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La nonviolenza e' in cammino 165



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 165 del 30 marzo 2001

Sommario di questo numero:
1. Agnes Heller, senza il nostro impegno...
2. Giulio Vittorangeli, la solidarieta' internazionale nell'epoca della
globalizzazione (parte seconda e ultima)
3. Il 3 aprile a Roma "Chiama l'Africa"
4. Un invito per i trent'anni de "Il foglio"
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. FRASI COLTE AL VOLO. AGNES HELLER: SENZA IL NOSTRO IMPEGNO...
[La breve frase di seguito riportata abbiamo estratto da Agnes Heller, Etica
generale, Il Mulino, Bologna 1994, p. 50.
Agnes Heller, filosofa ungherese, e' nata a Budapest nel 1929, allieva e
collaboratrice di Lukács, allontanata dall'Ungheria, ha poi insegnato in
Australia ed attualmente in America. In Italia č particolarmente nota per la
"teoria dei bisogni" su cui si ebbe nel nostro paese un notevole dibattito
anche con riferimento ai movimenti degli anni '70. Su posizioni democratiche
radicali, č una interlocutrice preziosa anche laddove non se ne condividano
alcuni impianti ed esiti teorici. Opere di Ágnes Heller: nella sua
vastissima ed articolata produzione segnaliamo almeno La teoria dei bisogni
in Marx, Feltrinelli; Teoria dei sentimenti, Editori Riuniti; Teoria della
storia, Editori Riuniti; Etica generale, Il Mulino; cfr. anche Apocalisse
atomica (con F. Fehér), Sugarco; ed il volume-intervista Morale e
rivoluzione, Savelli. Opere su Ágnes Heller: la rivista filosofica italiana
"Aut Aut" ha spesso ospitato e discusso la riflessione della Heller; cfr. in
particolare gli studi di Laura Boella]
Senza il nostro impegno, le norme sono mere ombre.

2. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE
NELL'EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE (PARTE SECONDA E ULTIMA)
[Pubblichiamo la seconda parte, comprensiva di una nota bibliografica
essenziale, della relazione introduttiva di Giulio Vittorangeli al convegno
su "La solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione"
svoltosi a Celleno (VT) il 18 luglio 1998, promosso dall'Associazione
Italia-Nicaragua, dalla redazione di "Amanecer", con il patrocinio del
Comune e l'adesione di numerose istituzioni, associazioni, esperienze]
1.6. Il Cile dell'11 settembre 1973, il golpe neoliberista
L'unione tra economia neoliberista e strategia militare ha una data e un
luogo d'esordio: il golpe del 13 settembre '73, del generale Augusto
Pinochet, che in Cile abbatteva il governo popolare del presidente Salvador
Allende.
Solo molto tempo dopo il mondo ha capito che il golpe militare, non solo
segnava la fine della "via cilena al socialismo", ma apriva la strada alla
violenza del neoliberismo. Inviava, anche qui, un messaggio di terrore a
tutta l'America Latina che gradualmente si stava piegando all'impero della
"dottrina della sicurezza nazionale". L'Uruguay tre mesi prima (nel giugno
dello stesso anno), il Cile poi, l'Argentina piu' tardi (nel marzo del
1976), andavano cedendo a una nuova visione geopolitica continentale
disegnata da Washington e applicata, fedelmente, dai militari formati in
serie da istruttori statunitensi nella Scuola delle Americhe (si veda il
capitolo successivo sul Centro America).
Al di la' della atrocita' del golpe (persecuzione, campi di concentramento,
sparizioni, stadi trasformati in carceri, per ogni "terrorista" che era
contrario alla dittatura) (15), fu indubbiamente nel progetto economico di
"avanguardia" che il regime di Pinochet gioco' la sua carta piu' azzardata.
Il modello economico di "aggiustamento strutturale" applicato a ferro e
fuoco, ebbe costi umani enormi pagati prevalentemente dalle fasce sociali
piu' deboli. L'eliminazione del debito pubblico e la lotta all'inflazione,
furono perseguiti attraverso la drastica riduzione dei servizi sociali, la
totale apertura al mercato e al credito internazionale, i tagli ai salari
reali e la soppressione di qualsiasi forma di negoziazione collettiva. Le
conseguenze furono un forte aumento della disoccupazione, oltre il 20%
(dovuta anche ai licenziamenti arbitrari dei soggetti scomodi al regime); la
caduta verticale dei salari; la privatizzazione progressiva di sanita',
educazione, previdenza sociale, ecc.; la produzione di beni d'esportazione a
danno dei beni di prima necessita', di cui diviene necessaria
l'importazione. E' la stessa vita quotidiana ad essere sconvolta dalle nuove
misure applicate dagli economisti del regime: gran parte dei settori
popolari si trovano nell'impossibilita' di acquistare gli alimenti base non
solo a causa dei prezzi elevati, ma anche della loro scarsita'.
Come alunno diretto delle istituzioni finanziare internazionali, si e'
cercato di vendere il Cile di Pinochet come esempio di un paese modello,
vigoroso, in espansione e crescita, "il giaguaro dell'America Latina". Del
resto la violenza del governo Pinochet si e' espressa cosi' ferocemente, che
e' ancora efficace su un'intera classe popolare che aspirerebbe a un lavoro
e a condizioni di vita migliori. Un recente rapporto del segretariato della
Conferenza Episcopale Cilena -che non si puo' accusare di essere di
sinistra- parla di 400mila bambini e bambine che soffrono la fame tutti i
giorni a causa della loro estrema poverta'. Dei 4 milioni e mezzo di bambini
sotto i 15 anni, un milione e mezzo sono poveri. Realta' che non puo'
nascondere il fallimento sociale del modello imposto dalla dittatura. In un
paese estremamente polarizzato in cui le famiglie ricche percepiscono 40
volte piu' risorse delle famiglie povere. Altre fonti ci dicono che il 14%
dei lavoratori salariati -circa 500.000- sono senza contratto; il 39,2% dei
lavoratori non dispone di previdenza sociale; il 13,2% della popolazione
occupata guadagna meno del minimo salariale imposto dalla legge. Ecco la
realta' che vive all'ombra del "giaguaro dell'America Latina".
*
1.7. Il Centroamerica degli anni '80 "teatro" degli orrori del mondo
E' la regione dell'America Centrale quella che "naturalmente" riflette con
maggiore chiarezza l'idea alla quale si e' consacrata la potenza
statunitense.
Il centroamerica (considerato da sempre dagli Usa il "cortile di casa") e'
stato uno dei principali teatri degli orrori del mondo. Durante il decennio
degli anni ottanta fu lo scenario di spaventose atrocita'. Gli Stati Uniti
lasciarono quei paesi completamente devastati, forse oltre ogni possibilita'
di recupero, seminandoli con migliaia di cadaveri, torturati e mutilati. Le
guerre terroriste patrocinate e organizzate da Washington furono dirette in
gran parte contro la Chiesa, la quale aveva osato assumere l'opzione
preferenziale per i poveri e percio' doveva ricevere la lezione che meritava
tale disobbedienza. Non sorprende che quello spaventoso decennio cominciasse
con l'assassinio di un vescovo, monsignor Romero in Salvador (16), e
terminasse con la morte -sempre in Salvador- di sei importanti intellettuali
gesuiti (17), tutti liquidati da forze armate addestrate dagli Stati Uniti.
