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La nonviolenza e' in cammino. 729
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 729
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 10 Nov 2003 19:58:13 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 729 dell'11 novembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: l'8 novembre a Verona 2. Daniele Lugli: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 3. Robin Morgan: perche' allora 4. Raniero La Valle: l'Europa, l'America e il nomos dell'Occidente (un contributo alla proposta di Lidia Menapace) 5. Una stanza di Magda Isanos 6. Nanni Salio: Israele-Palestina, dentro il conflitto 7. Livio Maitan ricorda Pietro Tresso 8. Il 22 novembre a Roma le donne riflettono sull'informazione 9. Il "Cos in rete" di novembre 10. Riletture: Marinella Correggia, Manuale pratico di ecologia quotidiana 11. Riletture: Giuliana Di Febo, Rosa Rossi (a cura di), Interpretazioni di Cervantes 12. Riletture: Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: L'8 NOVEMBRE A VERONA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] La riunione di Verona l'8 appena scorso e' stata molto bella, accogliente, serena, non supponente, curiosa. Nel senso che tutti e tutte avevamo voglia di sapere come avevamo colto le proposte che erano in gioco, ed anche eravamo curiosi/e di capirci. Non accade cosi' spesso: ricordo che una delle frasi ricorrenti nelle riunioni politiche, appena uno ha finito di parlare, e' di chiedersi sottovoce: "Che cosa voleva dire?", dato che si suppone sempre che il linguaggio sia almeno doppio e allusivo. Invece tra noi abbiamo detto quel che dicevamo, e non vi erano possibili dubbi interpretativi o messaggi subliminali. Insomma abbiamo scambiato impressioni e convenuto che il tempo per avanzare una proposta di definizione giuridica del diritto alla pace e' giusto, dato che e' in corso - sia pure in modo "clandestino" - il dibattito sulla Costituzione europea. A me e' servito molto sentire proposte agganciabili e che anzi danno un orizzonte migliore, una buona infinita' al discorso: ad esempio la proposta dell'obiezione ai governanti, la pratica del transarmo, e anche l'idea di fare una iniziativa pubblica a Venezia l'8 dicembre nel corso del salone dell'editoria di pace, con aspetti anche espressivi molteplici. Insomma abbiamo cominciato bene con il piede giusto e con una bella gara di reciproca comprensione e riconoscimento. Per me la cosa forse piu' piacevole e' stata che - avendo detto che pratico il disinquinamento del linguaggio politico dalle metafore belliche, militari ecc., e che percio' non dico ne' tattica ne' strategia, ma preferisco tessere, seminare, cucinare ecc. - abbiamo incominciato a tessere discorsi e proposte e a impollinare relazioni tra noi con grande e repentina naturalezza. Gli scambi di linguaggio e le relazioni sul simbolico sono - come e' noto - molto importanti. Ringraziamoci, siamo anche stati bene insieme in modo appunto sereno, anche con ironia e gioco tra noi. 2. MEMORIA E PROPOSTA. DANIELE LUGLI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... ["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e' di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a tutti i lettori del nostro notiziario - a rinnovare (o sottoscrivere per la prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it). Daniele Lugli e' il segretario nazionale del Movimento Nonviolento, figura storica della nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di impegno sociale e politico anche una profonda e sottile competenza in ambito giuridico ed amministrativo, ed e' persona di squisita gentilezza e saggezza grande] Perche' negli anni - con fatica, umilta', consapevolezza di quanto siano inadeguate, rispetto al compito, le forze - "Azione nonviolenta" ha saputo essere un centro del grande lavoro per la nonviolenza. Perche' ricordo quando, sono passati quaranta anni, si decise l'avvio di un'azione precisa ed esterna del Movimento Nonviolento, attraverso il Gan ( Gruppo di Azione Nonviolenta) e la rivista. Perche' fu l'uscita dal bozzolo, per usare le parole di Piero Pinna, del Movimento - nel quale gia' stavo - costituito dopo la marcia Perugia-Assisi, sul finire del '61. Perche' ricordo il primo numero, che, con gli scritti programmatici di Capitini, riportava le prime azioni del Gan. Perche' "Sia discussa la legge per l'obiezione di coscienza" stava scritto sulla casacca di Piero, con altri sei fermato e denunciato a Milano per avere, in coppie successive, distribuito volantini. Perche' di questo mi sono ricordato in un incontro tenuto a Casalecchio, con gli amici di Percorsi di pace, il 4 novembre scorso, esattamente quaranta anni dopo la manifestazione milanese. Perche', prima che uscisse "Azione nonviolenta" e a parte la lettera ciclostilata che Capitini mandava ai suoi amici, sulla stampa si parlava di nonviolenza e obiezione di coscienza solo per le manifestazioni del Gan e gli interventi e denunce della polizia: la prima, gia' ricordata, a Milano il 4 novembre 1963, e poi Bologna il 17, Firenze il primo dicembre, Padova il 15 e Roma il 20 dicembre. Perche' nel gennaio del '64 usci' il primo bellissimo numero e chissa' cosa Mao Valpiana ci prepara per il primo numero del 2004. Perche' Piero Pinna sara' a Ferrara il 5 dicembre a concludere il primo ciclo della Scuola della nonviolenza che, con amici e fiducia, ho promosso. Perche', ci diceva Capitini, se la nonviolenza e' fatta per un quarto di amore e' fatta per la meta' di pazienza. Perche' persone, non poche e non pochi giovani, manifestano interesse per la nonviolenza. Perche' non conosco miglior regalo per le feste di un abbonamento ad "Azione nonviolenta". 3. MAESTRE. ROBIN MORGAN: PERCHE' ALLORA [Da Robin Morgan, Sessualita', violenza e terrorismo, La Tartaruga, Milano 1998, 2003, pp. 231-232. Robin Morgan e' nata a Lake Worth in Florida nel 1941, e vive e lavora a New York; poetessa, saggista, romanziera, giornalista, e' dagli anni '70 una delle figure piu' vive del movimento delle donne. Tra le sue opere disponibili in italiano: l'intervista a cura di Maria Nadotti, Cassandra non abita piu' qui, La Tartaruga, Milano 1996; Sessualita', violenza e terrorismo, La Tartaruga, Milano 1998, 2003] "E' vero, e' proprio vero?", chiede la donna con forza, stringendo Maria con una mano e me con l'altra, "E' vero che da tante parti le donne stanno reagendo alla violenza? Che non si lasciano piu' maltrattare?". "Si'", rispondiamo, un groppo di lacrime in gola, "e' vero. Le donne stanno reagendo. Da molte, molte parti. Ben al di la' di Catania. In tutto il mondo". "E un giorno riusciranno a farli cessare? La violenza, il dolore? Finira'? Loro - noi - riusciremo a farcela?". Gli occhi le brillano. "Si', si'", le diciamo, abbracciandoci e abbracciandola, "un giorno. Le donne stanno tentando un po' ovunque. Metteremo fine alla violenza. Si'". Annuisce, benedicendoci con un sorriso raggiante e sdentato. "Molto bene", sussurra. Poi aggiunge con calma dignita', "Perche' allora non sono sola". 4. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: L'EUROPA, L'AMERICA E IL NOMOS DELL'OCCIDENTE (UN CONTRIBUTO ALLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE) [Ringraziamo di cuore Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione, come contributo alla riflessione promossa da Lidia Menapace, questo suo intervento apparso sul n. 1 della rivista "Alternative" diretta da Domenico Jervolino (altro caro amico e maestro che cogliamo l'occasione per salutare). Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di Vasti - scuola di critica delle antropologie, presidente del comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003] Ora sappiamo che l'Europa nasce - se nasce - senza una "visione". E' questa la critica tagliente che il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ha rivolto al progetto di Costituzione europea elaborato dalla Convenzione presieduta da Giscard D'Estaing. "Vision" e' il termine anglosassone che si usa negli statuti associativi per definire l'idea che ogni istituzione ha di se stessa e del proprio ruolo; "mission" e' invece quello che indica i suoi obiettivi. Senza "vision" non e' neanche definibile una "mission". Priva di "mission" e di "vision" l'Europa, nel suo progetto costituente, si e' trovata anche priva di "heritage", di eredita', cioe' di un patrimonio di esperienze e di valori. Dio non ce lo potevano metterlo, prima di tutto perche' al retaggio giudeo-cristiano appartiene l'impronunciabilita' del nome di Dio, e in ogni caso il comandamento di non nominarlo invano, e poi perche', come ha osservato Jacques Le Goff che quale storico del Medioevo sa bene di che cosa parla, "le nazioni e i popoli che invocano con solennita' Dio sono fra quelli maggiormente responsabili di colpe gravi". In ogni caso Dio non e' l'antenato dell'Europa. In altro senso e' significativo per essa. Non potendo metterci Dio, gli alchimisti del progetto di Costituzione hanno pensato bene di toglierne anche l'eredita' greco-romana e quella dell'umanesimo e dei Lumi, che pur facevano parte del macinato iniziale; cosi' l'Europa, almeno allo stato dell'arte, si trova, nel momento in cui si scrive la sua Costituzione, incapace di pensarsi, di definire se stessa, e percio' di rappresentarsi dinanzi agli altri soggetti. In effetti la seconda cosa e' la causa della prima: la incapacita' di rapportarsi agli altri, di immaginarsi un compito per il mondo, una "vision" e una "mission" dell'Europa per il mondo, la rende incapace (almeno a livello di Giscard D'Estaing, Fini, Amato e degli altri estensori del progetto costituente) di rintracciare la propria identita', di esprimersi come soggetto. Data la procedura adottata, era inevitabile che fosse cosi'. Sarebbe stato importante per contro che si attivasse un grande dibattito in Europa, per il quale essa riuscisse a prendere coscienza di se', a raccontare qualcosa della sua identita', a esprimere qualcosa che anche al di la' della sua vision, della sua mission e del suo heritage, ne dicesse cio' che, nei termini di un'altra cultura, potremmo chiamare il suo "karma", insomma l'essere Europa dell'Europa. Mancato il dibattito di base, ci hanno provato i filosofi a definirlo, mediante un'iniziativa presa da Juergen Habermas che ha sollecitato altri intellettuali europei (ed uno americano) a scriverne nello stesso giorno su grandi quotidiani del continente; cosi' il 31 maggio 2003 si sono potuti leggere su altrettanti giornali gli articoli di Umberto Eco e Gianni Vattimo, di Fernando Savater e di Adolf Muschg, di Habermas e Jacques Derrida, nonche' dello statunitense Richard Rorty, tutti alla ricerca dell'Europa perduta o da trovare. A parte il valore del tentativo in se stesso, e dell'appello che comunque esso faceva risuonare alla coscienza europea, il risultato e' stato deludente. Tutti hanno cercato di esprimere (e di raccomandare ai governi) il proprium dell'Europa in dialettica o in contrapposizione con la nuova egemonia americana, cercando nella differenza dagli Stati Uniti l'identita' europea, e nella capacita' europea di sottrarsi alla presa del dominio globale americano la possibilita' per l'Europa di non scomparire come soggetto nel nuovo scenario planetario. Ma non ci sono riusciti per due motivi, perche' hanno cercato questa differenza dove non poteva essere trovata, e perche' hanno cercato la soggettivita' solo in rapporto agli Stati Uniti, quando essa ha senso e va cercata in rapporto al mondo, e soprattutto in rapporto al mondo escluso, cioe' a quel mondo che e' previsto come scarto sia nel processo della globalizzazione che nel progetto del "nuovo secolo americano". * La prova dei filosofi La differenza con gli Stati Uniti non poteva essere trovata perche' e' stata cercata nel logos. Infatti si sono messi a cercarla i filosofi. Come ha rilevato Franca D'Agostini sul "Manifesto" del 4 giugno, la scelta dei partecipanti al dibattito stava a indicare che "nella questione dell'identita' europea 'la filosofia' - e soprattutto l'uso politico-culturale delle idee, della teoria - gioca un ruolo del tutto particolare, e particolarmente significativo"; ma per quanto siano interessanti i tentativi di rimarcare le differenze (come nelle implicazioni collettivistiche della soggettivita' che secondo Vattimo ed Eco sarebbero presenti nel dna europeo, e assenti invece in quello americano), e' pur vero che Europa e America scaturiscono dalla stessa matrice culturale, e professano, pur quando se ne allontanano, lo stesso mondo di "valori"; del resto anche "i filosofi continentali", come dice la D'Agostini, ormai trasmettono "una immagine disfattista della filosofia", e "anche a loro si deve quella vasta pragmatizzazione del discorso politico che ha tolto la teoria dalla prassi, e con cio' ha consegnato la prassi stessa nelle mani della televisione". Dunque qui non si poteva andare lontano. La differenza va invece cercata nel nomos, che e' cio' in cui si esprime non solo il modo in cui e' pensata la societa', ma il modo in cui e' organizzata e normata, e in cui e' stabilito il rapporto con l'Altro. E' li' che tra Stati Uniti ed Europa le strade si stanno divaricando; e' nel nomos che risiede