[tradenews] Aspettando Hong Kong... aggiornamento sui negoziati



TRADEWATCH - Osservatorio sul WTO e il commercio internazionale


Aspettando Hong Kong... aggiornamento sui negoziati.

Mancano  166 giorni alla sesta conferenza ministeriale WTO che si terrà a
Hong Kong dal 13 al 18 dicembre.
Il ritmo degli incontri, a Ginevra e altrove, è intenso, l'impegno per
mettere nero su bianco uno scheletro di accordo è evidente.
L’obiettivo di queste intense giornate di trattativa è di comporre una bozza
di pre-accordo da dare in pasto all’incontro mini-ministeriale in programma
a Dalian, in Cina nella seconda settimana di luglio.
Toccherà ai 31 paesi invitati analizzare la situazione e tentare di
sciogliere i nodi di un negoziato che sempre più percepisce la necessità di
imboccare una via di uscita per non collassare. Se il Doha round non troverà
un accordo finale entro il 2006, non se ne farà più nulla poiché a metà 2007
scadrà la fast-track autority che inibisce il Congresso Americano dal poter
emendare gli accordi commerciali negoziati dall’Amministrazione Bush. Viste
le difficoltà che Bush sta affrontando per far approvare l’accordo di libero
scambio con alcuni paesi del centro america (CAFTA), zero sarebbero le
possibilità di far approvare al Congresso USA un pacchetto come il Doha
round senza modifiche.
Nel corso di questa settimana sono in corso trattative su tutti e tre i
principali argomenti di negoziato, agricoltura, servizi e prodotti
industriali.
Ci sono reali possibilità di raggiungere un primo risultato nel consiglio
generale che si svolgerà a Ginevra il 27/28 luglio?
Oggi sembra impossibile vista la situazione ma solo dopo la
mini-ministeriale cinese sarà chiara la situazione.
Ma quali sono le novità che trapelano dai tavoli e dalle stanze riservate
dei negoziati?

AGRICOLTURA
Al centro dell’attenzione figura sempre l’agricoltura.
Fino alla mini-ministeriale di Parigi (maggio 2005), persisteva una
situazione di stallo causata dalla difficoltà a trovare un accordo su come
tradurre i dazi specifici (espressi come un importo riferito a una specifica
quantità, es. 20 euro per una tonnellata di prodotto) in dazi percentuali
(es. 10% sul prezzo importato).
Dopo la soluzione di questo problema, ottenuta con un algoritmo elaborato
prendendo come base una proposta europea che esclude lo zucchero fra i
prodotti considerati, Tim Groser, il neozelandese che coordina i negoziati,
ha diffuso due nuove bozze di accordo su altri due temi in discussione: gli
aiuti alimentati e le imprese statali che regolano l'esportazione di alcuni
prodotti agricoli di base (Exporting State Trading Enterprises).
Ma il problema fondamentale rimane quello della definizione della formula da
applicare ai dazi doganali per ridurne l’entità. Le tariffe sono usate in
molti paesi per controllare i prezzi, proteggere imprese nazionali e come
fonte di rimesse fiscali.
Relativamente ai sussidi all’esportazione si sta lavorando ai criteri per
definire i crediti (utilizzati dagli USA), senza la loro riduzione l’UE non
intende cancellare i propri sussidi.
Nell’accordo di luglio non era indicata una data precisa per eliminare
questi ultimi, il G20 chiede la loro cancellazione completa entro cinque
anni dall’inizio dell’applicazione dei risultati del round. Visto che il
primo anno di applicazione potrebbe essere il 2008, significherebbe l’anno
2013! (viene alla mente che Lamy in una mini-ministeriale in vista di Cancun
nel 2003 disse proprio che prima del 2013 i PVS potevano scordarsi la
cancellazione dei sussidi).
In alto mare anche la discussione sui sussidi interni, le famose “scatole”
arancione, verde, blu.
Per la scatola arancione si tratta per definire diverse bande in cui
classificare i paesi in base al loro uso. Per il Cairns Group (paesi grandi
esportatori di prodotti agricoli) nel primo andrebbe l’UE, in quella
sottostante gli USA e Giappone, poi il G10 (gruppo di paesi protezionisti in
agricoltura).
Secondo l’accordo di luglio va anche stabilito un nuovo tetto dettagliandolo
prodotto per prodotto.
Per quanto riguarda la blue box, secondo l’accordo di luglio si deve
decidere quale anno prendere come riferimento per calcolare il valore di
produzione del 5% che sarà posto come «tetto» di questa scatola.
Il G20 propone una sua definizione prodotto per prodotto, come per la
scatola arancione; sempre il G20 ha presentato a marzo una proposta che mira
ad evitare che sussidi classificati come amber box finiscano, senza troppe
modifiche, nella blue box. Quest’ultima, secondo il G20, deve essere uno
strumento temporaneo e per trasferire un sussidio da una all’altra scatola,
la sua natura deve cambiare in maniera sostanziale. Il Brasile chiaramente
contesta alcune misure utilizzate dagli USA e i  pagamenti disaccoppiati
europei considerandoli distorsivi.
Infine per la scatola verde si discute sul significato della parola
“revisione" contenuta nell’accordo di luglio. Per l’UE si tratterebbe solo
di fare una check-list mentre per il G20 si tratta di rivedere i criteri di
definizione dei sussidi rientranti in questa scatola.
L’UE sostiene che già le costa l’impegno per eliminare i sussidi
all’esportazione, rivedere la scatola verde significa far saltare l’accordo
di luglio.