In quegli anni, quelle forze devastarono la regione distruggendo e
accumulando una orribile fama, includendo l'aggressione e il terrore che la
Corte Internazionale dell'Aia dovette condannare, con una sentenza che gli
Usa e l'intellettualita' ignorarono tra l'irritazione e il disprezzo e
un'alzata di spalle. La stessa fine fecero i richiami alla osservanza del
diritto internazionale fatti dal Consiglio di Sicurezza e dalla Assemblea
Generale delle Nazioni Unite, richiami sui quali quasi neanche si informava.
E che dire dell'invasione di Panama da parte degli Stati Uniti nel dicembre
1989?
Forse la prima delle guerre "giuste" (prima ancora della Guerra del Golfo
"Desert Storm" che segnava la data di nascita del Nuovo Ordine Mondiale post
Guerra fredda), invasione giustificata dall'esigenza di stroncare il
traffico di droga nella regione gestito dal loro ex alleato Noriega (agente

della Cia che aveva tradito l'organizzazione). Questa operazione, con
"l'aratura" a bassa quota dei quartieri piu' poveri di Panama, costo' 7.000
vittime e 7.000 milioni di dollari di danni. Ma quasi tutte le vittime erano
povere, e poveri erano i quartieri rasi al suolo, di modo che il mondo
intero non ebbe (anche in questo caso) maggiori difficolta' a stringersi
nelle spalle e lasciar fare.
Quanto alle forze armate addestrate da Washington, la storia inizia nel 1946
quando l'esercito degli Usa apri' la Scuola delle Americhe a Panama City.
Ufficialmente aveva lo scopo di insegnare, attraverso un programma di
addestramento professionale, i valori democratici al ceto militare in ascesa
dell'America Latina. In realta', fra i suoi patriottici diplomati, la Scuola
avrebbe annoverato dittatori, narcotrafficanti e torturatori (circa 600
personaggi di dubbia fama). Alcuni nomi noti: oltre al gia' citato ex
dittatore panamense Manuel Noriega (attualmente in carcere a Miami), l'ex
maggiore Roberto D'Aubuisson, che negli anni Ottanta creo' gli squadroni
della morte nel Salvador, fino ad organizzare l'assassinio del Vescovo
Romero.
Il perno della Scuola era la Dottrina della Sicurezza Nazionale (DSN),
basata sul "controllo militare sulla vita politica e sociale nei paesi
sottosviluppati"; sostenne le dittature militari cilene, argentine,
brasiliane e uruguaiane. La prassi era l'anticomunismo, in nome del quale
ogni eccesso era lecito. La Dottrina di S. N. permise la persecuzione di
ogni opposizione, in quanto identificata con la sovversione e il comunismo.
All'interno di essa nacque il concetto di "nemico interno" applicato ad ogni
persona o organizzazione che rappresentasse qualunque forma di opposizione
al governo di turno. La concezione dell'eliminazione del "nemico interno"
avrebbe portato a orrendi massacri e la stessa Chiesa cattolica fu
individuata come "nemico interno". Cosi' come il termine "sovversivo" venne
applicato indistintamente a qualsiasi oppositore critico, nella citta' e
nella campagna, e in modo premeditato si confuse la lotta armata con
l'opposizione democratica, con risultati letali per la politica non
rivoluzionaria. Per la popolazione, le opzioni erano aderire o tacere, per
garantirsi la sopravvivenza. L'applicazione pratica dei principi della
Dottrina della Sicurezza Nazionale ha una data e un luogo precisi:
Guatemala, fra il 2 e il 5 marzo del 1966, furono catturati e fatti
scomparire 28 dirigenti del Partito Comunista e della guerriglia. Fu il
primo caso assoluto in America Latina di desaparecidos. Da li' in avanti
avrebbe avuto inizio uno stillicidio infinito (18).
I sostenitori della Scuola delle Americhe affermano che, da quando nel 1984
e' stata trasferita da Panama City a Fort Benning in Georgia, ha cambiato
orientamento. Tuttavia il suo retaggio permane. Del resto, le tecniche di
interrogatorio basate sulla tortura hanno fatto parte dei libri di testo
fino al 1991.
*
2. Le sacche di resistenza, Emiliano Zapata e Augusto Cesar Sandino
Sono sempre esistiti delle "sacche di resistenza" al tentativo di dominio
dell'impero (19). Per questo, l'iniziativa di oggi vuole riempire un vuoto
"storico" riproponendo due figure importantissime nel processo di
liberazione dei popoli latinoamericani: Augusto Cesar Sandino e Emiliano
Zapata.
La storia della dominazione e del genocidio del continente latinoamericano
comincia con la conquista, piu' di 500 anni fa. Ma una fase nuova si apre
con l'indipendenza dalla Spagna e la sostituzione dei vecchi colonizzatori
da parte degli Stati Uniti, che cominciano una "nuova" conquista, fatta di
invasioni, annessioni, dittature militari. Il momento di rottura della
logica dell'impero comincia con la prima rivoluzione del secolo (ancor prima
di quella della Russia dei bolscevichi), quella messicana di Pancho Villa,
di Emiliano Zapata, di Francisco Madero; rivoluzione giudicata poi
"arretrata" nella vulgata comunista. Quella rivoluzione trovo' nella figura
di Emiliano Zapata - molto piu' che in Pancho Villa - una piena coerenza tra
i mezzi e i fini, l'opzione di una democratizzazione radicale attraverso la
proprieta' comunitaria della terra: scopi riassunti nel motto "tierra y
libertad". Per questo, la riforma agraria iniziata da Zapata nella propria
regione (durante la rivoluzione del 1910/17 poco piu' di ottocento
latifondisti, molti dei quali stranieri, possedevano quasi tutto il
territorio nazionale), ha segnato una tappa storica del Messico,
probabilmente la piu' lunga e dinamica, grazie alla quale molte comunita'
indigene hanno potuto recuperare per lo meno parte delle terre che erano
state sottratte dalle dittature "liberali" del secolo XIX (20).
Zapata e' stato il dirigente politico e militare dei contadini poveri di
Morelos, nel sud del Messico. E' cresciuto nelle loro fila, si e' totalmente
identificato con essi, condividendone i costumi, i desideri, le sofferenze,
le gioie, le speranze, le illusioni; cosi' ha avuto il loro appoggio, fino a
rappresentare le loro volonta' e i loro bisogni collettivi. Mai un
condottiero, un dirigente politico nazionale e' stato cosi' vicino ai
contadini poveri, realizzando con loro un rapporto diretto, divenendone
apertamente e simbolicamente l'espressione piu' alta. E con l'assassinio di
Emiliano Zapata (simbolo di unione tra indio e rivoluzione; il movimento
contadino messicano e' sempre stato permeabile alle culture indiane) nel
1919, terminava la Rivoluzione Messicana; con lui morivano le speranze di
una rivoluzione condotta fino in fondo (il nazionalismo messicano non
sfociava nel socialismo e non riusciva a realizzare in modo completo i
propri obiettivi d'indipendenza economica e di giustizia sociale), e andava
persa la grande opportunita' di un Messico moderno e azteca.
