[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
CS Africa: Cari G8 basta aiuti, vogliamo lavorare la nostra terra
- Subject: CS Africa: Cari G8 basta aiuti, vogliamo lavorare la nostra terra
- From: "Monica Di Sisto" <moni.disisto at iol.it>
- Date: Mon, 4 Jul 2005 10:25:43 +0200
Comunicato Stampa - Campagna EuropAfrica/Terre Contadine promossa da Terra Nuova e Crocevia per il GA Gruppo d'Appoggio al movimento contadino dell'Africa Occidentale - fra gli altri AUCS, CIPSI, CISV, COSPE - con la partecipazione di Coldiretti, del ROPPA e con la collaborazione di ROBA dell’Altro Mondo fair trade Info: Monica Di Sisto + 39 335 8426752 Coordinatrice Nora Mckeon + 39 335 8388785 Cari G8 basta aiuti, vogliamo lavorare la nostra terra I contadini africani della rete ROPPA, sostenuti dalla campagna italiana EuropAfrica/Terre Contadine, rivendicano una crescita di produzione agricola dal 20 all'80% e chiedono, alla luce dei propri successi e delle sconfitte del mercato mondiale, di poter scegliere e gestire direttamente il proprio sviluppo Roma, 4 luglio 2005 - "Cari G8, l’Africa può nutrire se stessa grazie al lavoro dei suoi agricoltori. Non è grazie a una maggiore invadenza del mercato internazionale che gli africani usciranno dalla povertà, ma grazie al lavoro delle proprie famiglie se saranno garantite loro regole più giuste e il timone del proprio sviluppo". Il messaggio, lanciato ai G8 in vista del vertice scozzese, arriva dagli agricoltori riuniti nella rete ROPPA (Reseau des organisations paysannes et de producteurs agricoles de l'Afrique de l'Ouest), che rappresenta oltre 60 organizzazioni locali in 10 Paesi dell’Africa occidentale. “Malgrado le condizioni climatiche difficili, le catastrofi naturali, i tanti conflitti, l’assenza di misure di protezione e di sostegno e di altre entrate garantite, tra il 1990 e il 2002 abbiamo aumentato le nostre produzioni agricole dal 20 all’80%, più dell’America del Nord (dallo 0 al 20%) o dell’Europa dell’Est che ha subito una riduzione stimata intorno al 50%. In più è risaputo che i nostri prodotti sono la fonte principale delle entrate monetarie del nostro Paese”. Per disporre di entrate monetarie Roppa denuncia che i Paesi africani hanno dovuto sostituire una parte delle coltivazioni di sussistenza con coltivazioni d’esportazione, destinate a approvvigionare gli stabilimenti dell’agrobusiness del Nord del mondo. “Questa situazione ha avuto la conseguenza di ridurre l’Africa occidentale a regione importatrice di prodotti alimentari, proprio quell’Africa che invece era una forte esportatrice. Dal 1993 al 2002 quest’area ha aumentato le proprie importazioni di cereali del 60% (per il resto del mondo l’aumento è stato del 18,2%), mentre la loro produzione è aumentata solo del 16,3% (6% per la media mondiale)”. Questa importazione massiccia, largamente favorita secondo i contadini del ROPPA da aiuti alimentari e dalle distorsioni del mercato internazionale, “è il risultato di un liberismo dogmatico spinto dalle istituzioni finanziarie internazionale e con la benedizione dei Paesi donatori, tra i quali i G8 in primo luogo”. Ma l'Africa non e' una terra di disperazione perché, grazie a politiche adeguate di sviluppo e di sostegno, può nutrire se stessa come fa tutti i giorni, grazie al lavoro dei suoi contadini, che sono il 70% dei lavoratori africani. L'agricoltura familiare in Africa già oggi assicura più del 90% della produzione agricola e gestisce più del 95% delle terre agricole. “Nonostante la spietata concorrenza internazionale – svela il ROPPA - i piccoli produttori dell'agricoltura familiare assicurano fino al 90%dell'approvvigionamento alimentare delle comunità locali”. Tutte le iniziative dei G8 per risolvere i problemi della fame e del sottosviluppo, secondo il ROPPA, “debbono essere accolte con ottimismo, ma la povertà e la fame debbono attaccate soltanto partendo dalle radici, ossia dalle loro cause politiche. Non bastano soluzioni tecnologiche, o iniezioni di volumi considerevoli di dollari per cambiare le cose in Africa. Perché Blair e i G8 siano coerenti nelle loro iniziative, non possono occultare l’analisi delle cause della liberalizzazione e la privatizzazione dei settori economici e dei servizi in Africa e le loro relazioni con la povertà nelle aree rurali. Non possono che sottoscrivere il riconoscimento del