CS Africa: Cari G8 basta aiuti, vogliamo lavorare la nostra terra



Comunicato Stampa  - Campagna EuropAfrica/Terre Contadine
promossa da Terra Nuova e Crocevia per il GA Gruppo d'Appoggio al movimento
contadino dell'Africa Occidentale - fra gli altri AUCS, CIPSI, CISV, COSPE
- con la partecipazione di Coldiretti, del ROPPA e con la collaborazione di
ROBA dell’Altro Mondo fair trade

Info: Monica Di Sisto + 39 335 8426752 Coordinatrice Nora Mckeon + 39 335
8388785


Cari G8 basta aiuti, vogliamo lavorare la nostra terra
I contadini africani della rete ROPPA, sostenuti dalla campagna italiana
EuropAfrica/Terre Contadine, rivendicano una crescita di produzione
agricola dal 20 all'80% e chiedono, alla luce dei propri successi e delle
sconfitte del mercato mondiale, di poter scegliere e gestire direttamente
il proprio sviluppo

Roma, 4 luglio 2005 - "Cari G8, l’Africa può nutrire se stessa grazie al
lavoro dei suoi agricoltori. Non è grazie a una maggiore invadenza
del mercato internazionale che gli africani usciranno dalla povertà, ma
grazie al lavoro delle proprie famiglie se saranno garantite loro regole
più giuste e il timone del proprio sviluppo". Il messaggio, lanciato ai G8
in vista del vertice scozzese, arriva dagli agricoltori riuniti nella rete
ROPPA (Reseau des organisations paysannes et de producteurs agricoles de
l'Afrique de l'Ouest), che rappresenta oltre 60 organizzazioni locali in 10
Paesi dell’Africa occidentale. “Malgrado le condizioni climatiche
difficili, le catastrofi naturali, i tanti conflitti, l’assenza di misure
di protezione e di sostegno e di altre entrate garantite, tra il 1990 e il
2002 abbiamo aumentato le nostre produzioni agricole dal 20 all’80%, più
dell’America del Nord (dallo 0 al 20%) o dell’Europa dell’Est che ha subito
una riduzione stimata intorno al 50%. In più è risaputo che i nostri
prodotti sono la fonte principale delle entrate monetarie del nostro Paese”.
Per disporre di entrate monetarie Roppa denuncia che i Paesi africani hanno
dovuto sostituire una parte delle coltivazioni di sussistenza con
coltivazioni d’esportazione, destinate a approvvigionare gli stabilimenti
dell’agrobusiness del Nord del mondo. “Questa situazione ha avuto la
conseguenza di ridurre l’Africa occidentale a regione importatrice di
prodotti alimentari, proprio quell’Africa che invece era una forte
esportatrice. Dal 1993 al 2002 quest’area ha aumentato le proprie
importazioni di cereali del 60% (per il resto del mondo l’aumento è stato
del 18,2%), mentre la loro produzione è aumentata solo del 16,3% (6% per la
media mondiale)”. Questa importazione massiccia, largamente favorita
secondo i contadini del ROPPA da aiuti alimentari e dalle distorsioni del
mercato internazionale, “è il risultato di un liberismo dogmatico spinto
dalle istituzioni finanziarie internazionale e con la benedizione dei Paesi
donatori, tra i quali i G8 in primo luogo”.
Ma l'Africa non e' una terra di disperazione perché, grazie a politiche
adeguate di sviluppo e di sostegno, può nutrire se stessa come fa tutti i
giorni, grazie al lavoro dei suoi contadini, che sono il 70% dei lavoratori
africani. L'agricoltura familiare in Africa già oggi assicura più del 90%
della produzione agricola e gestisce più del 95% delle terre agricole.
“Nonostante la spietata concorrenza internazionale – svela il ROPPA - i
piccoli produttori dell'agricoltura familiare assicurano fino al
90%dell'approvvigionamento alimentare delle comunità locali”. Tutte le
iniziative dei G8 per risolvere i problemi della fame e del sottosviluppo,
secondo il ROPPA, “debbono essere accolte con ottimismo, ma la povertà e la
fame debbono attaccate soltanto partendo dalle radici, ossia dalle loro
cause politiche. Non bastano soluzioni tecnologiche, o iniezioni di volumi
considerevoli di dollari per cambiare le cose in Africa. Perché Blair e i
G8 siano coerenti nelle loro iniziative, non possono occultare l’analisi
delle cause della liberalizzazione e la privatizzazione dei settori
economici e dei servizi in Africa e le loro relazioni con la povertà nelle
aree rurali. Non possono che sottoscrivere il riconoscimento del diritto
dei paesi alla sovranità alimentari e il diritto di ciascuno di sfamarsi
autonomamente, attraverso atti politici concreti e investimenti rivolti
all’agricoltura familiare”.
Gli agricoltori africani chiedono ai G8 di superare gli schemi consueti
delle politiche di sviluppo, di consentire all’Africa di ripensare il
proprio anche attraverso misure di protezione dei mercati più fragili e di
sussidi, ma chiedono anche l’interruzione, da parte dell’Europa, dei
negoziati per gli Accordi di partnership economica (EPAs), “perché non è
realistico – sottolinea il ROPPA – ipotizzare un’area di libero scambio
dove entrino in concorrenza l’Europa e i Paesi africani tra i più poveri
del mondo”.