Cosi' Eduardo Galeano ha descritto quegli avvenimenti: "Nel 1910 giunse
l'ora del riscatto. Il Messico alzo' le armi contro Porfirio Diaz. Un capo
contadino guido' da allora l'insurrezione nel Sud: Emiliano Zapata, il piu'
puro dei leader della rivoluzione, il piu' leale verso la causa dei poveri,
il piu' ardente nel proprio impegno di riscatto sociale (...) Nella
comunita' di Anenecuilco, nella quale viveva Zapata e vi apparteneva anima e
corpo, i contadini indigeni depredati rivendicavano sette secoli di lavoro
continuo su quella terra in cui risiedevano da tempi precedenti all'arrivo
di Hernan Cortes (...) Emiliano Zapata, cavaliere di poche parole, famoso
come il miglior domatore di cavalli di tutto lo stato e da tutti rispettato
per l'onesta' e il coraggio, si fece guerrigliero. 'Attaccati alla coda del
cavallo del comandante Zapata' gli uomini del Sud formarono in breve un
esercito di liberazione. Diaz cadde e Francisco Madero, in groppa alla
rivoluzione, arrivo' al potere, ma le promesse di riforma agraria si
dissolsero ben presto in una nebulosa istituzionale. Il giorno del suo
matrimonio, Zapata dovette interrompere la festa: il governo aveva mandato
contro di lui le truppe del generale Victoriano Huerta; secondo i dottori
della capitale, l'eroe si era trasformato in 'bandito'. Nel novembre del
1911, Zapata promulgava il Piano di Ayala, che propugnava la totale
nazionalizzazione dei beni dei nemici della rivoluzione, la restituzione ai
legittimi proprietari delle terre usurpate dalla valanga dei latifondisti e
l'espropriazione di un terzo delle fattorie rimanenti. Il Piano di Ayala si
trasformo' ben presto in un'irresistibile calamita che attirava migliaia di
contadini nelle file del caudillo (...) La lotta duro' quasi dieci anni:
contro Diaz, contro Madero, poi contro Huerta, l'assassino, e piu' tardi
contro Venustiano Carranza. I successivi cambiamenti al vertice del potere
non attenuavano, pero', la violenza degli attacchi contro Zapata e le sue
forze, perche' erano l'espressione chiara della lotta di classe all'interno
della rivoluzione nazionale: costituivano, quindi, il reale pericolo. Contro
Zapata vennero inviati, uno dopo l'altro, eserciti potenti. Ma gli incendi,
le stragi, le devastazioni dei villaggi risultarono inutili (...) Alla fine
del 1914 s'apri' un breve periodo di pace che permise a Zapata di attuare,
nel Morelos, una riforma agraria ancor piu' radicale di quella prevista dal
Piano di Ayala. Un sistema di democrazia metteva nelle mani del popolo le
fonti del potere politico ed economico. Gia' nella primavera del 1915 tutta
la campagna del Morelos era stata messa a coltura, in particolare a mais
(...) Nel 1919 un trabocchetto e un tradimento misero fine alla vita di
Emiliano Zapata. In un'imboscata, mille uomini scaricarono i loro fucili sul
suo corpo: mori' alla stessa eta' di Che Guevara. Gli sopravvisse la
leggenda: il cavallo sauro che galoppava solitario verso il Sud, attraverso
le montagne" (21).
*
2.1. L' epopea di Augusto Cesar Sandino, il generale degli uomini liberi
In Nicaragua, il momento di rottura comincia nel 1927, con la guerra di
liberazione nazionale diretta da un uomo comune, di estrazione popolare,
come lo erano uomini e donne dell' Ejercito Defensor de la Soberania
Nacional: Augusto Cesar Sandino, leader politico-militare del primo esercito
popolare del Nicaragua, il "pequeno ejercito loco" di Gabriela Mistral,
lascia senza dubbio la sua impronta personale. L'originalita' del pensiero
di Sandino emerge con grande intensita' intorno al suo messaggio di
liberta'; e' tra i primi a contrastare apertamente il dominio Usa in
Nicaragua e ad individuare nell'intero Centroamerica il contesto entro cui
inserire le istanze di indipendenza del suo Paese. Sandino, "il generale
degli uomini liberi", e' protagonista ma - prima ancora che come individuo -
lo e' come simbolo della volonta' popolare di decidere del proprio destino,
simbolo della vittoria possibile, dimostrata con l'espulsione, nel 1933,
delle truppe statunitensi di invasione.
Sia Zapata che Sandino vengono assassinati a tradimento, ma per i contadini,
i poveri, il popolo, entrambi continuano a vivere come simbolo di riscatto,
di dignita', di liberta' per tutti gli oppressi.
Ha scritto Eduardo Galeano (22): "L'epopea di Augusto Cesar Sandino
emozionava il mondo. La lunga lotta del capo guerrigliero nicaraguense aveva
avuto origine dalla rivendicazione della terra e volava sulle ali della
rabbia contadina: per sette anni, il suo piccolo esercito di straccioni
combatte', contemporaneamente, contro dodicimila invasori nordamericani e
contro gli effettivi della guardia nazionale.
Fabbricavano granate con scatole di sardine riempite di pietre, strappavano
i fucili Springfield al nemico e brandivano i machete; l'asta della bandiera
era un ramo d'albero con la corteccia e, anziche' stivali, per camminare
sulle montagne dalla vegetazione inestricabile i contadini adoperavano una
cinghia di cuoio detta "huarache".
Sull'aria di "Adelita" i guerriglieri contavano: "In Nicaragua, signori, il
topo batte il gatto".
Ne' il volume di fuoco della Fanteria della Marina, ne' le bombe vomitate
dagli aerei erano sufficienti a piegare i ribelli di Las Segovias. E non
erano sufficienti neppure le calunnie che le agenzie d'informazione
Associated Press e United Press - i cui corrispondenti in Nicaragua erano
due nordamericani che controllavano la dogana del paese - spargevano a piene
mani in tutto il mondo. Nel 1932 Sandino ebbe un presentimento: "Non vivro'
a lungo". Un anno dopo, grazie alla politica nordamericana di Buon Vicinato,
si celebrava la pace. Il capo guerrigliero venne invitato dal presidente in
persona a una riunione decisiva che si sarebbe dovuta tenere a Managua:
venne ucciso per strada, in un'imboscata. L'assassino, Anastasio Somoza,
dichiaro' piu' tardi che l'uccisione era stata ordinata dall'ambasciatore
nordamericano Arthur Bliss Lane. Somoza, allora capo militare, s'installo'
ben presto al potere e governo' il Nicaragua per un quarto di secolo: alla
sua morte, lascio' la carica ai figli, come eredita'. Prima di decorarsi il
petto con la fascia presidenziale, Somoza si era autodecorato della Croce al
Valore, della Medaglia di Distinzione, della Medaglia Presidenziale al
Merito. Poi, una volta al potere, organizzo' varie stragi e grandi
commemorazioni durante le quali travestiva i suoi soldati da romani, con
sandali ed elmo; con le sue quarantasei piantagioni divento' il maggior
produttore di caffe' del paese e, in altre cinquantuno "haciendas", si
dedico' all'allevamento del bestiame. Non gli manco' il tempo per seminare
il terrore. Durante i lunghi anni di governo non ebbe problemi economici di
sorta e infatti ricordava con una certa tristezza i propri anni giovanili,
quando si vedeva costretto a falsificare monete d'oro per potersi divertire
un po'".