la vera identita' dell'Europa; ed e' rimettendo profondamente in questione il suo nomos che l'Europa puo' oggi trovare il suo karma (vision, mission ed heritage) e assurgere a un ruolo positivo sia riguardo agli Stati Uniti che al mondo. A guardare le cose da questo punto di vista, si troverebbe che questo nomos e' in crisi; ma non e' in crisi solo il nomos dell'Europa, e' il nomos dell'Occidente, che attraverso di esso e della sua maggiore potenza armata, gli Stati Uniti, sta diventando il nomos del mondo, un nomos che pero' non e' in grado di reggerlo, di conservarlo alla vita, di dargli un futuro, sicche' oggi il mondo e' in condizioni di massimo pericolo. Dovrebbe essere questo l'assillo dell'Europa. Essa sta venendo alla luce come nuovo soggetto politico, e non piu' solo economico o monetario, mentre e' coinvolta in due universi: da un lato l'ordine della globalizzazione, nel quale essa e' gia' totalmente immersa, dall'altro l'ordine della sovranita' planetaria ultimamente reclamata dagli Stati Uniti e ipotecata con le due guerre gia' combattute dopo l'11 settembre. Rispetto a quest'ultimo, l'ordine del nuovo Impero, o se si vuole rispetto a questa nuova figura del nomos dell'Occidente sotto le insegne imperiali americane, l'Europa non si e' ancora definita, non ha stabilito che cosa essere, e le sue scelte, benche' assai condizionate, sono ancora politicamente impregiudicate. Questa e' la questione decisiva: l'Europa puo' essere isola, provincia, nicchia, retrovia privilegiata dell'Impero, e gendarme anch'essa del suo nomos, oppure sua alternativa: e si tratterebbe allora di vedere in che modo. * Il nuovo Impero Le caratteristiche del nuovo Impero non sono peraltro ancora definite. Si tratta di un lavoro in progress. Disponiamo della sua carta fondativa, che e' il documento del settembre 2002 sulla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, dove la sicurezza americana viene fatta consistere in sostanza nel dominio del mondo, nella sua riduzione e omologazione agli "interessi e valori" degli Stati Uniti, e nella pratica della guerra preventiva capace di distruggere qualunque potenziale avversario prima che diventi nocivo, e anzi prima ancora che diventi nemico. Che cosa cio' puo' comportare, a parte le prove sul campo, lo si e' potuto apprendere dalla viva voce dei protagonisti della attuale svolta americana, esponenti della nuova destra radicale giunta al potere con Bush, che sono venuti a raccontarlo a Venezia nel maggio scorso, in un convegno a porte chiuse dell'Aspen, l'istituto transatlantico in cui ci si consulta sul destino dell'Occidente. C'erano Robert Kagan, Richard Perle, Charles Kupchan, e anche quel Samuel Huntington che aveva inventato e propagandato il progetto dello "scontro di civilta'" proprio quando lo spirito di conciliazione tra religioni e culture sembrava aver raggiunto il massimo storico, dopo le lacerazioni del Novecento e la rimozione del muro di Berlino. C'erano dunque gli ispiratori e autori di quel progetto per "il nuovo secolo americano" che era stato illustrato in un manifesto-documento del settembre 2000, intitolato Rebuilding America's Defenses, e che dopo l'11 settembre e' diventata la politica ufficiale del presidente Bush. Possiamo ricordare che il progetto per il nuovo secolo americano sosteneva esservi tutte le condizioni e l'"opportunita' strategica" per instaurare una leadership mondiale americana per tutto il XXI secolo, propugnava lo stabilimento di una "global Pax americana", e postulava a tale scopo l'aumento della spesa militare degli Stati Uniti fino al 4 per cento del Pil e un rafforzamento spettacolare dello strumento militare in tutte le sue componenti, terrestri, navali, aeree e spaziali. Con grande capacita' di anticipazione il documento Rebuilding, pubblicato un anno prima dello scempio delle Torri gemelle, denunciava una mai prima ipotizzata vulnerabilita' dello stesso territorio americano ad opera di "poteri canaglia", tra cui erano nominati gia' allora i tre Stati che sarebbero poi stati inclusi nell' "Asse del male" di Bush, Nord Corea, Iran e Iraq, e avanzava un'ipotesi troppo inusuale per non essere inquietante: quell'espansione della spesa militare e quel potenziamento delle Forze Armate avrebbero potuto richiedere molto tempo (piu' tempo di quanto "l'occasione" straordinaria da cogliere avrebbe permesso) "a meno del prodursi di qualche evento catastrofico e catalizzatore (some catastrophic and catalyzing event), come una nuova Pearl Harbour". Si deve a Mario Pirani, che era presente a Venezia non come giornalista ma come socio dell'Aspen, un resoconto su "Repubblica" (del 16 maggio 2003) di quella riunione, una specie di "brogliaccio" delle posizioni e previsioni che gli esponenti di tale nuovo corso americano erano venuti ad annunciare in Europa. E la prima tesi da loro affermata era che "la svolta epocale impressa alla politica americana con la guerra all'Iraq" non e' dovuta a "un piccolo gruppo di intellettuali", cioe' a loro, ma all'11 settembre, cioe' precisamente all'avverarsi di quell'evento catalizzatore che essi avevano avanzato come ipotesi un anno prima del suo verificarsi; ed anzi hanno detto che anche Al Gore, se fosse stato eletto al posto di Bush, dopo l'11 settembre si sarebbe comportato allo stesso modo. Insomma le loro visioni politiche non avrebbero potuto avere un successo maggiore. Pirani dice di essere uscito dal convegno con angoscia al sentire enunciare con tanta franchezza e tutte insieme le nuove posizioni americane, che sono queste: non e' piu' possibile accettare lo status quo in talune zone del mondo; la sicurezza (degli Stati Uniti) impone di portare la democrazia, anche usando la forza militare, dove permangono minacciosi regimi dittatoriali; le alleanze internazionali stabili sono finite, la Nato e' morta; le vecchia destra, alla Kissinger, e' fuori gioco; la differenza tra Stati Uniti ed Europa sta nel fatto che i primi sono una potenza globale, la seconda e' una potenza regionale (e tale deve restare); cresce il divario tra potere e legittimita' nell'azione degli Stati Uniti, ma la colpa sarebbe della Carta dell'Onu inadatta alle nuove esigenze; il potere dei mullah in Iran non e' piu' tollerabile: se si puo' ottenere un cambio di regime per via pacifica, bene, altrimenti "si dovra' seguire la via dell'Iraq. Altrettanto dicasi per la Siria". Anche sul piano economico prevarra' l'unilateralismo; gli Stati Uniti, irritati con l'Europa ("insopportabili i contrasti sugli organismi geneticamente modificati") si preparano ad uscire da destra dalla globalizzazione: non piu' regolamenti