Newsletter N. 49 del 15 Dicembre 2003



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  Ass.ne Cul.le Telematica MMMMMMMMMM
  "Metro Olografix"      oMMM"" """MMo
  Newsletter 49 15/12/03"MMM"      "MMM"

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 .: INFO E SOMMARIO :.
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Questa e` la Newsletter dell'Associazione Culturale Telematica
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In questo numero:
SPECIALE WSIS - Vertice Mondiale sulla Società dell'Informazione
di Ginevra

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:: IN PRIMO PIANO ::

Internet non è per tutti
FRANCO CARLINI

Il divario globale. Nel web

La Rete bucata
ALESSANDRA CARBONI


:: APPROFONDIMENTO ::

Il costo di un bene comune
ARMAND MATTELART


:: L'INTERVISTA ::

Bifo: "Al Wsis prevarrà la società civile "
di Stefano Porro


:: LE NOTIZIE ::

Il Manifesto, PuntoInformatico, Zeusnews


:: LETTERE E COMMENTI ::

WSIS, i Verdi scrivono a PI
http://punto-informatico.it/p.asp?i=46271


:: LINK UTILI ::


:: NEWS DALL'ASSOCIAZIONE ::

Apertura sede ogni lunedì sera ore 21,00


:: CREDITS ::


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 .: IN PRIMO PIANO :.
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Internet non è per tutti
Non è sempre vero che le potenzialità della rete aumentano la democrazia.
Non basta un computer e un po' di alfabetizzazione informatica per dire
la propria: per destreggiarsi nel mare magnum del web torna centrale
la cultura
Certo, però, la rete è sempre meglio della tv. I movimenti possono
comunicare partendo da un computer e un collegamento, la televisione è
tutta dei Berlusconi e dei Murdoch. E al telespettatore resta soltanto
il telecomando
FRANCO CARLINI

Quando la realtà imita sfacciatamente la fiction c'è da ridere ma anche
da preoccuparsi. Un po' di sere fa Neri Marcorè si esibiva nella parte
di Maurizio Gasparri. Era la serata romana a sostegno di Raiot e contro
la censura e così Marcorè-Gasparri inveiva contro Serena Dandini: «Voi
di sinistra siete analogici, cioè obsoleti, noi invece siamo digitali».
Mercoledì Silvio Berlusconi si è esibito nell'imitazione dell'imitazione
di Gasparri, dicendo in pubblico che i quotidiani sono obsoleti e che la
modernità sta nella televisione e nell'Internet, «che fornisce a
domicilio tutte le notizie immaginabili». L'eloquio del presidente del
consiglio nell'occasione era particolarmente fluido e insieme confuso,
sommando affermazioni di buon senso a falsificazioni e distorsioni
interessate. Vale tuttavia la pena di prenderlo sul serio, come del resto
si sarebbe dovuto fare quando, uscendo da un incontro con l'amico Putin,
dichiarò al mondo che Saddam Hussein non aveva più armi di distruzione di
massa. Ai mentitori professionisti capita sovente che nessuno li creda,
anche quando dicono il vero. Lo raccontava già Esopo. Allora con ordine:
senza dubbio è vero che la rete Internet offre una quantità sterminata
di notizie, che prima non erano disponibili. Un caso per tutti, assai
interessante, è quello della supposta diminuzione delle disuguaglianze
a scala mondiale per effetto della globalizzazione. Questa tesi è stata
avanzata nel 2002 da diversi studiosi americani e nei giorni scorsi
rilanciata da Paolo Mieli: Xavier Sala-i-Martin, un catalano della
Columbia university (ma due anni fa bocciato a Yale) affermò che la
globalizzazione fa bene ai più poveri, abbattendo la percentuale di
coloro che vivono con soli due dollari al giorno dal 44 al 18% della
popolazione mondiale. Tesi analoga venne sostenuta da David Dollar e
Aart Kraay della Banca Mondiale (vedi link nel box a parte).