In Nicaragua una seconda generazione sandinista (quella del FSLN, Fronte
Sandinista di Liberazione Nazionale), nata con l'azione e le idee di Sandino
(si ispira alla sua lotta per l'affermazione dei diritti del popolo
nicaraguense), ha intrapreso nuovamente una lunga resistenza popolare. Nel
'27, come nel '79, i protagonisti sono gli stessi, da una parte gli umili
obbligati ad una lotta armata, dall'altra l'impero ostinato a recuperare a
qualunque costo cio' che per "destino manifesto" gli era stato concesso. E
la vittoria, nel 1979, fu sulla stessa dinastia di dittatori creata dagli
Stati Uniti in cambio dell'uccisione di Sandino e del massacro dei suoi
compagni di lotta e di lavoro organizzati in cooperative agricole. Il nuovo
Nicaragua nasce, si puo' dire, con l'azione e le idee di Sandino.
In Messico, la straordinaria esperienza rivoluzionaria di Zapata, si e'
depositata nella cultura e nella societa', in particolare nei neo-zapatisti
che combattono in suo nome in Chiapas, riuscendo a rendere efficaci nella
realta' d'oggi i simboli e le parole d'ordine. Cosi' l'analisi dell'Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) costituisce una delle poche
esperienze di pensiero e di lotta che si ponga in modo pratico, ed efficace,
le questioni decisive, contrastando non solo nella ricerca teorica ma
nell'opposizione concreta le tendenze totalitarie del sistema
"globalitario".
*
2.2. Zapatismo, antico nelle sue radici e moderno nel suo discorso
L'esempio piu' recente e clamoroso, di un movimento sociale di rottura che
vede gli esclusi irrompere sullo scenario politico tradizionale, e' quello
degli indigeni zapatisti. Ha scritto recentemente Giulio Girardi (23): "Di
fronte al processo di globalizzazione neoliberale, la ribellione piu' aperta
e piu' globale e' oggi quella lanciata dal movimento indigeno, specialmente
dallo zapatismo. L'interesse eccezionale dello zapatismo non deriva solo
dalla solidita' delle sue analisi, delle sue rivendicazioni e delle sue
proposte alternative; ma anche dal fatto che esso costituisce la punta
dell'iceberg. L'iceberg e' l'insieme dei popoli indigeni del Messico, del
continente indo-afro-latinoamericano e del mondo: l'iceberg e' la societa'
civile messicana, che si e' largamente schierata al fianco degli insorti;
l'iceberg e' il movimento intercontinentale di solidarieta' creatosi intorno
all'esercito zapatista (...) e' la chiarezza con cui l'insurrezione
zapatista individua il nemico principale, il sistema neoliberale, esprimendo
anche a livello simbolico questa percezione con la data scelta per la
'dichiarazione di guerra', il primo gennaio 1994. Quel giorni infatti
entrava in vigore il trattato del libero commercio, il Nafta, applicazione
al Messico dei principi della globalizzazione neoliberale: accordo salutato
dal potere economico e politico come la promozione del Messico al club dei
paesi ricchi, ma denunciato dagli indigeni come una sentenza di morte".
Il primo gennaio 1994 la ribellione indigena prendeva, armi in pugno,
quattro citta' dello Stato del Chiapas, tra le quali San Cristobal, la
vecchia Citta' reale dei conquistatori e dei latifondisti, occupata quel
giorno da migliaia di indigeni, armati e disarmati. Il 2 gennaio, l'Esercito
Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) dichiarava la guerra all'esercito
federale, chiedeva al potere legislativo e a quello giudiziario la
"deposizione" del "governo illegittimo" di Carlos Salinas de Gortari e
ordinava alle sue truppe di "avanzare verso la capitale del paese".
L'entrata a San Cristobal di un esercito indigeno toccava in qualche punto
la storia dell'occupazione di Citta' del Messico da parte degli eserciti
contadini di Villa e Zapata nel dicembre 1914. Col nome stesso di
"zapatismo", questa parola evocava la storia nazionale e si dirigeva al
popolo messicano non in un gergo politico di partito ma in termini
accessibili a tutti.
In un solo colpo, la ribellione si legittimava di fronte ai messicani, in un
paese dove anche la storia insegnata nelle scuole dice che la repubblica si
formo' tra due rivoluzioni di contadini e di indios, quella di Hidalgo e
Morelos e quella di Villa e Zapata.
Allo stesso tempo, sin dalle loro prime dichiarazioni, i dirigenti indigeni
dissero che l'entrata in vigore del Nafta spogliava i popoli indigeni delle
terre e del loro diritto ad esse, li espelleva dal mercato ed era, di fatto,
una sentenza di morte pronunciata contro di loro. Fino alla fine degli anni
Settanta, lo Stato nazionale (non il capitale finanziario transnazionale),
appariva come l'interlocutore dei contadini messicani. Il Nafta cambiava la
situazione. Il mondo rurale, i contadini, gli indigeni, erano inermi e senza
protezione di fronte alla globalizzazione, forza senza volto contro la quale
non esistono armi legali, protezione costituzionale ne' diritti acquisiti.
Del resto con l'applicazione del Nafta (l'accordo di libero scambio fra
Messico, Canada e Usa) si stima che in Messico siano fallite tra 20.000 e
28.000 piccole e medie imprese a causa della concorrenza messa in atto dalle
multinazionali straniere, soprattutto statunitensi. Tutto cio' significa non
solo crescita della disoccupazione, ma anche salari sempre piu' bassi. Gia'
prima della svalutazione del peso i redditi dei lavoratori messicani erano
scesi del 12%. Dopo la svalutazione, il valore dei salari e' addirittura
diventato la meta' di quello del 1980. Oggi quaranta milioni di persone
vivono con meno di 5 dollari al giorno, mentre il numero dei disoccupati e
dei precari e' raddoppiato. Secondo uno studio dell'Universita' Autonoma del
Messico, piu' della meta' della popolazione puo' essere classificata come
"estremamente povera". Nel 1993, prima dell'entrata in vigore del Nafta, i
poveri assoluti erano solo un terzo (24).
Il Chiapas e' una grandissima lezione; per la prima volta un movimento dice:
"No, io non voglio prendere il potere, non mi interessa di fare la lotta per
il potere, a me interessa difendere uno spazio di vita, di diritti, dove
sono nato e dove voglio lavorare". Questo e' il messaggio che viene dal
Chiapas, e' un cambiamento profondissimo, radicale rispetto ai movimenti
guerriglieri, ai cosiddetti movimenti di liberazione che molti di noi hanno
appoggiato, hanno visto con simpatia e che poi si sono scontrati con la
presa del palazzo (che una volta preso con le armi bisogna mantenere con le
armi), e poi con i condizionamenti dell'economia mondiale. Il Subcomandante
Marcos sostiene, in uno scritto ormai famoso, "La quarta guerra mondiale e'
cominciata" (25), che siamo all'inizio di una nuova Epoca Buia, in cui si
agitano sette pezzi di un rompicapo prodotto dal nuovo ordine mondiale,
imposto dal neoliberismo. Sei pezzi di questo rompicapo spiegherebbero il
buio (tessera 1: La concentrazione della ricchezza e la distribuzione della
poverta'; tessera 2: La globalizzazione dello sfruttamento; tessera 3:
Migrazione, l'incubo errante; tessera 4: Mondializzazione finanziaria e
globalizzazione della corruzione e del crimine; tessera 5: La legittima
violenza di un potere illegittimo?; tessera 6: La megapolitica e i nani),
mentre il settimo (tessera 7: Le sacche di resistenza) si riferirebbe alle
sacche di resistenza che si formano un po' ovunque, armate o no, secondo le
esigenze. La tessera 7 inizia con una citazione di Tomas Segovia: "Per
cominciare, ti supplico di non confondere la Resistenza con l'opposizione
politica. L'opposizione non si oppone al potere ma a un governo, e la sua
forma riuscita e compiuta e' quella di un partito di opposizione; mentre la
Resistenza, per definizione (ora si'), non puo' essere un partito, non e'
fatta per governare a sua volta, ma per... resistere". E conclude ricordando
come si costruisce la figura di questa tessera: "Disegnando una borsa. Pero'
non bisogna farci molto caso. Ci sono tanti modelli di resistenza quanti
sono i mondi del mondo. Cosi' si puo' disegnare la borsa come piace di piu'.
E nel disegnare borse, come nella resistenza, la diversita' e' ricchezza".
Tutto questo ci spinge a credere che sta nascendo un nuovo
internazionalismo, che non significa solo l'appoggio ad una causa giusta, e
lontana, ma il coinvolgimento in una grande battaglia comune, dalle
dimensioni mondiali, in difesa del diritto di tutti i popoli e di tutte le
persone all'autodeterminazione, contro la dittatura dei mercati. Anche se
dobbiamo rilevare, a fronte della forza data dal numero di organizzazioni di
appoggio e di solidarieta' alla lotta zapatista, una sostanziale debolezza
per quanto concerne la loro riflessione teorico-concettuale e la loro
rielaborazione politica del "discorso" zapatista.
*
2.3. Sandinismo, la speranza nuova
Per tutti gli anni '80, il centro della resistenza e' rappresentato dalla
"Speranza Nuova" del Nicaragua sandinista. Quando trionfa la rivoluzione nel
'79, l'intera America Latina ribolliva di fronte alla poverta' crescente e
spaventosa, anche forti gruppi cattolici -con preti e vescovi- si
schieravano decisamente dalla parte dei poveri: si sviluppavano le comunita'
di base e con esse la teologia della liberazione.
Quella sandinista era una rivoluzione costruita nella poverta'. Erano laceri
quei sandinisti e sembrava proprio che sorgessero quasi dal nulla, dalla
terra. La rivoluzione che piu' che mai ci appariva costruita nella poverta'
e della poverta', era proprio il Terzo Mondo che si scuoteva. Era una
rivoluzione all'insegna dei principi del pluralismo politico, dell'economia
mista e del non allineamento, che mirava all'utopica costruzione dell'hombre
nuevo. Non a caso, le prime priorita' furono una capillare azione di
alfabetizzazione e campagne di vaccinazione che, per esempio, estirparono la
poliomielite. Fu una rivoluzione caratterizzata da una straordinaria
partecipazione popolare, l'opzione per gli oppressi come soggetto mobilitava
il popolo per la costruzione di una nuova societa', socialista e
democratica.
Cosi scriveva, con molta lucidita',  Giulio Girardi (26) : "Questa opzione
etica non era meramente politica, ma anche geopolitica: poiche' una
dimensione essenziale dell'eredita' di Sandino, fondatore dell'esercito
difensore della sovranita' nazionale, e pertanto del progetto rivoluzionario
sandinista era, il prender partito, con motivazioni etiche e religiose, per
i popoli oppressi nella loro lotta storica contro l'imperialismo. L'opzione
etica, politica e geopolitica per gli oppressi come soggetto era allora
l'anima della rivoluzione popolare sandinista e l'asse della confluenza tra
sandinismo, marxismo e cristianesimo. Considerare l'opzione per gli oppressi
come anima della rivoluzione recava con se' anche una opzione strategica.
Cioe' che se la rivoluzione aveva dovuto ricorrere alle armi per spezzare la
violenza schiacciante della dittatura, l'asse della sua strategia non era la
forza delle armi, bensi' la forza del diritto, la giustizia, la
solidarieta', l'amore. Solo una strategia nonviolenta, proclamava il
sandinismo, poteva fondare una societa' non violenta e contribuire alla
gestazione di una civilta' alternativa. Era allora classica in cio' la
descrizione della lotta antimperialista del Nicaragua come quella di David
contro Golia. Ed i dirigenti sandinisti seppero dare alcuni segnali dei
nuovi venti, quando affermarono la "generosita' della rivoluzione" con i
suoi nemici, abolendo la pena di morte e l'ergastolo... Cosi' giunse al
trionfo e cosi' si presento' al mondo la prima rivoluzione della storia
realizzata con la partecipazione attiva di marxisti e cristiani: cosi' il
sogno di Che Guevara parve convertirsi in realta'".
Il trionfo del sandinismo ebbe non solo una risonanza straordinaria nel
mondo, ma suscito' un entusiasmo forte, ardente tra le forze che si ponevano
il problema di un cambiamento sociale. E non solo perche' significo' una
sconfitta bruciante per gli Stati Uniti, ma perche' veniva dal cosiddetto
Terzo Mondo, ad un passo dalla grande onnipotenza americana, quella che -sia
pur nel mondo diviso in due- era il Paese piu' forte, piu' ancora dell'URSS.
Certo gia' c'era stato l'evento straordinario della rivoluzione cubana, ma
in Nicaragua c'era la grande novita' del ruolo giocato dal cristianesimo
all'interno di un progetto rivoluzionario.