multilaterali nel quadro delle grandi strutture internazionali, ma accordi bilaterali di liberalizzazione e di libero commercio con singoli Paesi; dunque due regimi di scambio, due categorie di Stati, due mondi. * La partita con gli Stati Uniti E' dunque in questo contesto che si pone la questione dell'Europa e della sua identita'. Ma sarebbe del tutto fuorviante se la soluzione adombrata fosse quella di misurarsi con gli Stati Uniti mettendosi sul loro stesso terreno, contrapponendo al dollaro l'euro, all'esercito imperiale l'esercito europeo, al secolo americano un secolo europeo. Vorrebbe dire stare nella stessa cultura e nella sua crisi e rimestare l'acqua nello stesso mortaio. Come scriveva Hannah Arendt gia' negli anni Cinquanta (lo ha ricordato Ida Dominijanni sul "Manifesto" del 3 giugno scorso): "americanismo ed europeismo, due ideologie che si affrontano, si combattono e soprattutto si assomigliano come tutte le ideologie apparentemente contrapposte: che sia questo il pericolo cui stiamo andando incontro?". E si potrebbe ricordare, quanto alle somiglianze, che le due ideologie hanno entrambe elaborato una cultura della diseguaglianza, affermato la propria superiorita' sugli altri da se' e provveduto al genocidio degli Indiani dell'America centrale e meridionale prima, settentrionale poi. Ma soprattutto occorre non sbagliarsi sulla natura della crisi, che non e' solo legata a quest'ultima emergenza, non e' solo, come dice Franca D'Agostini, "un disguido legato alla sventurata amministrazione Bush". La guerra preventiva e perpetua di Bush non rappresenta in realta' il punto d'arrivo catastrofico di un solo processo. Da un lato essa e' la frontiera estrema cui giunge la pulsione di dominio della destra radicale americana. Per un altro verso e' l'ultima e disperata scelta della globalizzazione capitalistica nel momento in cui, fallito il suo progetto di unificazione del mondo all'insegna delle "magnifiche sorti e progressive", deve prendere le armi per rimpiazzare la mancata egemonia col dominio e per difendere la dura selettivita' del mercato totale. Ma attraverso di cio' e oltre a cio', la guerra finale di Bush e' la stazione terminale e il punto di caduta di un intero corso storico, di cui il capitalismo ha segnato solo l'ultimo tratto. * Una crisi che viene da lontano Non a caso la manifestazione piu' vistosa e quasi riassuntiva della crisi sta nella rovina del diritto, e nella dichiarata antitesi tra potere e legittimita'. Nell'annunciare l'imminente attacco all'Iraq il 17 marzo 2003 Bush proclamo' che non era questione di autorita' ("con quale autorita' fai questo?" e' la domanda antica) ma di volere (this is not a question of authority, it is a question of will): non si tratta di ius ad bellum, ma di volonta' di guerra. Tutto il diritto e' investito dalla crisi: il diritto internazionale, con il licenziamento dell'Onu; il diritto di guerra e il diritto umanitario di guerra (le vittime della Televisione iugoslava, i prigionieri uccisi in Afghanistan, Guantanamo, le stragi di civili per eliminare Saddam Hussein, le "esecuzioni mirate" in Palestina), il garantismo penale (la fine dell'"habeas corpus" sancita da una Corte federale americana); il diritto del lavoro (radicalmente ricondotto a merce); i principi essenziali della giurisdizione (riformati dagli stessi delinquenti, come in Italia); le Costituzioni. Le dure prove cui il diritto e' sottoposto in tutti gli ordinamenti fanno pensare che non si tratti solo di crisi di una parte, ma della totalita', di quell'ordinamento complessivo della vita sociale i cui principi, i cui modelli, le cui norme sono stati posti ben prima del capitalismo e che non hanno mai cessato di evolvere attraverso elaborazioni e lotte di ogni tipo. E' ben vero che questa crisi esplode quando ai vertici del sistema si sono insediati dei poteri estremisti che ormai concepiscono la sicurezza e la salvezza (o, secondo una delle culture implicate, la "redenzione") come beni da conseguire attraverso la catastrofe e come suo prodotto (la guerra totale e definitiva, cioe' infinita, di Bush; la terra promessa rivendicata da Sharon come "degli ebrei e solo loro", sono figure apocalittiche); ma per capire come cio' sia potuto accadere e quali ne sono le premesse occorre risalire a prima del capitalismo e della sua ultima versione global-liberista. E' questa l'operazione a cui gia' invitava Claudio Napoleoni, quando constatava il carattere sempre piu' distruttivo della societa' capitalista e tecnocratica, e ricercava le ragioni dell'insuccesso anche teorico del marxismo nel delinearne il superamento. Egli affermava che l'assolutizzazione del momento produttivo, per cui la produzione non ha altro fine che la produzione stessa, giunta al suo apice nella societa' tecnologica e opulenta, non faceva "che ripetere ed estremizzare quella cosa antica che e' il rapportarsi dell'uomo alla cosa, al mondo, alla natura, come a nient'altro che a cio' che puo' essere prodotto, il producibile" (1); secondo Napoleoni e' cio' che Marx non aveva visto, non cogliendo come "l'alienazione specifica del capitalismo e' il termine necessario a cui tendeva e in cui si rovescia un'alienazione piu' essenziale, che domina tutta la storia dell'Occidente, l'annullamento cioe' della cosa nel soggetto, annullamento che procede dall'idea... di una producibilita' universale, nella quale lo stesso soggetto alla fine si trova incluso, rimanendo percio' contraddittoriamente identificato col suo opposto" (2). A questa "figura 'originaria' (rispetto alla storia dell'Occidente)" di una producibilita' universale, si accompagna peraltro la figura, ancora piu' 'originaria', di una appropriabilita' universale, che rende lo stesso soggetto appropriabile (alienato); sicche' il compito che ultimamente indicava Claudio Napoleoni, "perche' la liberazione sia possibile", era di "guardare in modo diverso al rapporto tra l'uomo ed il mondo, diverso cioe' da quello stabilito dalla prospettiva della produzione-appropriazione-dominazione" (3). Ma che cos'e' questa triade dell'appropriarsi, produrre e dominare se non il nomos dell'Occidente? E' di lui che si parla. Nella sua attuale versione americana esso e' giunto all'ultimo stadio della dominazione, intesa come dominio mondiale per mezzo della guerra. E' su questo che l'Europa ancora non si e' determinata, e in questo si e' aperta una divaricazione tra il suo nomos e quello dell'America. Questa divaricazione si puo' tuttavia ricomporre sul lato del dominio, sulla scia di Blair, cio' a cui potenti forze dentro e fuori l'Europa stanno lavorando; e questa sarebbe una catastrofe