Anche chi non fosse un cultore dell'argomento, grazie alla rete e ai
suoi motori di ricerca può facilmente apprendere che le cose sono un po'
meno lineari di come Mieli le ha descritte. Quei saggi hanno provocato
un acceso dibattito tra gli studiosi di macroeconomia; alcuni per
esempio hanno sottoposto a critica le metodologie e i dati utilizzati
e hanno letteralmente rovesciato l'argomento. In particolare è stato
fatto notare, cifre alla mano, che se dai conteggi si toglie il caso
cinese, quegli stessi modelli indicano un aumento anziché una
diminuzione delle diseguaglianze. Insomma c'è discussione seria e
molta documentazione disponibile e questo non sarebbe stato possibile
dieci anni fa, prima del web. Buon per tutti noi, per la democrazia e
anche per i lettori di Mieli che non sono costretti a dipendere solo
da Mieli. Il pluralismo questo è.

Il problema semmai diventa un altro, di fronte a tanto ben di bit: che
occorrono tempo, fatica e cultura, per destreggiarsi attraverso questi
materiali. La vera alfabetizzazione necessaria per superare o colmare
il Divario Digitale dunque non consiste tanto nel saper maneggiare il
mouse o nell'aprire un browser, ma sta nella diffusione culturale che
permetta di trovare le cose e scegliere quelle utili e valide. Poi
c'è la televisione, che dal presidente del consiglio viene messa sullo
stesso piano digitale dell'Internet. E qui si può cominciare a
dissentire fortemente, dato che il mondo televisivo, così come è stato
finora, costituisce un modello esattamente opposto alla rete. O, se si
preferisce, la rete costituisce da tutti i punti di vista (tecnologico,
economico, comunicativo e sociale) l'esatto opposto della «vecchia» e
obsoleta televisione, analogica o digitale che essa sia.

Nella televisione servono enormi capitali per costruire un network e
per gestirlo, mentre un sito Internet si apre con meno di 100 euro e un
computer da 1000. Le reti televisive fanno broadcasting, dal centro
verso la periferia (da uno a molti, dal centro alla periferia) e i loro
contenuti piovono nelle antenne lasciando come unica possibilità quella
di lavorare con il telecomando. In rete invece la comunicazione è da
molti a molti e il diffondersi delle modalità P2P (peeer to peer)
accentua questo fenomeno, dato che singoli computer distanti possono
trattarsi da pari l'uno con l'altro, senza nemmeno bisogno di passare
per un sito web di raccordo. Le reti televisive poi, come del resto
quelle telefoniche, sono strutturalmente e tecnicamente centralizzate
e piramidali, per assicurare un servizio continuo e efficiente.
L'Internet invece offre un servizio di connettività «al meglio
possibile», senza pretese di efficienza totale, ma proprio questa sua
apparente arretratezza, che talora genera ingorghi e ritardi, sta
alle radici del suo successo: flessibilità, ridondanza di percorsi,
eventuali lentezze e «sporcizia» del segnale sono compensate dalla
universalità e dall'assenza di livelli gerarchici di controllo. Nelle
televisioni attuali poi non c'è interazione possibile (salvo quella
di telefonare per rispondere ai quiz) e anche la nuova interattività
prevista dalle sperimentazioni attualmente in corso da parte della
stessa Mediaset si dirige al più verso gli acquisti online e qualche
gioco interattivo. Anche sul web l'interattività permessa e
sollecitata è tutto sommato poca cosa, ma è comunque sconvolgente
rispetto alle misere prestazioni che la televisione alla Gasparri, il
cosiddetto digitale terrestre, proporrà. Se fossero sviluppate davvero
le potenzialità della rete, allora sì che Emilio Fede e tutti gli altri
network dovrebbero preoccuparsi per la loro televisione e del resto
tutte le statistiche segnalano che uso dell'Internet e consumo
televisivo sono spesso in contrapposizione, almeno nelle fasce di
popolazione più giovane: si abbandona la tv per navigare e socializzare
attraverso il web, assaporando un gusto di libertà che nessuna Rete
1,2,3,4,5,6,7 può offrire.