diritto dei paesi alla sovranità alimentari e il diritto di ciascuno di sfamarsi autonomamente, attraverso atti politici concreti e investimenti rivolti all’agricoltura familiare”. Gli agricoltori africani chiedono ai G8 di superare gli schemi consueti delle politiche di sviluppo, di consentire all’Africa di ripensare il proprio anche attraverso misure di protezione dei mercati più fragili e di sussidi, ma chiedono anche l’interruzione, da parte dell’Europa, dei negoziati per gli Accordi di partnership economica (EPAs), “perché non è realistico – sottolinea il ROPPA – ipotizzare un’area di libero scambio dove entrino in concorrenza l’Europa e i Paesi africani tra i più poveri del mondo”. Al fianco di questa nuova lotta della più ampia rete contadina africana, in Italia si schiera EuropAfrica/Terre Contadine, la nuova campagna nel corso della quale "le Terre Contadine, del Nord come del Sud del mondo – spiega Nora Mckeon, coordinatrice del programma - prenderanno la parola anche questa volta per far conoscere anche in Italia le richieste delle organizzazioni di base, ma anche per stringere con i cittadini e i consumatori un'alleanza che costringa le leggi che regolano il mercato a rispettare e dare il giusto valore al patrimonio rurale di questo pianeta”. La campagna è promossa dalle ong Terra Nuova e Crocevia per il GA Gruppo d'Appoggio al movimento contadino dell'Africa Occidentale - fra gli altri AUCS, CIPSI, CISV, COSPE - con la partecipazione di Coldiretti, del ROPPA e con la collaborazione di ROBA dell’Altro Mondo fair trade. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- di seguito il testo completo dell'appello ROPPA - Réseau des Organisations Paysannes et des Producteurs Agricoles de l’Afrique de l’Ouest (ROPPA) MESSAGGIO DELLA RETE DELLE ORGANIZZAZIONI CONTADINE E DEI PRODUTTORI AGRICOLI DELL’AFRICA DELL’OVEST AL PRIMO MINISTRO TONY BLAIR E AI MEMBRI DEL G8 Dieci anni dopo il segnale d’allarme lanciato dal Summit Mondiale dell’alimentazione del 1996, si constatano poche evoluzioni nel miglioramento della situazione alimentare di una larga parte della popolazione del globo. Ci sono ancora 840 milioni di persone che soffrono la fame e 2 miliardi di persone con carenze nutrizionali. Ciò vuol dire che l’obiettivo di ridurre della metà le persone che soffrono la fame entro il 2015 non potrà essere raggiunto se la tendenza riscontrata si manterrà costante. La situazione è particolarmente grave per l’Africa. Milioni di persone vivono tutti i giorni la precarietà alimentare e la povertà. Più della metà della popolazione dei Paesi Africani al di sotto del Sahara non hanno a disposizione nemmeno un dollaro al giorno per nutrirsi e vivere sereni. I tre quarti di questi poveri provengono da un contesto rurale. E’ così, la fame e la povertà colpiscono innanzitutto coloro che vivono negli insediamenti agricoli a conduzione familiare e che forniscono la parte essenziale dei prodotti alimentari di base. Le ragioni utilizzate per spiegare la fame e la povertà sono conosciute e ricorrenti. Per porre loro rimedio noi abbiamo ascoltato i numerosi appelli al soccorso e l’impegno rinnovato della comunità internazionale per l’Africa, il solo continente dove la fame non viene mai meno. Quante iniziative, strategie, piani e programmi elaborati nel corso di questi ultimi venti anni: Programmi di aggiustamento, sostegno al buon governo, programmi di lotta contro la povertà, sostegno alla liberalizzazione e alla privatizzazione, l’accordo di Lomé, accesso ai mercati…! Ci siamo un po’ persi per la strada! Tutto questo è costato alla Comunità internazionale miliardi di dollari, si dice! Ma per i produttori agricoli che cosa ha rappresentato, e che impatto ha avuto? Bisogna per forza riconoscere che le basi di un cambiamento qualitativo nei sistemi di produzione sono lontane dall’essere assicurate. Per un’Africa occidentale soggetta a siccità cicliche solo l’1,2% delle terre coltivate vengono irrigate contro il 19,6% nel resto del mondo. Malgrado la povertà dei nostri suoli, noi non disponiamo che di 0,01 kg di fertilizzanti e di altri inputs per ciascun ettaro messo in valore, mentre il resto del mondo ne utilizza in media 100 kg per ettaro. Per investire nei nostri insediamenti le banche ci mettono a disposizione a malapena 20 dollari per ogni ettaro. Il controllo delle malattie