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La nonviolenza e' in cammino. 768
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 768
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 28 Dec 2003 20:23:04 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 768 del 28 dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Benito D'Ippolito: cantata per Danilo 2. Maria G. Di Rienzo: il momento e' ora 3. Franco Fortini: marxismo 4. Franco Fortini: comunismo 5. "Appello ecumenico al dialogo cristiano-islamico": il dialogo ha vinto sul terrore 6. Comunita' Isolotto di Firenze: una veglia di natale con Lisistrata 7. Riletture: John Stuart Mill, On Liberty and other essays 8. Riletture: Norberto Bobbio, Liberalismo e democrazia 9. Riletture: Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA PER DANILO [Ricorrendo il 30 dicembre l'anniversario della scomparsa di Danilo Dolci, lo ricordiamo riproponendo questa cantata scritta un anno fa dal nostro collaboratore Benito D'Ippolito. Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000] Giunse Danilo da molto lontano in questo paese senza speranza ma la speranza c'era, solo mancava Danilo per trovarcela nel cuore. Giunse Danilo armato di niente per vincere i signori potentissimi ma non cosi' potenti erano poi, solo occorreva che venisse Danilo. Giunse Danilo e volle essere uno di noi, come noi, senza apparecchi ma ci voleva di essere Danilo per averne la tenacia, che rompe la pietra. Giunse Danilo e le conobbe tutte le nostre sventure, la fame e la galera. Ma fu cosi' che Danilo ci raggiunse e resuscito' in noi la nostra forza. Giunse Danilo inventando cose nuove che erano quelle che sempre erano nostre: il digiuno, la pazienza, l'ascolto per consiglio e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare. Giunse Danilo, e piu' non se ne ando'. Quando mori' resto' con noi per sempre. 2. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: IL MOMENTO E' ORA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] La costruzione di pace, in ultima analisi, e' un dialogo su che tipo di mondo vogliamo costruire: non c'e' un modello fisso e sicuro, per questo, percio' dobbiamo ragionare su quello che funziona e quello che non funziona in complesse situazioni di conflitto. Le relazioni della guerra con motivazioni e strutture economiche sono sempre certamente da discutere, ma non si puo' ridurre l'analisi ad esse, poiche' le dinamiche economiche si intersecano con le identita' sociali ed individuali. E' necessario che noi si impari ad incorporare nell'analisi nuovi "attrezzi concettuali", che ci permettano di dar conto della complessita' senza paralizzarci nell'inazione. Dar conto della complessita' non significa, infatti, evitare le scelte o non dare giudizi (che sono peraltro implicite e impliciti in ogni tipo di analisi). Resistere alle dicotomie concettuali, al "pensiero o/o", ed imparare a guardare in modo diverso, puo' essere uno degli "attrezzi" utili allo scopo. * 1. Globalizzazione Ovvero, la ricostruzione dell'economia mondiale in uno "spazio singolo", un sistema che connette o esclude elementi senza tener conto dei confini nazionali, ed ha creato nuovi ruoli e nuove relazioni. Le alleanze economiche e militari hanno mutato la natura delle alleanze politiche, ed indebolito seriamente l'autorita' degli stati nazionali: in precedenza, il capitalismo si era espanso anche tramite l'enfasi messa su questi ultimi. L'economia capitalista e' passata da un fondamento prettamente industriale ad un base che ha come pilastri la conoscenza e l'informazione: il mercato del lavoro e' mutato in modo corrispondente, e se prima potevamo disegnarlo come una curva in espansione, con picchi crescenti e decrescenti, oggi ha preso la forma di una curva ad U, con ai due estremi da un lato lavoratori/lavoratrici altamente specializzati/e, e dall'altro la cosiddetta "bassa manovalanza": nel mezzo, sta il declino di tutte le categorizzazioni intermedie. Probabilmente, non e' difficile trovare consenso su queste definizioni, ma quanti di coloro che si diranno d'accordo hanno riflettuto sul fatto che scenari differenti richiedono forme di resistenza ed alternative differenti? * 2. La partecipazione alle economie di guerra Non basta chiamarsene fuori dichiarando il proprio pacifismo: lo stile di vita dell'occidente e' profondamente implicato nel moltiplicarsi dei conflitti nel cosiddetto Terzo Mondo. Gli interventi e le imposizioni delle corporazioni transnazionali, i loro legami con il finanziamento di eserciti regolari e non, con il controllo dei territori e delle risorse: tutto questo viene spiegato come la tutela del nostro interesse di consumatori, del nostro benessere e, con spostamento semantico, tutela e benessere del mondo occidentale vengono identificati con l'esportazione di "civilta'" e "democrazia". Uno dei dirigenti della Shell ha recentemente dichiarato che la sua compagnia non ci guadagna nulla a restare in Nigeria, e se vi rimane e' solo per proteggere gli interessi di noi consumatori di petrolio e benzina. Al di la' dell'amara risata che vi e' sicuramente venuta spontanea, quello che c'e' di vero in questa affermazione e' un sottinteso, e cioe' che coloro che sono situati al centro del sistema globalizzato sono la causa della degradazione e dell'impoverimento di coloro che sono messi ai margini. Gli abolizionisti statunitensi