In altre parole la vera televisione digitale è quella che passerà sul
web, attraverso larghi cavi. Lo fa per ora Fastweb, lo offre RaiClick
e senza dubbio finirà per farlo anche Telecom Italia e questo spiega
perché la legge Gasparri abbia riservato un tetto più basso (il 10%)
del Sic a Tronchetti Provera.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Dicembre-2003/art67.html

Il divario globale. Nel web
I saggi economici del 2002 riproposti da Paolo Mieli sul tema delle
disuguaglianze globali sono:
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Dicembre-2003/art64.html

GIORNALI ON LINE
La Rete bucata
Tra i fallimenti del passato e un futuro in corso d'opera
10 anni di storia Dai primi quotidiani, copia dei fratelli di carta,
al sistema di comunicazione integrato che oggi opera su più fronti
ALESSANDRA CARBONI
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Dicembre-2003/art70.html


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 .: APPROFONDIMENTO :.
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Il costo di un bene comune
Da oggi a Ginevra il Summit mondiale sulla «società dell'informazione»
L'utopia di una informazione libera alle prese con l'ideologia del
libero mercato che domina il Wsis. I dubbi e le critiche delle
organizzazioni non governative che denunciano il «digital divide» e le
leggi sulla sicurezza informatica che limitano il diritto d'accesso
alla comunicazione
ARMAND MATTELART

Il vertice di Ginevra sulla «società dell'informazione» si tiene ad
appena un decennio dall'avvento di Internet come rete pubblica. Questa
reattività nella risposta è all'altezza del carattere strutturante della
nuova «risorsa intellettuale», del nuovo «capitale cognitivo», che sta
per investire tutte le attività umane. Troppo spesso, oggi, si dimentica
che ci sono voluti tre quarti di secolo perché fosse rimessa in causa
l'ingiusta suddivisione dello spettro di frequenze tra le grandi potenze
marittime. Solo nel 1979, e grazie alla pressione del «Movimento dei
paesi non allineati», la Conferenza amministrativa mondiale della Radio
(Camr) convocata dall'Unione internazionale delle telecomunicazioni (Uit)
smantellò quel monopolio di onde. La storia della nozione di «società
dell'informazione» è carica di ambiguità. E lo è ugualmente quella più
recente di «società globale dell'informazione», coniata nel 1995 dai
sette paesi più industrializzati (G7). E' da molto tempo che una lunga
tradizione di pensiero critico ha svelato i presupposti ideologici del
concetto di «informazione», indicando gli effetti collaterali della
confusione tra quest'ultimo e quello di sapere.

L'informazione riguarda il tecnico. Il suo problema è trovare la
codificazione più efficace (velocità e costo) per trasmettere un messaggio
telegrafico da un emittente a un destinatario. Importa solo il canale.
La produzione di senso non è in programma. L'informazione è tagliata fuori
dalla cultura e dalla memoria. Essa «corre dietro l'attuale» come diceva
lo storico Fernand Braudel. La forma di temporalità che essa implica
risparmia sul tempo di elaborazione del sapere. Lo schema meccanico del
processo di comunicazione è consustanziale alla rappresentazione lineare
del progresso. In base a questo schema l'innovazione si diffonde
dall'alto verso il basso, dal centro verso la periferia.

Questa prospettiva strumentale spiega perché, nella pratica, un
organismo tecnico come la Uit possa essere promosso ad anfitrione di
una conferenza sul divenire della «informazione» e delle sue reti, e
perché l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) possa classificare
la «cultura» come «servizi» e rivendicare prerogative su di essa.
Questa prospettiva permette ugualmente di cogliere le ragioni per cui
la «società dell'informazione», come paradigma del futuro post-industriale,
si sia trovata dagli anni `50 associata alla tesi della fine delle
ideologie, della fine degli intellettuali critici a vantaggio
dell'irresistibile ascesa degli intellettuali «positivi», inclini a
prendere decisioni.

La stessa Unesco, dopo aver privilegiato a lungo il termine «società
dell'informazione» tende a sostituirle l'idea di «società del sapere».
Diventa così possibile tessere un legame organico tra la questione
delle tecnologie e quella della «diversità culturale», messa all'ordine
del giorno dal progetto di «Convenzione internazionale per la
conservazione della diversità culturale» al termine dell'ultima
Conferenza generale tenuta da questa organizzazione a Parigi
nell'ottobre 2003.

Interrogarsi sulla nozione di società dell'informazione è oggi una
priorità. Ma questa critica è solo un episodio nella guerra delle
parole contro tutti gli slittamenti semantici della lingua, i
neologismi globalizzanti, che giorno dopo giorno si naturalizzano
senza che i cittadini abbiano avuto il tempo di praticare il dubbio
metodico nei loro confronti e di identificare il luogo dei loro
inventori e operatori.