per tutti. Ma l'esito puo' essere diverso se l'Europa resiste, sulla spinta della sua opinione pubblica, dei movimenti e delle Chiese, se al dominio contrappone l'universalita', se da' voce e sponda al mondo escluso; e se precisamente in questo rimette in gioco il suo nomos, lo critica e ne fa scaturire un altro nomos, un nomos per tutta la terra. * Un ordine del mondo Occorre dunque indagare su questo nomos. Il nomos, che e' il nome greco della legge, non e' solamente un codice, un complesso di norme scritte e non scritte. Per i greci esso era nello stesso tempo ethos, costume, usanze, culto, insomma l'ordine complessivo della societa'; non a caso nomos e' la parola con cui i Settanta traducono l'ebraica "Torah". Il nomos rimandava addirittura all'ordine del cosmo; sicche' fu gia' un primo choc quando ci si accorse che non c'era un solo nomos ma c'erano tanti nomoi, sicche' il nomos valse ad indicare l'identita' di ogni popolo; tanto che Omero disse di Ulisse, all'inizio dell'Odissea, che "egli vide molte genti e conobbe il loro nomos", almeno stando alla versione preferita da Schmitt (4). Cosa e' dunque il nomos dell'Europa e dell'Occidente, a partire dai suoi inizi mediterranei, e qual e' il suo peccato originale? Carl Schmitt ha spiegato a piu' riprese il significato originario (e permanente) di nomos, sia in "Terra e mare", sia nel "Nomos della terra", sia in un saggio "Appropriazione, divisione, produzione" del 1953 che si trova ora nella raccolta bolognese "Le categorie del politico". Egli spiega che il sostantivo nomos deriva dal verbo greco nemein; si tratta del nome di un'azione il cui contenuto e' dato dal verbo. E nemein significa tre cose. In primo luogo significa prendere, e dunque si tratta dell'appropriazione; anzitutto appropriazione della terra, poi del mare e infine, nel modo di produzione industriale, appropriazione dei mezzi di produzione. In secondo luogo significa dividere cio' di cui ci si e' appropriati, dunque la fondamentale (primitiva) divisione e distribuzione della terra nonche' l'ordinamento della proprieta' basato su di essa. Il terzo significato e' l'uso, la coltivazione, la valorizzazione delle terre e delle cose appropriate: la produzione, nella quale entra lo stesso consumo. Dunque "appropriazione, divisione, produzione" sono, dice Schmitt, "i tre concetti fondamentali di ogni ordinamento concreto"; e al variare dell'ordine tra loro, varia anche il tipo di societa'. Figuriamoci come varierebbe la societa' se non solo il loro ordine, ma i concetti stessi variassero, e fossero sostituiti da nuovi. In ogni caso questo, appropriazione, divisione, produzione, e' il nomos dell'Occidente, la sua identita'; ed e' facile vedere come questi tre contenuti del nomos rinvenuti da Schmitt corrispondono, benche' in diversa successione e con l'esplicitazione del loro concludersi in dominio, alle tre categorie indicate da Napoleoni, produzione, appropriazione, dominazione, dalla cui stringente concatenazione occorrerebbe liberarsi per uscire dalla crisi. * Un nomos dell'uomo economico Parlare del nomos dell'Europa e dell'Occidente vuol dire parlare di questo. Vuol dire parlare di un ordine fin dal principio identificato e finalizzato al ciclo economico, non alla generalita' della vita e del rapporto tra gli esseri umani; vuol dire parlare di un ordine che e' stato fondato sulla legge della cosa, sul primato della proprieta' e della produzione, e che come tale implica un'antropologia che sottopone l'essere umano alla legge della cosa, e ne fa tutt'uno con la cosa. Prima di tutto, ed emblematicamente, occorre rilevare che e' un ordine maschile. Nell'originaria appropriazione e divisione rientrano infatti anche le donne, in quanto appropriate, come del resto vi rientrano gli schiavi, i servi, e tutti gli esseri umani non riconosciuti, non cooptati nella loro qualita' di soggetti. Sicche' e' tutto da verificare che cosa sarebbe stato e sarebbe un diritto che fosse stato o fosse scritto dalle donne, che poi vuol dire dalle donne e dagli uomini insieme. Ma piu' in generale si puo' vedere come tutte e tre le categorie fondamentali del nomos, passate attraverso tutte le variazioni della crescita del diritto e delle lotte economiche e politiche, sono oggi arrivate a un punto di crisi che ne svela l'ultima potenzialita' distruttiva. La produzione ha trasformato gradualmente tutto il mondo in mondo manufatto, prodotto, non rinnovabile, impossibile ad essere "aggiustato" ("iustari" sarebbe il significato dello ius, secondo l'Aquinate), e destinato man mano a rompersi ed essere scartato come i pezzi di un meccano (la crisi ecologica viene da qui). L'appropriazione ha via via privatizzato, confiscato e assoggettato tutte le cose, anche quelle che erano comuni e destinate all'utilita' comune, le terre, le acque, le foreste, i fondi marini, le orbite spaziali; non ci sono piu' beni comuni, diritti d'uso, usi civici e ormai anche le sementi, i prodotti agricoli, e gli stessi codici genetici vengono coperti da brevetti. La divisione delle risorse, e perfino dei mezzi necessari alla vita, non puo' far fronte ai bisogni di tutti gli abitanti della terra. E quando non c'e' piu' nulla da distribuire, quando i fiumi sono stati interrati, gli invasi creati dalle gigantesche dighe sono stati riempiti, gli alberi dell'Amazzonia sono stati tagliati, quando l'atmosfera si e' saturata di anidride carbonica e il mondo che respirava nel cosmo e' diventato una scatola chiusa come una serra, allora a quel punto questo mondo o si rinnova o finisce. E chi non lo vuole rinnovare, chi pensa, forte del suo potere, che ci sia un'uscita solo per se', di fatto ne preferisce le fine. * Resistere, disattivare, innovare il nomos Per questo ci vuole un cambiamento del nomos, non solo delle filosofie ma degli ordinamenti concreti. Il cammino della civilta' e' passato attraverso le trasformazioni del nomos. La contestazione che dalle leggi della citta' ha appellato ad altre leggi piu' pietose e piu' giuste ha messo in tensione il nomos e lo ha scosso fin dalle fondamenta da Antigone alla legge italiana sull'obiezione di coscienza. L'illuminismo ha cercato di fare del nomos l'antidoto alla forza, la certezza del diritto, la difesa del debole. Le rivoluzioni si sono proposte di passare dall'uno all'altro nomos. Ma e' stato Paolo che ha ingaggiato col nomos la partita decisiva. Paolo si e' trovato di fronte una legge, la Torah, che non solo stabiliva e consacrava un ordine, ma anche pretendeva dare la salvezza. Ma la salvezza non la dava; essa giudicava ma non "giustificava", e soprattutto discriminava tra eletti ed esclusi, tra