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Editoriale "MISSIONE OGGI" - maggio 2002



EDITORIALE

In merito all'Exa bresciana: il dito e la luna

Una riflessione a proposito della mostra delle armi sportive e da difesa, 
tradizionale evento dell'industria armiera bresciana a rilevanza 
internazionale.

* Sono tutti paesi a cui la Beretta ha venduto pistole, mitragliette, parti 
di ricambio o licenze di costruzione, tra la meta' degli anni '70 ad oggi.



Gli organizzatori dell'Exa - la fiera bresciana nella quale annualmente 
viene esposto un ricco campionario della produzione armiera locale e non - 
alla vigilia di ogni edizione aprono un fuoco di sbarramento a sostegno 
della legittimita' di tale manifestazione: si tratterebbe, a parer loro, 
semplicemente di una "vetrina" in cui sono esposte armi sportive e da 
difesa. D'altro canto, anche una parte di coloro che manifestano una 
critica nei confronti della produzione di armi da guerra, non avrebbero 
nulla da eccepire se in occasione di tale appuntamento commerciale fossero 
esposte solo quelle "da difesa", oltre che quelle impiegate per l'attivita' 
venatoria e del tempo libero. Quindi, il punto del contendere e' proprio 
questo: le armi da difesa e sportive vanno bene, le altre no. Che 
significato puo' avere oggi la parola "difesa"? Nel senso comune essa evoca 
un sentimento positivo, rassicurante: difendendo, o difendendomi, preservo 
uno stato di integrita' fisica o territoriale, individuale o collettiva. 
Allontano il "male", cio' che mi puo' ferire o privare di qualcosa che mi 
appartiene. Se poi coniughiamo tale parola ad un oggetto che viene 
rappresentato come lo strumento per eccellenza che permette di conservare 
tale stato di sicurezza (una pistola, un fucile), si finisce per "leggerlo" 
secondo i codici che ci vengono offerti dalla nostra cultura o dal senso 
comune che permea la societa' a cui apparteniamo. Nulla ci e' piu' estraneo 
dell'idea che cio' che ammiriamo all'interno di una teca di cristallo 
visitando l'Exa, sia strumento che da' morte, anche perche' siamo ancora 
abituati a pensare alla guerra come ad un evento apocalittico, 
smisuratamente violento, e alle armi come a dei manufatti giganteschi: 
carriarmati, aerei, sommergibili, missili.

E siamo tanto piu' convinti della congruita' di tale comune percezione 
proprio in quanto ogni giorno leggiamo articoli od ascoltiamo frasi che 
parlano di "difesa contro il terrorismo", "difesa delle vittime delle 
pulizie etniche", "diritto all'autodifesa", eccetera. Cio' che una volta 
era definito "guerra", conflitto bellico, oggi viene chiamato "difesa": 
l'occupazione di un territorio, la repressione e l'uso del terrorismo di 
stato pianificato (Israele contro i palestinesi) diventa l'operazione 
"Muraglia di difesa"; i bombardamenti su un altro paese (Serbia) sono stati 
un'operazione di "difesa avanzata"; il "diritto all'autodifesa" viene 
esercitato da una potenza militare (Usa o Russia) colpendo un altro popolo 
(afghani o ceceni); "l'eccesso di difesa" che causa i "danni collaterali" 
(vittime civili, obiettivi non militari) si ha quando esiste uno squilibrio 
tra la potenza di fuoco utilizzata ed il grado di pericolosita' presunta o 
di offesa che il "nemico" di turno puo' esercitare contro l'attaccante 
(Kosovo). Tutto e' "difesa". La "guerra" e' scomparsa dal vocabolario dei 
paesi che si ritengono democratici. Non e' mai dichiarata, quindi non 
esiste come tale. Essa appartiene a quegli stati che volta per volta 
entrano nella lista nera ("paesi canaglia"), cosi' come la violenza armata 
e' propria delle persone o dei popoli in-civili. La "difesa" invece viene 
esercitata da quelli ricchi e percio' civili. Per questa ragione l'idea di 
"difesa" evoca un senso di opportunita' oltre che di legittimita'. Non 
turba le coscienze, anzi. Comunica sicurezza oltre che forza. Si tratta di 
una forza lecita, controllata, limitata nei suoi effetti distruttivi, 
giustificata dal fine buono: la liberta', la pace, il benessere. Questo e' 
quanto noi vediamo o riusciamo ad immaginare. Ma se, invece, facessimo lo 
sforzo di pensarci dall'altra parte, dalla parte delle vittime, se ci 
immedesimassimo in chi subisce ogni giorno la nostra "difesa"? Tutto 
cambierebbe. O dovrebbe.