Il messianesimo è connesso alla storia degli immaginari della
comunicazione. Ogni salto nella padronanza del tempo e dello spazio
ha visto riaggiornarsi la promessa di una società più solidale,
trasparente, libera, egalitaria e prospera. Nel 1849 Victor Hugo
profetizzava il «filo elettrico della concordia» che «circonderà
il globo e stringerà il mondo». Alla vigilia della grande guerra,
Jack London celebrava la pellicola magica come «messaggera
dell'educazione universale che avvicina i popoli del mondo.»
Mentre si avvicinava il secondo conflitto mondiale padre Teilhard
de Chardin pronosticava la «universalizzazione della noosfera» punto
finale dell'unificazione del genere umano.

La fine del millennio non fa eccezione. Con la deregulation delle
reti finanziarie e dell'informazione, la bolla discorsiva sui paradisi
reticolari si combina con la bolla speculativa. La prima in equilibrio
instabile con le realtà del tecno-apartheid, la seconda con l'economia
reale. Il confronto tra governi, agenzie delle Nazioni unite, settore
privato e società civile nel corso delle conferenze preparatorie del
vertice (prepcom) ha però messo in dubbio la credibilità dei felicissimi
discorsi sulla suddetta «rivoluzione dell'informazione».

Qual è la strada verso l'organizzazione sociale delle tecnologie?
Quali attori vi sono coinvolti? Nelle svariate versioni del progetto
di «Dichiarazione» e del «Piano d'azione» di questa fase preparatoria,
gli emendamenti e le soppressioni proposte hanno svelato una trama di
risposte contrastanti. Le trattative che si si sono concluse nella terza
prepcom (15-26 settembre 2003), l'ultima ufficialmente prevista, non
sono arrivate a un documento che traducesse «un'intesa comune e armoniosa».
Gli articoli della Dichiarazione, circa cinquanta e suddivisi in undici
sezioni, sono rimasti infarciti di frasi o parole tra parentesi.
Tant'è che gli organizzatori hanno dovuto convocare due sessioni
supplementari a metà novembre e dal 7 al 9 dicembre 2003.

La filosofia dei beni pubblici comuni, secondo cui l'informazione,
il sapere e la cultura devono sfuggire alla logica del mercato, riesce
però a malapena ad aprirsi una strada tra l'invocazione dei dettami della
«cultura della sicurezza» e della «sicurezza delle reti», pronti a
sacrificare sull'altare delle leggi anti-terrorismo il diritto di
comunicare dei cittadini, e i proclami sulle virtù autoregolatrici
delle nuove forze della natura, il mercato e la tecnica. Il settore
privato, riunito nel «Comitato di coordinamento degli interlocutori
commerciali» sotto la presidenza della Camera di commercio internazionale,
rivendica la posizione di mentore e direttore della società
dell'informazione.

Lo stato dovrebbe limitarsi a organizzare un «ambiente favorevole»
allo spiegamento tecnologico, a sopprimere ogni impedimento agli
investimenti e a sciogliere la competitività. Non si nega che il
rispetto della diversità culturale e linguistica sia alla base della
 società dell'informazione, ma si mette in risalto che la promozione
dei contenuti locali non deve «creare irragionevoli barriere al
commercio». Il mercato crea la diversità dell'offerta. Tutte
argomentazioni ampiamente espresse in altre tribune, per esempio la Wto,
il G8, e a cui aderiscono i governi a corto di progetti di
«modernizzazione».

In un contesto di concentrazione crescente, i grandi gruppi mediatici
non vogliono assolutamente veder messa in piazza la questione della
censura economica, e i governi autoritari sono poco inclini a rispondere
del loro regime di censura permanente. Anche gli attori della società
civile trovano grandi difficoltà a far sentire la propria voce sulla
democrazia e i media. La versione finale si orienta verso un articolo
molto breve. Il che è paradossale, considerato il carattere strategico
che dovrebbe rivestire il dibattito sulla libertà d'espressione e il
diritto di comunicare.