boicottarono il rum e lo zucchero prodotti dal lavoro in schiavitu': oggi dovremmo essere capaci di dire alla Shell, e a compagnie similari, che poiche' le probabilita' che un paese viva in pace aumentano quanto minori sono gli interessi economici esterni, e poiche' ci riteniamo capaci di decidere e scegliere, noi faremo a meno della loro tutela e della loro benzina. * 3. Le nuove forme del conflitto Il primo risultato dell'economia globalizzata e' stato il sorgere di numerosi nuovi conflitti nei paesi non occidentali. Se prendiamo ad esempio l'Africa, vedremo che per circa 30 anni dopo la conquista dell'indipendenza i governi, qualunque fosse la loro ideologia, hanno mantenuto un certo grado di legittimazione: costruivano il consenso sul mantenere un livello di crescita economica e tendevano ad allargare le classi medie e ad incrementare la scolarita' della popolazione. Quando il surplus da dividere e' stato inghiottito dall'economia globalizzata, le classi dirigenti hanno cominciato a combattersi, incorporando nel conflitto qualsiasi cosa servisse a ricreare la loro legittimazione, dall'identita' etnica alle risorse minerarie. Questo tipo di conflitti non e' "locale" come sembra: le sue radici stanno nei cambiamenti a livello globale: il carattere profondamente iniquo delle politiche economiche globali ha creato le condizioni per la crescita delle connessioni fra "signori della guerra" locali, elite economiche e intermediari delle corporazioni d'affari, fuori dal controllo di qualsiasi governo. Si tratta di conflitti complessi proprio per questo; potremmo dire che i conflitti in genere lo sono sempre, ma durante il periodo conosciuto come guerra fredda essi avevano dei confini e dei contenitori ben noti: le cornici ideologiche (contenitori mentali); le cornici territoriali (i conflitti venivano contenuti nei "teatri di guerra"); le cornici di responsabilita' (l'identita' degli autori degli atti di violenza era abbastanza chiara); le cornici organizzative (i conflitti venivano agiti fra eserciti e formazioni armate ribelli); le cornici politiche (la competizione era fra due visioni dei concetti di stato e nazione e fra due visioni della distribuzione delle risorse). Ora questi contenitori sono distrutti. Il neoliberismo non cerca di "contenere", ma di incrementare un tipo di comportamento in cui idealita' e concettualizzazioni ruotano esclusivamente attorno ad un mercato competitivo: i guadagni e le perdite sono sempre in riferimento ad esso. La difficolta' che ci troviamo di fronte e' nel riuscire a capire che i macro-processi lavorano a livello capillare nelle relazioni umane, in special modo nel contesto culturale. Le analisi statistiche possono fare delle domande "giuste", possono darci nuova luce su molte questioni, convalidarne alcune e sfidarne altre, ma non possono rendere per esteso la complessita' del quadro, ne' produrre modelli e politiche che vadano bene per ogni conflitto e/o per ogni luogo del mondo. Questa puo' essere la visione della Banca Mondiale, ma non puo' essere la nostra, e dobbiamo resistere alla sua seduzione. Cio' che i nostri tempi ci richiedono e' la comprensione del conflitto sia in termini di motivazioni individuali sia in termini di strutture di sistema. Un pensiero "e/e", al posto del consueto "o/o". * 4. Dare riconoscimento alla complessita' Andare oltre le dicotomie del dominio e' il compito necessario: al suo cuore ha un pensiero, una pratica ed un cammino che chiamiamo nonviolenza. Nessuno studio moderno dei conflitti puo' oggi fare a meno di dar conto della molteplicita' delle identita' umane, e di come queste si relazionano con pace e guerra; nessuno studio moderno dei conflitti puo' piu' lasciare in disparte l'indagine su come le identita' maschili e quelle femminili si formano e quali sono le loro relazioni con schemi di socializzazione, schemi economici, stili di vita. Un processo nel quale la dignita' ed il valore delle donne siano riconosciuti, con nuovi approcci alla formazione dell'identita' maschile, e come scopo la trasformazione positiva delle relazioni fra i generi, non e' certo sufficiente per la costruzione di una societa' nonviolenta, ma e' assolutamente necessario: ed e' irrinunciabile. Le analisi generali dei conflitti si sono fino ad ora incrociate con l'analisi di genere solo ad un livello di buoni propositi e dichiarazioni di principio, e sono state percio' incapaci di fornire soluzioni praticabili ed attrezzi concreti quando hanno dovuti confrontarsi con le specifiche situazioni. Il focus su "genere e sviluppo" di solito parla (e raramente agisce) di autonomia economica delle donne, ma quando si interrogano le donne coinvolte in scenari di conflitto o di post-conflitto, si scopre che esse la desiderano se collegata a relazioni forti e positive, di mutuo e profondo rispetto, con l'altro genere. Uno dei maggiori problemi, infatti, che le dicotomie del dominio ci pongono e' che ci impediscono di fare/farci domande, privandoci di uno degli attrezzi piu' potenti a nostra disposizione per il cambiamento: ma solo se noi glielo permettiamo, lasciando che tali dicotomie continuino a lavorare nella nostra mente. * 5. Nuove forme di organizzazione Le forme di lotta e resistenza che si sono sviluppate durante la "belle epoque" del capitalismo, ovvero in un periodo in cui nella nostra coscienza sono stati seminati i concetti di "crescita" e "sviluppo" come correlati al capitalismo stesso, e in cui la richiesta di cambiamento ha preso la forma del welfare o del socialismo economico, non rispondono al nuovo scenario ne' per efficacia, ne' per fecondita'. Le strutture organizzative nate in quel periodo corrispondevano grosso modo ad una classe lavoratrice cosi' connotata: composta da maschi, scarsamente scolarizzata, informata da radio e giornali, organizzata in partiti e sindacati, alleata ad intellettuali della borghesia (o classe media). Tali strutture, che spesso hanno generato schemi di organizzazioni gerarchica speculari a quelli del dominio, oggi conservano un po' di "efficienza" ma hanno perso la propria credibilita' e, soprattutto, sono ancora cieche alla complessita' della situazione che ci troviamo di fronte: i fattori economici, sociali e politici sono strettamente interconnessi e molto difficili da separare; la comprensione dei conflitti richiede il capire cosa costruisce le identita' delle persone e dei gruppi, e cosa sostiene le loro azioni; riconoscere la complessita' significa resistere a soluzioni semplicistiche, proclami di maniera, linguaggi abusati ed abusanti. Inoltre, la classe lavoratrice e' stata investita da grossi mutamenti e la sua composizione e' ora radicalmente diversa. I movimenti sociali odierni, generalmente, non accettano le vecchie forme di organizzazione, ma devono ancora inventare un'alternativa reale ad esse per il semplice fatto che esitano a compiere la scelta della nonviolenza. Ma il momento e' venuto: se vogliamo costruire la pace, il momento e' ora. 3. MAESTRI. FRANCO FORTINI: MARXISMO [Riproponiamo ancora una volta questo articolo del 1983 che abbiamo estratto da Franco Fortini, Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991 (una bella raccolta di testi brevi e dispersi curata da Paolo Jachia, qui fine editore ma anche autore di egregi studi - vedi ad esempio le sue belle monografie laterziane su Bachtin e De Sanctis). Li' il testo che riportiamo e' alle pagine 145-149. Era primieramente apparso sul "Corriere della sera" del 29 marzo 1983. Poeta e saggista tra i maggiori del Novecento, Franco Lattes (Fortini e' il cognome della madre) e' nato a Firenze nel 1917, antifascista, partecipa all'esperienza della repubblica partigiana in Val d'Ossola. Nel dopoguerra e' redattore del "Politecnico" di Vittorini; in seguito ha collaborato a varie riviste, da "Comunita'" a "Ragionamenti", da "Officina" ai "Quaderni rossi" ed ai "Quaderni piacentini", ad altre ancora. Ha lavorato nell'industria, nell'editoria, come traduttore e come insegnante. E' stato una delle persone piu' limpide e piu' lucide (e per questo piu' isolate) della sinistra italiana, un uomo di un rigore morale ed intellettuale pressoche' leggendario. E' scomparso nel 1994. Opere di Franco Fortini: per l'opera in versi sono fondamentali almeno le raccolte complessive Poesie scelte (1938-1973), Mondadori; Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi; Versi scelti. 1939-1989, Einaudi; cui si aggiungano l'ultima raccoltina Composita solvantur, Einaudi, e postuma la serie di Poesie inedite, sempre presso Einaudi. Testi narrativi sono Agonia di Natale (poi riedito col titolo Giovanni e le mani), Einaudi; e Sere in Valdossola, Mondadori, poi Marsilio. Tra i volumi di saggi, fondamentali sono: Asia Maggiore, Einaudi; Dieci inverni, Feltrinelli, poi De Donato; Tre testi per film, Edizioni Avanti!; Verifica dei poteri, Il Saggiatore, poi Garzanti, poi Einaudi; L'ospite ingrato, De Donato, poi una nuova edizione assai ampliata col titolo L'ospite ingrato. Primo e secondo, presso Marietti; I cani del Sinai, Einaudi; Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Il Saggiatore; Questioni di frontiera, Einaudi; I poeti del Novecento, Laterza; Insistenze, Garzanti; Saggi italiani. Nuovi saggi italiani, Garzanti (che riprende nel primo volume i Saggi italiani apparsi precedentemente presso De Donato); Extrema ratio, Garzanti; Attraverso Pasolini, Einaudi. Si veda anche l'antologia fortiniana curata da Paolo Jachia, Non solo oggi, Editori Riuniti; la recente bella raccolta di interviste, Un dialogo ininterrotto, Bollati Boringhieri; e la raccolta di Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003. Tra le opere su Franco Fortini in volume cfr. AA. VV., Uomini usciti di pianto in ragione, Manifestolibri, Roma 1996; Alfonso Berardinelli, Fortini, La Nuova Italia, Firenze 1974; Romano Luperini, La lotta mentale, Editori Riuniti, Roma 1986; Remo Pagnanelli, Fortini, Transeuropa, Jesi 1988. Su Fortini hanno scritto molti protagonisti della cultura e dell'impegno civile; fondamentali sono i saggi fortiniani di Pier Vincenzo Mengaldo; la bibliogafia generale degli scritti di Franco Fortini e' in corso di stampa presso le edizioni Quodlibet a cura del Centro studi Franco Fortini; una bibliografia essenziale della critica e' nel succitato "Meridiano" mondadoriano pubblicato nel 2003] Quelli che hanno la mia eta' Marx l'hanno letto alla luce delle nostre guerre. Hanno sempre sentito chiamare marxista chi le potenze delle armi, del profitto o del potere avevano voluto ridurre al silenzio. "E tu come li chiami i popoli oppressi o uccisi in nome di Marx?", mi si chiedera' ora; forse supponendo che non abbia trovato il tempo, finora, di chiedermelo. Rispondo che sono dalla mia parte. Li conto insieme a quelli che dal Diciassette, quando