Al fianco di questa nuova lotta della più ampia rete contadina africana, in
Italia si schiera EuropAfrica/Terre Contadine, la nuova campagna nel corso
della quale "le Terre Contadine, del Nord come del Sud del mondo – spiega
Nora Mckeon, coordinatrice del programma - prenderanno la parola anche
questa volta per far conoscere anche in Italia le richieste delle
organizzazioni di base, ma anche per stringere con i cittadini e i
consumatori un'alleanza che costringa le leggi che regolano il mercato a
rispettare e dare il giusto valore al patrimonio rurale di questo pianeta”.
La campagna è promossa dalle ong Terra Nuova e Crocevia per il GA Gruppo
d'Appoggio al movimento contadino dell'Africa Occidentale - fra gli altri
AUCS, CIPSI, CISV, COSPE - con la partecipazione di Coldiretti, del ROPPA e
con la collaborazione di ROBA dell’Altro Mondo fair trade.


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di seguito il testo completo dell'appello
ROPPA - Réseau des Organisations Paysannes et des Producteurs Agricoles de
l’Afrique de l’Ouest (ROPPA)

MESSAGGIO DELLA RETE DELLE ORGANIZZAZIONI CONTADINE E DEI PRODUTTORI
AGRICOLI DELL’AFRICA DELL’OVEST AL PRIMO MINISTRO TONY BLAIR E AI MEMBRI
DEL G8

Dieci anni dopo il segnale d’allarme lanciato dal Summit Mondiale
dell’alimentazione del 1996, si constatano poche evoluzioni nel
miglioramento della situazione alimentare di una larga parte della
popolazione del globo. Ci sono ancora 840 milioni di persone che soffrono
la fame e 2 miliardi di persone con carenze nutrizionali. Ciò vuol dire che
l’obiettivo di ridurre della metà le persone che soffrono la fame entro il
2015 non potrà essere raggiunto se la tendenza riscontrata si manterrà
costante.

La situazione è particolarmente grave per l’Africa. Milioni di persone
vivono tutti i giorni la precarietà alimentare e la povertà. Più della metà
della popolazione dei Paesi Africani al di sotto del Sahara non hanno a
disposizione nemmeno un dollaro al giorno per nutrirsi e vivere sereni. I
tre quarti di questi poveri provengono da un contesto rurale. E’ così, la
fame e la povertà colpiscono innanzitutto coloro che vivono negli
insediamenti agricoli a conduzione familiare e che forniscono la parte
essenziale dei prodotti alimentari di base.

Le ragioni utilizzate per spiegare la fame e la povertà sono conosciute e
ricorrenti. Per porre loro rimedio noi abbiamo ascoltato i numerosi appelli
al soccorso e l’impegno rinnovato della comunità internazionale per
l’Africa, il solo continente dove la fame non viene mai meno. Quante
iniziative, strategie, piani e programmi elaborati nel corso di questi
ultimi venti anni: Programmi di aggiustamento, sostegno al buon governo,
programmi di lotta contro la povertà, sostegno alla liberalizzazione e alla
privatizzazione, l’accordo di Lomé, accesso ai mercati…! Ci siamo un po’
persi per la strada!

Tutto questo è costato alla Comunità internazionale miliardi di dollari, si
dice! Ma per i produttori agricoli che cosa ha rappresentato, e che impatto
ha avuto? Bisogna per forza riconoscere che le basi di un cambiamento
qualitativo nei sistemi di produzione sono lontane dall’essere assicurate.
Per un’Africa occidentale soggetta a siccità cicliche solo l’1,2% delle
terre coltivate vengono irrigate contro il 19,6% nel resto del mondo.
Malgrado la povertà dei nostri suoli, noi non disponiamo che di 0,01 kg di
fertilizzanti e di altri inputs per ciascun ettaro messo in valore, mentre
il resto del mondo ne utilizza in media 100 kg per ettaro. Per investire
nei nostri insediamenti le banche ci mettono a disposizione a malapena 20
dollari per ogni ettaro. Il controllo delle malattie e degli insetti è
semplicemente fuori dalla nostra portata. Fortunatamente noi abbiamo le
nostre varietà agricole tipiche e i saperi ancestrali che in nessun caso
vogliamo ipotecare in cambio di varietà geneticamente modificate o di
qualche innovazione poco sperimentata e dalle conseguenze disastrose per
noi stessi e per il nostro ambiente ancora siano!

Il paradosso: un’Africa agricola che dipende dall’estero per nutrirsi
Malgrado le condizioni climatiche difficili, le catastrofi naturali, i
tanti conflitti, l’assenza di misure di protezione e di sostegno e di altre
entrate garantite, tra il 1990 e il 2002 abbiamo aumentato le nostre
produzioni agricole dal 20 all’80%, più dell’America del Nord (dallo 0 al
20%) o dell’Europa dell’Est che ha subito una riduzione stimata intorno al
50%. In più è risaputo che i nostri prodotti sono la fonte principale delle
entrate monetarie del nostro Paese. Le nostre capitali e le grandi città
sono state costruite con il valore aggiunto del nostro lavoro!

Ma le nostre condizioni di vita fondamentalmente non sono cambiate! Noi
abbiamo sempre un accesso difficile ai servizi sociali di base. I nostri
giovani non vogliono più rimanere nei nostri villaggi e dedicarsi ai lavori
dei campi! Questo semplicemente perché i mestieri dell’agricoltura non
nutrono più la loro forza lavoro, non fanno vivere una famiglia e fiorire
dei bambini! Per disporre di un’entrata monetaria abbiamo dovuto sostituire
una parte delle nostre coltivazioni di sussistenza con coltivazioni
d’esportazione, destinate a approvvigionare gli stabilimenti
dell’agrobusiness nei vostri Paesi del Nord del mondo.

Questa situazione ha avuto la conseguenza di ridurre l’Africa occidentale a
regione importatrice di prodotti alimentari, proprio quell’Africa che
invece era una forte esportatrice. Dal 1993 al 2002 quest’area ha aumentato
le proprie importazioni di cereali del 60% (per il resto del mondo
l’aumento è stato del 18,2%), mentre la loro produzione è aumentata solo
del 16,3% (6% per la media mondiale)”. Questa importazione massiccia,
largamente favorita secondo i contadini del ROPPA da aiuti alimentari e
dalle distorsioni del mercato internazionale, “è il risultato di un
liberismo dogmatico spinto dalle istituzioni finanziarie internazionale e
con la benedizione dei Paesi donatori, tra i quali i G8 in primo luogo.

L’arrivo massiccio e incontrollato di prodotti alimentari d’importazione ha
avuto effetti perversi sulla produzione locale, sulla professione e i
redditi dei produttori. Sono numerose le aziende agricole delle zone
costiere che hanno dovuto abbandonare l’allevamento di volatili o la
risicoltura impossibilitati a vendere sui propri mercati locali a causa dei
prodotti alimentari importati sui quali alcuni godono di sovvenzioni
dirette o camuffate.

Il mercato mondiale non può sradicare la fame e la povertà
La situazione potrebbe peggiorare se i nostri Stati fossero costretti a
lasciare incustodite le nostre frontiere e i nostri mercati agricoli e
agroalimentari come stabilirebbero gli accordi della Wto e come ci spinge a
fare l’Unione Europea con gli Accordi di Partenariato Economico (EPAs). La
realtà risaputa è che nel sistema attuale di liberalizzazione e di
globalizzazione, i contadini non guadagnano niente in cambio. Che siano
africane, europee, asiatiche o americane, le aziende agricole a conduzione
familiare vedono i loro redditi ridursi nonostante l’aumento della
produzione. Tanti tra noi sono stati costretti ad abbandonare e i giovani
si allontanano dal mestiere.

I nostri produttori agricoli dei Paesi poveri indebitati o molto
indebitati, altrimenti detti “persone terra terra” non siamo convinti che
solo attraverso il mercato mondiale la nostra povertà si andrà riducendo e
la fame si sradicherà. Noi non abbiamo mai smesso di essere nel mercato
mondiale proprio come produttori di materie prime d’esportazione, fonti
principali di denaro per la stragrande maggioranza dei nostri Paesi. Questo
però non ha cambiato la nostra condizione di povertà.