Sandino, il Fronte Sandinista, erano nomi che apparivano come lampi nel
nostro orizzonte, prima non li conoscevamo, e nella nostra fantasia,
l'immagine di questo miracolo rivoluzionario a noi sembrava arrivare come un
balzo, quando invece v'era stata una lunga preparazione. Nella nostra
memoria tutto questo veniva raccorciato e quindi prendeva l'aspetto di
"invenzione miracolosa". Inoltre il sandinismo evocava questo grande tema
della disuguaglianza dentro il globo terreste e dentro il continente, una
disuguaglianza che scavalcava le cinture delle nazioni e che apriva una
tensione enorme, tra le metropoli del capitalismo, i grandi stati europei e
poi la grande America.
Cosi' dalle metropoli europee, tutta una parte del nostro continente (la
sinistra in particolare), si impegnava a saldarsi con le lotte di
liberazione del Terzo Mondo. Il Nicaragua sembrava fosse addirittura capace
di muovere la Storia, portatore di un messaggio e di una forza, che aiutava
il riscatto e l'avanzata delle nostre antiche patrie. Pensavamo che il
sandinismo ci aiutava a cambiare e progredire, addirittura a costruire nuove
forme di societa' e livelli di civilta'. Noi europei, con la nostra
solidarieta' concreta, non facevamo doni. Davamo si', ma ricevevamo anche, e
molto. Anzi la liberazione, l'ergersi in piedi di quel popolo ci appariva un
elemento essenziale per cambiare le cose nelle nostre vecchie terre. Quando
ci spendevamo -e con molta passione- per il Nicaragua, ci attendevamo un
ricambio che non era solo la sconfitta degli arroganti Stati Uniti. Ci fu un
momento, che da quei "paesi sub", da quei mondi per secoli dominati
dall'Europa emergeva uno schieramento (il movimento dei "paesi non
allineati" che contrastava in parte la polarizzazione del mondo in due
blocchi militari contrapposti) che addirittura si presentava al mondo intero
come tutela della pace e dell'indipendenza, dinanzi al rischio dell'urto
estremo fra Urss e Usa, nel tempo dell'atomica.
Oggi, la rivoluzione che aveva restituito dignita' a una piccola nazione
considerata da sempre una repubblica bananera, vive una profonda
involuzione. Resta la "coscienza di se'" di un popolo sandinista in
disincantata ritirata, che sopravvive al neoliberismo selvaggio, alla
globalizzazione e all'imperversare dell'ingordo presidente Arnoldo Aleman.
*
3. Considerazioni conclusive
La globalizzazione e' solo quella della competizione, per non dire della
guerra, di tutti contro tutti? O c'e' in atto una globalizzazione, magari
poco visibile, della solidarieta' come intreccio di vissuti e culture alla
pari in ogni angolo di questo mondo sottosopra? (In un mondo non sottosopra
sarebbero immorali la poverta', la fame, la guerra e le stragi, la
discriminazione, il razzismo e la violenza contro i deboli).
Penso ad una globalizzazione delle alternative, che sia in grado di opporsi
alla globalizzazione della miseria e dell'esclusione; composta dai movimenti
popolari, dall'ambientalismo al solidarismo sociale, dal femminismo agli
stili di vita alternativi.
In particolare le donne "sono il sud del mondo", le piu' colpite da sviluppo
ineguale, analfabetismo, insicurezza del lavoro, malattie; ma anche i
soggetti piu' interessati a un'economia che non poggi su un solo puntello o
colonna.
Si veda l'elaborazione teorica di una studiosa come Vandana Shiva; e' grazie
a lei che i tre pezzi del femminismo, dell'ecologia e della lotta contro la
globalizzazione, si sono intrecciati offrendo all'Occidente una chiave di
lettura per invertire il senso di marcia distruttivo che ci sta portando
nell'economia, nella politica e nella comunicazione a cancellare ogni
differenza privilegiando le esigenze del capitale.
Cosi' come le critiche alla globalizzazione e un giudizio severo sul mercato
unico regolatore delle relazioni tra persone e popoli, erano gia' peraltro
state enunciate dalla IV Conferenza Internazionale sulla Donna di Pechino
nel settembre 1995. E andando ancora piu' indietro, la globalizzazione
(ovviamente non con questo nome) era stata prevista da Rosa Luxemburg, che
si conferma una straordinaria economista e politica.
La stessa eredita' di Sandino e il sandinismo, come l'eredita' di Zapata e
lo zapatismo, hanno piu' cose da suggerire di quanto non si presuma.
Tanto piu' oggi, che il "progresso" si e' autoimmolato sull'altare della
competizione globale, e che non solo i neo-zapatisti del Chiapas, ma milioni
di inurbati senza piu' speranza, i sem terra brasiliani ad esempio, tentano
di tornare alla terra e a forme comunitarie di vita e di lavoro.
Riscoprire quindi l'America al fianco dei popoli in lotta e' un itinerario
privilegiato per scoprire noi stessi; per trovare, nel cuore di una crisi
cosi' drammatica, nuovi ragioni di vivere, di lottare, di sperare.
Questa globalizzazione della solidarieta' deve maggiormente diventare presa
di posizione accanto ai gruppi sociali e ai popoli oppressi che
faticosamente emergono alla coscienza e alla dignita' di "soggetti" storici.
Perche' il punto di vista degli oppressi dispone di un modo piu' efficace di
quello dei gruppi dominanti a percepire il senso della vita, della realta' e
della storia. Riscoprire e rivalutare il potenziale intellettuale degli
oppressi, dei settori popolari e delle loro culture (come quelle indigene),
per investirlo nella elaborazione di percorsi alternativi. Il quadro
mondiale non e' cosi' disperante e senza vie d'uscita, perche' la societa',
gli esclusi, cioe' la maggioranza delle persone, quelli che la Banca
Mondiale appunto chiama i poveri della terra, hanno strategie e modi di vita
diversi. C'e' una spinta dal basso che si organizza: non ci sono (solo)
poveri che chiedono l'elemosina, ci sono le persone che buttate ai margini
del mercato, distrutte le loro condizioni di vita, stanno cercando di
ricrearle e ritengo questa cosa strategica per il futuro.
Per tutto questo la globalizzazione della solidarieta' deve saper guardare
la societa' e la storia dal punto di vista del Terzo Mondo; deve saper
affermare la solidarieta' internazionale come alternativa culturale alla
mondializzazione imperiale. Deve sapersi nutrire della forza del sogno, "la
realta' che comincia quando -come diceva Ernesto Cardenal- si prova a
sognare insieme", quando si prova a sognare un sogno collettivo (se fossimo
in tanti a sognare insieme, il nostro non sarebbe piu' solo un sogno;
diventerebbe un progetto audace, diventerebbe un forte motivo di speranza);
e deve sapersi nutrire della forza della ragione. Chiamo ragione quella che
fa sperare oltre la disperazione; chiamo ragione quella che fa argine alla
disperazione quando essa tende a tracimare oltre ogni speranza; e vorrei che
fosse sempre la ragione a dare forza e fantasia ai nostri pensieri; quella
ragione che crea nuova ragione e nulla ferma, capace anche di allegria e di
mettere assieme solidarieta', uguaglianza, tolleranza e quant'altro dia
fiato e vita alla possibile armonia di un coro che ancora sappia e voglia
cantare la solidarieta' internazionale "tenerezza dei popoli".