ebrei e gentili (gli appartenenti alle genti); e non solo la Torah ebraica, anche il nomos greco spezzava la comune appartenenza umana, dividendo gli esseri umani in liberi e schiavi, signori e servi, cittadini e stranieri, uomini e donne. E anche la lex romana, la legge dell'Impero, discriminava tra romani e barbari, uomini e no. Tutti i primi termini di queste coppie di opposti erano i beneficiari di un'elezione, depositari di un privilegio originario: si nasce ebreo, si nasce romano, si nasce civis. A questa discriminazione essenziale, ontologica, corrispondeva la discriminazione nella titolarita' e nell'esercizio delle funzioni economiche proprie del nomos, dal massimo del potere alla mancanza di ogni potere. Disparita' e scarto di potere ultimamente garantiti al vertice dal potere politico e religioso, sovrano del nomos (benche' Pindaro, piu' moderno di Bush, avesse tentato di accreditare al nomos stesso la sovranita', facendolo re, nomos basileus). Il nomos si presenta dunque essenzialmente come una legge (un ordine) di discriminazione e di selezione tra gli esseri umani. Percio' Paolo si scontra col nomos, con la "legge", perche' pretesa di salvezza per gli uni, perdizione per gli altri, affermando che l'umano e' di tutti, che percio' la salvezza va cercata fuori dal nomos. E Paolo dice: meno male che non c'e' solo il nomos, c'e' qualche altra cosa, che lui chiama la fede. Ma non si tratta di contrapporre fede a fede, la disputa non e' una disputa tra dottrine, tra antropologie, che si possa dirimere nella Scuola di Atene. Cio' che Paolo si trova di fronte e' appunto un nomos, cioe' un ordinamento concreto. Naturalmente non lo puo' abbattere e neanche vuole, perche' l'anomia, la perdita di ogni regola e' ancora peggio del nomos. E allora Paolo oppone alla legge due atteggiamenti che, come ha spiegato Giorgio Agamben, appartengono all'ordine del vivere messianico: il primo e' la resistenza, il fare argine, intercettare e frenare le forze di distruzione proprie del nomos; quella "forza frenante" che Paolo chiama katekon; il secondo e' la "disattivazione" della legge e del suo potere, che vuol dire svuotarla della sua pretesa di assolutezza, svigorirla, toglierle forza di dominio, negarle l'assenso pur osservandola, cio' che Paolo chiama katargein (5). In tal modo l'Europa dovrebbe resistere alla imposizione a tutto il mondo della legge imperiale, prolungamento iperbolico del suo stesso nomos discriminatorio ed eurocentrico, e dovrebbe sottoporre a critica e rimettere in gioco il nomos dell'Occidente, disattivarlo nella sua pretesa di unicita' e di dominio, metterlo in relazione con gli altri nomoi, schierarlo contro le nuove esclusioni del Mercato globale, dare mano a costruire un ordinamento atto a comprendere il terzo escluso, il non eletto, l'esubero, le classi negate sia dentro che fuori i confini dell'Impero. Dal nomos dell'Occidente al nomos dei popoli, al nomos della terra: universale, inclusivo, pluralistico, panumano, senza popoli canaglia e Stati zizzania. Non sara' una Costituente a poter varare questo nuovo nomos. Sara' un processo, una lunga rivoluzione, una gestazione, come dice Raul Mordenti (6), il liberarsi di un nuovo ordine dalla crisalide del vecchio; non solo appropriazione, divisione, produzione, dominazione, ma libera fruizione, condivisione, contemplazione, liberazione, per tutti gli uomini, per tutto l'umano. * Note 1. "Napoleoni", in Raniero La Valle, Prima che l'amore finisca, Ponte alle Grazie, Milano 2003, p. 161. 2. Claudio Napoleoni, Discorso sull'economia politica, Boringhieri, Torino 1985, p. 120. 3. Ivi, pag. 136. 4. Carl Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, p. 296. 5. Giorgio Agamben, Il tempo che resta. Un commento della lettera ai Romani, Bollati Boringhieri, Torino 2000. 6. Raul Mordenti, La rivoluzione, Tropea, Milano 2003, pag. 95. 5. POESIA E VERITA'. UNA STANZA DI MAGDA ISANOS [Da AA. VV., L'altro sguardo. Antologia delle poetesse del '900, Mondadori, Milano 1996, 1999, pp. 287-288. E' una stanza di Mattino di primavera, della poetessa rumena Magda Isanos (1916-1944)] Dico "vita"... e prende a battere il cuore veloce, come un uccello colto da paura. Fuori, la notte di marzo sbianca a poco a poco, e spuntano alberi e torri. 6. MATERIALI. NANNI SALIO: ISRAELE-PALESTINA, DENTRO IL CONFLITTO [Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: regis at arpnet.it) per averci messo a disposizione come anticipazione questo suo articolo che apparira' sulla bella rivista pedagogica "Ecole". Nanni Salio, torinese, segretario dell'Ipri (Italian Peace Research Institute), si occupa da diversi anni di ricerca, educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della nonviolenza in Italia. Opere di Giovanni Salio: Difesa armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, Perugia; Scienza e guerra (con Antonino Drago), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1982; Ipri, Se vuoi la pace educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Ipri, I movimenti per la pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1991; Le guerre del Golfo, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1991; Il potere della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001. Per contatti: Centro Studi "Domenico Sereno Regis", via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824, fax: 0115158000, e-mail: regis at arpnet.it, sito: www.arpnet.it/regis] Se l'educazione alla pace e' innanzi tutto educazione alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, dal micro al macro, disponiamo oggi di un utilissimo strumento per sperimentare concretamente cosa significa tutto cio'. Il "gioco di ruolo" La mia storia, la tua storia, il nostro futuro, ideato da Angela Dogliotti Marasso e Maria Chiara Tropea per le Edizioni Gruppo Abele di Torino, permette di simulare la complessa, difficile e sofferta storia del conflitto israelo-palestinese seguendo una metodologia attiva, coinvolgente, efficace al fine di acquisire le competenze fondamentali necessarie per affrontare costruttivamente e creativamente anche i conflitti piu' spinosi. Da tempo, i "giochi di ruolo" vengono utilizzati per affrontare questioni complesse, globali e controverse, per calarsi in situazioni reali e comprendere i diversi punti di vista degli attori in gioco, senza cadere in futili stereotipi che bloccano la comunicazione, aumentano la tensione sino a favorire l'esplosione della violenza e impediscono la soluzione creativa del conflitto. E' merito di Elena Camino e del Gruppo di Ricerca in Didattica delle Scienze Naturali, da lei diretto