Ma è uno dei rari articoli che si riferisce apertamente al servizio
pubblico e ai media comunitari nella creazione di media «indipendenti,
pluralisti e liberi» (queste parole sono ancora tra parentesi nella
versione prodotta dalla terza prepcom!). Le organizzazioni della società
civile hanno espresso agli organizzatori del vertice il proprio
malcontento per il modo in cui il progetto di Dichiarazione prendeva in
considerazione l'insieme dei loro contributi e, pur continuando a
partecipare alle trattative ufficiali, al termine della terza conferenza
hanno deciso di produrre, prima della realizzazione del vertice, una
propria «Dichiarazione comune». Prova che in occasione di questa prima
esperienza di partecipazione attiva a un vertice delle Nazioni unite,
la società civile organizzata è riuscita a costituirsi in una forza
unita, a dispetto del carattere eterogeneo dei suoi componenti.

Se c'è un argomento controverso, è quello delle regole riguardanti la
proprietà intellettuale. Esso è anche all'origine di un nuovo gap tra
Nord e Sud. Le proposte di revisione fatte da numerosi governi del terzo
mondo, sostenuti da organizzazioni della società civile, si scontrano con
un rifiuto categorico. Motivo: la questione riguarda altre istituzioni
multilaterali come la Wto e l'Organizzazione mondiale della proprietà
intellettuale (Wipo). Nella sua versione provvisoria (tra parentesi) del
settembre 2003, l'articolo 33 si limita a segnalare: «La protezione della
proprietà intellettuale è indispensabile per incoraggiare l'innovazione
e la creatività nella società dell'informazione. In ogni modo, stabilire
un giusto equilibrio tra la protezione della proprietà intellettuale, da
una parte, e il suo uso e la divisione del sapere dall'altra, è essenziale
per la società dell'informazione».

Non si vede di buon occhio il criterio che, in una società-mondo sotto
l'influenza dei monopoli dell'informazione e del sapere, permetterebbe di
fissare il «giusto equilibrio» (bilanciare), come base per una «info-etica»,
per riprendere l'espressione dell'Unesco. Non siamo comunque vicini a vedere
realizzarsi l'augurio, che il programma delle Nazioni unite per lo sviluppo
(Undp) aveva prefissato nel suo «Rapporto sullo sviluppo umano» pubblicato
nel 1999, di vedere evolvere le regole di gestione della proprietà
intellettuale in modo tale da «stabilire un sistema che non neghi l'accesso
al sapere ai paesi in via di sviluppo.»

Sembra del resto che qualsiasi tentativo di rompere con l'unilateralismo e
la mancanza di trasparenza delle istituzioni private e pubbliche che abbiano
competenze relative ai mercati aperti alla società dell'informazione, sia
destinato a incontrare grandi resistenze. E' il caso dello statuto dell'Icann
(Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), istituzione privata
che dagli Stati uniti gestisce gli indirizzi di internet su scala mondiale,
simbolo del tropismo della rete delle reti. Raggiunta questa grandezza è del
tutto normale predicare il «principio della neutralità tecnologica»; in parole
povere, esortare il vertice ad astenersi dal «promuovere e sviluppare i
software liberi» davanti ai sostenitori della revisione delle regole sulla
proprietà intellettuale.

Il rischio che corre la Dichiarazione finale è proclamare grandi principi
con cui nessuno possa dirsi in disaccordo, sulla solidarietà «tra i popoli
del mondo», la cooperazione internazionale, le identità culturali, mentre nel
profondo, imperversa il determinismo tecnico.

Stroncare il digital divide da qui al 2015 connettendo a Internet scuole,
biblioteche, ospedali, amministrazioni pubbliche, locali e nazionali: ecco
l'obiettivo. La «connettività» diventa la parola d'ordine; la e-educazione,
la e-sanità, l'e-governo la sua vetrina promozionale. Il discorso sul digital
divide fa così da schermo alle innumerevoli fonti della divisione sociale.
A cominciare da quella che è all'origine delle ineguaglianze in materia di
scolarizzazione. La solidarietà, a sua volta, si declina col digitale.
Davanti al rifiuto dei governi del Nord di finanziare progetti, il governo
del Senegal ha proposto la creazione di un «fondo di solidarietà digitale»,
finanziato da doni di utenti di informatica. Siamo ben lontani dalle
raccomandazioni fatte dall'Undp nel rapporto già menzionato: tassare il
flusso internazionale di telecomunicazione e i brevetti depositati all'Ompi,
visto che queste operazioni fanno uso di risorse mondiali comuni.

