele nel vento e nella
tempesta, Giunti, Firenze 2000; La donna senza sepoltura, Il Saggiatore,
Milano 2002. Opere su Assia Djebar: cfr. il libro-intervista di Renate
Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite, La Tartaruga, Milano 1997]

Io ti cerco fra i cadaveri
tutte le mattine
proprio vicino a casa nostra
ogni notte morta l'ombra si colma di corpi
sotto il ponte
proprio vicino a casa nostra
mi si dice
un uomo e' qualcosa che le guardie portano via
e non ritrovano
Io ti cerco fra i cadaveri
tutte le mattine

5. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: SULLA DISTINZIONE TRA VIOLENZA E FORZA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace@tin.it) per questa
riflessione, che estraiamo da una densa e preziosa lettera. Lidia Menapace
e' una delle fondamentali collaboratrici di questo foglio; ha preso parte
alla Resistenza ed e' una delle figure piu' luminose della cultura e della
vita civile italiana, dei movimenti delle donne, di pace, di solidarieta',
di liberazione. La maggior parte dei suoi scritti e interventi e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Mi sembra molto importante la riflessione di Enrico Peyretti (nell'articolo
"Forza e violenza. La violenza e' debolezza. La nonviolenza e' forza" nel n.
462 del 31 dicembre di questo notiziario) sulla distinzione tra violenza e
forza: sono d'accordo.
Ma proprio per questo bisogna smascherare la trasformazione della violenza
in forza da parte dello stato e dei suoi apparati repressivi e bellici.
Infatti lo stato di diritto si riconosce il diritto di chiamare "forze
armate" gli eserciti e di tenere per fermo che la violenza delle guerre sia
invece "forza legittima". Lo stesso vale per le "forze dell'ordine" che pure
hanno una legittimazione ad usare armi, violenze, costrizioni ecc.
Non vi pare che bisognerebbe cominciare a pensare come potrebbe essere uno
stato che non accetta l'ipocrisia della violenza chiamata forza? forse
unilateralmente disarmato, forse neutrale?

6. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: AD ALCUNI AMICI SUOI DI CATANIA
[Approssimandosi l'anniversario della morte di Pippo Fava, assassinato dai
sicari mafiosi in un agguato il 5 gennaio 1984, il nostro collaboratore
Benito D'Ippolito ha scritto queste righe agli amici suoi di Catania che in
questi giorni lo ricordano, e nel ricordo ne proseguono la lotta, e
proseguendone la lotta lo ricordano nell'unico modo possibile e necessario.
Giuseppe Fava e' nato a Palazzolo Acreide (Siracusa) il 15 settembre 1925.
Laureato in giurisprudenza nel 1947, giornalista professionista dal 1952,
redattore e inviato speciale nei settori di attualita' e di cinema per
riviste come "Tempo illustrato" e "La domenica del Corriere", corrispondente
di "Tuttosport", variamente collaboro' a "La Sicilia", dal 1956 al 1980
capocronista del quotidiano "Espresso sera". Drammaturgo, romanziere, autore
di libri-inchiesta; nel 1975 ottiene grande successo il suo romanzo Gente di
rispetto; nel 1977 pubblica un altro grande romanzo: Prima che vi uccidano.
Nel 1983 pubblica L'ultima violenza, da molti considerato il suo capolavoro
drammaturgico. Nei primi anni '80 si consuma l'esperienza di direzione del
quotidiano catanese "Giornale del Sud", due anni di limpide battaglie
civili, antimafia e pacifiste, ed una rottura conclusiva di testimonianza
esemplare. Nel gennaio del 1983 esce il primo numero del mensile "I
Siciliani" che Fava fonda con un gruppo di giovani: sara' una delle
esperienze decisive per il movimento antimafia che si sta formando in
Italia, e resta un punto di riferimento fondamentale. Il 5 gennaio 1984
Pippo Fava e' assassinato dalla mafia a Catania. Opere di Giuseppe Fava: I.
Opere letterarie e teatrali di Fava pubblicate in volume: Pagine, Ites,
Catania 1969; Gente di rispetto, Bompiani, Milano 1975; Prima che vi
uccidano, Bompiani, Milano 1977; Passione di Michele, Cappelli, Firenze
1980; Teatro, Tringale, Catania 1988; II. Libri-inchiesta: Processo alla
Sicilia, Ites, Catania 1967; I Siciliani, Cappelli, Firenze 1980; Mafia. Da
Giuliano a Dalla Chiesa, Siciliani Editori - Editori Riuniti, Roma 1983;
III. Opere teatrali di Giuseppe Fava messe in scena: Vortice - Le vie della
gloria, Palazzolo Acreide 1947; La qualcosa, Catania 1960; Cronaca di un
uomo, Catania 1967; La violenza, Catania 1970; Il proboviro, Catania 1972;
Bello bellissimo, Catania 1974; Opera buffa, Taormina 1977; Delirio, Catania
1979; Foemina ridens, Catania 1981; Ultima violenza, Catania 1983; Maffia -
Parole e suoni, Catania 1984; Sinfonie d'amore, Catania 1987; IV. Opere
teatrali di Giuseppe Fava mai rappresentate: La rivoluzione; America
America; Dialoghi futuri imminenti; Il Vangelo secondo Giuda; Paradigma;
L'uomo del Nord (incompiuta). [Questa nota e' ripresa dal libro di Rosalba
Cannavo', di seguito segnalato]. Opere su Giuseppe Fava: Claudio Fava, La
mafia comanda a Catania, Laterza, Roma-Bari 1991; Idem, Nel nome del padre,
Baldini & Castoldi, Milano 1996; Nando dalla Chiesa, Storie, Einaudi, Torino
1990 (e particolarmente il capitolo primo, "I carusi di Fava"); Riccardo
Orioles, L'esperienza de "I Siciliani", in Umberto Santino (a cura di),
L'antimafia difficile, Centro siciliano di documentazione Giuseppe
Impastato, Palermo 1989; Rosalba Cannavo', Pippo Fava. Cronaca di un uomo
libero, Cuecm, Catania 1990]