e degli insetti è semplicemente fuori dalla nostra portata. Fortunatamente noi abbiamo le nostre varietà agricole tipiche e i saperi ancestrali che in nessun caso vogliamo ipotecare in cambio di varietà geneticamente modificate o di qualche innovazione poco sperimentata e dalle conseguenze disastrose per noi stessi e per il nostro ambiente ancora siano! Il paradosso: un’Africa agricola che dipende dall’estero per nutrirsi Malgrado le condizioni climatiche difficili, le catastrofi naturali, i tanti conflitti, l’assenza di misure di protezione e di sostegno e di altre entrate garantite, tra il 1990 e il 2002 abbiamo aumentato le nostre produzioni agricole dal 20 all’80%, più dell’America del Nord (dallo 0 al 20%) o dell’Europa dell’Est che ha subito una riduzione stimata intorno al 50%. In più è risaputo che i nostri prodotti sono la fonte principale delle entrate monetarie del nostro Paese. Le nostre capitali e le grandi città sono state costruite con il valore aggiunto del nostro lavoro! Ma le nostre condizioni di vita fondamentalmente non sono cambiate! Noi abbiamo sempre un accesso difficile ai servizi sociali di base. I nostri giovani non vogliono più rimanere nei nostri villaggi e dedicarsi ai lavori dei campi! Questo semplicemente perché i mestieri dell’agricoltura non nutrono più la loro forza lavoro, non fanno vivere una famiglia e fiorire dei bambini! Per disporre di un’entrata monetaria abbiamo dovuto sostituire una parte delle nostre coltivazioni di sussistenza con coltivazioni d’esportazione, destinate a approvvigionare gli stabilimenti dell’agrobusiness nei vostri Paesi del Nord del mondo. Questa situazione ha avuto la conseguenza di ridurre l’Africa occidentale a regione importatrice di prodotti alimentari, proprio quell’Africa che invece era una forte esportatrice. Dal 1993 al 2002 quest’area ha aumentato le proprie importazioni di cereali del 60% (per il resto del mondo l’aumento è stato del 18,2%), mentre la loro produzione è aumentata solo del 16,3% (6% per la media mondiale)”. Questa importazione massiccia, largamente favorita secondo i contadini del ROPPA da aiuti alimentari e dalle distorsioni del mercato internazionale, “è il risultato di un liberismo dogmatico spinto dalle istituzioni finanziarie internazionale e con la benedizione dei Paesi donatori, tra i quali i G8 in primo luogo. L’arrivo massiccio e incontrollato di prodotti alimentari d’importazione ha avuto effetti perversi sulla produzione locale, sulla professione e i redditi dei produttori. Sono numerose le aziende agricole delle zone costiere che hanno dovuto abbandonare l’allevamento di volatili o la risicoltura impossibilitati a vendere sui propri mercati locali a causa dei prodotti alimentari importati sui quali alcuni godono di sovvenzioni dirette o camuffate. Il mercato mondiale non può sradicare la fame e la povertà La situazione potrebbe peggiorare se i nostri Stati fossero costretti a lasciare incustodite le nostre frontiere e i nostri mercati agricoli e agroalimentari come stabilirebbero gli accordi della Wto e come ci spinge a fare l’Unione Europea con gli Accordi di Partenariato Economico (EPAs). La realtà risaputa è che nel sistema attuale di liberalizzazione e di globalizzazione, i contadini non guadagnano niente in cambio. Che siano africane, europee, asiatiche o americane, le aziende agricole a conduzione familiare vedono i loro redditi ridursi nonostante l’aumento della produzione. Tanti tra noi sono stati costretti ad abbandonare e i giovani si allontanano dal mestiere. I nostri produttori agricoli dei Paesi poveri indebitati o molto indebitati, altrimenti detti “persone terra terra” non siamo convinti che solo attraverso il mercato mondiale la nostra povertà si andrà riducendo e la fame si sradicherà. Noi non abbiamo mai smesso di essere nel mercato mondiale proprio come produttori di materie prime d’esportazione, fonti principali di denaro per la stragrande maggioranza dei nostri Paesi. Questo però non ha cambiato la nostra condizione di povertà. Noi sappiamo, dal punto di vista dei nostri villaggi, che il mercato è sicuramente buono per gli scambi, ma a un certo livello è soprattutto buono per gli intermediari e per i ricchi commercianti! Il mercato internazionale è forse più conveniente per gli agricoltori, ma al momento esso non arricchisce che le multinazionali! E’ per questo che noi pensiamo che coloro che governano il mondo che sono “più in alto di tutti” devono prendere delle misure coraggiose per cambiare profondamente il sistema commerciale, i negoziati della WTO e degli EPAs e devono riflettere bene su strumenti più appropriati di regolazione e di gestione dell’offerta dei prodotti agricoli. Pensare altre politiche Noi produttori agricoli africani rappresentiamo l’immensa maggioranza di quelli che sono poveri e hanno fame! Ma non vogliamo vivere di carità e di condiscendenza umanitaria! Noi non vogliamo basare le nostre società rurali sull’aiuto alimentare, per quanto generoso esso possa essere! Noi vogliamo innanzitutto vivere del nostro lavoro! Noi vogliamo che l’agricoltura e gli agricoltori vengano considerati per le loro molte funzioni e missioni: alimentari, sociali, ambientali e culturali. Un’azienda agricola familiare non è una fabbrica! E’ un’unità di produzione, certamente! Ma è un sistema di vita, un modo d’essere e di riprodurre la società! I prodotti agricoli non sono dei beni manifatturieri i cui scambi debbono essere regolati unicamente con le leggi del mercato, conti tutti imperfetti. E’ arrivato il momento che le cose cambino! E’ arrivato il tempo di altre politiche e di altri investimenti per l’agricoltura. La povertà non scomparirà dai nostri villaggi fino a quando non sarà riconosciuta all’agricoltura la missione fondamentale di affrancare i nostri Paesi dalla dipendenza alimentare, di favorire il loro accesso a una sovranità alimentare, come è successo in Europa o in America. La povertà e la fame non scompariranno dai nostri Paesi, se noi stessi, i nostri prodotti e i nostri mestieri non godremo di misure appropriate di sostegno e di protezione da parte dei nostri Governi. Iniziativa Blair: si può e si deve fare di meglio Dal 2001 i summit dei G8 sono dei momenti importanti sono dei momenti importanti per dei nuovi impegni dei Paesi più ricchi per se stessi, per il mondo e per l’Africa. Tutte le iniziative debbono essere accolte con ottimismo, quella di Blair in particolare! Ma la povertà e la fame debbono attaccate soltanto partendo dalle radici, ossia dalle loro cause politiche. Non bastano soluzioni tecnologiche, o iniezioni di volumi considerevoli di dollari per veder cambiare le cose in Africa. Perché Blair e i G8 siano coerenti nelle loro iniziative, non possono occultare l’analisi delle cause della liberalizzazione e la privatizzazione dei settori economici e dei servizi in Africa e le loro relazioni con la povertà nelle aree rurali. Non possono che sottoscrivere il riconoscimento del diritto dei paesi alla sovranità alimentari e il diritto di ciascuno di sfamarsi autonomamente, attraverso atti politici concreti e investimenti strutturali rivolti all’agricoltura familiare. Fino a che l’aiuto allo sviluppo sarà condizionato all’adesione a schemi di sviluppo dettati da un liberalismo dogmatico, le economie dell’Africa occidentale continueranno a degradarsi e a causare miseria e occasioni di tensione quali quelle registrate negli ultimi anni. Blair deve sostenere il diritto di ciascun Paese, in particolare quelli dell’Africa, di proteggere la propria agricoltura e la propria economia anche con delle tariffe doganali. Bisogna senza dubbio sollevare la cappa di piombo che grava sui Governi dell’Africa occidentale e che impedisce loro ogni diritto di avere altre politiche rispetto a quelle già compromesse dei «Documenti di Strategia di Riduzione della Povertà!» (DSRP) all’elaborazione dei quali i poveri e i gruppi vulnerabili hanno partecipato poco. Blair dovrà ugualmente ottenere dai suoi pari l’arresto immediato dei negoziati per gli Accordi di partenariato economico tra l’Europa e la CEDEAO. In effetti non è realistico immaginare la creazione di una zona di libero scambio e l’entrata in competizione tra l’Europa e i Paesi della CEDEAO che sono tra i più poveri del mondo. Questo è assolutamente inadeguato ai voti fatti di guidare l’Africa verso l’uscita dalla povertà. I
- Prev by Date: [Comunicato stampa] Genova, 28 giugno 2005: Indovina chi.
- Next by Date: [tradenews] Aspettando Hong Kong... aggiornamento sui negoziati
- Previous by thread: [Comunicato stampa] Genova, 28 giugno 2005: Indovina chi.
- Next by thread: [tradenews] Aspettando Hong Kong... aggiornamento sui negoziati
- Indice: