"Ambiguità con i violenti: new global tirchi di condanne" (Avvenire 9/11/03). Precisazioni



Avvenire del 9 novembre 2003 ha pubblicato un articolo di Francesco Riccardi dal titolo "Ambiguità con i violenti: new global tirchi di condanne". (1) In esso Riccardi, nell'ambito di un articolo complessivo che si allega in coda, fa uno specifico riferimento a PeaceLink e scrive: "Nell'editoriale di Peacelink, uno dei siti pacifisti più consultati, Massimo D'Alema, reo di aver autorizzato l'intervento italiano in Kosovo, è paragonato agli assassini di Biagi e D'Antona: “In entrambi i casi sono state uccise persone colpevoli solo di stare con il "nemico". Una strage non è legittima, anche se autorizzata da un governo legittimo”. E se questo è lo Stato - è il ragionamento sotteso - perché noi dovremmo prendere le distanze dalle violenze degli antagonisti? “Abbiamo dialogato con i poliziotti - è l'ultima discutibile equidistanza - perché non dovremmo farlo con i centri sociali?”".

In quanto estensore dell'editoriale in questione e in quanto presidente di PeaceLink preciso quanto segue: 1) Riccardi purtroppo non dice che il mio editoriale ha come titolo "Siamo contro il terrorismo (e contro le bugie)" (2). Se ha letto tutto l'editoriale si sarà accorto che non siamo "tirchi di condanne". Anzi l'editoriale comincia proprio con un minuzioso elenco delle nostre condanne del terrorismo. Vi è una tale abbondanza di spazio e di riferimenti alla condanna del terrorismo che una corretta informazione non poteva non darne conto. Il 18 ottobre 1984 la Corte di Cassazione, a proposito di articoli come quello di Riccardi, ha approvato una sentenza in cui di dice: "La verità non è più tale se è 'mezza verità' o comunque verità incompleta; pertanto la verità 'incompleta' deve essere in tutto equiparata alla notizia falsa". Ribadisco pertanto che omettere la nostra lunga e sincera tradizione di totale condanna del terrorismo è profondamente scorretto e ciò costituisce violazione della deontologia giornalistica che prescrive "la maggior accuratezza possibile" e la quale implica che "il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali" (cfr. "Carta dei doveri del giornalista", Roma 8 luglio 1993, Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti e Federazione Nazionale della Stampa Italiana); non è inutile ricordare il dovere di osservanza dei "doveri della lealtà e della buona fede" e al "rispetto della verità sostanziale dei fatti" (art.2 legge 69/1963) che dovrebbero essere le linee guida della professione giornalistica. 2) Non ho equiparato D'Alema a chi ha ucciso Biagi e D'Antona ma ho scritto: "La cultura della nonviolenza non è acquisita da tutte le sue componenti dal Movimento. Cosa verissima. Ciò ovviamente vale anche per chi ha guidato la guerra del Kossovo e si è macchiato la coscienza di alcune morti in più rispetto alle Br, si veda il bombardamento deliberato della Tv serba". 3) Il dialogo è un valore universale ed escludere dal dialogo i centri sociali non fa parte della cultura nonviolenta. Ho scritto e ribadisco: "I pacifisti sono andati in missione nelle guerre dimenticate dove si sparava. La nonviolenza è dialogo con tutti, senza pregiudiziali".

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink



(1) ---- articolo su Avvenire 9/11/2003 ----

AMBIGUITÀ CON I VIOLENTI
NEW GLOBAL TIRCHI DI CONDANNE

Francesco Riccardi

Il dibattito scaturito dall'arresto dei brigatisti e dei loro
fiancheggiatori ha avuto il merito di accendere un faro su alcune zone
grigie dell'area antagonista, ponendo in luce l'irrisolta questione della
giustificazione “politica” all'uso della violenza. Ma ha anche disvelato
come in tanta parte del movimento anti-globalizzazione sia venuto crescendo,
negli ultimi anni, un senso di malintesa “terzietà” fra istituzioni e
violenza politica, fra la legge e la “resistenza sociale” con i suoi metodi
di lotta, spesso oltre i limiti della legalità. Un fenomeno sul quale vale
la pena di riflettere alla vigilia del Social Forum europeo, in programma a
Parigi da mercoledì prossimo.
Messi alle strette dalle loro stesse contraddizioni, Cobas e Disobbedienti
finiscono infatti per ammettere una lettura "politica" della lotta armata,
rifiutandosi di definire “assassini” i terroristi. Allo stesso modo
rivendicano un certo utilizzo della violenza, praticata a scopo più o meno
dimostrativo, più o meno cruento, a seconda di quanto valutino “violenta la
repressione del dissenso da parte dello Stato”. La stessa cosa non può dirsi
per la parte maggioritaria del movimento, una galassia eterogenea, di
estrazione pacifista, che più volte ha condannato gli atti terroristici
delle Br.
Intanto, però, anche là dove la non-violenza dovrebbe rappresentare il
tratto costitutivo, finisce a volte per prevalere l'accettazione di pratiche
violente e di illegalità perpetrate dai "compagni di viaggio" dell'area
antagonista. Tanto che, in alcuni dibattiti all'interno del mondo
pacificista, circolano concetti che sembrano stare in rima con un triste
slogan in voga negli anni '70: “Né con lo Stato né con le Br”. Applicato,
oggi, non agli attentati brigatisti veri e propri, ma a tutta quella seri e
di violenze diffuse che vanno dalle occupazioni abusive, alla distruzione
delle agenzie di lavoro interinale, fino ai pacchi-bomba spediti a
incolpevoli servitori dello Stato. Già, lo Stato, ovvero sia le istituzioni
democratiche e gli organi preposti a garantirne il funzionamento. È su
questi termini che si avverte il preoccupante straniamento di tanta parte
del movimento new global. Nei loro discorsi lo Stato è sempre “repressivo”,
la “globalizzazione assassina”, “i governi succubi delle multinazionali”,
“il capitalismo imperante sta producendo solo morte”, “il militarismo
dell'Occidente” rappresenta il “terrorismo di Stato”.
E i parallelismi si fanno via via più arditi: nell'editoriale di Peacelink,
uno dei siti pacifisti più consultati, Massimo D'Alema, reo di aver
autorizzato l'intervento italiano in Kosovo, è paragonato agli assassini di
Biagi e D'Antona: “In entrambi i casi sono state uccise persone colpevoli
solo di stare con il "nemico". Una strage non è legittima, anche se
autorizzata da un governo legittimo”. E se questo è lo Stato - è il
ragionamento sotteso - perché noi dovremmo prendere le distanze dalle
violenze degli antagonisti? “Abbiamo dialogato con i poliziotti - è l'ultima
discutibile equidistanza - perché non dovremmo farlo con i centri sociali?”.
Il Forum sociale europeo potrebbe tuttavia rappresentare l'occasione nella
quale il movimento prenda finalmente le distanze da tutte le forme di
violenza politica. Nella solenne carta dei principi del Social Forum
mondiale, infatti, si fa solo un accenno - piuttosto confuso e nascosto nel
penultimo paragrafo - alla “capacità di resistenza sociale non-violenta da
opporre alla disumanizzazione del mondo e alla violenza usata dallo Stato”.
Troppo poco per rendere credibile chi propugna che “un altro mondo è
possibile”.


(2) ---- Editoriale di PeaceLink ----

Dopo l'intervista a Sergio Segio
Siamo contro il terrorismo (e contro le bugie)
In questi giorni un qualificato giornalista come Giuseppe D'Avanzo ha accusato il movimento pacifista di indifferenza rispetto al terrorismo.

<mailto:a.marescotti at peacelink.it>Alessandro Marescotti
1 novembre 2003

Per il testo integrale si veda http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_2165.html