Degli infiniti mondi questo era
dei ciarlatani il mondo.
E dei mafiosi.

E delle oppresse e degli oppressi in lotta
per il riscatto e per la dignita'.

Ti offrivano casse di vini pregiati e sorridendo
ti dicevano di smettere, ma chi te lo fa fare, pensa
alla salute.

Ministri e cavalieri, stallieri e magnati
ti guardavano come una sfinge, cosa poteva volere
quella faccia di greco antico
che certo amava la vita.

Amava la vita ed amava la Sicilia
che e' la vita quando la vita e' insieme felice e amara.
Amava la Sicilia che e' la Grecia
di Empedocle e il mondo quando tutto
era colmo di dei e di dee. Amava
la Sicilia che non si arrende, la Sicilia
dei contadini e degli zolfatari,
degli emigranti e delle magre donne
forti come la roccia.

Era uno come Diderot: fece piu' che delle opere
fece delle persone.
Trovo' compagni e suscito' la lotta, quando
tutti tacevano e lui levo' la voce, e cosi' quando
sarebbe stato facile cedere in una smorfia,
in un ammiccare ironico e lieve, e invece lui
levo' la voce.

Lo avevano avvisato, non dite di no. Avvisato
lo avevano, ma lui
niente
e con quel sorriso e con quel cercare grane
sempre d'attorno andando col fiuto e con la tigna.
Lo avevano avvisato ma lui niente
testa dura che voleva spianare le montagne.

Poiche' non lo fermarono i sorrisi
poiche' non lo fermavano gli avvisi
poiche' cresceva intorno a lui, tramite lui
quella cosa che si chiama Resistenza
e puoi dirla solamente in lieve soffio,
mandarono a fermarlo infine i killer.

Sono passati anni e a quella notte
tante altre fredde notti di dolore
si sono aggiunte tale che s'incrina
il mondo sotto il peso della mole.

Sono passati anni e Pippo Fava
e' ancora qui, compagni, e vive ancora
e vivra' ancora finche' tu non cedi.