Noi sappiamo, dal punto di vista dei nostri villaggi, che il mercato è
sicuramente buono per gli scambi, ma a un certo livello è soprattutto buono
per gli intermediari e per i ricchi commercianti! Il mercato internazionale
è forse più conveniente per gli agricoltori, ma al momento esso non
arricchisce che le multinazionali! E’ per questo che noi pensiamo che
coloro che governano il mondo che sono “più in alto di tutti” devono
prendere delle misure coraggiose per cambiare profondamente il sistema
commerciale, i negoziati della WTO e degli EPAs e devono riflettere bene su
strumenti più appropriati di regolazione e di gestione dell’offerta dei
prodotti agricoli.

Pensare altre politiche
Noi produttori agricoli africani rappresentiamo l’immensa maggioranza di
quelli che sono poveri e hanno fame! Ma non vogliamo vivere di carità e di
condiscendenza umanitaria! Noi non vogliamo basare le nostre società rurali
sull’aiuto alimentare, per quanto generoso esso possa essere! Noi vogliamo
innanzitutto vivere del nostro lavoro!

Noi vogliamo che l’agricoltura e gli agricoltori vengano considerati per le
loro molte funzioni e missioni: alimentari, sociali, ambientali e
culturali. Un’azienda agricola familiare non è una fabbrica! E’ un’unità di
produzione, certamente! Ma è un sistema di vita, un modo d’essere e di
riprodurre la società! I prodotti agricoli non sono dei beni manifatturieri
i cui scambi debbono essere regolati unicamente con le leggi del mercato,
conti tutti imperfetti.

E’ arrivato il momento che le cose cambino! E’ arrivato il tempo di altre
politiche e di altri investimenti per l’agricoltura. La povertà non
scomparirà dai nostri villaggi fino a quando non sarà riconosciuta
all’agricoltura la missione fondamentale di affrancare i nostri Paesi dalla
dipendenza alimentare, di favorire il loro accesso a una sovranità
alimentare, come è successo in Europa o in America. La povertà e la fame
non scompariranno dai nostri Paesi, se noi stessi, i nostri prodotti e i
nostri mestieri non godremo di misure appropriate di sostegno e di
protezione da parte dei nostri Governi.

Iniziativa Blair: si può e si deve fare di meglio
Dal 2001 i summit dei G8 sono dei momenti importanti sono dei momenti
importanti per dei nuovi impegni dei Paesi più ricchi per se stessi, per il
mondo e per l’Africa. Tutte le iniziative debbono essere accolte con
ottimismo, quella di Blair in particolare! Ma la povertà e la fame debbono
attaccate soltanto partendo dalle radici, ossia dalle loro cause politiche.
Non bastano soluzioni tecnologiche, o iniezioni di volumi considerevoli di
dollari per veder cambiare le cose in Africa.

Perché Blair e i G8 siano coerenti nelle loro iniziative, non possono
occultare l’analisi delle cause della liberalizzazione e la privatizzazione
dei settori economici e dei servizi in Africa e le loro relazioni con la
povertà nelle aree rurali. Non possono che sottoscrivere il riconoscimento
del diritto dei paesi alla sovranità alimentari e il diritto di ciascuno di
sfamarsi autonomamente, attraverso atti politici concreti e investimenti
strutturali rivolti all’agricoltura familiare.

Fino a che l’aiuto allo sviluppo sarà condizionato all’adesione a schemi di
sviluppo dettati da un liberalismo dogmatico, le economie dell’Africa
occidentale continueranno a degradarsi e a causare miseria e occasioni di
tensione quali quelle registrate negli ultimi anni. Blair deve sostenere il
diritto di ciascun Paese, in particolare quelli dell’Africa, di proteggere
la propria agricoltura e la propria economia anche con delle tariffe
doganali.

Bisogna senza dubbio sollevare la cappa di piombo che grava sui Governi
dell’Africa occidentale e che impedisce loro ogni diritto di avere altre
politiche rispetto a quelle già compromesse dei «Documenti di Strategia di
Riduzione della Povertà!» (DSRP) all’elaborazione dei quali i poveri e i
gruppi vulnerabili hanno partecipato poco.

Blair dovrà ugualmente ottenere dai suoi pari l’arresto immediato dei
negoziati per gli Accordi di partenariato economico tra l’Europa e la
CEDEAO. In effetti non è realistico immaginare la creazione di una zona di
libero scambio e l’entrata in competizione tra l’Europa e i Paesi della
CEDEAO che sono tra i più poveri del mondo. Questo è assolutamente
inadeguato ai voti fatti di guidare l’Africa verso l’uscita dalla povertà.



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