presso il Dipartimento di biologia animale dell'Universita' di Torino, aver introdotto in Italia i primi giochi di ruolo applicati alla didattica delle scienze su questioni controverse (dall'allevamento intensivo dei gamberetti alle piogge acide, dai rifiuti alla deforestazione). E che cosa c'e' di piu' controverso di un conflitto come quello tra Israele e Palestina, trasformatosi, nel corso dell'ultimo mezzo secolo, in una guerra endemica, lacerante, autodistruttiva, un vicolo cieco senza vie d'uscita? Il gioco di ruolo permette a studenti, insegnanti, attivisti dei movimenti per la pace, di vivere in maniera piu' diretta, ma pur sempre decentrata, le ragioni, le paure, le sofferenze degli uni e degli altri, evitando le contrapposizioni superficiali e banali tipiche del confronto puramente verbale di molti sterili dibattiti, che troppo spesso finiscono di suscitare solo un "tifo da stadio". Il gioco prevede la partecipazione di un numero massimo di 14 personaggi che si identificano in ebrei israeliani, altri 14 palestinesi e 6 cittadini di diversi paesi. Per ognuno e' prevista una scheda di ruolo che viene consegnata all'inizio dell'attivita', a sua volta strutturata in due parti. La prima e' centrata sulla storia, secondo le narrazioni dei due punti di vista, esaminati prima separatamente e poi insieme. La seconda affronta l'analisi e la trasformazione del conflitto, mettendo in evidenza in particolare le metodologie nonviolente. Per prepararsi a ognuna delle due fasi, i partecipanti possono accedere a una considerevole quantita' di documentazione (libri, articoli, video, bibliografie, siti Internet), accuratamente selezionata e messa a disposizione per conoscere la storia e le dinamiche del conflitto in corso. La scansione temporale puo' essere calibrata a seconda delle esigenze specifiche dei partecipanti, ma richiede non meno di un giorno e mezzo e puo' essere preceduta da una o due sessioni preliminari di un paio d'ore ciascuna. In un momento in cui e' sempre piu' evidente a un gran numero di persone che la guerra non consente di raggiungere una soluzione stabile ed equa, i segnali di speranza vengono da quelle componenti della societa' civile che non si rassegnano e continuano il lavoro "dal basso" di incontro, riconoscimento, ricerca creativa, che i vertici politici e i gruppi oltranzisti non sono stati sinora in grado di realizzare. L'"Accordo di Ginevra" elaborato da autorevoli esponenti della societa' civile israeliana e palestinese costituisce un esempio concreto del cammino che e' possibile compiere. Anche noi, come parti esterne internazionali, possiamo svolgere un ruolo efficace nel creare quei presupposti culturali indispensabili per facilitare la trasformazione nonviolenta del conflitto e il successivo cammino verso la riconciliazione di due popoli che la storia ha unito nel bene e nel male e che possono riconoscersi nella loro comune umanita'. La scuola puo' essere un luogo privilegiato per contribuire a questa straordinaria impresa, purche' si sappia uscire da schemi mentali vecchi e superati e ci si doti di strumenti e metodologie educative che permettano di sbrogliare i nodi di una intricata matassa. 7. MEMORIA. LIVIO MAITAN RICORDA PIETRO TRESSO [Dalla mailing list "Bandiera Rossa News" (per contatti: ba.ro.news at inwind.it) riprendiamo questo intervento di Livio Maitan apparso sul quotidiano "Liberazione" del 26 ottobre 2003. Abbiamo omesso l'ultima frase, decisamente di circostanza. Livio Maitan, militante del movimento operaio, docente universitario, illustre studioso di Trotskij, e' autore di molte rilevanti pubblicazioni. Pietro Tresso (1893-1943), militante del movimento operaio, tra i fondatori del Partito comunista d'Italia, combattente antifascista, fu assassinato dagli stalinisti. Sulla sua figura: Alfredo Azzaroni, Blasco, Milano 1962 (l'introduzione di Ignazio Silone a questo libro e' ora anche in Ignazio Silone, Romanzi e saggi, volume II, Mondadori, Milano 1999, pp. 1331-1336); Paola Casciola, Giorgio Sermasi, Vita di Blasco. Pietro Tresso dirigente del movimento operaio internazionale, Vicenza 1985. Sulla tragica vicenda della sua morte si veda il libro rigorosamente documentato, acuto e appassionato, di Pierre Broue' e Raymond Vacheron, Assassinii nel maquis. La tragica morte di Pietro Tresso, Prospettiva Edizioni, Roma 1996] Sono passati esattamente sessant'anni dalla morte, in tragiche circostanze, di Pietro Tresso, militante attivo sin da giovanissima eta' nel movimento operaio, prima nel Partito socialista, da Livorno al 1930 nel Partito comunista e poi nel movimento trotskista. Dalla meta' degli anni '60 sono usciti, in Italia e in Francia, vari saggi su di lui, apprezzabili per la documentazione, anche se, in certi casi, discutibili nell'impostazione. La Storia del Pci di Paolo Spriano parla di Tresso a proposito della vicenda che avrebbe portato alla sua espulsione, con indicazioni sulle sue scelte successive: ma neppure un accenno alla sua morte e alle circostanze di questa morte, in volumi pur comparsi oltre quindici anni dopo il '56. Pietro Tresso era nato a Magre', in provincia di Vicenza, nel 1893 e gia' a nove anni aveva cominciato a lavorare come apprendista sarto. Militante della gioventu' socialista a quattordici anni, all'inizio della prima guerra mondiale doveva comparire dinnanzi a un tribunale militare per la sua attivita' antimilitarista. Era assegnato a un battaglione di disciplina e, divenuto ufficiale, subiva per oltre due anni la disumana esperienza della vita nelle trincee. Ammalatosi di tubercolosi, era congedato dall'esercito e riprendeva la vita civile, che, per lui, era di nuovo, immediatamente, l'impegno politico militante. Nel Partito socialista si schierava risolutamente a sinistra, collaborando con l'ala bordighista. A Livorno, nel 1921, partecipava alla fondazione del nuovo partito e l'anno successivo faceva parte della delegazione italiana al IV congresso dell'Internazionale comunista. A Mosca, dove aveva una responsabilita' nell'Internazionale dei sindacati rossi, collaborava con Antonio Gramsci. Al congresso di Lione, nel 1926, era eletto membro candidato del Comitato centrale, di cui diveniva poi membro effettivo. Era quindi eletto nello stesso organismo di direzione piu' ristretto, l'Ufficio politico, assumendo compiti di primo piano sia nel Centro organizzativo interno sia nel Centro che operava all'estero. Nel febbraio 1927 partecipava a una conferenza per la ricostruzione della Confederazione sindacale ed era eletto al Comitato direttivo provvisorio. * Nel 1929-1930 l'Internazionale comunista, ormai sotto il controllo