7. RIFLESSIONE. NELLA GINATEMPO: PER UNA POLITICA DI DISARMO IN EUROPA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
intervento di Nella Ginatempo, prestigiosa intellettuale impegnata nei
movimenti delle donne, contro la guerra, per la globalizzazione dei diritti]
Il vertice di Praga ha sancito il sostegno politico e all'occorrenza
militare dei paesi Nato alla guerra di Bush, di cui l'Iraq rappresenta la
tappa cruciale.
La guerra preparata contro l'Iraq e teorizzata nella aberrante teoria della
"guerra preventiva" non solo costituisce l'ultima gigantesca infamia, ma
anche il pericolosissimo varco di una soglia per tutta l'umanita'.
A differenza di quanto avveniva nel passato, il nuovo volto della guerra non
cerca piu' di nascondere i propri orrori con la giustificazione di
rispondere ad un nemico reale, ma si autoimpone al mondo come licenza
pubblica di uccidere invocando non un nemico reale bensi' una minaccia
potenziale o virtuale, totalmente costruita a tavolino.
Si tratta dunque di una strage degli innocenti gia' annunciata che si svela
finalmente senza piu' maschere nella sua vera veste di terrorismo di Stato.
Per questo l'opposizione della coscienza collettiva contro questa guerra in
Iraq e' dilagata sia in Europa che negli Usa, contaminando anche i settori
sociali che in precedenza avevano approvato la "guerra umanitaria" e la
"guerra al terrorismo". L'opposizione di massa a questa guerra in Iraq puo'
dunque diventare nell'attuale fase non solo il tentativo di salvare migliaia
di civili in Iraq, condizionando i governi e le scelte internazionali, ma
anche l'inizio di una opposizione permanente alla guerra per una nuova
politica di disarmo.
La nostra prospettiva internazionalista richiede oggi un salto di qualita'
nel conflitto sociale internazionale per fare della pace e del diritto alla
pace per i popoli la leva del nuovo mondo da costruire.
Non bastano oggi, di fronte all'offensiva della guerra infinita, le
battaglie di testimonianza o di opinione pubblica: il popolo afghano e'
stato devastato, il popolo palestinese e' in agonia, altri popoli, a partire
dal gia' martoriato popolo dell'Iraq, verranno colpiti per difendere gli
interessi economici e geopolitici del nuovo "Impero".
Non basta oggi obiettare e dire "non in nostro nome, non col nostro denaro".
E' drammaticamente urgente un grande processo di unificazione del movimento
dei movimenti e di conflitto coi nostri governi di guerra per ottenere il
disarmo e lo stop alla funesta "liberta' duratura" di uccidere.
*
Riarmo o disarmo in Europa?
Un memorabile discorso di Rosa Luxemburg al Parlamento tedesco contro il
riarmo e per la riconversione delle spese militari in spese sociali indica
ancora oggi la strada da percorrere. Siamo di nuovo, in circostanze del
tutto cambiate, su un crinale della storia d'Europa: siamo chiamati a
scegliere come edificare la nuova Europa: della guerra o della pace.
Il riarmo in Europa ha significato un nuovo modello di difesa europeo con la
generalizzazione in tutte le nazioni, compresa l'Italia, dell'esercito
professionale e l'acquisizione di nuovi armamenti. Abbiamo inoltre assistito
all'incremento della militarizzazione con la Nato europea e la
liberalizzazione del commercio delle armi (avvenuta attraverso l'attacco
alle leggi vincolistiche come la 185 in Italia).
Questa politica estera porta inevitabilmente all'aumento generalizzato delle
spese militari (in Italia + 10% negli ultimi anni fino a oltre 500 milioni
di euro per il 2003) con grande sacrificio di risorse che vengono sottratte
alle spese sociali; contribuendo in tal modo al peggioramento delle
condizioni di vita collettive.
Il volto oscuro di un'Europa sempre piu' militarizzata, xenofoba e chiusa ai
flussi di migranti ed ai diritti sociali, si afferma nei fatti, nella
costituzione materiale, mentre si e' adottata una Carta dei Diritti
dell'Unione europea in cui la questione della guerra rimane ignorata e
misconosciuto il diritto alla pace.
Il nuovo concetto strategico della Nato, varato a Washington il 24 aprile
del 1999, e' stato definitivamente sancito nell'ultimo vertice di Praga:
ribadendo il ruolo degli interventi militari oltre confine per motivi di
sicurezza (e non piu' per semplice difesa dei territori interni ai confini
degli Stati partecipanti alla Nato).
A questo punto, quindi, l'Italia aderisce non piu' ad un patto atlantico di
difesa, ma ad un patto di aggressione militare verso gli altri popoli della
terra. E questo riguarda tutta l'Europa e tutti i paesi aderenti alla Nato.
Il nostro paese, aderendo a questa opzione bellica ed a queste scelte
materiali, economiche e geopolitiche, rompe il proprio patto di cittadinanza
tra popolo e Stato. Infatti l'articolo 11 della nostra Costituzione
stabilisce il divieto assoluto di muovere guerra ad altri Stati usando la
guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali.
Le forze politiche in campo europeo (salvo rare eccezioni) presentano due
modelli alle scelte dei popoli: si tratterebbe di scegliere se avere un
ruolo complice come alleati supini alle scelte Usa, che sostengano tutte le
conseguenze distruttive della guerra permanente globale, oppure perseguire
(come indica una certa linea europeista "di centrosinistra ") una politica
di riarmo europeo per dare all'Europa un ruolo di potenza militare,
oltreche' economica, capace di fronteggiare gli Usa nella competizione
globale (ed all'occorrenza frenarne gli eccessi di onnipotenza), ovvero in
grado di svolgere un ruolo attivo nella gestione armata del nuovo ordine
mondiale e nella spartizione del bottino (risorse energetiche, mercati).
Le posizioni di aperta critica della politica militare Usa che stanno
emergendo attualmente in seno all'Unione europea e presso la Francia e la
Germania (sulla Palestina, sull'Iraq e col dissenso sull'asse del male di
Bush e sull'allargamento della guerra ad altri Stati) non sfociano in
nessuna proposta chiara di disarmo e pacificazione, infatti nessun governo
europeo rinuncia all'opzione militare (a favore delle vie diplomatiche e
della pratiche di vera cooperazione), anche in funzione di interessi
economici che guidano la ricolonizzazione in Africa, i corridoi energetici
nei Balcani ed in Asia, il sostegno al commercio delle armi, alla finanza
armata ed a tutta l'economia di guerra.
*
Dalla guerra militare economica e sociale al disarmo militare economico e
sociale
Il 10 novembre dello scorso anno centinaia di migliaia di persone hanno
manifestato a Roma contro la guerra in Afghanistan dietro un grande
striscione che diceva no alla guerra militare economica e sociale.
Ma oggi si tratta di passare dalla protesta al progetto per una nuova
Europa: l'Europa del disarmo. E per disarmo dovremmo intendere specularmente
il disarmo militare, economico e sociale.
Per disarmo militare intendo una fuoriuscita dell'Europa dalla guerra
militare: a livello istituzionale e giuridico assumendo nella nuova
Costituzione Europea il ripudio della guerra e il diritto alla pace per
tutti i popoli del mondo; a livello di scelte di riarmo, praticando la
contestazione del nuovo modello di difesa armato che si fonda sulla
commistione indebita tra difesa e guerra e realizzando invece la difesa
popolare nonviolenta con i corpi civili di pace; chiedendo la chiusura delle
basi militari, denunciando la nuova Nato e i trattati o i nuovi patti che
impongano guerre di aggressione contro gli altri popoli, e rifiutando lo
scudo spaziale e i programmi di riarmo nucleare.
Per disarmo sociale intendo soprattutto il rilancio dello Stato sociale in
sostituzione dello Stato militarista, attraverso una vasta campagna contro
l'aumento delle spese militari per riconvertirle in spese sociali, per la
redistribuzione dei redditi sociali e per la protezione civile dei
territori, quanto mai urgente oggi in tutta Europa.
Con il termine disarmo economico intendo soprattutto il passaggio dalla
finanza armata alla finanza etica attraverso una campagna di boicottaggio
delle banche armate; il passaggio dalla economia di guerra alla economia di
pace attraverso la riconversione ad usi civili dell'industria bellica, con
il necessario coinvolgimento dei sindacati, ed una campagna contro la
produzione e il commercio degli armamenti.
Questa Europa del disarmo comincia dall'opposizione qui e subito alla guerra
preventiva in Iraq con la mobilitazione globale di tutta la societa' civile.

8. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: IL PRESIDENTE STANCO E UN'INFINITA
SOLITUDINE
[Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente (per
contatti: lambient@tiscalinet.it) e collaboratrice abituale di questo
foglio]
"Il presidente Bush e' stanco dei media che prevedono, con tanto di date, il
prossimo attacco contro Saddam. 'Lei dice che stiamo marciando verso la
guerra. Non so perche' abbia suggerito questo scenario - ha risposto,
brusco, ad un reporter che aveva fatto una domanda implicando la decisione
di andare in guerra gia' presa - sono io la persona che decide. E non lei'"
(dall'articolo de "La Stampa" del 31 dicembre 2002 dal titolo: Bush: se
Saddam attacca, crolla l'economia Usa. Messaggio di fine anno: vinceremo la
guerra al terrorismo).
Irascibile e arrogante, questo presidente dell'Amerika, che asserisce di
lottare contro il terrorismo e la dittatura, usando modi e toni che niente
hanno da invidiare a dittatori e terroristi. "All'alba di questo nuovo anno,
l'America e' una terra di giustizia, liberta' e tolleranza. Lavoreremo
insieme per costruire a partire dai nostri successi e abbracciare le sfide e
le opportunita' che abbiamo dinnanzi. Laura si unisce a me per rivolgervi i
migliori auguri di buon anno. Che Dio vi benedica e benedica gli Stati Uniti
d'America".
E' antica tradizione dei conduttori di popoli quella di invocare Dio al
proprio fianco, e al fianco dei propri eserciti. I piu' sfacciati ne
documentavano poi la presenza come motto sulle insegne. Altri pretendevano
la sua benedizione alle truppe e ai mezzi corazzati per il tramite dei suoi
ministri. Mentre quel Dio, silenzioso e deluso, appare sempre piu' lontano
dagli uomini, che aveva plasmato a sua immagine e somiglianza. Che abbia
perso la scommessa con se stesso di mitigare per mezzo loro la sua infinita
solitudine?

9. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: LA MEDICINA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2003. Eduardo Galeano e' nato
nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in
seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal
suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura.
Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale
fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Opere di
Eduardo Galeano: fondamentali sono Le vene aperte dell'America Latina,
recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco,
Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra
gli altri libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua
maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista
che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes,
Mondadori, Milano]
Di tutto quello che imparo' nella Facolta' di Medicina, quella fu la lezione
piu' importante.
Ruben Omar Sosa ascolto' la lezione di Maximiliana in un corso di terapia
intensiva, e non la dimentico' mai. Il professore racconto' quello che gli
era successo: la signora Maximiliana, malridotta dagli anni, era degente da
alcuni giorni, e ogni giorno chiedeva la stessa cosa: Per favore, dottore,
potrebbe sentirmi il polso?
L'oscilloscopio dava il numero dei battiti, settantasette, settantotto, e
lui diceva: "Molto bene: 80/120 di pressione. Perfetto". "Si', dottore,
grazie. Adesso, per favore, mi prende il polso?".
E lui glielo sentiva di nuovo o le rispiegava che era tutto a posto, che
meglio non si poteva, e lei gli richiedeva: Mi sente il polso?.
E giorno dopo giorno la scena si ripeteva. Ogni volta che lui passava dal
letto della signora Maximiliana, quella voce, quel suono rauco, lo chiamava,
e gli offriva quel braccio, quel rametto, affinche' lui le misurasse la
pressione una volta, e un'altra volta, e un'altra ancora.
Lui obbediva, perche' un buon medico dev'essere paziente con i suoi
pazienti, ma pensava: Che barba questa vecchia. E ancora: E' svitata.
C'impiego' anni per rendersi conto che lei stava chiedendo che qualcuno la
toccasse.

10. RIFLESSIONE. MICHELE BOATO: L'ARTICOLO 11 A MARGHERA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 gennaio 2003 riprendiamo questa lettera
di Michele Boato. Michele Boato, nato nel 1947, docente di economia,
impegnato contro la nocivita' dell'industria chimica dalla fine degli anni
'60, e' impegnato da sempre nei movimenti pacifisti, ecologisti,
nonviolenti. Animatore di numerose esperienze didattiche e di impegno
civile, direttore della storica rivista "Smog e dintorni", impegnato
nell'Ecoistituto del Veneto "Alexander Langer", aniamtore del bellissimo
periodico "Gaia". Ha promosso la prima Universita' Verde in Italia.
Parlamentare nel 1987 (e dimessosi per rotazione un anno dopo), ha promosso
e fatto votare importanti leggi contro l'inquinamento. Con significative
campagne nonviolente ottiene la pedonalizzazione del centro storico di
Mestre, contrasta i fanghi industriali di Marghera. E' impegnato nella
campagna "Meno rifiuti". E' stato anche presidente della FederConsumatori.
E' una delle figure più significative dell'impegno ecopacifista e
nonviolento, che ha saputo unire ampiezza di analisi e concretezza di
risultati, ed un costante atteggiamento di attenzione alle persone
rispettandone  e valorizzandone dignita' e sensibilita'. Opere di Michele
Boato: ha curato diverse pubblicazioni soprattutto in forma di strumenti di
lavoro; cfr. ad esempio: Conserva la carta, puoi salvare un albero (con
Mario Breda); Ecologia a scuola; Dopo Chernobyl (con Angelo Fodde);
Adriatico, una catastrofe annunciata; tutti nei "libri verdi", Mestre; nella
collana "tam tam libri" ha curato: Invece della tv rinverdire la scuola (con
Marco Scacchetti); Erre magica: riparare riusare riciclare (con Angelo
Favalli); In laguna (con Marina Stevenato); Verdi tra governo e opposizione
(con Giovanna Ricoveri)]
Il 27 dicembre del 1947, esattamente 55 anni fa, veniva promulgata la
Costituzione italiana.
La ricorrenza, complici le feste natalizie, passa, come ogni anno, sotto
silenzio.
Vale invece la pena di ricordare almeno la profonda saggezza e novita'
dell'undicesimo articolo, che proporrei, non solo ai miei studenti, di
imparare a memoria: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa
alla liberta' degli altri popoli (e fin qui, viste le imprese guerrafondaie
della coppia Hitler-Mussolini, niente di straordinario - ndr) e come mezzo
di risoluzione delle controversie internazionali".
Questa seconda parte della frase e' di estrema attualita': come possono il
governo e il parlamento italiano pensare di appoggiare, in un futuro che
temo assai vicino, una nuova guerra nel lontano Iraq, per risolvere le
controversie tra i governi di quel paese e gli Stati Uniti d'America?
Perche', inoltre, si cercano i "gas letali per le masse" nei depositi di
Baghdad, e non si vedono le decine di tonnellate di fosgene, cloruro di
vinile, ammoniaca, cloro, acido cloridrico collocate a Marghera, nel cuore
di una citta' di trecentomila abitanti, come Mestre e Venezia?
Rileggiamo la Costituzione, applichiamola anche nelle sue parti piu'
"pesanti", come e' l'articolo 11, gia' calpestato piu' volte negli ultimi
dieci anni. E liberiamoci invece delle "armi di sterminio di massa" che
stanno qui, pronte ad esplodere in mezzo alla nostra citta', come stava
succedendo il 28 novembre dello scorso anno.