COTONE
Riguardo al Cotone, lo specifico sottocomitato stabilito nell’accordo di
luglio 2004 è stato insediato il 19 novembre 2004 e si è riunito per la
prima volta il 16 febbraio 2005. Gli USA hanno proposto che il suo mandato
fosse allargato a discutere dei problemi di accesso al mercato dei prodotti
tessili, ma la proposta non ha raccolto collegati. La Cina, al contrario, si
è dichiarata per una immediata fine dei sussidi (chiudendo così la
questione).
Il G20 nel suo documento di Nuova Dheli (marzo 2005) chiede di stabilire un
piano operativo per la riduzione dei sussidi da inserire nel previsto
pre-accordo da approvare nel consiglio generale di fine luglio 2005.
Il 22 aprile il gruppo dei paesi Africani ha presentato un documento in cui
chiede:
1) l’eliminazione di quote e tariffe applicate sul cotone esportato dai
paesi africani;
2) la cancellazione dei sussidi domestici entro il 21 settembre 2005;
3) la cancellazione dei sussidi all’esportazione entro il 21 settembre 2005;
4) la creazione di un fondo di emergenza per «contenere le serie conseguenze
socioeconomiche sulle comunità agricole».
Gli USA, i principali interessati alla questione, hanno confermato che
considerano possibile una soluzione al problema cotone SOLO all’interno del
«single undertaking» del Doha round.

Il nocciolo della questione agricola, al di là del dettaglio dei negoziati è
però molto semplice, negli ultimi tempi l’Unione Europea sta facendo marcia
indietro su diversi punti perché NON E’ PRONTA ad un accordo sulle modalità
(in campo agricolo) da approvare ad Hong Kong!
La cosa in realtà non stupisce poiché tutti sanno che Peter Mandelson avendo
dietro di sé 25 paesi che hanno messo in comune solo la politica agricola,
non può promettere cambiamenti che possono essere il risultato solo di
difficili negoziati interni. Tony Blair, da settembre presidente di turno
UE, contesta che il 46% del budget 2005 sia destinato alla PAC anche se
dimentica che l’agricoltura è la sola politica comune europea e che i 25
paesi spendono il quadruplo in armamenti.
Ad ogni modo è difficile in questo momento per la Commissione Europea
impegnarsi su questo terreno e la sua strategia è di giocare in difesa.
Ma c’è dell’altro; l’Europa auspica un “ambizioso risultato” nel settore dei
servizi, il suo vero obiettivo del round. L’agricoltura è l’arma di ricatto
che possiede, tant’è che nei vari documenti informali che circolano in
questi giorni emerge la possibilità di un accordo agricolo ma solo in cambio
di un risultato altrettanto soddisfacente nei servizi e nel negoziato sui
prodotti industriali (NAMA).