sono nato, sono nemici dei miei nemici, a Madrid come a Shanghai, a Leningrado come a Roma, a Hanoi, a Santiago, a Beirut... I cacciatori di "bestie marxiste" (cosi' si esprimono) devono sempre aver avuto difficolta' ad apprezzare le differenze teoriche fra marxiano, marxista, socialista, comunista, bolscevico e cosi' via. Mi spieghero' meglio, per loro beneficio. C'e' una foto russa, del tempo della guerra civile: un plotone di morti di fame, in panni ridicoli, cappellucci alla Charlot in testa, scarpe slabbrate; e a spall'arm i fucili dello zar. Questo e' marxismo. C'e' un'altra foto, Varsavia 1956, un giovane magro, impermeabile addosso, sta dicendo nel microfono, a una sterminata folla operaia che il giorno dopo l'Armata rossa, come a Budapest, puo' volerli morti o deportati. Anche questo e' marxismo. Con chi queste cose dice di non capirle, di marxismo e' meglio non parlare neanche. Un certo numero di italiani miei coetanei sparve anzitempo dalla faccia della terra, combattendo borghesi e fascisti. Grazie a loro se le forze dell'ordine volessero perquisirmi, potrei mostrare che sul miei scaffali invecchiano le opere di Marx, di Lenin e di Mao, senza temere, ancora, di venire trascinato alla tortura e alla fossa com'e' accaduto e ogni giorno accade a poche ore di aereo da casa nostra. Dieci o quindici anni fa poco e' mancato che la civica arena o il catino di San Siro non accogliessero, come lo stadio di Santiago del Cile, le "bestie marxiste". So chi mi avrebbe aiutato, in quel caso: non sarebbero stati davvero quelli che mi conoscono perche' hanno letto i miei libri. E ora approfitto di queste righe per salutare Alaide Foppa, mia collega di letteratura italiana a Citta' di Messico. La conobbi anni fa. In questi giorni ho saputo chi l'ha ammazzata, in Guatemala. Anche questo e' marxismo. Cominciai nel 1940 col Manifesto, per consiglio di Giacomo Noventa e Giampiero Carocci; senza alcun entusiasmo. Capii poi qualcosa da Trockij e Sorel. Durante la guerra vissi in fanteria un buon corso di marxismo pratico. A Zurigo, nell'inverno 1943-44, non so quanti libri lessi, riassunsi e annotai, che parlavano di socialismo e di materialismo storico. Si faceva fuoco di ogni frasca, allora. Un opuscolo in francese, ricordo, mi fu molto utile; l'aveva scritto un tale che firmava con lo pseudonimo, seppi poi, di Saragat. L'apprendistato comprendeva testi anche troppo disparati: Malraux e Rosselli, Victor Serge e Silone, Mondolfo e Eluard... A guerra finita vennero letture meno selvagge: le opere storiche (Le lotte di classe in Francia, Il diciotto brumaio, La guerra civile in Francia), parte della Sacra famiglia, i primi capitoli, splendidi di genio e forza sintetica, della Ideologia tedesca, i due volumi del primo libro del Capitale, e a partire dal 1949 quei Manoscitti economico-filosofici del 1844 oggi tanto derisi e che mai hanno cessato di stupirmi per la loro capacita' di guidarci da Hegel fino ai giorni che ancora ci aspettano; e di dirci parole di incredibile attualita'. E altro ancora. Dopo vent'anni di diatribe storico-filologiche sul primo e il secondo Marx; dopo Lukacs e Sartre, Bloch e Sohn-Rethel, Adorno e Althusser, Mao e gli amici torinesi di "Quaderni rossi", a quelle pagine non ho piu' sentito il bisogno di tornare se non nei termini di cui parla Brecht in una poesia intitolata, appunto, "Il pensiero nelle opere dei classici": Non si cura che tu gia' lo conosca; gli basta che tu l'abbia dimenticato... senza l'insegnamento di chi ieri ancora non sapeva perderebbe presto la sua forza rapido decadendo. Non stiamo commemorando la nostra giovinezza. Anche se fondamentale, quel pensiero non e' se non un passaggio dell'ininterrotto processo che porta da luce a oscurita' poi ad altra luce, e dal credere di sapere al sapere di credere. Se ne compone (come quella di chiunque) la nostra esistenza. O per la gioia dei piu' sciocchi dovremmo ripetere qual che ci sembra di aver detto sempre e cioe' di non aver creduto mai che il pensiero di Marx potesse fungere da chiave interpretativa del mondo piu' o meglio di quanto lo faccia, ad esempio, la poesia dell'Alighieri? Una educazione alla storia ci faceva almeno intravvedere quel che era stato detto e fatto ben prima e sarebbe stato detto e patito molto dopo di noi. Quando, per l'Italia, almeno dal 1900, data del libro di Croce, ci viene ogni qualche anno ripetuto che quella di Marx e' filosofia superata, non ho difficolta' ad ammetterlo; sebbene subito dopo domandi che cosa significa superare la filosofia di Platone o di Kant. Quando ci viene spiegato che la teoria marxiana del valore o quella sulla caduta tendenziale del saggio di profitto sono manifestamente errate, non ho difficolta' ad ammetterlo; anche perche' mai l'ho impiegata per capire come vadano le cose di questo mondo. Quando mi si dimostra che l'idea, certo marxiana, di un passaggio dalla preistoria umana alla storia mediante la fine della proprieta' privata, dello Stato e del lavoro alienato, si fonda su di una antropologia fallace e senz'altro smentita dai "socialismi reali", apertamente lo riconosco; anche perche' ho sempre attribuita la figura d'un progresso illimitato all'errore che afferma la indefinita perfettibilita' dell'uomo, un errore illuministico-borghese che Marx ebbe a ereditare. Ma quando mi si dice che la teoria delle ideologie e' falsa, che la lotta delle