Quali «società di sapere»? Se non si vogliono riprendere i miti tecnicisti
portati dalla «società dell'informazione» un giorno bisognerà decidersi a
interrogarsi sui cambiamenti strutturali in corso nelle condizioni di
produzione e di circolazione dei saperi, in tutto il mondo. Ecco che cosa
indica l'urgenza di scambiare l'idea di vertice dell'informazione con
quella di stati generali del sapere. Augurandosi che la dinamica sia, questa
volta, data da una società civile allargata, ansiosa di inserire la
questione della tecnica nel divenire della democrazia.

Copyright Le Monde diplomatique/il manifestoTraduzione di Paolina Baruchello

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Dicembre-2003/art86.html

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Mattelart, il comunicatore
Armand Mattelart è uno dei massimi studiosi della comunicazione a livello
mondiale. Francese di nascita, ha però iniziato la sua attività di docente
universitario nel Cile di Salvator Allende, dove ha partecipato attiviamente
alla breve esperienza di governo di «Unidad Popular» come consigliere del
presidente. Ritornato a Prigi, insegna da allora all'Università Paris VIII.
Tra i suoi libri tradotti: «La mondializzazione della comunicazione»
(Editori riuniti), «L'invenzione della comunicazione» (Saggiatore),
«La comunicazione mondo» (Saggiatore) e «Storia della società
dell'informazione»
(Einaudi)
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Dicembre-2003/art84.html


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 .: L'INTERVISTA :.
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Bifo: "Al Wsis prevarrà la società civile "
di Stefano Porro
http://www.quintostato.it/archives/000510.html

A Ginevra si celebra il più importante summit sull'informazione che
si sia mai tenuto fino ad oggi, e nessuno ne parla. E la colpa è
anche dei movimenti di base". Non ha peli sulla lingua Franco "Bifo"
Berardi, studioso di nuove tecnologie della comunicazione e punto di
riferimento teorico del mediattivismo internazionale, nemmeno quando
si tratta di fare autocritica: "Dopo il meeting di Cancùn, il Social
Forum e gli esponenti dell'attivismo sociale sono entrati in una fase
di debolezza. Siamo sfilacciati, e ci presentiamo al WSIS con delle
proposte troppo diversificate e che non esprimono un orientamento
unitario".

Eppure voi rappresentate le istanze e le aspirazioni di libertàÝ più
radicali della societàÝ civile. Quali saranno le questioni su cui
intendete confrontarvi più duramente con major e governi?

Tutti al Summit si aspettano uno scontro tra la cosiddetta "societàÝ
della rete", che aspira ad essere libera ad ogni costo, e le pretese
monopolistiche delle major come Microsoft e RIAA, che pretendono di
salvaguardare i propri fatturati privatizzando la conoscenza
attraverso i brevetti, il copyright e i trade-mark. Anche la
regolamentazione dell'etere, che dovrebbe essere di pubblico dominio e
invece viene usurpato dalle corporation televisive, saràÝ un campo di
confronto aperto. Secondo me il movimento e le ONG devono capire che
il nemico non è più la globalizzazione selvaggia, ma una forma
inaudita di protezionismo.

La vostra quindi saràÝ una posizione di rottura totale nei confronti
del cosiddetto ordine costituito...

Credo che considerare l'appuntamento di Ginevra una sorta di resa dei
conti tra chi invoca la libertàÝ a tutti i costi e chi invece gliela
vuole negare sia abbastanza riduttivo. Non dovremo essere
collaborazionisti, ma neanche rifiutare qualsiasi proposta di dialogo.
Il potere politico e mediatico diventa sempre più spavaldo e
arrogante, ma le nuove tecnologie della comunicazione ci hanno
mostrato la sua intrinsca debolezza, che noi dobbiamo sfruttare per
far valere le nostre opinioni.

Qual è dunque il ruolo del mediattivismo al giorno d'oggi?

Primo: affermare, in modo del tutto propositivo, che l'informazione
deve essere libera e accessibile a tutti in quanto bene pubblico.
Secondo: cercare di indebolire i monopoli, diffondendo a macchia
d'olio elementi di deregulation e di pluralismo. In questo senso
Internet e l'esperienza delle Telestreet hanno un'importanza
strategica, come ha dimostrato ampiamente il caso di Raiot.