11. INCONTRI. MARINA FORTI: A HYDERABAD (INDIA) IL PRIMO FORUM SOCIALE
ASIATICO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 gennaio 2003. Marina Forti, esperta di
questioni ecologiche globali, e' inviata a Hyderabad]
Poco a poco gli stand prendono forma, mostre fotografiche ed esposizioni di
libri escono dagli scatoloni, le marmellate biologiche prodotte da qualche
cooperativa tribale si allineano sui banchetti insieme ai tessuti ricamati
da consorzi di donne, ai volantini dei sindacati, agli striscioni. La folla
aumenta, i delegati si mettono in fila per registrarsi, un gruppo di giovani
in abito nero e fascia rossa alla vita danza un benvenuto scandito da
tamburelli e sonagli come si usa tra i tribali dell'India centrale.
Ha preso il via cosi', ieri pomeriggio, il Social Forum Asiatico,
"filiazione" regionale del Social Forum Mondiale che alla fine del mese si
riunira' per il terzo anno consecutivo a Porto Alegre, Brasile. C'e'
un'intera gamma di movimenti popolari nella folla che si aggira tra i
padiglioni e gli stand del Nizam College, uno dei campus universitari di
questa citta' indiana nota per l'industria informatica e gli istituti di
ricerca. E gia' solo dai cartelli e gli striscioni esposti si capisce subito
che in questa tappa asiatica il "movimento dei movimenti" ha preso un sapore
tutto particolare.
Accanto a sigle note come Jubilee South (sezione Asia-Pacifico), che lotta
per la cancellazione del debito dei paesi del Sud del mondo, o la Freedom
from Debt Coalition (Coalizione per la liberta' dal debito) ce ne sono
parecchie che richiamano il movimento per i diritti dei dalit (quelli che
una volta erano definiti intoccabili, fuori-casta), o degli adivasi (cosi'
sono chiamate in India le popolazioni indigene, o "tribali"). S. Tony, un
signore dai capelli bianchi e il grande sorriso, spiega che il suo Comitato
d'azione Adivasi del Tamil Nadu (India meridionale) sta conducendo una
battaglia politica per estendere alle comunita' indigene del suo stato il
riconoscimento legale di "tribali", perche' ne consegue almeno qualche
protezione: "Quando scompaiono le foreste, e le risorse naturali diventano
merce, per gli adivasi non resta altra via che migrare in citta' o
vivacchiare su terre marginali".
*
Le donne in nero portano il sari
La sezione indiana di Greenpeace ha allestito una mostra fotografica
impressionante su Bhopal, il primo disastro "globale" dell'industria
chimica. Ci sono striscioni della "Marcia per la salute", che si sta
avvicinando a Hyderabad con un manifesto che chiede l'accesso universale ai
servizi sanitari e ai medicinali. Arriva un gruppo di donne con il sari nero
e i visi scuri del sud indiano, sono decine e hanno una spilla con scritto
"Donne contro la violenza" e "Giovedi' nero": vengono da Chennai (Madras) e
si richiamano al principio sancito ormai sette anni fa dalla Conferenza
mondiale sulle donne a Pechino, "la violenza contro le donne e' violazione
dei diritti umani universali". Ma si richiamano anche alla protesta
silenziosa del giovedi' cominciata nel '91 a Tel Aviv da donne israeliane e
palestinesi, vestite di nero.
Un collettivo di Bangalore organizza in questi giorni un "tribunale delle
donne" per denunciare le "diverse forme di violenza publica e privata", e
anche loro oggi si metteranno in nero.
Gli stand bordano due immensi spazi occupati da padiglioni coperti - da oggi
vi si terranno le conferenze di questo Social Forum - e la spianata aperta,
ricoperta da stuoie, dove ieri sera una moltitudine accoccolata ha assistito
al benvenuto pubblico.
La presenza indiana domina - per forza, siano nel centro di un paese di un
miliardo di abitanti - ma abbondano anche i lineamenti estremorientali, le
delegazioni venute dal Giappone e quelle sudcoreane. C'e' un forte gruppo
thailandese, anche se mancano alcuni dei dirigenti della Assembly of the
Poor ("Assemblea dei poveri"), la coalizione di organizzazioni popolari piu'
agguerrita: due settimane fa molti sono stati fermati durante una grande
protesta contro un oleodotto in costruzione tra Thailandia e Malaysia.
Pochissimi i volti occidentali.
"Non c'era mai stato un evento simile in India prima d'ora, neppure a
livello solo indiano - meno ancora asiatico", ci dice quasi stupito Kamal
Mitra Chenoy, un professore della Javaharlal Nehru university (la piu'
prestigiosa universita' pubblica indiana) che fa parte del segretariato di
questo forum: e aggiunge che per l'India questo  e' l'esito di un lungo
processo di consultazione per raggiungere e coinvolgere il piu' gran numero
di persone e gruppi. "Il processo e' altrettanto importante del risultato in
se'", si legge nei comunicati (anche sul sito www.wsfindia .org). E il
risultato di vede nei gruppetti di donne arrivate tutte insieme, il sari
dello stesso colore per riconoscersi e i fagottelli per la trasferta, o nei
gruppi di studenti che si sono accampati nel Youth Camp, i militanti
comunisti dai capelli grigi.
*
Lo spettro del "comunalismo"
La danza tribale e' seguita da una coreografia di uomini in casacca turchese
e donne in arancio e rosso: quando intonano l'inno dell'Asian Social Forum
il balletto e la musica ricordano un hindi film. Un'occidentale trasale
quando sente, a mo' di ritornelli, "om shanti", "allahu akhbar" e poi
"amen": le invocazioni hindu, musulmana e cristiana - seguite da
un'esplosione di "viva l'India laica", secular India.
Contradditorio? Al contrario, l'India laica e' quella in cui le religioni
convivono e sono separate dalla politica. E la canzone che sembra tanto
stravagante all'orecchio estraneo si riferisce all'emergere di una destra
religiosa che ha conquistato voti e potere (tanto che dal '98 guida il
governo centrale) sulla spinta di un movimento politico e culturale per la
supremazia dell'identita' hindu sulle altre culture e religioni
stratificate. E' un fenomeno politico che lacera l'India. Mescolate alla
folla, nel tardo pomeriggio delle figure silenziose espongono cartelli che
ricordano il "genocidio del Gujarat": rimando alle violenze avvenute nello
stato occidentale del Gujarat all'inizio di quest'anno, l'incendio di un
vagone in cui sono morti 57 pellegrini hindu e poi un lungo pogrom contro la
popolazione musulmana, mille morti (ma forse di piu') e centinaia di
migliaia di sfollati, una sorta di pulizia etnica. Diverse inchieste
indipendenti hanno puntato sulle responsabilita' del capo del governo di
quello stato, Narendra Modi (dello stesso partito al governo centrale
indiano), che nella migliore delle ipotesi non ha fatto abbastanza per
fermare la violenza - e nella peggiore ha istigato gli estremisti hindu,
braccio violento del suo stesso partito, secondo le accuse formulate da un
"Tribunale di cittadini". E pensare che appena due settimane fa Modi e'
stato riconfermato alla guida dello stato con una vittoria elettorale
clamorosa, dopo una campagna basata sulla difesa degli hindu da una
"minaccia" musulmana...
La battaglia contro il fondamentalismo e il "comunalismo", parola che qui
indica l'uso politico delle differenze di comunita' (religiose, etniche, di
casta), e' uno dei temi dominanti di questo Forum. "Il comunalismo e' una
minaccia alla democrazia e al pluralismo, in india e ovunque", insiste
Mitra - e aggiunge: "la famiglia di forze estremiste hindu qui sono
antidemocratiche ma decisamente pro-globalizzazione. Anzi, abbiamo il
governo piu' filoamericano della nostra storia".
La luce del sole e' ormai obliqua quando danze e inni lasciano spazio ai
discorsi, i benvenuto, le analisi. Ogni discorso e' tradotto dall'inglese in
hindi e in telegu (la lingua parlata in questa parte dell'India, l'Andra
Pradesh). Non tutti gli oratori per la verita' ce l'hanno fatta: dal
Pakistan non sono arrivati la giurista Asma Jehangir, ne' il direttore della
Commissione per i diritti umani I. A. Rehman, ne' i fisici e pacifisti P.
Hudboy e A. H. Nayyar. Non hanno ottenuto il visti d'ingresso in India,
annunciano dal palco, e nella platea scoppiano fischi e urla di "vergogna".
La luce del tramonto fa sembrare una nuvola dorata la polvere che avvolge la
platea, mentre Medha Patkar, attivista del Movimento per la salvezza del
fiume Narmada, parla della "politica dell'odio" che gioca sulle differenze
di casta e di religione e di come le popolazioni locali siano impoverite e
deprivate dalle grandi dighe che ne fanno degli emigranti nelle bidonvilles
urbane. Mentre Bojja Takaram, un avvocato di Hyderabad e notissimo attivista
per i diritti dei dalit, rivendica il modello di democrazia inclusiva e
partecipativa della Costituzione indiana. Tocca poi all'economista filippino
Walden Bello, della rete Focus on the Global South, ripercorrere le tappe da
Seattle alla prima Porto Alegre a questo Forum asiatico per ricordare che si
troviamo "a una congiunzione di eventi difficili: non possiamo ignorare che
gli Stati Uniti stanno per attaccare l'Iraq".
L'ordine del giorno? Pace, guerra e sicurezza, debito e commercio,
democrazia ed esclusione, politiche sociali, ecologia e cultura, alternative
e movimenti popolari. Di questo trattera' nei prossimi sei giorni il Forum
asiatico.