classi e' una favola e che il socialismo e' una utopia senza neanche l'utilita' pragmatica delle utopie, chiedo allora un supplemento di istruttoria. Primo, perche' il pensiero epistemologico contemporaneo, dalla critica psicanalitica del soggetto fino alla semiologia, conferma la fine d'ogni immediata coerenza fra parola, coscienza e realta', come fra mondo e concezioni del mondo; secondo, perche' a tutt'oggi e' difficile negare - e lo si sapeva ben prima di Marx - l'esistenza di ininterrotti conflitti di interessi fra gruppi umani per il possesso dei mezzi di produzione e la ripartizione del prodotto sociale; conflitti determinati dai modi del produrre e determinanti l'assetto, o lo sconvolgimento, dell'intera societa'. Per quanto e' del terzo ed ultimo punto, convengo volentieri che esso rinvia ad una persuasione indimostrabile. La volonta' di eguaglianza e giustizia pertiene alla politica solo grazie alla mediazione dell'etica e della religione. Marx non ne ha data nessuna ragione migliore. Indipendentemente da ogni mito perfezionista, credo si debba continuare a volere (un volere che implica lotta) una sempre piu' sapiente gestione delle conoscenze e delle esistenze. Il "sogno di una cosa" e' la realizzata capacita' dei singoli e delle collettivita' di operare sul rapporto fra necessita' e liberta', fra destino e scelta, fra tempo e attimo. Il movimento socialista e comunista si e' fondato per cent'anni su quel che si chiamava l'insegnamento di Marx. Ne era parte maggiore l'idea che il passaggio al comunismo dovesse essere conseguenza dello sviluppo delle forze produttive, della industrializzazione e della crescita della classe operaia; e compiersi con una pianificazione centralizzata. In questi nodi di verita' e di errore si e' legato il "socialismo reale". Oggi gli esiti del passato ci impediscono di guardare al futuro. Sono esiti tragici non solo per cadute politiche, economiche o culturali ne' solo per costi umani; ma perche', anche al di fuori dei paesi comunisti, il "marxismo reale" ha accettato il quadro mentale del suo antagonista: primato della tecnologia, etica della efficienza, sfruttamento dei piu' deboli. Sembrano falliti tutti i tentativi per uscire da questa logica: massimo quello cinese. Eppure, Bloch dice, non e' stata data nessuna prova che quella uscita sia impossibile. L'eredita' marxiana e' divisa: una meta' e' ancora nostra, l'altra e' dei nemici del socialismo e comunismo, sotto ogni bandiera, anche rossa. Quanto alla mente geniale morta cent'anni fa, e' anche grazie ad essa che e' stato ridimensionato il ruolo delle grandi personalita' e dei loro sepolcri. Pero' ho visitato con commozione a Parigi il Muro dei Federati, a Nanchino la Terrazza della Pioggia di Fiori o dei Centomila Fucilati; mi fosse possibile, andrei a onorare i morti dei Gulag: sono tutti di una medesima parte, tuttavia parte; non ipocrita bacio tra vittime e carnefici. Marx ci ha infatti insegnato a capire una volta per sempre quale opera implacabile gli ignoti, gli infiniti vinti vincitori, compiano entro le societa' che preferirebbero ignorarli ed entro di noi; quali cunicoli scavino, quali fornelli di mina preparino anche in coloro che li odiano per aver voluto qualcosa che interi popoli oppressi continuano, morti e vivi, a volere. Tutta la storia umana, ci dice, deve essere ancora adempiuta, interpretata, "salvata". E o lo sara' o non ci sara' piu' - sappiamo che e' possibile - nessuna storia. O ti interpreti, ti oltrepassi, ti "salvi" o non sarai esistito mai. L'amico di Federico Engels non e' stato davvero il primo a dircelo. L'ultimo si'. E meglio ancora ogni giorno lo dice, oscuro a se stesso, "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" (Ideologia tedesca, 1845-46, I, a). Anche questo e' marxismo. 4. MAESTRI. FRANCO FORTINI: COMUNISMO [Riproponiamo ancora una volta alla riflessione anche questo articolo che abbiamo estratto da Franco Fortini, Extrema ratio, Garzanti, Milano 1990, pp. 99-101, pubblicato per la prima volta sull'inserto settimanale satirico "Cuore" del quotidiano "l'Unita'" del 16 gennaio 1989. Dopo la pubblicazione in Extrema ratio, questo testo e' stato ristampato anche nell'opuscolo Una voce: comunismo, Edizioni del Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1990; in Non solo oggi, Editori Riuniti, Roma 1991; in Saggi ed epigrammi, Mondadori, Milano 2003] "Termine con cui si designano dottrine che propugnano e descrivono una societa' basata su forme comunitarie di produzione ovvero di produzione e consumo, in alternativa a societa' basate su forme di proprieta' privata ovvero di distribuzione e di consumo diseguali. Possesso comune della terra e dei mezzi di produzione, lavoro per tutti, regolazione pianificatrice dei bisogni e delle funzioni (...) parte integrante di tali dottrine e' l'educazione comune, pubblica, di tutti gli individui" (Enciclopedia Garzanti). Il combattimento per il comunismo e' gia' il comunismo. E' la possibilita' (quindi scelta e rischio, in nome di valori non dimostrabili) che il maggior numero di esseri umani - e, in prospettiva, la loro totalita' - pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale, e' e sara' il raggiungimento di un luogo piu' alto, visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualita' di ogni singola esistenza. Riconoscere e promuovere la lotta delle classi e' condizione perche' ogni