Come si comporteràÝ secondo lei la delegazione governativa italiana?

Difficile saperlo, soprattutto dopo quanto è accaduto con
l'approvazione della legge Gasparri, che ha assestato una spallata
definitiva alla libertàÝ d'espressione in Italia. Credo che i nostri
ministri sappiano ben poco di cià" di cui si discuteràÝ a Ginevra, e
lo prova il fatto che, fino a questo momento, nessuno di loro abbia
preso una posizione chiara su tematiche fondamentali come la riduzione
del divario digitale, da cui dipende l'emancipazione della nostra
societàÝ nei prossimi anni.


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 .: LE NOTIZIE :.
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La comunicazione mondiale? Se c'è, è blindata
Si chiude a Ginevra la conferenza Onu su informazione e comunicazione,
senza progressi e con molta polizia
Cortei repressi Pochissimi spazi politici, accesso impossibile, freni
alla stampa. E molta retorica. Il Wsis finisce con polemiche senza gloria
SERENA TINARI
GINEVRA
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/13-Dicembre-2003/art46.html

Informazione ai prepotenti
Alla conferenza dell'Onu sull'informazione braccia aperte al presidente
della Tunisia Ben Ali ma porte chiuse per Reporters sans frontières.
Prove di controllo totale
SERENA TINARI
GINEVRA
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Dicembre-2003/art35.html

L'informazione negata
Parte il Wsis. Ma la polizia chiude il media center alternativo
SERENA TINARI
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Dicembre-2003/art87.html

WSIS, vogliono regole per Internet
E vorrebbero attribuirle il ruolo di sanatrice dei mali del Mondo.
Parte oggi tra i dubbi il Summit internazionale di Ginevra a cui
partecipano più di 150 paesi, dedicato alla Società dell'informazione.
Le incertezze e i protagonismi
http://punto-informatico.it/p.asp?i=46234

Verso il Wsis
La prima fase del summit mondiale della società dell'informazione avrà
luogo in questi giorni a Ginevra; tra i temi trattati ci saranno le
problematiche legate all'accesso all'informazione, alla privacy, alla
sicurezza elettronica, allo sviluppo dei media e all'etica della
comunicazione.
http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=stampa&cod=2684&numero=999


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 .: LETTERE E COMMENTI :.
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WSIS, i Verdi scrivono a PI
Pubblichiamo una lettera a Punto Informatico scritta dal senatore
Verde Fiorello Cortiana e da Maurizio Zammataro a proposito del
Summit ONU sulla Società dell'informazione di Ginevra
http://punto-informatico.it/p.asp?i=46271


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 .: LINK :.
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Dossier WSIS
http://www.adisi.ch/in-formazione/dossier_wsis.htm (it)

Siti ufficiali
http://www.itu.int/wsis/
http://www.wsis-online.net/

News
Free Software Foundation Europe
http://www.fsfeurope.org/projects/wsis/wsis.it.html
Bologna Free Software Forum
http://www.bfsf.it/wsis/
Italy Indymedia
http://italy.indymedia.org/features/roma/
Collettivo e-laser
http://www.e-laser.org/htm/news.asp?idNews=278
Manifesto della piattaforma italiana verso il WSIS (CRIS)
http://www.digitalopportunity.org/article/view/71474/1/

Il controvertice online
http://www.geneva03.org/
http://hubproject.org/it/?l=it

Mailing List
https://www.indymedia.it/mailman/listinfo/wsis


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 .: NEWS DALL'ASSOCIAZIONE :.
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Ogni lunedì sera la sede dell'associazione resterà aperta dalle ore 21,00
per incontrarsi, conoscersi, discutere, smanettare.
Per chi vuole passare un po' di tempo con noi, l'appuntamento è in
via Nazionale Adriatica Nord, 92 - Pescara
Riferimenti utili alla pagina
http://metro.olografix.org/sede.html

Associazione Culturale Telematica
"Metro Olografix"
http://www.olografix.org
info at olografix.org


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 .: CREDITS :.
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a cura di Loris "snail" D'Emilio
http://www.olografix.org/loris/

Hanno collaborato a questo numero:
Alessio "isazi" Sclocco
http://www.olografix.org/isazi



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