del gruppo dirigente staliniano, proclamava la linea del cosiddetto "terzo periodo" che combinava una visione catastrofista della crisi del capitalismo e un tetragono settarismo verso i partiti socialdemocratici, definiti con il paradossale epiteto di "socialfascisti". Nel Pci l'opposizione a questa linea, espressa anche da Gramsci dal carcere, era presente anche nell'Ufficio politico che a un certo momento risultava diviso a meta': per uscire dall'impasse si calcolava irritualmente come effettivo il voto del rappresentante della Federazione giovanile. Secondo una versione, dura a morire, Tresso, come Leonetti e Ravazzoli in accordo con lui, si sarebbe opposto al rilancio dell'attivita' all'interno del paese. In realta' Tresso negava che esistesse in Italia una prospettiva di rovesciamento del fascismo a breve termine e, se era d'accordo su un rilancio del lavoro interno, contrastava impostazioni di fatto avventuristiche che si sarebbero pagate a caro prezzo. Nel giugno 1930 i tre oppositori erano, comunque, espulsi dal partito. Solo dopo avrebbero preso conoscenza delle posizioni sostenute da Trotskij e dall'Opposizione internazionale di sinistra. Tresso si legava al movimento trotskista, continuando il suo lavoro nell'emigrazione italiana, ed entrando poi nel Partito socialista (massimalista) in applicazione della scelta entrista fatta allora dai trotskisti in Francia. Nel settembre 1938 era presente al congresso di fondazione della IV Internazionale ed era eletto al Comitato esecutivo. * La guerra era ormai imminente e nel giugno 1940 la Francia era occupata. Ricercato, come molti altri, dalla Gestapo, Tresso si impegnava nell'attivita' clandestina. Arrestato nel giugno 1942, era condannato da un tribunale di Vichy a dieci anni di reclusione. Ma un anno dopo un'azione coraggiosa di partigiani liberava dalla prigione di Puy-en-Velay un gruppo di prigionieri politici tra cui Tresso. Sembrava aprirsi, dunque, per lui una nuova fase di lotta antifascista e rivoluzionaria e, invece, i suoi giorni erano contati. Tra i partigiani che lo avevano liberato, c'erano militanti legati al Partito comunista francese, che venivano a conoscenza della sua vera identita'. Pochi giorni dopo, alla fine di ottobre, sempre del 1943, Tresso, con tre altri militanti di orientamento trotskista, erano assassinati e i loro parenti e compagni perdevano a lungo ogni loro traccia. Si e' molto indagato sugli esecutori materiali dell'assassinio. Comunque, drammaticamente certo e' che hanno agito su istruzione di apparati e di singoli dirigenti, ispirati dalla logica perversa dello stalinismo. * Un anno prima della morte, Tresso aveva scritto dal carcere una lettera struggente: "Proprio perche' siamo rimasti giovani - vi si leggeva - ci troviamo praticamente fuori dalle diverse 'chiese'. Le stesse aspirazioni morali che ci hanno spinto, fin dalla giovinezza all'interno di un partito, ce ne hanno spinto fuori quando si sono trovate in disaccordo con quelle che vengono definite necessita' pratiche. Se fossimo invecchiati, avremmo ascoltato la voce dell'esperienza, saremmo diventati 'saggi', ci saremmo adattati, come molti altri, all'astuzia, alla menzogna, al sorriso ossequioso verso i vari 'figli del popolo', ecc. Ma questo ci e' stato impossibile. Perche'? Perche' siamo rimasti giovani. E per questo sempre insoddisfatti di cio' che e' e sempre aspiranti a qualcosa di meglio. Quelli che non sono rimasti giovani sono diventati, in realta', dei cinici. Per loro, gli uomini e tutta l'umanita' non sono che strumenti, dei mezzi che debbono servire ai loro scopi particolari, anche se questi scopi vengono mascherati con frasi di ordine generale; per noi gli uomini e l'umanita' solo le sole realta' esistenti". L'autore di queste righe aggiunge subito dopo che tutto questo era "molto generico". Ma cio' non deve impedirci di coglierne il significato piu' genuino... 8. INCONTRI. IL 22 NOVEMBRE A ROMA LE DONNE RIFLETTONO SULL'INFORMAZIONE [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo e diffondiamo. Invitiamo tutte e tutti a visitare il sito, che propone molti preziosi materiali ed al quale sovente anche questo foglio attinge] "Il Paese delle donne" invita tutte a partecipare all'incontro seminariale che si terra' il giorno 22 novembre presso la Casa internazionale delle donne di Roma (dalle ore 10 alle 18) per discutere insieme non solo del rilancio della nostra testata ma, piu' in generale, dell'informazione politica delle donne e del suo futuro. Come contributo al dibattito che speriamo sara' ricco e denso di sviluppi futuri, pubblichiamo nel sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) gli interventi di Marina Pivetta, Monica Lanfranco, Simona Mafai e Cristina Papa. Coloro che pur non potendo partecipare all'incontro del 22 novembre vogliono comunque inviarci contributi di riflessione possono inviare una e-mail ad articoli at womenews.net 9. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI NOVEMBRE [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail: capitini at tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo] Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di novembre 2003 del "C.O.S. in rete" (www.cosinrete.it), una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo; tra cui: La storia di destra; Libere dagli uomini; Le colpe rimosse; Ribellarsi e' giusto; Il buio che illumina; Stasera grande musica; Vecchiaia bruciata; Morire a venezia; I preferiti; I malati volontari; L'Onu dal basso; La scelta; Olio antimafioso; Il tetto; Pieta' l'e' morta; Un maestro scomodo, ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti. 10. RILETTURE. MARINELLA CORREGGIA: MANUALE PRATICO DI ECOLOGIA QUOTIDIANA Marinella Correggia, Manuale pratico di ecologia quotidiana, Mondadori, Milano 2000, 2002, pp. 432, euro 9,30. Informazioni, riflessioni e proposte per un agire quotidiano che migliori la vita nostra e altrui, e il mondo di tutti. 11. RILETTURE. GIULIANA DI FEBO, ROSA ROSSI (A CURA DI): INTERPRETAZIONI DI CERVANTES Giuliana Di Febo, Rosa Rossi (a cura di), Interpretazioni di Cervantes, Savelli, Roma 1976, pp. 208. Una raccolta di testi di straordinario interesse. 12. RILETTURE. VIRGINIA VACCA (A CURA DI): VITE E DETTI DI SANTI MUSULMANI Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani, Utet, Torino 1968, Tea, Milano 1988, pp. 416, lire 12.000. Un'ampia selezione dalle "Vite" di Sha'rani (con alcune integrazioni), una lettura che continuiamo a raccomandare. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 729 dell'11 novembre 2003
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