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Operazione Colomba 18.11.02 Azione a Rafah
18 Novembre dal diario di Luca
Questa notte abbiamo dormito a Gaza City.
Questa notte 30 carri armati sono entrati nella città, come qualche
giorno fa, con al seguito elicotteri apache.
E' il quarto giorno di fila che gli elicotteri passano e volano sopra
la città. In molti sono a dire che l'esercito israeliano sta facendo le
prove generali, testando la resistenza (o meglio la debole resistenza)
dei palestinesi.
Ritorniamo a Khan Yunis. Passando per Netzarim, l'area del primo
checkpoint posto sul tragitto, do un'occhiata all'insediamento creato
nel cuore della Striscia di Gaza. Guardando bene, attorno
all'insediamento vi è una zona verde con molti alberi, a differenza
della terra bruciata e il deserto che l'esercito israeliano ha creato
nella zona palestinese circostante. Un motto degli israeliani è:"Faremo
rifiorire il deserto". Penso che i palestinesi possano tranquillamente
adottare il motto:"Gli israeliani faranno rifiorire il deserto a spese
nostre".
Continuiamo la nostra corsa in direzione Rafah, dove con tre volontarie
dell'Ism faremo un'azione al solito 'Blocco O', vicino alla pompa
dell'acqua, dormendo poi nelle case della zona che hanno ricevuto
l'ordine di demolizione e che in questi giorni stanno appunto
abbattendo.
Le case sorgono troppo vicino al confine, e al muro che gli israeliani
stanno costruendo fino al mare. E' un muro alto circa 10 metri, di
lamiera spessa, e che raggiunge una profondità di circa 6 metri. Serve
all'esercito israeliano per installare altre 4 torrette di controllo e
per evitare la costruzione di tunnel che alcuni palestinesi costruivano
per raggiungere l'Egitto e per trasportare armi. Resta il fatto che la
già martoriata città di Rafah è ancora più rovinata.
Il muro sta avanzando ad una velocità incredibile. Dall'ultima volta,
circa una settimana fa, sono stati fatti altri cento metri di
costruzione. Non ci sono sicuramente dubbi sulla capacità degli
israeliani nel costruire muri e frontiere.
Rafah è già stata divisa in
all'Egitto e l'altra è quella palestinese dove ci troviamo
oggi. Il punto è che anche dall'altra (quella egiziana) gli abitanti
non se la passano molto bene, tanto che almeno 200 di loro hanno deciso
di ritornare nella Rafah palestinese a vivere nel campo profughi.
Cosa aggiungere?
A questo punto, siamo già arrivati nel luogo dove sino a qualche tempo
fa si svolgevano interposizioni di internazionali con passaporto in
mano, inizio a filmare con la videocamera dell'Opcol. Entriamo
nella 'simil-casa', semicadente, dove fino a due settimane fa ci viveva
una famiglia. Delle altre case che erano a fianco, sono state già fatte
sparire le tracce. Neanche noi ci rendiamo conto cosa sta succedendo. I
lavori proseguono ad una velocità tale che il luogo si fa fatica a
riconoscerlo ogni giorno che passa.
Usciamo fuori dalla casa per filmare e scattare fotografie a
questa "mostruosità" di muro che procede inesorabilmente verso il mare,
impedendo persino la vista dell'altra parte di terra chiamata Egitto.
Non riesco a comprendere. Io ho sempre pensato che le frontiere fossero
fatte per controllare la sicurezza, ma non per impedire la vista di chi
sta dall'altra parte o addirittura impedire di raggiungerla. Inoltre,
per il mio concetto di frontiera, sarebbe meglio se non esistessero, in
modo da creare più scambi, conoscenze e soprattutto abbattere quei muri
fondati sulla paura dello straniero. Sto vaneggiando? Non lo so, ma è
cosi' che io penso al mondo che verrà, e quando vedo certe assurdità,
mi viene voglia di tirarlo giù a me questo muro.
Andiamo avanti. I soldati ci vedono filmare e fotografare, e si muovono
verso di noi. O meglio, due carri armati si muovono verso di noi. Il
primo dalla nostra sinistra, si ferma a pochi metri dalla casa dove ci
troviamo. L'altro è più arrabbiato, e sbuffando come uno di quei mostri
che si vedono nei cartoni animati giapponesi, arriva ad una distanza di
1 metro dal nostro sparuto gruppetto di volontari internazionali.
Rimaniamo, docum
fuori il passaporto, visto che avendo l'occhio sulla
videocamera non riesco più a capire l'andamento della situazione. Vedo
soltanto che il carro armato non sta più nemmeno dentro l'obbiettivo.
Ad un tratto, il soldato che lo pilota tira fuori la mano e ci saluta.
Lascio immaginare le reazioni di molti di noi. Passa più o meno un
minuto e dal carro armato vengono lanciate ripetute bombe sonore e
sparati colpi di fucile. Usciamo immediatamente, e dalla prima volta
che sono quaggiù il cuore mi è salito veramente in gola. Le sensazioni,
quelle di F. e le mie, a mente fredda sono state le stesse. Ci siamo
infatti guardati in faccia pensando che fosse l'ultima volta. F. ha
avuto la sensazione di essere colpito da proiettili di rimbalzo, mentre
io ho pensato che saremmo rimasti sotto le rovine della casa già
instabile.
A mente fredda mi sono pure chiesto quanto valore diamo alla nostra
vita, ma mi sono pure detto che starei molto peggio tentando di vivere
in un mondo di indifferenza.
Le sensazioni degli altri sono state quasi le stesse. H. si lamentava
pure del fatto che se fosse riuscita a radunare più volontari qualche
settimana fa, forse sarebbe riuscita ad evitare la demolizione delle
case. Noi pensiamo che in ogni caso le avrebbero tirate giù. Quello che
pero' mi ha colpito, è la sua determinazione a voler rimanere anche in
caso di estremo pericolo e soprattutto il fatto che si senta in colpa
per non avere potuto fare di più. La capisco bene. E' quel senso di
impotenza che prende un po' tutti quaggiù, ma è anche quella volontà
che ci accomuna per dire che non tutto il mondo vuole stare zitto di
fronte a tali schifezze ed ingiustizie.
Finiamo il pomeriggio a Rafah, visitando una delle famiglie a cui,
appunto, l'esercito israeliano ha demolito la casa. Adesso sono in 14 a
vivere in tre stanze di un ex-negozio, dove pure i topi si
rifiuterebbero di farci la tana. Il punto è che pure qui è "zona
calda", nel senso che l'esercito potrebbe tirare giù l'ex-negozio
momento all'altro.
Due volontarie dormiranno qui questa sera, per cercare di proteggere la
famiglia in caso di imprevisti. Noi dobbiamo tornare a Khan Yunis, dove
abbiamo chi ci aspetta.
La tensione ci accompagna tutta la serata. E' mezzanotte, e penso che
non ci addormenteremo fino a tardi.
Hanno sparato per circa un'ora anche nei pressi del checkpoint vicino a
casa nostra. Alle 11;15 un'esplosione, di non so cosa, ha fatto vibrare
il pavimento del nostro appartamento. Giornata veramente pesante. Sono
molti giorni che in tutta la Striscia accadono un po' troppe cose. Noi,
al momento, proseguiamo.
Affido, nella mia poca fede, la giornata al Signore Gesù Cristo,
chiedendogli che veramente un giorno metta gli ultimi al primo posto.
www.operazionecolomba.org