singola vittoria tenda ad estinguere la forma presente di quello scontro e apra altro fronte, di altra lotta, rifiutando ogni favola di progresso lineare e senza conflitti. Meno consapevole di se' quanto piu' lacerante e reale, il conflitto e' fra classi di individui dotati di diseguali gradi e facolta' di gestione della propria vita. Oppressori e sfruttatori (in Occidente, quasi tutti; differenziati solo dal grado di potere che ne deriviamo) con la non-liberta' di altri uomini si pagano l'illusione di poter scegliere e regolare la propria individuale esistenza. Quel che sta oltre la frontiera di tale loro "liberta'" non lo vivono essi come positivo confine della condizione umana, come limite da riconoscere e usare, ma come un nero Nulla divoratore. Per dimenticarlo o per rimuoverlo gli sacrificano quote sempre maggiori di liberta', cioe' di vita, altrui; e, indirettamente, di quella propria. Oppressi e sfruttati (e tutti, in qualche misura, lo siamo; differenziati solo dal grado di impotenza che ne deriviamo) vivono inguaribilita' e miseria di una vita incontrollabile, dissolta ora nella precarieta' e nella paura della morte ora nella insensatezza e non-liberta' della produzione e dei consumi. Ne' gli oppressi e sfruttati sono migliori, fintanto che ingannano se stessi con la speranza di trasformarsi, a loro volta, in oppressori e sfruttatori di altri uomini. Migliori cominciano ad esserlo invece da quando assumono la via della lotta per il comunismo; che comporta durezza e odio per tutto quel che, dentro e fuori degli individui, si oppone alla gestione sovraindividuale delle esistenze; ma anche flessibilita' e amore per tutto quel che la promuove e la fa fiorire. Il comunismo in cammino (un altro non esiste) e' dunque un percorso che passa anche attraverso errori e violenze, tanto piu' avvertiti come intollerabili quanto piu' chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come oggi avviene, per un fine che non e' mai la loro vita. Usati, ma sempre meno, come mezzi per un fine, un fine che sempre piu' dovra' coincidere con loro stessi. Ma chi dalla lotta sia costretto ad usare altri uomini come mezzi (e anche chi accetti volontariamente di venir usato cosi') mai potra' concedersi buona coscienza o scarico di responsabilita' sulle spalle della necessita' o della storia. Chi quella lotta accetta si fa dunque, e nel medesimo tempo, amico e nemico degli uomini. Non solo amico di quelli in cui si riconosce e ai quali, come a se stesso, indirizza la propria azione; e non solo nemico di quanti riconosce, di quel fine, nemici. Ma anche nemico, sebbene in altro modo e misura, anche dei propri fratelli e compagni e di se stesso; perche' non dara' requie ne' a se' medesimo ne' a loro, per strappare essi e se stesso agli inganni della dimenticanza, delle apparenze e del sempreuguale. Dovra' evitare l'errore di credere in un perfezionamento illimitato; ossia che l'uomo possa uscire dai propri limiti biologici e temporali. Questo errore, con le piu' varie manipolazioni, ha gia' prodotto, e puo' produrre, dei sottouomini o dei sovrauomini; egualmente negatori degli uomini in cui ci riconosciamo. Ereditato dall'Illuminismo e dallo scientismo, depositato dalla cultura faustiana della borghesia vittoriosa dell'Ottocento, quell'errore ottimistico fu presente anche in Marx e in Lenin e oggi trionfa nella maschera tecnocratica del capitale. Quando si parla di un al di la' dell'uomo, e' dunque necessario intendere un al di la' dell'uomo presente, non un al di la' della specie. Comunismo e' rifiutare anche ogni sorta di mutanti per preservare la capacita' di riconoscersi nei passati e nei venturi. Il comunismo in cammino adempie l'unita' tendenziale tanto di eguaglianza, fraternita' e condivisione quanto quella di sapere scientifico e di sapienza etico-religiosa. La gestione individuale, di gruppo e internazionale, dell'esistenza (con i suoi insuperabili nessi di liberta' e necessita', di certezza e rischio) implica la conoscenza delle frontiere della specie umana e quindi della sua infermita' radicale (anche nel senso leopardiano). Quella umana e' una specie che si definisce dalla capacita' (o dalla speranza) di conoscere e dirigere se stessa e di avere pieta' di se'. In essa, identificarsi con le miriadi scomparse e con quelle non ancora nate e' un atto di rivolgimento amoroso verso i vicini e i prossimi; ed e' allegoria e figura di coloro che saranno. Il comunismo e' il processo materiale che vuol rendere sensibile e intellettuale la materialita' delle cose dette spirituali. Fino al punto di sapere leggere nel libro del nostro medesimo corpo tutto quel che gli uomini fecero e furono sotto la sovranita' del tempo; e interpretarvi le tracce del passaggio della specie umana sopra una terra che non lascera' traccia. 