12. INCONTRI. IL 25-26 GENNAIO RIUNIONE DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO A VERONA
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riportiamo la
seguente circolare di invito alla riunione che si terra' sabato 25 e
domenica 26 gennaio a Verona]
Cari amici,
e' convocata la quinta riunione del comitato di coordinamento del Movimento
Nonviolento che si terra' sabato 25 e domenica 26 gennaio a Verona, con
inizio alle ore 16 del sabato e termine prevedibile alle ore 16 della
domenica. Si ricorda a tutti gli eletti e ai rappresentanti dei gruppi
locali l'importanza del coordinamento, e si raccomanda la presenza e la
puntualita'.
Ordine del giorno: 1. Approvazione verbale precedente; 2. Iniziative contro
la guerra; 3. Percorso delle "dieci parole della nonviolenza"; 4. Camminata
Assisi-Gubbio; 5. Movimento Nonviolento e Lilliput, Tavola Pace, Tavolo
Intercampagne; 6. Servizio civile volontario al Movimento Nonviolento; 7.
Campagna "Scelgo la nonviolenza"; 8. Iscrizioni al Movimento Nonviolento e
abbonamenti ad "Azione nonviolenta"; 9. Questionario iscritti; 10. Bilancio
consuntivo; 11. Atti del seminario su laicita' e nonviolenza; 12. Nuovo
depliant del Movimento Nonviolento; 13. War Resisters' International; 14.
Attivita' delle sedi; 15. Varie ed eventuali.
Il luogo dellíincontro e' la Casa per la nonviolenza, in via Spagna 8
(vicino alla Basilica di San Zeno): dalla stazione autobus n. 61 (direzione
centro, scendere alla fermata di via Da Vico, all'altezza del Ponte
Risorgimento); chi viene in macchina deve uscire al casello di Verona Sud,
seguire la direzione centro fino a Porta Nuova, poi a sinistra lungo la
circonvallazione interna fino a Porta San Zeno. Chi desidera pernottare
nella notte fra sabato e domenica e' pregato di farcelo sapere (meglio se
portate il sacco a pelo, grazie).