Nonostante la crudelta' del sistema, nonostante la logica di un impero che
decreta la morte e l'esclusione del Terzo Mondo, cio' che possiamo rilevare
e' che:
a) "i piccoli resistono". Prendono coscienza della dignita' delle loro
culture, riscoprono lo strumento della politica, dimostrano capacita' di
analizzare la realta' sociale, di costruire nuove alleanze, di varare forme
inedite di lotta, di creare reti alternative di informazione e addirittura
di utilizzare mezzi di comunicazione estremamente sofisticati. Pensate alla
Banca Etica, anche se in Italia e' ai primi passi. L'esperienza in
Bangladesh (27) il paese dov'e' piu' importante l'uso della Banca Etica:
coinvolge dodici milioni di coltivatori, di contadini. Pensate anche alla
piccola esperienza del commercio etico. L'ultimo rapporto dell'organismo che
riunisce tutte le botteghe europee piu' importanti del commercio etico,
calcola che circa cinque milioni di persone nel sud del mondo si possono
alzare la mattina e sapere di avere da mangiare e soprattutto ottocentomila
persone hanno un lavoro dignitoso grazie a questo tipo di commercio. Queste
non sono piu' soltanto testimonianze, sono fatti, organizzazioni, con tutti
i difetti che possono avere, ma sono anche organizzazione del futuro.
b) La solidarieta' si rivela ogni volta piu' necessaria, anche se piu'
difficile; pure in un mondo in pieno processo di globalizzazione. Ecco
l'attualita' della solidarieta' internazionale, il vincolo piu' profondo tra
i popoli, nel momento in cui l'antisolidarieta' e' moneta corrente ed il
conflitto Nord-Sud del mondo e' scomparso - nascosto e taciuto - dagli
scenari internazionali. Un conflitto vissuto come decisivo nel Sud, per il
Nord e' inesistente, e' una costruzione ideologica, crollata con le
"ideologie" che l'hanno ispirata. Ma non parliamo genericamente di
solidarieta', ne sottolineiamo il carattere internazionalista, per
distinguerla nettamente da quella assistenziale; che puo' rispondere
realmente ed efficacemente a bisogni urgenti, ma resta prigioniera di limiti
e forte ambiguita'. La solidarieta' internazionale invece e' una scelta di
vita, un fronte di resistenza.
*
Note
15. Come non ricorda il chitarrista, cantautore, Victor Jara; fu sorpreso
durante il golpe mentre occupava una fabbrica insieme agli operai e alle
loro famiglie dai militari cileni. Gli tagliarono prima le mani e poi lo
fecero sparire. Ci resta, comunque, la sua "Te recuerdo Amanda" (la piu'
bella canzone "politica" che io conosca).
16. Ettore Masina, L'arcivescovo deve morire, Oscar Romero e il suo popolo,
Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1995.
17. Jon Sobrino e i suoi compagni dell'Uca, Il martirio dei gesuiti
salvadoregni, La Piccola Editrice, Celleno (VT), 1990.
18. Su quanto e' accaduto in Guatemala, (in particolare sulle atrocita'
commesse dell'esercito di quel paese contro la popolazione di origine maya),
rinviamo alla prossima pubblicazione in italiano del rapporto "Guatemala
nunca mas" da parte di La Piccola Editrice, Celleno (VT). Tutte le forme di
violenza analizzate nel "Rapporto REMHI", hanno caratteristiche genocide, si
veda il secondo articolo della Convenzione per la Prevenzione e Sanzione del
Delitto di Genocidio del 1948. Quanto al Guatemala attuale, nonostante la
pace raggiunta nel 1996, la situazione resta drammatica: una nazione rurale,
65% della popolazione totale (la maggioranza maya), con un abisso fra ricchi
e poveri: il 10% dei guatemaltechi gestisce la meta' del reddito totale. Il
2,6% delle proprieta' si estende su due terzi della superficie del Paese.
Risultato: l'aumento drammatico della poverta' estrema, dal 31,6% della
popolazione nel 1980 al 54% del 1989. Tutto questo conferma che le dittature
latinoamericane degli anni '70 non erano "tumori" da estirpare da organi
sani, ma il "pus" che denunciava l'infezione del sistema.
19. Giulio Girardi, Gli esclusi costruiranno la nuova storia?, Edizioni
Borla, Roma, 1994: "Al punto di vista dei vincitori si oppone quello dei
vinti, o piu' esattamente dei resistenti. Esistono infatti, nell'attualita'
come nel passato, due classi di vinti: quelli che si sottomettono al
vincitore, riconoscendo la sua superiorita', assumono il suo punto di vista,
interiorizzando la sua cultura e la sua identita'; e quelli che si ribellano
e resistono, in forma violenta o non violenta".
20. R. G. Passa e A. M. Miguelez, "Latinoamerica" n. 67, maggio/agosto '98,
La vera cultura messicana e' india, pp.97-109: "Le Comunita' e le
organizzazioni indigene di tutto il Messico sono essenzialmente zapatiste e
il ritratto di Emiliano Zapata e' presente negli uffici e nella maggior
parte delle abitazioni dei dirigenti indigeni. Nel 1979, anno della
commemorazione dei cento anni della nascita di E. Zapata, varie
organizzazioni indigene e contadine di diciotto stati messicani,
appartenenti a piu' di dieci etnie diverse, hanno formato la Coordinata
Nacional del Plan Ayala (Cenpa) per rivendicare il recupero della riforma
agraria pretesa dal dirigente rivoluzionario quando dirigeva l'esercito
liberatore dei contadini indiani".
21. Eduardo Galeano, Le vene aperte dell'America Latina, "Artemio Cruz e la
seconda morte di Emiliano Zapata", pp. 142-148, Sperling & Kupfer Editori,
Milano, 1997, IV edizione.
22. Eduardo Galeano, Le vene aperte dell'America Latina, pp. 131-132,
Sperling & Kupfer Editori, Milano, '97, IV edizione.
23. Giulio Girardi, "Alternative Europa", ottobre-novembre 1998.
24. ACPIR, Accordo dei Cittadini e dei Popoli sugli Investimenti e la
Ricchezza, Pubblicazione realizzata nell'ambito della
Campagna "Dire mai al MAI", a cura del Centro Nuovo Modello di Sviluppo in
collaborazione con Globalizza-Azione dei Popoli.
25. Sub-comandante Marcos, La quarta guerra mondiale e' cominciata, la
versione integrale e' stata pubblicata dal "manifesto" in un volumetto
diffuso nel 1997 come supplemento al quotidiano.
26. I numerosi libri scritti da Giulio Girardi sono fondamentali per chi
vuole studiare l'esperienza sandinista del Nicaragua.
27. Muhammad Yunus e' il fondatore della Grameen Bank, l'istituto di credito
indipendente che pratica il microcredito senza garanzie, fornendo denaro ai
piu' poveri tra i poveri. In Bangladesh la sua politica creditizia ha
affrancato dall'usura il 10% della popolazione, in maggioranza donne. La sua
storia e' raccontata in Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, 1998.