5. INIZIATIVE. "APPELLO ECUMENICO AL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO": IL DIALOGO HA VINTO SUL TERRORE [Dall'amico carissimo Brunetto Salvarani (per contatti: b.salvarani at carpi.nettuno.it) e dalla redazione de "Il dialogo" (per contatti: e-mail: redazione at ildialogo.org, sito: www.ildialogo.org) riceviamo e diffondiamo questo comunicato sulla seconda giornata ecumenica per il dialogo cristiano-islamico] La seconda Giornata ecumenica per il dialogo cristiano-islamico tenutasi lo scorso 21 novembre 2003, ultimo venerdi' del Ramadan dell'anno islamico 1424 dell'Egira, nonostante un clima difficilissimo favorito fra l'altro dagli appelli allo "scontro di civilta'", una crescente islamofobia, la questione del crocifisso provocatoriamente strumentalizzata da piu' parti ed i tragici fatti di Nassirya, e' stata un vero successo. Si sono contate a decine le iniziative svoltesi in tutta Italia non solo il 21 novembre, ma anche nei giorni seguenti fino alle prime settimane di dicembre: hanno coinvolto molte citta' fra cui Torino, Milano, Desio, Verona, Cremona, Padova, Mantova, Bergamo, Brescia, Venezia, Casale Monferrato, Cuneo, Acqui Terme, Correggio, Modena, Genova, Ravenna, Reggio Emilia, Sassuolo, Fiorano, Bolzano, Pieve di Cento, Roma, Bari, Maglie, Napoli, Avellino, Salerno, Pachino, Catania, Messina... ma si tratta di un elenco parziale. Si puo' affermare con soddisfazione che, per la quantita' e la qualita' degli eventi promossi, nonche' per il dibattito suscitato, il "popolo del dialogo" c'e' e ha fatto sentire forte la sua voce. Il dato forse piu' significativo di tutta la seconda Giornata del dialogo cristiano-islamico e' stato l'impegno delle organizzazioni islamiche e di singoli musulmani. Ricordiamo fra le altre l'iniziativa dei centri islamici di Milano e dell'Emilia Romagna che hanno lanciato importanti appelli ai cristiani e che hanno prodotto importanti iniziative come quella di Milano. C'e' stato poi, proprio il 21 novembre, un appello di Farid Adly, direttore di "Anbamed. Notizie dal Mediterraneo", che, prendendo spunto dai micidiali attentati registrati proprio poco prima, ha chiesto con forza a tutti i musulmani in Italia ed Europa l'assunzione di una posizione chiara ed esplicita di rifiuto del terrorismo. Ricordiamo che l'ipotesi di una giornata del dialogo cristiano-islamico e' stata lanciata, in chiave ecumenica, subito dopo i tragici fatti dell'11 settembre 2001. A tutt'oggi l'appello ha raccolto oltre mille adesioni fra individuali ed associative di vario tipo, coinvolgendo associazioni locali o nazionali, parrocchie e chiese locali e nazionali, giornali, personalita' della cultura, vescovi, ordini religiosi, istituzioni politiche e comunita' di fede. In particolare, l'evento e' stato sostenuto direttamente dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, dal movimento di Pax Christi, dal Segretariato Attivita' Ecumeniche (Sae), dal Cipax, dalle riviste "Mosaico di pace", "Confronti", "Tempi di fraternita'" e "Il dialogo". Anche quest'anno, come gia' nel 2002, e' stato individuato l'ultimo venerdi' del Ramadan come Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, riprendendo l'indicazione che Giovanni Paolo II diede nel 2001 quando chiese alle donne e agli uomini di buona volonta' di digiunare proprio nell'ultimo venerdi' di Ramadan di quell'anno tragico. La sua positiva riuscita ci impegna a continuare nella nostra iniziativa che e' una iniziativa di pace, per la convivenza tra le fedi, contro il fondamentalismo, il terrorismo e ogni chiusura identitaria. Invitiamo cosi' quanti si sono impegnati negli scorsi mesi a continuare nelle iniziative comuni fra cristiani e musulmani in vista della celebrazione della terza giornata che celebreremo il prossimo 12 novembre 2004, ultimo venerdi' del Ramadan dell'anno islamico 1425 dell'Egira. Auguriamo a tutti che il 2004 possa essere finalmente un anno di pace. Con l'impegno di tutti e nell'amore del Dio unico crediamo e speriamo che si tratti di un obiettivo realizzabile. Con un sincero augurio di shalom, salaam, pace. * Per firmare l'appello e per adesioni o segnalazione di iniziative, ci si puo' rivolgere a: - redazione de "Il dialogo": e-mail: redazione at ildialogo.org, sito: www.ildialogo.org, tel. 3337043384 - Brunetto Salvarani: e-mail: b.salvarani at carpi.nettuno.it, tel. 3291213885 - redazione di "Confronti": tel. 064820503, 0648903241, fax: 064827901, e-mail: dialogo at confronti.net; sito: www.confronti.net - redazione di "Tempi di fraternita'": sito: www.tempidifraternita.it, e-mail: tempidifraternita.it at tempidifraternita.it - redazione di "Mosaico di pace": sito: www.paxchristi.it Per l'elenco completo dei firmatari dell'appello, per tutti i materiali ad esso relativi e per le iniziative in corso si puo' visitare il sito: www.ildialogo.org 6. INCONTRI. COMUNITA' ISOLOTTO DI FIRENZE: UNA VEGLIA DI NATALE CON LISISTRATA [Dall'amico carissimo Enzo Mazzi (per contatti: emazzi at videosoft.it) riceviamo e diffondiamo questo comunicato della Comunita' Isolotto di Firenze, una delle piu' longeve e belle esperienze delle comunita' cristiane di base (per contatti: comis at videosoft.it)] Una piccola folla, circa trecento persone, ha animato la veglia della notte di Natale in piazza Isolotto a Firenze, sfidando le gelide folate del vento tramontano che dal Monte Morello traversava le Cascine e l'Arno e investiva impietosamente la piazza. Erano soprattutto giovani e giovanissimi: la terza e quarta generazione dell'Isolotto. A causa del freddo pochi dei piu' anziani hanno potuto partecipare. Perche', allora, in piazza? Autolesionismo? Incapacita' di modificare una consuetudine, la veglia in piazza appunto, che dura da 35 anni? Identificazione con l'archetipo dei pastori che vegliano all'aperto o con Gesu' che nasce in una grotta perche' rifiutato da ogni luogo chiuso? Ma non puo' diventare luogo chiuso anche la piazza? Bisogno di affermare una identita' basata sulla