13. RILETTURE. AL-FARABI: LA CITTA' VIRTUOSA
Al-Farabi, La citta' virtuosa, Rizzoli, Milano 1996, pp. 334, lire 18.000.
Un'opera affascinante di uno dei grandi pensatori della filosofia islamica
medioevale.

14. RILETTURE. AVICEBRON: LA CORONA REGALE
Avicebron, La corona regale, Nardini, Firenze 1990, pp. 88, lire 15.000. Uno
dei capolavori della poesia religiosa ebraica medioevale, e della poesia di
tutti i tempi.

15. RILETTURE. TOMMASO D'AQUINO: IL MALE
Tommaso d'Aquino, Il male, Rusconi, Milano 1999, pp. 1440, lire 49.000.
Tommaso e' uno di quegli autori che chi non lo ha letto non immagina neppure
quanta ricchezza e sottigliezza di pensiero possa insegnarti.

16. RILETTURE. ALISON WEBER: TERESA D'AVILA E LA RETORICA DELLA FEMMINILITA'
Alison Weber, Teresa d'Avila e la retorica della femminilita', Le Lettere,
Firenze 1993, pp. 176, lire 35.000. Uno studio di grande interesse del
linguaggio delle opere di Teresa d'Avila.

17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 466 del 4 gennaio 2003