Pensiamo per un solo istante quell'arma che fa bella mostra di se' in uno 
degli stand dell'Exa, impugnata da un poliziotto brasiliano mentre abbatte 
in una strada di San Paulo un menino de rua ("difesa" della quiete 
pubblica) o colpisce a morte un bracciante sem terra che sta occupando un 
latifondo incolto ("difesa" della proprieta' privata). Osserviamo il 
graduato che punta la sua pistola sul clandestino che sta attraversando la 
terra di nessuno che separa il Messico dagli States ("difesa" delle leggi 
sull'immigrazione) o il militare che scarica il suo revolver contro una 
folla di manifestanti di Buenos Aires ("difesa" dell'ordine pubblico). 
Immaginiamoci un ragazzino della Sierra Leone che spara per "difendere" la 
miniera di quei diamanti che verranno venduti a qualche multinazionale e 
che finiranno in una luccicante vetrina di una gioielleria della nostra 
citta'; o a quella mitraglietta, pistola o fucile imbracciato da un 
militare cileno, brasiliano, argentino, paraguaiano, venezuelano, 
guatemalteco o honduregno ai tempi delle dittature militari ("difesa" della 
patria contro la sovversione).

Concentriamo il nostro occhio interiore sull'immagine di un militare 
algerino, libico, del Camerun o della Costa d'Avorio, egiziano o 
marocchino, nigeriano, congolese, del Sudafrica, del Togo e del Niger, ma 
anche giordano, iraniano o iracheno, yemenita, cinese o indonesiano. Ma 
probabilmente anche dell'Uganda, del Peru', del Libano, della Tailandia, 
della Turchia, delle Filippine, della Colombia e del Burkina Faso*. Anche 
questi, quasi sempre "difensori" di qualcuno e di qualcosa: di regimi non 
democratici, di corrotte satrapie statali, volta per volta "amiche o 
"nemiche", secondo le convenienze, dell'Occidente e non certo dei diritti 
umani. Anzi, armi spianate contro di essi, per soffocarli, reprimerli, 
letteralmente "ucciderli". Pistole, mitragliette, piccole armi: niente di 
piu', niente di meno. Anche le mine antipersona erano, sono definite "armi 
da difesa". Certo, non sono state mai esposte all'Exa. Ma cio' non vuol 
dire che la Valsella, o la Misar o la Sei non facessero parte del made in 
Brescia e non contribuissero alla sua ricchezza economica e finanziaria. 
Come oggi la Beretta o la "turca" Bernardelli.

Eppure sono state causa di un vero e proprio "stermino di massa" ben 
maggiore di Hiroshima e Nagasaki. E continuano ad esserlo, anche se non si 
vuol vedere. Quelle stesse armi "da difesa" che causano ogni anno nel mondo 
la morte di 500mila persone. Le piu' adatte a condurre una nuova ed inedita 
guerra civile planetaria. Perche' nel tempo della globalizzazione, non ci 
potra' essere che questo tipo di conflitto: sia esso nelle periferie del 
Sud tra forze paramilitari, piuttosto che nelle megalopoli post-moderne tra 
"onesti cittadini" che eseguono direttamente la sentenza di morte su un 
loro simile (35mila ogni anno negli Usa, 42mila in Brasile); tra forze di 
polizia e chi si ribella con disperata violenza alla violenza strutturale 
di un sistema  che esclude ed uccide i corpi ma anche i sogni. Ecco, la 
differenza e' tutta qui. Come nel vecchio adagio, quando il saggio indica 
la luna, lo sciocco, l'ingenuo o il distratto guarda il suo dito. Egli puo' 
anche distorcere il suo sguardo miope dagli effetti delle sue "opere". Noi 
continueremo a guardare la luna.