*
Alcune brevi indicazioni bibliografiche per approfondire l'argomento della
"globalizzazione"
Si chiede scusa a tutti per le omissioni; per un ulteriore approfondimento
si rimanda - oltre ai testi citati nelle Note - al materiale bibliografico
inserito nella cartellina consegnata ai partecipanti alla conferenza. Infine
per "Zapata e l'EZLN - Sandino e la Rivoluzione Sandinista" si rinvia alla
Relazione di Peppe Sini "Sandino e Zapata, in capo e in coda al Novecento".
- Campagna "Globalizzazione dei popoli", tutto il materiale pubblicato:
Schede monotematiche, Dossier, Strumenti, Esperienze, Documenti; in
particolare il Dossier n. 3 "A proposito di Globalizzazione". Segreteria
della Campagna: via Baldelli 41, 00146 Roma, tel. 06/54.22.47.55 (mercoledi
e giovedi dalle ore 15 alle ore 19), e-mail: globalpopoli@tiscalinet.it
- Interessante anche la sentenza del Tribunale Permanente dei popoli, Le
politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, Berlino
ovest, settembre 1988.
- "Le Monde diplomatique", mensile in edizione italiana. Ha fatto della
critica all'ideologia neoliberale e alla realta' della globalizzazione
capitalista il suo scopo centrale.
- Riviste: un elenco impossibile da fare: "Guerre & Pace", "Giano",
"Alternative Europa", ecc. Ricordiamo (per tutte) "Il Tetto", n. 205/206,
marzo-giugno 1998, che contiene gli atti del convegno "Le sfide della
Ecologia Politica nel XXI Secolo" organizzato dalla rivista "Ecologia
Politica. C.N.S.".
- I libri pubblicati da "La Piccola Editrice" Celleno (VT), in particolare:
Juan Alvarez Vita, Il diritto allo sviluppo; Theo Klomberg, Rimango con il
mio popolo. Un prete sotto la dittatura di Pinochet; AA. VV., Alle radici
della Solidarieta'; F. Hinkelammert, Il debito estero dell'America Latina;
Fernando Mires, Ecologia e Politica in America Latina; N. Chomsky, H.
Dieterich, La Societa' Globale. Educazione, mercato, democrazia; in
preparazione (uscita prevista per ottobre 1998) edizione italiana di
Guatemala: Nunca Mas.
- Le pubblicazioni del "Centro nuovo modello di sviluppo" presso EMI,
Bologna: Sulla pelle dei bambini; Nord-Sud: predatori, predati e
opportunisti; Sud-Nord. Nuove alleanze per la dignita' del lavoro; Guida al
consumo critico; Lettera ad un consumatore del Nord.
- Altre opere consigliate: Alberto Cuevas, Autoritarismo e democrazia in
Cile, Edizioni Lavoro, Roma 1987; Alberto Cuevas, Politica e societa' nella
Costituzione di Pinochet, Edizioni Lavoro, Roma 1989; Mario Pianta,
L'economia globale, Edizioni Lavoro, Roma 1989; Susan George, Il boomerang
del debito, Iscos-Edizioni Lavoro, Roma 1992; Serge Latouche, Il mondo
ridotto a mercato, Edizioni Lavoro, Roma 1998; Bruno Amoroso, L'apartheid
globale, Edizioni Lavoro (in preparazione); Michel Chossudovsky, La
globalizzazione della poverta', Edizioni Gruppo Abele, Torino 1998, J.
Brecher, T. Costello, Contro il capitale globale, Feltrinelli, Milano 1996;
P. Hirst, G. Thompson, La globalizzazione dell'economia, Editori Riuniti,
Roma 1997; P. Ingrao, R. Rossanda, Appuntamenti di fine secolo,
Manifestolibri, Roma 1995; Marco Revelli, La sinistra sociale, Bollati
Boringhieri, Torino 1997; J. Rifkin, La fine del lavoro, Baldini & Castoldi,
Milano 1995;  P. Perotti, M. Revelli, Fiat autunno '80, (libro e
audiovisivo), Centro Ricerca Iniziativa Comunista Torino; Danilo Zolo, I
signori della pace. Una critica del globalismo giuridico, Carocci, Roma
1998.

3. INCONTRI. IL 3 APRILE A ROMA "CHIAMA L'AFRICA"
[Da "Chiama l'Africa" riceviamo e pubblichiamo]
"Chiama l'Africa" in collaborazione con la Libreria Odradek organizza
martedi 3 aprile, alle ore 18.00, un dibattito sulla politica della
solidarieta': "Cinque anni di cooperazione".
L'on. Rino Serri, sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri, risponde
alle domande dell'associazionismo romano.
Nel corso dell'incontro verra' presentato il dossier "Le tendenze della
cooperazione" di Rosario Lembo, presidente Cipsi (coordinamento iniziative
popolari di solidarieta' internazionale).
Invitiamo le ONG, le associazioni e le comunita' immigrate a partecipare
numerose all'incontro.
Ogni primo martedi del mese a Roma parliamo di Africa, un continente
afflitto da guerre e poverta', ma anche ricco di storia e di cultura: video,
letture e testimonianze, interventi di studiosi e giornalisti, diario
mensile sull'attualita' africana - in collaborazione con "Nigrizia".
"Chiama l'Africa", campagna nazionale di solidarieta' con i popoli africani,
tel. 06.5430082, fax: 06.5417425, e-mail: chiama.africa@agora.stm.it, sito:
www.chiamafrica.it

4. INCONTRI. UN INVITO PER I TRENT'ANNI DE "IL FOGLIO"
[Dalla redazione de "Il foglio", l'eccellente 'mensile di alcuni cristiani
torinesi' (per contatti e per richiedere gratuitamente una copia-saggio: via
Assietta 13/a, 10128 Torino, e-mail: ilfogmens@katamail.com, o anche:
peyretti@tiscalinet.it, sito: www.ilfoglio.org), riceviamo e volentieri
diffondiamo questo invito]
Nell'occasione dei trent'anni di vita di questo giornale, invitiamo lettori
ed amici a riflettere, in una conversazione circolare, sul tema "leggere e
scrivere". I lettori leggono, per definizione, e diversi di loro scrivono
pure. Noi che confezioniamo queste pagine, abbiamo dentro questo virus, che
fa scrivere. Che cosa significa leggere e scrivere? Venite a dircelo, o
scrivetecelo.
L'appuntamento e' presso la Libreria Torre di Abele (del Gruppo Abele), in
via Pietro Micca 22 (piazza Solferino), a Torino, dalle 17 alle 19,30 di
martedi 10 aprile. Arrivederci.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org ;
per contatti, la e-mail č: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
http://www.peacelink.it/users/mir . Per contatti: lucben@libero.it ;
angelaebeppe@libero.it ; mir@peacelink.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it . Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761/353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 165 del 30 marzo 2001