piazza come luogo privilegiato della testimonianza di fede? Ma che fede hanno da testimoniare i tanti non credenti che partecipano alla veglia? O forse cio' che accomuna tutti coloro, credenti e non credenti, che in qualche modo fanno riferimento alla comunita' Isolotto e' proprio il bisogno di una religiosita' e di una spiritualita' socializzate, non individualistiche, liberate dal dominio del tempio, del dogma, del gregge, recuperate alla dimensione delle relazioni vitali, restituite all'intreccio fecondo dei rapporti personali, e per questo espresse in modo impareggiabile dalla piazza, luogo privilegiato della socializzazione? Tutte domande che si ripetono ogni anno senza trovare una risposta. Si ripropongono anzi ogni settimana, perche' l'incontro eucaristico della comunita' Isolotto avviene tutte le domeniche nella piazza. Sebbene da qualche anno nelle giornate di freddo piu' intenso la comunita' preferisca ripiegare nella propria sede, le "baracche" in via degli Aceri 1. Sta di fatto che quando qualcuno della comunita' e dintorni anche quest'anno ha posto il problema, ha prevalso nei piu' l'esigenza della piazza. * Il filo conduttore era legato al tema, disegnato su un grande cartellone che dominava la piazza: Diritti e responsabilita': l'unica pace possibile. La metafora assunta per caratterizzare la veglia, oltre alla nascita di Gesu', e' stata la figura di Lisistrata, personaggio di una commedia di Aristofane rappresentata nel 411 a. C. Lisistrata, il cui nome significa "colei che scioglie gli eserciti", saggia massaia ateniese, visto che le cose vanno a rotoli per il poco senno degli uomini, e' persuasa che le donne debbano prender l'iniziativa se si vuol fare finalmente finir la guerra fra Atene e Sparta. Riunisce quindi le donne delle due citta' belligeranti in una congiura. Le donne organizzano uno sciopero singolare: rifiutano ai mariti ogni prestazione coniugale. Tanto ad Atene che a Sparta l'insoddisfazione erotica ostacola ogni attivita' di guerrra e, sotto la presidenza di Lisistrata, le trattative di pace son presto concluse. Ecco cosa afferma la sagace e ironica ateniese di fronte ai belligeranti: "Se aveste cervello trattereste i conflitti come si fa con la lana. Come quando la matassa e' ingarbugliata, la prendiamo e la dipaniamo sui fusi, tendendola da una parte e dall'altra, cosi' se ci lasciate fare sbroglieremo la guerra, lavorando da una parte e dall'altra, con le ambascerie. Prima di tutto, come si fa con la lana, toglieremo via con un bagno il sudiciume dalla citta'. Poi leveremo di mezzo con un bastone spine e malanni. Poi carderemo quelli che tramano in societa' per le cariche, e gli speleremo bene la testa. Poi in un paniere mescoleremo la concordia comune e la pettineremo, mettendo insieme i meteci, gli stranieri che vi sono amici e debitori dello stato. E le citta' dove abitano coloni ateniesi dovete considerarle come i bioccoli caduti per terra, lontani gli uni dall'altro. Bisogna prenderli e raccoglierli insieme e farne un solo grande gomitolo, da cui tessere una tunica per il popolo". * I contenuti della veglia sono stati espressi da alcune testimonianze. Testimonianza e' piu' che parola. E' esperienza di vita che si comunica, che trasmette un messaggio. I testimoni della veglia non erano estranei. Erano persone provenienti dalla rete di relazioni e di movimenti in cui e' inserita la comunita', cioe' dai mondi dell'immigrazione, del lavoro, della liberazione dei popoli, della nonviolenza attiva, della reclusione carceraria, dell'opposizione alla guerra. Nell'epoca nostra di dominio della cultura della competizione liberista globale, lo spazio privilegiato di lavoro politico e di partecipazione democratica della societa' civile - e' stato testimoniato da tutti - e' e non puo' che essere il terreno dei diritti anch'essi globali. E' li' che si sta spendendo e che bisogna spendere molto in questo momento se vogliamo tendere in modo efficace a superare la cultura di guerra e ad avvicinare la pace possibile, mondiale e globale. Un gruppo di giovani, cultori di teatro, attivi nel comitato "Fermiamo la guerra" e in Emergency, ha eseguito una performance in solidarieta' con le vittime di ogni guerra, in particolare della guerra in Iraq, e per richiedere il ritiro dei nostri militari da quel paese. E naturalmente: canti, musiche, simboli, fuochi, letture, preghiere, condivisione eucaristica. 7. RILETTURE. JOHN STUART MILL: ON LIBERTY AND OTHER ESSAYS John Stuart Mill, On Liberty and other essays, Oxford University Press, Oxford-New York 1991, pp. XXXVI + 596. Una raccolta di quattro rilevantissimi saggi del grande teorico del liberalismo: On Liberty, Utilitarianism, Considerations on Representative Government, The Subjection of Women. 8. RILETTURE. NORBERTO BOBBIO: LIBERALISMO E DEMOCRAZIA Norberto Bobbio, Liberalismo e democrazia, Anglei, Milano 1985, 1988, pp. 80, lire 10.000. Una limpida monografia introduttiva di un maestro di politica e cultura, ergo: di vita civile. 9. RILETTURE. TZVETAN TODOROV: MEMORIA DEL MALE, TENTAZIONE DEL BENE Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001, pp. 406, euro 19,63. Un libro a nostro avviso di fondamentale importanza: uno strumento di studio e di lotta contro ogni totalitarismo. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 768 del 28 dicembre 2003
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