SERVIZI
In effetti nei servizi non tira un’aria delle migliori.
La scadenza di fine maggio (definita sempre nell’accordo di luglio 2004) ha
portato ad un aumento delle "offerte", nel consiglio GATS del 27 giugno, il
presidente Alejandro Jara ha snocciolato i numeri:
68 le offerte iniziali pervenute, 25 i paesi che ne hanno presentato una
seconda versione (contando l'UE come un singolo paese).
Ma, sempre secondo l’ambasciatore cileno, le offerte sono "molto, molto
misere".
Cosa significa? Che la maggioranza dei paesi è stata molto prudente ed ha
promesso di liberalizzare pochi nuovi settori, riservandosi molte eccezioni.
Ma anche qui la radice del confronto è un’altra, mentre i paesi occidentali
vogliono premere ulteriormente l’accelerazione nella liberalizzazione del
movimento di capitali e investimenti corrispondenti alla modalità 3 di
fornitura definita nel GATS (libertà di stabilimento per le imprese
all’estero), la gran parte dei paesi catalogati come in via di sviluppo
(PVS) preme per ottenere almeno una simmetria nella quarta modalità del
GATS, il movimento dei lavoratori. Liberalizzare il lavoro così come sinora
fatto per i capitali è il loro obiettivo ma il confronto è fra sordi perché
USA ed UE per movimento di lavoratori intendono al massimo  manager e
personale altamente specializzato.
L’Unione europea sta pertanto lavorando alla definizione di una sorta di
"benchmarks", di misuratore della qualità delle offerte in modo da avere uno
strumento innovativo per forzare i negoziati.
L'8 giugno un gruppo di paesi "amici del GATS" (questa la loro
autodefinizione), guidati da USA ed UE hanno presentato un documento in cui
sottolineano che un misuratore di qualità deve essere rappresentato dal
grado di apertura dei servizi finanziari (banche, assicurazioni, fondi
pensione).
Su questo punto le pressioni delle lobby sono molto forti, una delegazione
delle maggiori banche e imprese di settore aveva partecipato alle tre
settimane di negoziato svolte a febbraio a Ginevra. Renato Ruggiero, ex
direttore generale del WTO e attuale vice presidente di Citigroup European
Investment Bank, in un incontro sui benefici della liberalizzazione dei
mercati finanziari per i paesi in via di sviluppo (tutto si fa sempre per il
bene loro) aveva esplicitato che «i negoziati per la liberalizzazione del
commercio nei servizi finanziari sono una priorità assoluta».
Le lobby imprenditoriali del settore non sono mai state tanto attive, ormai
sono di casa nella sede ginevrina del WTO e seguono passo passo il procedere
delle trattative. Il 24 giugno i presidenti dell’ European Services Forum,
della US Coalition of Service Industries, della Japan Services Network,
della Australian Services Network, dell’ Indian IT Services Association
(NASSCOM) e della Chilean Services Coalition hanno incontrato il direttore
generale del WTO e molti ambasciatori per perorare la loro causa.
La scorsa settimana l’UE ha presentato una sua proposta più dettagliata
durante un incontro informale a cui ha invitato, fra gli altri, Brasile,
Canada, Hong Kong, India, Giappone, Kenya e USA.
In sostanza l’Europa vorrebbe definire un elenco non troppo lungo di servizi
chiave ed obbligare tutti i paesi membri ad impegnarsi per liberalizzarne
almeno un numero prestabilito. Inoltre vorrebbe che i paesi vincolassero al
GATS almeno lo status quo perché la maggioranza non si è impegnata a legare
al GATS la propria situazione di apertura di mercato. Il perché è presto
detto: tutti sanno che una liberalizzazione vincolata al GATS è praticamente
irreversibile (eccetto che per le poche potenze mondiali che possono fare le
regole e non rispettarle).
La proposta europea, ad una attenta analisi, appare però in contrasto con la
struttura stessa del GATS, la cui flessibilità e adattabilità è uno dei
vanti dichiarati del WTO. Obbligare i paesi a vincolare un set minimo di
categorie e chiedere la cancellazione di molte eccezioni limitative
significherebbe violare alcuni articoli che definiscono la flessibilità
dell’accordo, soprattutto verso i PVS.

NAMA
Nel terzo pilastro dei negoziati, quello dei prodotti industriali (citato
come negoziato NAMA) ci sono segnali di progresso ma ancora appare lontano
un possibile accordo.
Il negoziato ha come obiettivo una ulteriore drastica riduzione dei dazi; si
occupa di tutti i prodotti non coperti dall’accordo agricolo. Comprende
quindi tutti quelli industriali ma anche la pesca, i prodotti forestali e
quelli minerari.
Comprende anche il tessile e l’abbigliamento, sino al 31 dicembre 2004
regolamentati da un apposito accordo ora scaduto.
Il negoziato NAMA però non si occupa solo di barriere tariffarie ma anche di
quelle non tariffarie, cioè leggi e regolamenti in relazione con lo scambio
delle merci.
Così come in agricoltura il primo e fondamentale problema è quello di
trovare consenso sulla formula di riduzione tariffaria, pochi giorni fa il
presidente che coordina i negoziati, Johannesson, ha annunciato il consenso
sulla formula proposta dagli USA, una “simple Swiss formula”, ovvero una
formula matematica con un unico coefficiente che taglia maggiormente le
tariffe più elevate rispetto a quelle più basse. Le opinioni dei paesi però
non collimano con questo annuncio, Argentina, Brasile ed India concordano
sulla formula svizzera ma vorrebbero un coefficiente diverso per ogni paese,
calcolato in base alla specifica struttura tariffaria.
Questa proposta è sostenuta da altri paesi e va sottolineato che l’annuncio
di Johannesson è stato fatto dopo una sessione di negoziati a cui erano
assenti i paesi africani impegnati nell’incontro ministeriale dell’Unione
Africana al Cairo.

Dal rapido quadro appena delineato verrebbe dunque da dire nulla di nuovo
sul fronte di Ginevra; il negoziato è fra pochi paesi chiave e l’Europa
brilla per la sua creatività e scaltrezza negoziale.
Il “gruppo dei cinque” (USA, UE, Australia, Brasile e India) appare in crisi
e sta emergendo una nuova coalizione formata da USA, Canada, UE, Hong Kong,
India Giappone, Kenya, Malesia, Nuova Zelanda e Zambia.
Lo “sviluppo”, inteso come attenzione verso i paesi poveri, continua a
campeggiare sui cartelli del Doha Round, ma nel processo dei negoziati
inutile cercare dei riferimenti, non ve ne sono.

Roberto Meregalli (Stopwto at unimondo.org)
Beati i costruttori di pace

Tradewatch (Osservatorio sul commercio internazionale promosso da Campagna
Riforma Banca Mondiale, Crocevia, Fondazione Culturale Responsabilità Etica,
Gruppo d'Appoggio al Movimento contadino dell'Africa occidentale, Mani Tese,
Rete Lilliput e ROBA dell'Altro mondo fair trade)